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Giugno 2007

Google Hit List [Giugno 2007]

Zero commenti, troppo sonno.

01 – dove comprare tute da nuoto a milano
02 – arredamento casa abbinamento pavimenti ges mobili
03 – politico belga fa pompini?
04 – la barista di via durini
05 – zolletta di zucchero
06 – valentino rossi pronto idraulico
07 – lepecoso
08 – canzone dei pirati dei caraibi mp3
09 – elena amato ricostruzione unghie
10 – adoro fare i pompini

Notte fonda

Volevo scrivere un bel post prima di partire.
Lo giuro.
Eppure adesso che mi trovo di fronte al monitor costretto ad interloquire con le mie idee, sento queste mie intenzioni pretenziose sfuggire da me come scarafaggi alla luce. La causa di tutto questo credo stia nell’aver impiegato una buona mezz’ora ad aggiornare il template del blog. Nuovi link da aggiungere, vecchi ed inutilizzaati collegamenti da rimuovere, nuovo disco del mese da scegliere e presentare. Da quando “hosto” il blog su un server esterno a blogger.com le operazioni di restyling si sono tramutate in massacranti epopee e questo, in accoppiata alla mia perenne disattenzione, mi causa enormi problemi.
Prendiamo il caso odierno: avevo scelto come disco del mese “False Cathedrals” degli Elliott, fresco di acquisto e già consunto dalla vagonata di ascolti. Gli Elliott tuttavia pare non abbiano un sito internet di alcun tipo e siccome non amo fare le cose in maniera approssimativa, ho deciso di esautorarli e rimpiazzarli con i Dillinger Escape Plan. Quale passaggio logico mi abbia portato a sostituire un gruppo come gli Elliott con quella macchina assassina che sono i DEP non mi è tutt’ora chiaro, ma forse è meglio così.
Buttati quaranta minuti per questa faccenda sono passato all’aggiornamento dei link. Sono molto lieto di presentare a tutti il blog della mascotte ufficiale del laboratorio in cui lavoro: Capitan Falcon. Io non sto bene di testa, questo è assodato, tuttavia mi consola sapere che anche le persone con cui lavoro non siano proprio ciò che si suol dire normali. Oggi Paola ha deciso di creare questa mascotte che, sulla falsa riga del nano di Amelie, dovrà essere portata da ciascuno di noi in giro per il mondo. L’idea è molto carina, niente da dire, ed anche il pupazzo in se è riuscito bene, però a 26 anni suonati giocare a costruire amici immaginari non penso sia ascrivibile alla sfera delle così dette normalità.
Sistemate tutte queste cose ho dato il via all’aggiornamento del template.
Esattamente 40 millisecondi dopo aver premuto il pulsante “Ripubblica l’intero blog” mi sono reso conto di aver dimenticato di aggiungere il neonato blog di Aledoni alla mia lista di consigli.
Bestemmie come a piovere non hanno posto rimedio alla situazione, come ovvio che fosse.
Per questo motivo mi ritrovo ancora qui alle 3.11 di notte, a 49 minuti esatti dal suono della sveglia che mi ricorderà l’imminente partenza per il Regno Unito.
Mi si chiudono gli occhi.
Non ho tempo per dormire seriamente.
Devo pubblicare le googolate di Giugno.

Milano is burning

Sono tornato a non avere molto tempo da dedicare alla stesura di pagine da riportare su questo mio diario. Troppi impegni? Non credo. Niente da dire? Nemmeno. Forse è solo colpa del troppo caldo. Anche sta sera l’idea era di sdraiarmi e godermi “Le Iene” di Tarantino incollato al letto dallo tsunami generato dalle pale del ventilatore appeso sul soffitto di camera mia. Poi però stando al telefono con la Bri e prendendo spunto da questo suo post mi è venuto in mente un fenomeno di costume che ormai sta spopolando in giro per la rete. Ad essere onesti io non sono così ben inserito nella comunity da essermene accorto, tuttavia continuano a parlarne su radio Deejay da ormai un paio di settimane abbondanti e siccome radio Deejay è l’unica radio che sentiamo in laboratorio questo neonato “cult” è saltato anche alla di me attenzione.
Si tratta di un sample, se quello che intendo io per sample lo è realmente.
Mi diverte molto.
Per scrivere qualcosa di più intelligente avrò tempo magari domani.

Riporto il testo per una maggiore comprensione.
Accumulo libri
Vado allo spazio Oberdan
Vivo all’Isola
Vivo sui Navigli
Vivo in Buenos Aires
Voglio un loft
Compro i Tasche
Faccio lo Ied
Faccio filosofia in statale
Faccio lettere
Faccio la Naba
Facevo Brera
Farò i soldi
Me ne andrò da Milano
Facevo la cameriera
Faccio la barista, anzi no la barman
Faccio la DJ
Organizzo feste
Mi metto gli occhiali grossi
Mi tolgo gli occhiali grossi
Faccio la grafica
Faccio la copy
Faccio tante foto in digitale
Ho il Macintosh
Vado alle feste di MTV
Che bravo Kounellis
Che bravo Alessandro Riva
Che bella la mostra sulla street art
Gli adesivi
Io aderisco
Guardami guardami sto appoggiata al muro
Bevo solo la birra e il cuba libre
Sono una tipa complicata
Uuuuuuuh se sono complicata
Almeno due concerti al mese
Quanto mi diverto
Vado al Rocket
Vado al Plastic
Vado al Gasoline
Le mie amiche sono troppo delle pazze
Sono una indie rocker
Sono indigente
Ho la frangetta
Sono estroversa
Sono introversa
Non mi piace il cazzo
Per carità vai via con quel cazzo
Chattiamo su messenger
Ti faccio vedere le foto del mio gatto
Ti mando una canzone troppo bella
Questa sera andiamo al Leonkavallo
Andiamo in ticinella
Minchia che flash
Facciamoci una canna
La barella no, è da stronzi
Non mi interessano i ragazzi con la macchina bella, a me piace il maggiolone
A me piace il furgone della Volkswagen
Che bello il salone del mobile, quanta creativitá
Che bello il Mi-art
Basta… Alighiero Boetti ha rotto le palle
Mi piacciono le foto di Basilico, sono molto intense
Ho Fastweb
Mi scarico un film di Antonioni, Fellini, Pasolini, Rossellini, Bolognini
Andiamo ai Magazzini
Godard
Truffaut
Non mi piace il cinema americano, è troppo commerciale
Andiamo alla biennale
I miei genitori non mi capiscono, mio papà mi dice solo “porco D*o mi spezzo la schiena per farti studiare, studia cretina che io non ho potuto”

In spite of fucking mosquito bites

Ieri sera al Magnolia mi sono visto il concerto dei Me first and the Gimme Gimmes.
E’ stato totale.
Cinque musicisti impegnati in diverse ed affermate band che possono permettersi di fare tour europei con un gruppo creato unicamente per cazzeggiare non si vedono tutti i giorni ed il loro live trasuda proprio questa atmosfera. L’unico obbiettivo è divertirsi tutti insieme, pubblico compreso, sulle note di canzoni arciconosciute, rispolverate e agghindate in chiave punk-rock. Nessuna pretesa insomma, se non quella di passare una bella serata.
Arrivato in loco però questa aspettativa ha ricevuto un duro colpo quando abbiamo scoperto dell’improvvisa defezione di Fat Mike, costretto a casa pare da un malore della madre. Non nego che quell’uomo sul palco sa sempre regalare momenti di show esagerati, anche quando fatica a stare in piedi, e quindi sapere della sua assenza ha fatto vacillare non poco la nostra euforia. Il suo posto però è stato preso per l’occasione da Eric Melvin che si è poi rivelato eroe della serata, soprattutto per aver imparato in due ore tutti i pezzi in scaletta.
Ma partiamo a raccontare dall’inizio.
Non proprio dall’inizio però, perchè di spalla ai Me First suonavano i PAY e i TAT e di loro non ho certo voglia di parlare.
Parlerò delle presenze in loco invece. In quel del Magnolia infatti c’erano un bel po di volti conosciuti. Il mio gruppo di partenza comprendeva Aledoni, Steps, Robi Burro e la Meggie, ma sul posto ho incontrato anche Marco, Carlo, la Simo e la Rò, personaggio quest’ultima che non vedevo da almeno quattro annetti.
Bello.
Saltando di palo in frasca però, riprendo a raccontare l’aspetto centrale del concerto. Reduci dall’uscita del nuovo disco “Love Their Country” (NdM: titolo pazzesco), i cinque si presentano sul palco in camiciona a scacchi, cappello texano, bandana e stella da sceriffo.
E’ subito show.
Spike, non si sa bene per quale motivo, parla italiano piuttosto bene ed entra gridando: “Siete pronti a sentire un po’ di musica originale?”.
Risate a profusione.
A quel punto cerca di tradurre “We play only covers” e ne esce un “Facciamo solo coperti” che mi da il colpo di grazia. Da li in poi le gag si sprecano per tutta la durata del concerto. “This one is a cover” Joey Cape lo dice prima di ogni singolo pezzo, esattamente come prima di ogni pezzo Melvin non omette di gridare “Ehi, I’m a Gimme!!!” con il sorriso di un bambino idiota. Spike intanto insiste con l’italiano, uscendosene con frasi deliranti tipo: “Ho ucciso mio padre, magiato suo carne e sto tremando di gioia” oppure “Panone di merda, tutti dobbiamo mangiare un pezzo” o ancora “Joey è nano di merda, ma molto talento”. In tutto questo i cinque suonano un bel po’ di pezzi e li suonano veramente bene. Jake, mio Gimme preferito nonchè chitarra solista dei Foo Fighters, è artefice di una performance maiuscola, ma anche Joey Cape si prende qualche momento per mostrare che se vuole la chitarra la suona gran bene.
L’apice della serata è forse Stairway to Heaven, introdotta dallo stesso Joey Cape come “the worst song ever written” ed il cui titolo è stato tradotto da Spike in “Merda fino agli occhi”. Durante l’intro il delirio si impossessa dei Gimme: nessuno sta capendo cosa succede, ognuno suona per i fatti suoi e tutti ridono sguaiatamente, voce compresa. Ne esce una roba indecente a cui pone fine Dave dando l’attacco per la parte tirata del pezzo e riportando ordine nella truppa.
Insomma, ci sarebbero milioni di siparietti da raccontare, ma so bene che scriverli e rileggerli non sarà mai come averli visti.
Però è mezz’ora che me la ghigno nel tentativo di ricordarli tutti e quindi chissenefrega.
Hanno chiuso il concerto, prima dei bis, con “End of the Road” e lì sono decisamente imapazzito.
Solo due pezzi ci sono stati concessi al rientro sul palco e a chi richiedeva “O Sole Mio” Spike risponde: “Melvin non ha praticato, scusa.”.
“Thank you for coming out tonight and thank you for bringing mosquitos” è il saluto finale che i cinque ci riservano.
Soddisfatti e con grandi sorrisi stampati in faccia non ci resta che tornare alla macchina.
Prima di andare però faccio un salto al banchetto del merchandise: ora anche io ho la stella da sceriffo dei Me first and the Gimme Gimmes!

Questa non è una barzelletta

Oggi ero in laboratorio, come ogni giorno.
All’improvviso la tranquillità lavorativa è stata turbata da alcune grida, inizialmente indistinte. Ci è voluto qualche secondo per capire che si trattasse di slogan.
Incuriositi, abbiamo deciso di guardare fuori dalla finestra.
Si trattava di un gruppetto di animalisti in azione di protesta nei confronti dell’utilizzo degli animali nella ricerca scientifica.
All’inizio ci siamo un po’ allarmati, ma dopo pochi secondi siamo tutti scoppiati a ridere.
Non ce l’avevano con noi, ma con la banca sull’altro lato della strada, rea di aver finanziato la ricerca.
Incredibile.
Sarebbe come andare a cantare cori contro l’inter in via Durini, non indirizzandoli però alla sede della società, ma al barista simpatizzante nerazzurro che lavora lì di fronte.
Gli animalisti spesso sono talmente ridicoli da fare tenerezza.
Ciò non toglie che io li detesti.

Lettera dallo Sri Lanka

Ho appena letto il racconto steso da Orifizio sui suoi primi giorni in Sri Lanka. E’ arrivato per mail, ma aveva il sapore di quelle lettere spedite tramite posta che ripercorrono a ritroso tutta la distanza che separa mittente e destinatario.
L’ho trovato emozionante.
La diversità profonda nelle vite che abbiamo scelto di intraprendere è uno stimolante spunto di riflessioni. Siamo coetanei e siamo usciti dallo stesso liceo, eppure mentre lui cerca di realizzarsi in giro per il mondo io ho come priorità quella di stabilirmi in una fissa dimora a non più di cinquecento metri da dove vivo oggi.
Tutta questione di scelte.
Sta sera mi sento particolarmente introspettivo, ma per una volta eviterò di scrivere in questo diario quel che mi passa per la testa.
Non c’è un reale motivo a giustificare questa decisione. Probabilmente vi è anche un problema tecnico per cui continuerei a scrivere, cancellare, riscrivere e cancellare di nuovo per le prossime ore, fino a decidere di chiudere il discorso senza accennare a nulla di quello su cui mi sono arrovellato.
Ai fini del risultato finale, non è che cambi molto in realtà.
Odio quando non mi capisco.
Meglio mettere un disco e chiudere gli occhi.
Mi prendo l’ultima frase per ringraziare Elena, il Po’ ed Aui per la piacevole serata e l’avvincente chiacchierata. Nonostante i seicento pacchi dell’ultimo secondo, ci siamo divertiti.
Ora spengo.
Merda.
Devo scegliere un disco.
No, stasera non posso proprio farcela.
E sia il silenzio, allora.

Una valida alternativa alla TV

Se utilizzata come si deve, Internet è una grande risorsa. Questa sera ad esempio mi sono ritrovato a casa con nulla da fare. La giornata al lavoro è stata letteralmente massacrante e quindi i buoni propositi di studiare l’articolo da presentare Giovedì mattina ai colleghi sono svaniti nonappena messo piede fuori dal laboratorio. Trovare qualcosa di anche vagamente valido da guardare in TV è ormai impossibile e così, dopo aver ascoltato qualche bomba di calcio mercato e aver assistito al divertentissimo siparietto della telefonata di Berlusconi a Ballarò, sono rimasto privo di occupazione. Mi sono così affidato alla rete. Sabato sera scorso ho installato sul mio computer SopCast, un programma di TV streaming che mi ha permesso di guardare i secondi due quarti di Cavs-Pistons dopo che quel vecchio di Simo mi aveva allontanato dalla sua taverna causa sonno. Anche questa sera questo programma si è rivelato quantomai comodo. Spulciando tra i suoi canali infatti ne ho trovato uno che trasmetteva la versione originale di Grindhouse, il film di Rodriguez e Tarantino uscito ad Aprile. Questa versione comprendeva due film, “Planet Terror” di Rodriguez e “Death Proof” di Tarantino, con in più 4 fake trailer di altri improbabili film, la cui regia è stata curata dallo stesso Rodriguez, da Rob Zombie, da Edgar Wright e da Eli Roth. In sostanza la pellicola vuole rappresentare una tipica serata al Drive-In in cui vengono trasmessi B-Movie horror/splatter anni settanta e mi sbilancio subito dicendo che il progetto è riuscito in pieno. Il tutto infatti è realizzato con maestria e dovizia di particolari: c’è l’ effetto rovinato sulle pellicole, c’è lo stile di ripresa dell’epoca, c’è una colonna sonora fatta ad hoc e ci sono perfino chicche come le finte ombre della gente che passa davanti al proiettore e la pellicola che ad un certo punto si inceppa e prende fuoco.
Solo questo varrebbe la visione del film.
La pellicola si apre con il primo trailer: “Machete”, diretto da Rodriguez. E’ bastato questo perchè tutta l’opera si accattivasse le mie simpatie. Una stigmatizzazione perfetta degli action movie anni 70 che personalmente mi ha spaccato dalle risate. A seguire parte il primo lungometraggio: “Planet Terror”, dello stesso Rodriguez. L’opera vuole essere un manifesto del genere splatter e ci riesce al 100% (almeno dal mio profano punto di vista) combinando ondate di sangue palesemente finto a battute demenziali perfette per il contesto. Voto 10 a Rodirguez, quindi per entrambe le sue parti.
A questo punto, prima dell’inizio di “Death Proof”, passano gli altri tre fake trailer: “Werewolf women of the S.S.” di Rob Zombie, “Don’t” di Edgar Wrigh e “Thanksgiving” di Eli Roth.
Il primo ed il terzo sono assolutamente geniali.
Il film si conclude con il secondo lungometraggio, diretto questa volta da Quentin Tarantino. La visione in lingua originale non mi ha permesso di cogliere appieno quello che rende i film di questo regista geniali, ovvero i dialoghi, quindi non mancherò di ripropormelo in italiano quanto prima per poterlo valutare appieno. Posso però dire che Kurt Russell ha dato veramente una grande prova di se.
Dopo aver visto l’intera opera per come era stata pensata non credo sia stata una buona idea quella di spaccarla in due per l’uscita nelle sale. Da quanto ho capito, il film come l’ho visto io è stato un colossale flop ai botteghini americani e questo probabilmente ha protato al cambio di strategia. Il “Death Proof” che gira adesso nei cinema italiani è una versione extended di quello che ho visto io, ma perde i trailer che non credo verranno accorpati nemmeno a “Planet Terror”, quando e se uscirà. Anche li mettessero però, a mio avviso visti separatamente i due episodi perdono di significato, non riuscendo a trasmettere l’idea del tributo a quel certo cinema anni settanta cui tutto ruota attorno.
La speranza è che prima o poi possa uscire un DVD in italiano della versione originale.

Project: WC

A Maggio avevo ripreso un ritmo decisamente buono di pubblicazioni sul blog. La cosa mi faceva molto piacere e speravo di poter insistere su quella strada, eppure è già dieci giorni che non pubblico nulla, classifica delle googolate a parte. Il motivo principale di tutto questo è che sono stato molto impegnato nel fare diverse cose. Tutto ciò riguardo cui avrei voluto scrivere inoltre non mi sembrava fosse così importante da necessitare per forza di cose uno spazio su questo diario, si trattava di faccende del tutto marginali che sarebbero potute essere raccontate in poche righe.
In effetti, già che sono qui a scrivere, potrei anche elencarle prima di passare al tema centrale del discorso.
Lo faccio:
– Ho rivisto American Pie 1 e 2. Definitivi. Credo siano i due film più intelligenti mai girati sui giovani della mia generazione.
– Sulle ali dell’entusiasmo da primi stipendi sto continuando a comprare CD. Il criterio della scelta è di abbinare qualcosa di nuovo, qualcosa che mi ha appassionato recentemente, qualcosa che ho amato in passato e, possibilmente, qualche chicca. La chicca dell’ultimo ordine è “Short Music for Short People”.
– Sono andato in gita con i miei colleghi. E’ stata una bella Domenica, divertente e soddisfacente sia dal punto di vista paesaggistico che da quello enogastronomico. Senz’altro da riproporre.
– Per una volta che la Bri aveva acconsentito ad accompagnarmi al cinema, non abbiamo trovato uno spettacolo che fosse uno ad orari decenti. Se mi girano le scatole, a vedere “Zodiac” ci vado questo Mercoledì alle 19.00 uscito dal lavoro. Da solo.
– In rete ho trovato l’ennesimo filmato sull’11 Settembre. Come sempre, mi ha lasciato senza fiato.
– LeBron James è Dio.

Bene, ora che ho finito con l’elenco puntato è giunto il momento di parlare di ciò che sta occupando gran parte dei miei pensieri: casa mia.
Il meccanismo che mi vede proiettato alla vita da single (in senso mi auguro unicamente domiciliare) si è innescato ed inizia ad ingranare. Devo ammettere che sono molto eccitato e spaventato all’idea del cambio di domicilio. E’, credo, il mio più grande desiderio nonchè la mia massima aspirazione già da qualche anno e sapere di essere ad un passo dall’arrivarci è a suo modo angosciante. Sono felice, però.
Nell’analizzare la questione non riesco a non riflettere su come sia impossibile andare a vivere da solo per qualunque giovane i cui nonni non abbiano lasciato libero un appartamento, loro malgrado convocati da Mrs Death.
Anche senza affitto o mutuo infatti, l’impresa è tutt’altro che facile da approcciare nonappena si compie il primo passo verso l’arredamento. Personalmente ora mi trovo di fronte alla scelta del bagno e la sfida appare titanica.
Un esempio? Castorama, non certo l’emporio di Philippe Starck, mi ha chiesto uno stipendio per un box doccia.
Surreale.
Ciò nonostante sto comunque provando a progettare una roba decente. Per il momento l’unica certezza, se così si può dire, sono water e bidet, entrambi prodotti Ideal Standard. Avrei individuato anche la rubinetteria che fa per me, ma questa va ancora sottoposta alla prova prezzo. Mi piacerebbe avere un bagno dai mobili bianchi laccati, come le ceramiche, in contrasto con delle piastrelle per pavimento e 3/4 parete molto colorate. Al momento la mia idea è di metterle rosse, ma è giusto un’idea.
Voglio un lavabo da appoggio.
Sabato mattina ho un appuntamento con l’idraulico incaricato di fare i lavori. Insieme andremo dal suo fornitore di mobili da bagno per vedere cosa mi propone e, soprattutto, a che prezzo.
I media non fanno che ripetere che i ragazzi ormai sono mammoni e stanno in casa fino ai trent’anni.
Io ora so perchè e li capisco.