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2008

Diversivi

In queste ore, in questi giorni, la mia vita è fatta prettamente di diversivi.
Caramelle che tengano lontana la lingua dal dente dolente.
Dopo sole due righe posso già dire che scrivere qui sopra non rientra in questa categoria di cose. Immaginavo sarebbe stato così, ma mi illudevo che aprire una pagina e scrivere di tutto ciò con cui mi sto tenendo occupato sarebbe stata un’altra abile mossa Kansas City.
Purtroppo per me scrivere significa pensare e pensare significa sputare la caramella e riconcentrarsi sul dente ammalato.
Con sadismo, per altro.
Perchè meditandoci ti accorgi che ancora, di quello che è successo, non hai capito un cazzo e, soprattutto, hai effettivamente realizzato ancora meno.
Questo vuol essenzialmente dire che, come già pronosticato, le cose peggioreranno.
E spero peggiorino in fretta, perchè quanto percepisco intorno a me, purtoppo, non è reale.
A quel punto il compito dei diversivi sarà decisamente più arduo.
Intanto sono prigioniero di una razionalità in tilt, che soffoca l’emotività, ma non fornisce nulla se non confuse indicazioni contraddittorie.
Vorrei uscirne, ma non ci riesco.
Purtoppo e per fortuna la mia natura razionale è troppo arcigna per essere soverchiata dall’oggi al domani.
La speranza è che questo blog sappia aiutarmi come ha già fatto in passato.
Per questo e solo per questo, continuo a scrivere.

L’importante è crederci

Una volta suonavo in un gruppo.
Anzi, una volta cantavo in un gruppo, perchè non sono mai stato capace di suonare niente.
Erano i tempi del liceo ed eravamo quattro pirla a cui serviva una scusa (in più) per bere birra e fare casino.
Oltre a me, la band comprendeva Orifizio alla batteria, Peich al basso e Bazzu alla chitarra. A parte quest’ultimo (e non è che sto dicendo Jimmy Hendrix), gli altri due musicanti non avevano mai suonato prima della nostra prima sessione in sala prove.
Era il 1997.
Ricordo che il nostro primo pezzo fu composto nella mia cameretta, con Orifizio che per tenere il tempo si batteva sulle cosce la custodia di un CD.
L’avventura musicale degli H’S’P finì quando si iniziava a suonare in maniera accettabile, dopo aver dovuto ristampare le nostre magliette causa esaurimento copie e aver suonato solo ben due volte dal vivo.
A distanza circa dieci anni però, Uazza ha deciso di sposarsi e di invitarci a suonare al suo matrimonio.
Abbiamo accettato.
Ieri siamo tornati in sala prove (ed è bello ricordare che l’ultima volta ci ero andato in bicicletta, non avendo la patente), ci siamo fatti dare la saletta più piccola e brutta ebbiamo rimesso mano ad un po’ di materiale.
Più che altro, ci siamo divertiti un sacco.
Purtroppo non c’era Orifizio, così ho dovuto cimentarmi con la batteria.
Io non l’avevo mai toccata una batteria, però è da sempre un mio grosso rimpianto quello di non aver mai imparato a suonare.
Dopo ieri sera ho deciso di informarmi nel tentativo di prendere lezioni.
Ieri sera ho infatti realizzato che a 26 anni devo smetterla di reputarmi troppo vecchio per fare queste cose.
Questo però non c’entra con la band, perchè gli H’S’P per la reunion contano molto sulla presenza alle pelli del quarto membro storico.
Senza di lui non può essere la stessa cosa.
In barba al mio senso del pudore, chiudo con un video registrato ieri sera.
E’ una cover dei Ramones, da sempre uno dei nostri cavalli di battaglia.

Stasera prende così

Da un paio d’ore mi dico di voler andare a letto.
Non lo faccio.
Sto al pc a sentire musica e guardare video, riflettendo su come potrebbe stare un coniglio tatuato sul lato sinistro della mia cassa toracica, tra gomito e spalla.
Rido molto, rifletto e mi crogiolo in quello stato di malinconia che ogni tanto mi prende.
Un po’ me ne vergogno, solo un poco e forse per molti non abbastanza.
Non mi importa.
In serate come questa tutto ha un peso relativo.
Cazzo.
La miglior band di sempre.
E se mi incidessi sul serio?

La rivoluzione è completa

Eccola qui la mia creazione.
Mesi di duro lavoro, di notevole impegno e di notti insonni hanno portato a quello che da oggi è il mio nuovo diario.
Non nascondo che chiudere blogger definitivamente si sia rivelato più difficile del previsto anche dal punto di vista emotivo, tuttavia per diverse ragioni era giunto il momento di cambiare.
La speranza è di averlo fatto in meglio.
Per quel che mi riguarda sono decisamente soddisfatto del prodotto ottenuto.
Lasciando stare la parte grafica, il passaggio a wordpress mi ha permesso di implementare nel sito qualche soluzione carina.
In primo luogo le utenze.
Da oggi sarà possibile registrarsi al mio blog. La cosa non serve in realtà a molto, se non ad avere la certezza che nessun altro possa lasciare commenti con il nome che un utente ha registrato per se. La possibilità di commentare in forma anonima è stata comunque lasciata inalterata, ma forse a qualcuno potrà far piacere sapere che sarà l’unico “tizio”, “caio” o “sempronio” presente su queste pagine.
A me farebbe piacere.
Sto inoltre meditando se dare o meno agli utenti registrati la possibilità di modificare i commenti una volta lasciati. All’inizio pensavo fosse una buona cosa, ma riflettendoci modificare un commento all’interno di una discussione può creare complicazioni per la corretta comprensione della discussione stessa.
Oltretutto implementare questa funzione sembra dannatamente difficile, quindi mi prendo del tempo per rifletterci.
Oltre alle utenze ho inserito la classificazione dei post tramite etichette, la funzione di ricerca all’interno del sito e qualche altra notizia in più sul mio conto come la breve biografia, i libri che ho letto e le foto che ho fatto.
In sostanza non è cambiato poi molto nel prodotto finale, ma il realizzarlo è sta una bella esperienza e ciò che ne è risultato è qualcosa che sento ancor più mio.
Purtoppo per realizzare questa piccola, ma grande rivoluzione ho dovuto fare anche qualche sacrificio.
Il più grande è l’aver perso un sito “sponsorizzato” da google, con conseguente crollo dell’indicizzazione del mio blog all’interno dei motori di ricerca. Questo potrebbe voler dire che non riuscirò più a stilare classifiche delle googolate e la cosa non è certo di poco conto.
Non è mia intenzione rinunciare senza combattere comunque.
Mancano 10 minuti a mezzanotte e tutto è [credo] pronto.
Un ringraziamento monumentale va a Bazzu e Max che mi hanno aiutato a domare quella belva furiosa che è php.
Senza di loro non ce l’avrei mai fatta.
E’ ora.
La rivoluzione è completa.

Pop art

Eccomi di nuovo online.
La rivoluzione è alle porte, il tutto avverrà in circa trenta ore, e quindi non mi sembra il caso di iniziare fin da subito a parlarne.
Questo post tratterà di cinema.
Anzi, tratterà di Mulholland Drive.
La precisazione è d’obbligo in questo caso. Stimolato da una discussione fatta con alcuni colleghi in settimana ed avendo già da tempo promesso alla Bri che le avrei fatto vedere la sopracitata pellicola, ieri sera ho finalmente trovato le forze per dare al film di Lynch una seconda visione.
Ricordo ancora come finì la prima.
Ero a casa da solo, era un Sabato pomeriggio, e sentendo provenire un po’ da tutte le direzioni ottimi commenti a quest’opera decisi di noleggiarla dietro casa al negozio di Fiore, noto anche per i velocissimi tempi di sviluppo fotografico.
Per la cronaca, quel negozio è ormai chiuso da anni.
Vedere Mullholland Drive da solo è stata un’esperienza sicuramente interessante.
Ricordo ancora che allo scorrere dei titoli di coda fu difficile frenare l’istinto di estrarre il DVD appena noleggiato e spezzarlo a metà.
I tempi sono decisamente cambiati, però.
Ora sono più grande, più maturo e credo persino meglio disposto nei confronti dell’arte in generale.
Devo ammettere infatti che tutta la parte visionaria in cui viene rappresentata la riscostruzione mentale che Betty fa della sua vita ormai distrutta da dolore e senso di colpa è ben concepita.
Anche la Bri si è appassionata alle vicende, convinta dapprima che dietro tutto ci fosse un’associazione mafiosa e poi che questa fosse in realtà una setta satanica.
E poi è arrivato il finale.
Il mostro, la scatola, i due vecchi e l’esclamazione “silenzio” prima dei titoli di coda.
A quel punto, tutto è stato chiaro.
Talmente chiaro, che oggi ho chiamato Max ed ho acquistato una copia di Mullholland Drive in DVD.
Perchè alla fine del film, ieri, ho capito che a non spezzare il DVD anni fa feci un grosso errore ed ora è il tempo di rimediare.
Credo che ne incornicerò i frammenti e me li appenderò in casa come fosse un quadro pop.
Come dicevo, sono sicuramente meglio disposto verso l’arte oggi.

Sconforto

Pato debutta e segna, gli Undead tornano sui campi di battaglia, manca meno di una settimana alla rivoluzione ed io non posso scrivere più di due righe qui dal laboratorio perchè Infostrada mi ha tagliato telefono e aDSL.
Che palle.
Se solo da me arrivasse Fastweb…

I’m a PhD Student

Oggi mi è stato annunciato che sono stato ammesso al DIMET ed entro il 17 c.m. dovrò presentarmi alla segreteria di via Temolo n° 4 (5 piani sotto dove lavoro) per il completamento delle pratiche ed il pagamento dell’iscrizione.
Aver lasciato il cavo dell’alimentazione del portatile in laboratorio è solo uno dei motivi per cui non ho intenzione di soffermarmi molto a parlare dell’argomento.
Non so se la mia scelta sia giusta, nè se darà dei frutti.
Non ho nemmeno idea di cosa potrebbe portare questo nella mia vita.
Al momento voglio pensare in positivo, nonostante la giornata lavorativa di oggi tiri in tutt’altra direzione.
Per come ho vissuto questa cosa però, devo ammettere che al momento della comunicazione mi sono sentito più contento di quanto avrei immaginato.
Ora come ora questa notizia ha avuto però come unico impatto quello di farmi pensare al fatto che sarà necessario tatuarmi di nuovo.

Impossibile tacere

In questi giorni di silenzio sono accadute molte cose di cui avrebbe senso parlare.
Ferrara, Ruini e Bondi, protagonisti del celebre film di Sergio Leone “Il Brutto, Il cattivo e… il brutto l’ho già detto?”, stanno sollevando un polverone riguardo alla Moratoria sull’Aborto. Non avendo la televisione in casa mi sono perso [credo] accesi dibattiti televisivi ricolmi di nulla e probabilmente sono arrivato sul pezzo con un filo di ritardo, tuttavia grazie a Repubblica.it ho potuto farmi un’idea della questione.
Ora so, ad esempio, che il Papa è dalla loro.
Nessuna sorpresa.
So anche che la Binetti è dalla loro.
Della Binetti io non so nulla, a parte il fatto che è una Senatrice del “centrosinistra” e che quindi è lì a rappresentarmi.
Ho solo visto questa foto. Ho riso delle ore e ho capito che Livia Turco, che stimo ogni secondo di più, ha subito utilizzato il giusto approccio alla questione. Il suo commento: “Sì al dibattito, ma la legge non si tocca!”.
Parafrasando: dite un po’ quel cazzo che vi pare, tanto son parole al vento perchè non ho minimamente intenzione di perder tempo con voi e le vostre stronzate.
Mi sento già più rappresentato.
Prevedo un imminente mobilitazione di piazza.
Potrebbe chiamrssi feto day e potrebbe portare alla discesa in campo dei migliaia di embrioni congelati che la legge 40 costringe nei freezer al grido di “ricerca=morte, ibernazione=spasso”.
Se lo indicono ci vado.
Alla fine se Berlusconi, Fini, Casini, Formigoni e gli altri possono andare al Family Day, non vedo perchè io non possa stare in piazza a gridare: “Ricercatori criminali giù le mani dalle staminali!”.
Spero sia di Domenica, perchè altrimenti devo lavorare.
Cambiando discorso, ma restando nell’ambito dell’attualità politica, sto seguendo le primarie U.S.A. con discreto interesse. Mi sto illudendo che questa volta i candidati di Repubblicani e Democratici (quali che siano alla fine) possano essere persone con idee e programmi differenti.
Mi schiero subito: io tifo Obama.
Il motivo principale è che non vedo l’ora di leggere le milioni di vignette tipo “Obama vs. Osama” che lo vedrebbero protagonista in caso di elezione alla Casa Bianca. In secondo luogo credo che gli americani si meritino un presidente nero e mussulmano molto più di quanto il povero nero mussulmano si meriti come popolo gli americani. Infine, mi pare sia giovane, capace e abbastanza motivato a cambiare le cose. Stiamo in fin dei conti parlando di una persona che dopo il primo, secondo molti non indicativo successo nell’Iowa ha dichiarato: “Il tempo del cambiamento è arrivato: sarò il presidente che riporterà a casa i soldati dall’Iraq, che garantirà la sanità a tutti gli americani e metterà fine ai regali fiscali alle grandi multinazionali”.
Ok, non vincerà mai.
Però è bello sperare che ce la faccia, che mantenga la parola e che, soprattutto, non gli sparino durante qualche parata.
Ok, direi di chiudere con le notizie frivole e passare alla vera patata bollente.
Ciò riguardo cui è impossibile tacere.
La rivoluzione.
I Finley saranno tra i Big a S.Remo.
Questo evento è storico ed io l’avevo predetto in tempi non sospetti, quando uscì “Tutto è possibile” (il singolo), nessuno ancora li conosceva ed io scoprii che erano nelle mani di Cecchetto. Allora dissi: “Tempo un paio d’anni e vanno a S.Remo”. Ce ne hanno messi tre, ma mi reputo soddisfatto.
Musicalmente parlando non ho una posizioneriguardo ai Finley. Non li ascolto, ma non mi irritano. Diciamo che all’interno del festival di S.Remo probabilmente la loro canzone sarà quella che mi piacerà di più, ma per ovvi motivi di concorrenza inesistente. Per i gusti musicali che ho avessi 10 anni di meno magari mi piacerebbero pure. Cantassero in inglese magari di anni indietro ne basterebbero 5, non essendo costretto a comprendere i testi.
Chissà.
Comunque sia spero vincano perchè mi stanno simpatici.
E perchè per la prima volta arriva sul palco dell’Ariston qualcosa le cui radici, per quanto lontane, non sono così diverse dalle mie.
Il mio sogno perverso però rimane un’edizione di S.Remo vinta dai Derozer.
E presentata dal Paletta.

Berlino

Lo so, non ho aggiornato il Disco del Mese.
A voler essere precisi anche le liste di concerti e link sono immutate, addirittura da Novembre.
Questo perchè tutto ciò che questo blog è ed è stato per tre anni presto finirà.
Non è però il momento di dilungarmi a riguardo, indi passerò al resoconto del viaggio a Berlino.
Berlino è una città assurda.
Ci ho messo un po’ per adeguarmici, necessitavo di metabolizzarla. Il motivo principale è che non è una città come io intendo il termine. Il suo essere così ricca di storia ed al contempo quasi completamente priva di segni tangibili di quella stessa storia la rende unica tra le città che ho avuto modo di visitare.
Unica.
Non migliore, nè peggiore.
Il mio carico di aspettative era molto alto, va detto, e questo forse ha contribuito all’insorgere iniziale di una cocente delusione. In un primo momento tutto mi è sembrato finto, irreale, costruito nell’ottica di enfatizzare cose che non hanno certo bisogno di essere enfatizzate, con l’opposto risultato che porta così a sminuirle e farle apparire come “souvenir per turisti”. Checkpoint Charlie con il suo fintissimo accampamento americano, i ragazzotti in divisa militare sovietica e statunitense dell’epoca ed il baracchino che per qualche euro rilascia al turista un finto visto per l’attraversamento mi è parsa più una ricostruzione adatta a Gardaland che non a quello che è stato il fulcro della guerra fredda. Stessa cosa vale per il muro, quasi totalmente eliminato e cancellato dalla città se non per qualche frammento riposizionato da tutt’altra parte rispetto a dove fu smantellato e quindi più simile ad una qualche scultura di arte moderna che non ad una scheggia del confine che fu tra comunismo e capitalismo.
In alcune zone della città però in ricordo della barriera è stato segnato il terreno con una striscia di mattoni. Una di queste zone è Postdamer Platz e vedere il segno di quel limite che fu invalicabile al centro di quella che è la zona più trafficata e popolata di Berlino mi ha colpito non poco.
Anche dalla visita al Jüdisches Museum non ho tratto particolare appagamento. Direi esattamente cosa ho pensato nel vederlo, ma non voglio prestare il fianco a stupide ed insulse accuse di antisemitismo.
Mi limito a dire che chi come me ha potuto visitare Auschwitz non ha bisogno di essere chiuso in una stanza buia o di calpestare delle facce di metallo per percepire l’angoscia di ciò che è stato l’olocausto.
E aggiungo che chi invece ad Auschwitz non c’è stato, beh, è bene che ci vada invece di andare a perder tempo in un posto finto, pacchiano ed autocelebrativo (nell’accezione più squisitamente vittimista del termine) qual’è il Jüdisches Museum.
Ok, alla fine ho detto ciò che non volevo dire.
Pazienza.
Potrei anche spendere due righe riguardo l’architettura ultramoderna che riempie la capitale tedesca, edifici a volte molto belli (grazie alla Bri e alla sua guida architettonica credo di averli visti tutti. Tutti.), ma a mio avviso incapaci di coesistere e conferire un’identità alla città, favorendo ulteriormente le sensazioni di freddo e di distacco già rafforzate dal clima e dal fatto che quasi ovunque le strade siano deserte, dando l’impressione di essere in qualche remota parte della periferia anche se ci si trova a cento metri dalla Porta di Brandeburgo.
Insomma, ci sono un sacco di motivi per cui Berlino all’inizio mi è andata di traverso.
Le mie impressioni sono radicalmente cambiate dopo aver passato una notte intera a vagare per la città cercando senza risultato un locale dove andare a ballare la techno. Sono cambiate dopo aver fatto quaranta minuti di coda per entrare in un club gay da cui ci hanno escluso perchè etero. Sono cambiate dopo aver conosciuto in quella circostanza dei ragazzi simpaticissimi (uno dei quali è il genio che quando ho detto di essere di Milano mi ha risposto: “Ah, Plastìc!”), gente che ha provato a resistere alla discriminazione che stavamo subendo pur non essendone toccata in prima persona.
Le cose sono cambiate sulle metropolitane notturne, nelle stazioni in cui alle cinque di mattina ancora c’era chi di andare a dormire non aveva voglia.
Le cose sono cambiate quando ho provato a smettere di visitare Berlino ed ho tentato di viverla.
In quelle circostanze la città ha saputo conquistarmi.
Ho fatto delle foto durante questo viaggio. Non ne sono particolarmente soddisfatto perchè ho tentato di giocare un po’ con la mia macchina e a mio avviso lei ha avuto la meglio sulle mie velleità di fotografo.
Chi le ha viste dice che non sono poi così male.
Eccetto me, intendo.
Ah, dimenticavo, il memoriale dell’olocausto è la cosa più bella che ho visto in 5 giorni.