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Tre dischi tre

Che io non abbia più tanto tempo per scrivere mi pare si intuisca. Anche per questo ho smesso di scrivere di musica per Groovebox, non potendo più garantire una “professionalità” mai richiesta, ma che per me è importante quando si decide di fare qualcosa.
Questa cosa però fa si che se un pomeriggio, come oggi, mi prendesse voglia di scrivere di musica io possa farlo sul mio blog. Just like old times. E quindi eccomi qui, a buttar giù qualche riga su alcuni dischi che di recente ho ascoltato e sto ascoltando e di cui, per un motivo o per l’altro, mi sento di dire due robe. Partiamo.

NOMADS – S/T
Questo disco l’ho scoperto grazie al Fragolone, che l’ha scoperto casualmente grazie a facebook. E’ un disco di post rock strumentale come ce ne sono, immagino, centomilioni di altri. La differenza però è che questo a me non annoia e, anzi, in certi punti commuove proprio. Tipo con “Home”. E’ un periodo questo in cui col post rock sto andando abbastanza d’accordo, anche se sono molte di più le cose che non mi piacciono di quelle che apprezzo. Ho ancora molte difficoltà coi dischi interamente strumentali, che spesso appunto mi lasciano davvero pochino, e anche in questo “Nomads” ci sono diversi punti in cui io ci avrei sbattuto una bella voce sopra. Delle belle linee vocali, a dare al tutto una forma più consona al mio palato. Però a differenza di altri casi (sì, parlo per esempio dei Mogwai), anche senza una voce sopra il disco sta in piedi e riesce ad emozionare. Io gli unici dischi completamente strumentali che riesco ad ascoltare sono “The Earth is not a cold dead place” degli Explosion in the Sky e l’ultimo EP degli End of the Ocean. E poi questo, che tutto sommato non ha moltissimo in comune con gli altri due. Io non faccio magari testo, però oh, se piace a me può piacere a tutti.

DEAFHEAVEN – SUNBATHER
Questo disco invece l’ho scoperto grazie all’internet che ne parla da tempo in termini entusiastici. Ci ho messo un po’ ad approcciarlo. Prima perchè ho confuso il gruppo coi Deerhunter, che non mi piacciono, poi perchè alla fine della fiera si tratta di un disco balck metal. E io credo non ci sia bisogno di ribadire il mio rapporto non proprio d’amore col metal. Però ci ho creduto, me lo sono ascoltato un po’ di volte e alla fine è stato amore. Che poi, se lo chiedete a me, non sono convinto sia davvero un disco black metal. Innanzi tutto la copertina è rosa. Poi i testi, per quanto li abbia letti velocemente, non mi paiono particolarmente metal. A renderlo un disco black sono chiaramente le urla strazianti del cantante (anche se, da ignorante, mi chiedo quale sia il confine tra questo black metal e certo emo violence o screamo o che dir si voglia, ma vabbè) che difficilmente si possono ignorare e che richiedono un po’ di tempo per essere metabolizzate. E io di gente che grida ne ascolto eh, ma così no. Così mai. Una volta assimilata la voce ed equiparata ad un altro strumento musicale distorto, il tutto è in discesa perchè le melodie sono di una bellezza sconfinata. Di una poesia rara. Uno dei dischi più belli che mi siano passati per le mani quest’anno, nonchè uno dei più “estremi” che io abbia mai comprato.

JIMMY EAT WORLD – DAMAGE
Ed eccoci infine alla nota dolente, ovvero il nuovo disco dei Jimmy Eat World, che è sostanzialmente un disco inutile. Ci sono dentro una sfilza di pezzi anonimi, un pezzo decoroso (How’d You Have Me) e un pezzo orribile (ByeByeLove) e non c’è verso di definirlo diversamente nonostante mi sia sforzato di ascoltarlo più volte. L’altro giorno su Facebook il buon Ghibo condivideva un video in cui i JEW suonano la cover di Taylor Swift “We are never getting back together” e quel che ne esce è un pezzo cento volte migliore di qualunque cosa si possa trovare in Damage. Credo sia una roba indicativa.

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