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Giugno 2016

Hail to the king

Quest’anno non ho postato le mie previsioni sui playoff NBA, l’ormai celebre bracket. Voi, attenti lettori, ve ne sarete certamente accorti.
Oggi potrei quindi atteggiarmi a quello che l’aveva prevista questa vittoria dei Cavs, invece no. Io avrei detto Golden State.
Non solo all’inizio eh, quando la regular season si è chiusa 73-9 ed era logico aspettarsi una marcia altrettanto trionfale ai playoff, ma anche l’altro ieri, quando ormai di motivi per immaginarsela quantomeno combattuta ce n’erano diversi.
Tipo:

E invece io ho sempre creduto che Golden State avesse al massimo un problema di concentrazione, una tendenza a distrarsi e tirare i remi in barca con eccessiva facilità, che è sì una cosa grave, ma solo se non si è altrettanto pronti e decisi nel riaccendere la luce quando serve. Cosa che io pensavo nella baia sapessero fare a comando.
Questa illusione me l’ha probabilmente data la serie con OKC quando, sotto di 3 a 1, si sono semplicemente rimessi in riga e l’hanno porta a casa rigirando un risultato che, nella storia, non viene ribaltato con estrema frequenza (internet dice che è successo 10 volte su 234 serie, per dire). Ok, la partita forse più decisiva di quella finale di conference se l’è bevuta Westbrook con due perse sanguinose negli ultimi secondi, ma andando oltre l’episodio, che è pur sempre un episodio, resta una squadra che sotto 3 a 1 decide di rimetterla in riga e ci riesce in maniera direi convincente.
Questa è però solo l’ultima circostanza, a volerci pensare, in cui i Warriors hanno dato prova di potersi permettere rischi folli senza troppe controindicazioni. Pensiamo proprio alla regular season ed alla corsa al nuovo record di vittorie ogni epoca. A 5 partite dal termine i nostri fenomeni perdono alla Oracle contro i Timberwolves, squadra di talento e prospettiva, ma non proprio imbattibile per i campioni in carica. Nell’ottica di fare la storia, la 9a sconfitta era l’ultima che potessero permettersi e nelle ultime quattro partite gli restavano due scontri con i San Antonio Spurs, non solo detentori del secondo record di stagione, ma una delle squadre più temute e solide della lega. Spurs che, per metterci un ulteriore carico, fino a quel momento non avevano MAI perso in casa in tutta la RS.
Ricapitoliamo.
A 4 gare dal termine GS per battere il record che insegue da tutta una stagione è “obbligata” a vincere tutte le partite, compresi due scontri con SA di cui uno in Texas, dove gli Spurs non hanno mai perso. In quel momento ricordo che parlando con il BU dissi una roba come: “Per me Popovich sente l’odore del sangue” e continuo a credere fosse così. Il coach dei texani non è uno che da troppa importanza alle singole partite della stagione regolare, ma l’occasione di spezzare il record ai propri avversari diretti per la corsa alle Finals era davvero troppo ghiotta. Fallire il bersaglio ad un metro dal traguardo è qualcosa da cui psicologicamente non ti riprendi così in fretta. Sarebbe potuta essere una chiave di svolta della stagione. Dimostrarsi capaci di fermare la squadra che per tutti ormai era “unstoppable”.
Ecco, invece ciccia. Curry e soci han vinto tutte e quattro le partite, comprese le due con San Antonio. In casa, ma soprattutto in Texas. Una dimostrazione di forza tale da aver probabilmente (o almeno a mio avviso) dato un bel colpo alla fiducia di San Antonio che, di fatto, poi ha chiuso con una post season ben al di sotto delle attese (se lo chiedete a me, secondo fallimento di questo 2015/2016 in ordine di importanza e peso).
Restiamo però sulla squadra della Baia. Questo finale con San Antonio, il 3-1 ribaltato con OKC, le serie vinte nonostante l’infortunio di Curry e le follie di Green, sono tutte situazioni che ho idea abbiano contribuito a generare nei Warriors questa percezione di se stessi prossima all’immortalità. Uno stato di self confidence così estremo da pensare di poter far fronte anche nelle finali a partite in cui si decide di non scendere in campo (Gara 3), a squalifiche di Green (Gara 5), a una serata storta dell’MVP e magari anche del team di arbitri (Gara 6).
E come ci credevano loro, ci credevo pure io. Ero convinto che, anche in questa situazione, avrebbero semplicemente girato l’interruttore e vinto gara 7 in leggera scioltezza. E per me lo switch c’è stato eh, lo dimostra la prestazione mostruosa di Green, che a mio avviso è il vero barometro della squadra. Per la prima volta invece questo colpo di coda finale non è arrivato, i tiri di Curry e Thompson non sono entrati come previsto. Ci sono stati fattori che hanno spezzato quella corda tirata e tirata dai campioni per tutta la stagione e mai davvero apparsa sul punto di rompersi.
Fattori tipo questo:

Direi che è tempo di parlare dei vincitori.
Non che ci sia molto da dire eh. A est si sono dimostrati una squadra senza rivali. Han perso due partite con Toronto in finale, ma ciò nonostante non sono mai sembrati in discussione. Forse perchè, come direbbe qualcuno, “Il cielo è blu, l’acqua è bagnata e LeBron James arriva in finale”. Eppure per quanto fosse scontato il re-match della finale 2014/2015 nessuno avrebbe mai pensato ad un risultato diverso. Leggevo e sentivo un po’ ovunque “La finale vera sarà quella di conference a ovest tra Golden State e San Antonio” e questo un po’ la dice tutta sulla percezione della situazione. Perchè è vero che nello sport può succedere sempre di tutto, [SPOILER] come di fatto è successo,[/SPOILER] ma in una lega dove tutto si gioca su una quantità di partite abnorme, i valori reali dovrebbero quasi sempre essere premiati dal risultato.
Eppure lo scorso anno LeBron da solo, letteralmente, due gare contro i Warriors le aveva vinte. E a memoria, sul 2-1 Cavs di un anno fa, qualcuno aveva iniziato a pensare che Cleveland potesse farcela nonostante tutte le assenze. Perchè quest’anno, con la squadra al completo, le chances sarebbero dovute essere meno? Love può essere “mollo” fin che si vuole, Irving può avere tutti i limiti difensivi del mondo, ma è difficile sostenere che i Cavs senza di loro possano essere più pericolosi. Quindi se era ragionevole aspettarsi che facessero meglio dello scorso anno, ovvero meglio di 4-2, cosa ci impediva di pensare potessero addirittura vincerla 3-4? Direi che la risposta è di nuovo nei Warriors: avevano convinto tutti non ci fosse storia. Talmente bene da esserne convinti loro per primi. Probabilmente nemmeno a torto. Se volessimo definire “schiacciante dimostrazione di superiorità” usando delle immagini, direi che Gara 1 e Gara 2 di queste Finals funzionerebbero a pennello.
La testa però fa tutta la differenza del mondo quando si traccia la riga che separa i fenomeni dai campioni. LeBron James non credo abbia bisogno di grosse indicazioni per capire da che parte posizionarsi e, dopo questa serie, mi sembra che anche Irving abbia trovato il suo posto. Curry invece il dubbio ce lo lascia. Due volte MVP della regular season, di cui una votato all’unanimità, due volte in finale e una volta campione NBA, eppure mai incisivo come ci si aspetterebbe nelle ultime sette gare. Non lo è stato l’anno scorso e non lo è stato quest’anno, dove anche in caso di vittoria non si sarebbe con ogni probabilità aggiudicato il premio di MVP. E forse questa cosa dovrebbe far riflettere un po’ di più quando si parla di lui, senza per forza metterlo in discussione (che è follia). Queste due stagioni ci hanno detto che tra Thompson, Curry e Green quello di cui Golden State non può proprio fare a meno è l’ultimo. E mi pare una nota interessante.
Bon, chiudo qui che ho già scritto troppo per un post che ha come unico prestesto celebrare la vittoria dell’anello di JR. Smith.