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Manq

Calcolo delle probabilità

Probabilmente Valentino avrebbe comunque vinto il mondiale.
Probabilmente Hayden* questa gara avrebbe fatto poco bene.
Probabilmente Pedrosa è un pilota migliore in potenza del Kentucky Kid.
Probabilmente la colpa dell’ennesimo imminente fallimento Honda sta in una politica errata della stessa HRC.
Probabilmente non capiterà un altro anno buono come questo per battere il ravennate.
Sicuramente però non è così che sarebbe dovuta finire.
Un sogno in fumo
* Tristezza.

Stakanov

Sguardo all’orologio: 22.10.
Sguardo fuori dalla finestra: la Deutsche Bank.
Sguardo al corridoio: buio.
Sguardo al bancone: il gel di agarosio continua imperterrito la sua corsa e ha tutta l’aria di volerlo fare almeno per un’altra mezz’oretta.
Sono stanco.
Mi fa male la schiena.
Ho fame.
A quest’ora sarei dovuto essere in pizzeria con i miei compagni di Universita’.
Per una volta si era riusciti ad organizzare una serata tutti insieme e nessuno, fino a circa mezz’ora fa, aveva disdetto.
Poi ho alzato il telefono e ho chiamato Lale.
Mi e’ parso giusto avvisarla del fatto che mi trovavo ancora in laboratorio con diverse cose da fare.
Era con The O.
Sentendoli entrambi mi e’ realmente spiaciuto di dover loro annunciare la mia probabile defezione. Sapevo che oggi sarebbe stata una giornata campale e forse anche per questo avevo, gia’ ieri, poca volgia di uscire questa sera.
Prima pero’ la voglia mi e’ tornata, proprio nell’istante ideale perche’ io potessi frustrarla.
Nuovo sguardo al bancone: stessa immagine di prima.
L’ultima persona ad abbandonare la nave e’ andata via ormai due ore fa.
La radio e’ spenta.
In tutto il piano c’e’ un silenzio irreale, rotto solo dai ronzii di varie apparecchiature.
Al momento mi e’ impossibile non pensare a come sarebbe buffo se, alla fine di tutto questo, scoprissi che l’esperimento in corso non e’ andato a buon fine.
Al solo pensiero mi sento preda di un’incontenibile risata.
Isterica.
Stacco un attimo e salgo al settimo piano a portare dei campioni di RNA al -80^ C (odio i Mac e la loro tastiera senza accenti e simboli, figlia della bassezza culturale U.S.A.).
[…]
Eccomi di ritorno.
Anche il settimo piano risulta totalmente deserto.
Aggirandomi per i laboratori l’impressione e’ di vivere una di quelle scene da film horror in cui la vittima, nella fattispecie io, e’ totalmente sola in un palazzo enorme, in pura balia del suo carnefice.
Devo ammettere che non e’ una bella sensazione.
Sguardo all’orologio: 22.46
Ennesimo sguardo al bancone: ci siamo.
Resta solo da fotografare il gel, stampare l’immagine, chiudere tutto, portare le chiavi al settimo e lasciare questo luogo.
Inutile perdere altro tempo.

Sabet sira

Sabet sira pasà serum föra in pöc e inscì sem andà a Milan.
Ghe minga nient de dì, Milan l’è sempar Milan e pasà la sira a l’umbria de la Madunina l’è sempar un bel vif.
Cuma l’è, cuma l’è minga em ciapà sù i machin e sem andà ai Navigli. Tüch i völt c’andem di chi part lì, finisum sempar per andà a trasas föra mè i tumates a La Fontanella, cal post lì che l’servis la bira in cal bicer lungh e strenc ca sa ciama “Cavaliere”. Al post saria anca bel e mi ma pias propi la bira che gan dentar lì, al prublema l’è che tüch i völt ca finisum di chi part lì, vegnum sempar föra ciüc impestà.
Sabet sira la fà minga diferensa.
Quand che sem rivà, em sübit tacà sù a dì i solit quatar casat e mentar ca parlaum l’è rivà al prim gir de bira.
Mi ho ciapà una Leffe Rossa, Simo, Peich e Dani una Kilkenny Cream, Ori una Bass e anca Missa, ca de solit ciamem “al pupo” perchè l’è sempar adrè a dì ca l’bef minga perchè pö ga vegn al mal da stumic, l’ha ciapà al so bel Cavaliere di Kilkenny per fa minga la figüra dal martul.
Cuma seri adrè a dì, serum in ses e insci al camerer ga purtà la solita teserina cun da surevia ses timber. La teserina l’è al püsè grand prublema da cal post da merda lì.
Quand che te ghe des timber, chi malnat de l’osti di i camerier ta porten un Cavaliere a gratis. Ghe nanca de dì che em sübit tacà a fa la cursa per ciapà i quater timber che ga mancava per ciapà l’uferta e bef a gratis.
La roba è che ma sà ch’em sbaglià i noster cunt perchè em tacà a ciapà la Dragoon, una bira ca la par la bensina di i camius. Ciapen vüna, ciapa la secunda e serum gimò tüch a l’alter munt. La roba bela lè che quant ca sem un po’ beü, tacum föra a parlà in dialet cuma i vech a l’usteria.
Mama mia quanti ustiat c’ho dì e sentì Sabet e anca chi cinc ciula che ghera cun mì schersaven minga. Ho mai ris inscì tant.
Anca quand che l’è rivada l’Elena, la cumpagna de l’Università de la Bri, l’è minga sta pusibil fa desmet al Dani che l’ sügütava a diga da vulega impiendga al canale rettale.
Ma sa pö?
Vista la piega ca serum adrè a ciapà, em decis de urdinaga al camerer un para de Cavalieri püsè legeri, minga da sta mal. Catà föra la Guinnes dopu la Leffe però secund mi l’è minga stada una roba propi giüsta perchè ca la bira lì la resta un po’ in sül stumic.
L’è anca par cal mutif chi che al Peich l’ha tacà föra a da de stumic in mess al pub, propi de surevia di mè scarp.
Propi menter l’era adrè a rivà al Cavaliere gratis de Dragoon, sem dovü scapà föra per purtà cal vech del Peich a finì fora al laurà in un post men pien da gent.
Al dì d’incö mi disi che l’è sta mei bevel minga cal cavaliere de Dragoon lì, perchè ma sa che sal beveum finium tüch al San Gerardo o dentar a un culumbari.
Minga che inscì mi sun stà propi ben ca la not lì. Gimò quand ca sem rivà a la panca, mi ma cureva la saliva e seri al culur di i mort. Pö, quand ca sun andà in lech, l’ha tacà a giram föra tüta la stansa e inscì ho pensa ca l’era mei andà al gabinet a fa la stesa fin dal Peich.
Se gò de dì, avrò ciapà frech.

*Sabato sera scorso eravamo fuori in pochi e così abbiamo deciso di andare a Milano.
Non c’è niente da dire, Milano è sempre Milano e passare la serata all’ombra della Madonnina è comunque un gran bel vivere.
Com’è, come non è, abbiamo preso le macchine e siamo andati sui Navigli.
Tutte le volte che finiamo da quelle parti, finisce sempre che andiamo a sederci alla Fontanella, il posto che serve la birra in quei bicchieri alti e stretti noti con il nome di Cavaliere. Il posto sarebbe anche bello e la birra che vi servono a me piace molto, il problema è che tutte le volte che ci andiamo va a finire che esageriamo.
Sabato sera non ha fatto differenza.
Appena arrivati abbiamo subito iniziato a chiacchierare e nel frattempo ci è stato portato il primo giro di birre.
Io ho preso una Leffe Rossa,, Simo, Peich e Dani una Kilkenny Cream, Ori una Bass e anche Missa, che di solito chiamiamo “il pupo” per la sua propensione a lamentarsi, ha preso il suo bel cavaliere di Kilkenny per non sfigurare.
Come ho detto eravamo in sei e così il cameriere ci ha portato la classica tesserina con sopra sei timbri. La sopra citata tesserina è sicuramente la peculiarità del locale.
Quando vengono raggiunti i dieci timbri, infatti, i simpatici gestori del locale ti portano un altro cavaliere a tua scelta, gratis. Non serve dire che tra noi è iniziata a farsi strada l’idea di poter arrivare a conquistare l’offerta aggiungendo i quattro timbri che ci mancavano. La questione però è che forse c’è stato un piccolo errore di valutazione da parte nostra, visto che si è iniziato ad ordinare Cavalieri di Dragoon, una birra piuttosto strutturata. Prese le prime due infatti, la situazione è iniziata a precipitare. La nota positiva di tutto questo è che quando ci stiamo divertendo come l’altra sera, iniziamo ad esprimerci in dialetto milanese in omaggio alle nostre radici.
E’ buffo ripensare a quante se ne sono dette e sentite Sabato sera. Credo di essermi divertito poche volte così tanto.
Anche quando ha fatto il suo ingresso nel locale Elena, una compagna di Università di Ambra, non è stato possibile desistere dalle nostre simpatiche esternazioni tradizionali, soprattutto per Dani.
Ma si può?
Questo ci ha permesso di renderci conto che forse si stava un po’ esagerando e così abbiamo deciso di ordinare i due Cavalieri che ancora ci separavano dal traguardo, di birre meno importanti. La scelta della Guinnes, tuttavia, dopo la Leffe, non si è rivelata delle migliori poichè la birra irlandese risulta essere piuttosto corposa e di difficile digestione.
Forse è anche per quello che Peich si è sentito poco bene.
Per questo motivo, mentre arrivava il Cavaliere del record, quello omaggio e ancora una volta di Dragoon, abbiamo preferito lasciare il locale e portare il nostro amico a prendere un po’ d’aria fuori lungo il naviglio.
Forse è stato meglio così, perchè se avessimo bevuto anche quello avremmo rischiato di stare male sul serio.
Non che io sia stato poi benissimo quella notte. Già arrivato alla panchina accusavo una certa pesantezza di stomaco. Poi, una volta rincasato e messomi a letto, l’indisposizione è persistita per lungo tempo.
Probabilmente la causa sta nell’aver preso freddo.

Role playing

In questi giorni sto dando ampio sfogo alla mia passione per il gioco di ruolo.
Non che io stia giocando più di tanto, anzi, tuttavia mi sto concentrando su diverse iniziative inerenti a questo mio hobby.
La prima cosa di cui voglio parlare è il blog che sto creando riguardo alla campagna di Dungeons and Dragons che masterizzo ogni due Lunedì ormai da più di un anno.
L’idea è quella di avere uno spazio in cui inserire le cronache delle sessioni (ovvero piccoli riassunti di quanto succede in gioco), le storie dei personaggi, i grafici di avanzamento dell’esperienza e chissà quant’altro.
Non so quanto possa essere utile il sito che ne uscirà, tuttavia scrivere di queste cose mi sta divertendo non poco. Il lavoro non è moltissimo, per la maggior parte è tutta roba che avevo già scritto qua e là durante quest’anno, si tratta solo di riordinare il tutto e metterlo on-line in maniera carina.
Per il momento sono giunto al traguardo delle prime dieci sessioni di gioco, ma spero di riuscire a portarmi alla pari in questo week-end.
Così ad occhio mi sembra ne stia uscendo un lavoro discreto e quindi ho deciso di linkarlo qui affianco.
La seconda notizia riguarda il mio rientro nel mondo dei Live di Vampiri.
E’ circa un anno e mezzo che non gioco più, ma è da molto che mi è tornata la voglia di farlo. Certo, adesso come adesso non potrei concedermi un appuntamento fisso come allora, quando giocavo due volte al mese. Troppi impegni e troppo poco tempo a disposizione sono le principali cause, ma forse anche perchè non avrei voglia di giocare così frequentemente.
Pochi giorni fa tuttavia Dax mi ha proposto di partecipare ad una serata in gioco organizzata dall’Associazione Oscuro Abbraccio ed ho deciso di cogliere la palla al balzo. Dovrebbe trattarsi di serate sporadiche, credo con una frequenza di non più di una volta ogni tre/quattro mesi.
Ho talmente voglia di giocare che ho già un paio di idee per il personaggio.
Vedremo cosa ne esce.
Ora però vado a farmi la doccia.

Chi visse sperando…

Domenica sera all’ormai consueto appuntamento al Bar Teatro sono venuti fuori un sacco di discorsi veramente interessanti.
Quei discorsi che fanno gli adulti, solo con i nostri soliti toni da mercato del pesce. Personalmente mi piace molto confrontarmi con gli altri su temi che vadano olte lo sport, la birra o il sesso orale.
Ora però non è di questo che voglio scrivere, sebbene l’uscita di Dani “La Chiesa è come Vanna Marchi” meriterebbe da sola una fittissima pagina di questo blog.
Ora voglio descrivere con un esempio quanto il mio lavoro possa essere strano.
Ho fatto il controllo definitivo sul metodo della mia tesi.
Non è venuto.
Potrei aver fatto una cagata io, oppure potrebbe essere che il metodo sia viziato alla radice.
Non so quanti sul lavoro in una situazione analoga spererebbero di essere l’unica causa del problema.
Io me lo auguro con tutto il cuore.

Biennale

Ieri sono stato alla Biennale di Venezia, nota mostra dedicata all’architettura.
Dico nota perchè pare sia un evento piuttosto rinomato nell’ambiente, seppur io ne ignorassi l’esistenza fino, appunto, a ieri.
Potrei darmi un sacco di pose da intellettuale a riguardo, ma non è una cosa che amo particolarmente fare, quindi meglio essere sinceri.
Sono andato perchè la Bri ci voleva andare (e ci sarebbe comunque andata) e mi ha chiesto di accompagnarla. Nulla di più.
Alla luce di come si è rivelata la mostra il mio giudizio da non adetto ai lavori è piuttosto severo, anche se devo ammetere di averci trovato anche qualcosa di buono. Non c’è dubbio che difficilmente potrei ripropormi una sfacchinata del genere, troppo pesante stare una giornata a guardare pannelli, progetti e modellini di cui si ignora qualunque tipo di significato, tuttavia devo riconoscere che alcune delle cose presentate potevano anche essere aprrezzabili, prese singolarmente e dilazionate in un arco di tempo molto più dilatato.
Mi è piaciuta molto la parte che trattava di Milano, forse anche perchè la sentivo più vicina a me rispetto ai progetti per la nuova Mumbai, ma anche alcuni progetti per la costruzione di stazioni metropolitane e un fantastico modellino per la ricostruzione di New Orleans dopo il disastro ambientale.
Durante le tre ore in Arsenale, invece, in cui abbiamo visto un’interminabile sequela di studi urbanistici e sociologici riguardo alle principali metropoli del globo, avrei volentieri barattato il tutto col l’eradicazione delle unghie dalle dita dei piedi.

Google Hit List [Settembre 2006]

Eccola qui, un po’ in ritardo, la classifica più attesa dai visitatori di questo mio diario virtuale.
Devo dire che ultimamente le visite stanno aumentando e con loro le chiavi di ricerca che conducono a questo non luogo telematico.
Ecco come al solito, le migliori dieci del mese.

1- scozzese annoiato è sempre il solito tartan
2- come andare a lavorare come odontoiatra a dublino
3- ho spiato mia zia
4- ho spiato le mail della mia ragazza
5- la tattica del silenzio in psicologia
6- molare infiammato
7- dove comprare rane vive
8- foto crude
9- cappello neffa
10- video hot da la pupa e il secchione

On stage: Plus 44

Sono andato a sentire i Plus 44.
Chi sono?
Sono il nuovo gruppo di Mark Hoppus e Travis Barker.
Chi sono questi due?
Beh, questa domanda non merita risposta.
Il disco uscirà a Novembre, quindi mi sono presentato al Rainbow completamente digiuno del loro sound.
Solitamente non è facile assistere ad un concerto di cui non si conosce nemmeno una canzone, o almeno non è facile restarne soddisfatto.
Per questo credo che ci siano buone possibilità che il cd sia un buon lavoro visto che a me il concerto è proprio piaciuto.
In 55 minuti circa il quartetto è riuscito a coinvolgermi e divertirmi grazie ad un sound piacevolissimo e ad una presenza scenica notevole.
Impossibile non fare paragoni con l’altra faccia della medaglia, ovvero gli Angels and Airwaves, ed il verdetto è di una vittoria “tanto a niente” per i prefissi londinesi di Mark e Travis.
Sebbene io sia da sempre fan assoluto di Tom Delonge, credo che questa sera sia arrivata la dimostrazione di dove stava il talento artistico nei defunti Blink 182.
In questo show non c’è stato spazio per scenografie sfarzose, cambi di strumentazione inutili, effetti sonori da Holliwood o pose da rock star. Il palco era striminzito e l’unico effetto scenografico concesso è stata la splendida batteria verde fluorescente che brillava nel buio sotto i colpi di un Trevis in forma smagliante. Per tutto il tempo l’unica cosa che interessa al gruppo è presentare alla gente i nuovi pezzi. Niente cenni a ciò che fu, niente commenti sull’ex socio Tom, niente riproposizione di pezzi vecchi.
Se anche loro sono stati parte dei Blink, il messaggio pare essere che la vita continua e questo non pare proprio essere un problema.
Probabilmente se si è sicuri di quanto si propone a livello musicale, diventa superfluo ogni contorno “fuomoso”. Unica nota forse non felice sono però i due nuovi membri. In realtà solo uno di loro mi ha veramente deluso, il pelato. Non tanto dal punto di vista musicale, invalutabile ad un primo ascolto live, quanto per l’assenza assoluta di personalità. Pareva nascondersi, come avesse paura di rubare scena a ciò che il pubblico voleva in realtà vedere.
Mai una parola, mai un gesto.
Il secondo chitarrista, quello “punk style”, non era poi tanto meglio, tuttavia almeno provava a fare un po’ di show e si concedeva cori e pezzi cantati. Insomma, se realmente si vuole dare l’immagine di una nuova e solida band, cosa che non credo risulterà difficile a questo progetto, è a mio parere necessario che tutti e quattro i mebri se ne sentano parte integrante.
Magari per questo è solo questione di tempo.
Ciò che più mi è piaciuto, però, olte alla maestria di Trevis dietro le pelli, è stato l’atteggiamento di Mark sul palco.
Lo stesso di una volta.
Geniale, simpatico, coinvolgente, ma mai eccessivo o demenziale.
Per fare un esempio, a metà show il ragazzo presenta un pezzo in questo modo: “Kids, this is the pretty one. Are you ready for a pretty song?”.
Casino.
Suonano il pezzo (realmente carino) ed alla fine in nostro eroe cosa dice?
“Ok, the next one is a little prettier.”
Idolo.

E’ ora di aprire gli occhi

Non volendo appesantire troppo il post e non ritenendo necessaria una sola parola in più rispetto a quanto leggibile in quanto segue, mi limito a citare il testo integrale della lettera che P. Welby ha scritto giorni fa al Presidente della Repubblica.
Voglio anche rendere disponibile la versione video di tale scritto, forse ancora più funzionale al messaggio che Welby sta cercando di lanciare.

“Caro Presidente,
scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.
Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita.
La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patologia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perchè sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione differente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi assopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio, ma la ascolto distrattamente. Non riesco a concentrarmi perché penso sempre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio … è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà.
Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una “morte dignitosa”. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte.
La morte non può essere “dignitosa”; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia “dignitosa” è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: “Ostico, lottare. Sfacelo m’assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m’accerchia senza spiragli. Non esiste approdo”.
L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è “morte dignitosa”, ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier. Opportuno è ciò che “spinge verso il porto”; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo “luogo” dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.
In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non “esista”: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente “terminale” che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di “approdo” alla morte opportuna.
Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato) Comitato Nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante ed hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.
Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.
Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che “di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all’eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale”. Ma che cosa c’è di “naturale” in una sala di rianimazione? Che cosa c’è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c’è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni? Che cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui.
Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente ‘biologica’ – io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico.
Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito. Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto.
Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto e solo dopo che è stato interrotto è stato conosciuto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui.
Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l’eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi. “

Piergiorgio Welby

Soddisfazioni

Oggi il mio capo mi ha detto che sarebbe intenzionato a tenermi nel post laurea.
Il succo era che si riteneva molto soddisfatta del lavoro svolto.
Non ho voglia nè tempo di stare qui ad imbrodarmi, però è indubbio che mi abbia fatto un grande piacere.
Per il momento ho garantito che sarei rimasto sicuramente a finire quanto cominciato, dando come disponibilità sicura quella approssimabile ad un anno solare.
Più di così al momento sarebbe stato troppo per entrambe le parti.
Il futuro è ancora abbastanza lontano e questo è bene tenerlo a mente.
Questa soddisfazione tuttavia è assolutamente presente e spero mi aiuti a stringere i denti per il rush finale.
Serviva proprio un po’ di carica.