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A(nother) Twitter story

Esatto, è ancora quel momento dell’anno in cui mi lamento di una roba capitatami su twitter, ma a questo giro di giostra il finale è più triste del solito quindi mi scuso da subito per eventuali derive lagna che il post potrebbe prendere.

Partiamo dai fatti.
In serata ricevo un messaggio privato (DM) da un account che non conosco. Twitter mi chiede se voglio accettarlo, così verifico di chi si tratta e noto che ha follower in comune alla mia bolla. La cosa mi è sufficiente a dare luce verde.
È una tipa (ipotizzo dal contesto) che mi chiede se posso girarle la risposta ad un suo stesso tweet, perché lei non riesce a visualizzarla. Dice di aver chiesto il mio aiuto perché quella risposta misteriosa dovrebbe arrivare da un account che io seguo e che quindi dovrei poter vedere.
Mi pare una roba innocua, così vado a controllare il tweet e, notando fosse palesemente formulato per arrivare a destinazione, lo inoltro alla tizia (sempre via DM).
Per aiutarmi nella cronaca, inizio ad allegare gli screen della discussione, ovviamente tutelando l’identità di tutti i coinvolti.

A posto, penso.
Invece la tipa mi butta lì un commento che io fraintendo. Mi dice: “una roba da denuncia” e io penso si riferisca al fatto che le ho girato un contenuto che forse l’autore non voleva le arrivasse, quindi smorzo. Le spiego che secondo me è tutto ok, anche se effettivamente inizio a pensare che avrei dovuto evitare e a come scusarmi con l’altro utente coinvolto per questa ingenuità che sarebbe meglio definire minchiata.

A questo punto mi ringrazia, ma attacca a dirmi robe nel merito della faccenda a cui quei due tweet fanno riferimento. Lo fa alzando i toni, facendo accuse anche gravi. Non sono il più smaliziato tra gli esseri umani e anzi tendo ad essere naive nel mio approccio: “ma sì aiutiamo una sconosciuta, che può mai andare storto?”, eppure a questo punto mi è chiaro si stia scivolando in questioni che non solo non mi riguardano, ma in cui non voglio proprio finire. Di conseguenza cerco di sganciarmi.
La tipa però decide che sono automaticamente un complice di non so bene cosa, perché sono un maschio.
Pare superfluo dirlo, ma non sto omettendo nulla eh, la sequenza dei messaggi è integrale.

Qui è dove mi incazzo. Non sto a giustificarmi, è evidente che ho over reagito, ma sono attacchi per cui tendo ad avere il nervo scoperto. Quindi bestemmio e le faccio presente che il mio unico ruolo nella vicenda, al massimo, è aver aiutato lei (donna) e che quindi quell’insinuazione sul cameratismo maschile se la sarebbe potuta tranquillamente risparmiare.
Lei insiste.
Io recupero la calma e con un secondo gruppo di messaggi, questa volta educatamente, le spiego meglio perché mi sono incazzato.

A questo punto lei mi blocca.
Ci sta (nel senso, me lo aspetto) e faccio altrettanto, per quella legge non scritta secondo cui non blocco mai nessuno per primo, ma trovo legittimo tutelarmi quando qualcuno blocca me impedendogli da lì in poi di farsi i fatti miei.
Tutto finito, pensavo.
Nulla di che.

#Einvece.
Qui comincia la parte davvero noiosa e brutta della faccenda.
Oltre a bloccarmi la tipa chiude il suo account rendendolo visibile solo ai suoi follower e inizia a postare roba su di me. Mi accorgo che qualcosa non va perché vedo che un mio tweet inizia a fare numeri di interazioni fuori scala per i miei (bassi) standard. Vedo che qualcuno sta retwittando roba mia, ma senza che io possa leggere i commenti che mi vengono tirati addosso.
Capito la magia?
Twitter tutela la privacy di chi mi sta insultando, non fosse che lo sta facendo per una platea di quasi sette mila utenti e senza che io possa non dico intervenire, ma anche solo esserne consapevole. Lo scopro perché fortunatamente nella mia bolla ci sono persone che hanno il buon cuore di mettermi a conoscenza della situazione.
Ti starai chiedendo: scusa, non l’avevi bloccata?
Esatto, ma a differenza sua il mio account è (ormai era) pubblico. Di conseguenza gli utenti che ho bloccato possono vedere i miei tweet, se accedono con un altro account o senza fare login, e una volta copiati gli url possono usarli per darmi addosso senza vincoli di sorta e, ribadisco, senza che io abbia modo di saperlo se non in via ultra indiretta e per intercessione di qualche buon’anima.
Ed è quello che ha fatto ‘sta tipa.
Di tutta la conversazione avuta ha postato il solo messaggio in cui bestemmio e mi incazzo, con a corredo un mio tweet che non la cita, ma che viene usato strumentalmente per costruire una narrazione e darmi in pasto ai suoi.
Che figata, vero?

Veniamo all’epilogo. Per fermare quest’onda di merda sono stato costretto a rendere privato il mio account Twitter. Ora, non ho mai avuto la pretesa di twittare roba che avesse rilevanza, ma lo scopo principale che mi teneva su quel social era poter interagire potenzialmente con chiunque, cosa che ora non posso più fare perché chi non mi segue non può leggere ciò che scrivo. Di fatto, per me è una perdita grossa, mi è stato tolto un pezzetto di vita a cui tengo e per questo sono parecchio incazzato.
Ho segnalato la cosa a chi di competenza, ma non ho grosse speranze di ottenere qualcosa.
Il nervoso mi porterebbe ad allungare questo post di altre mille battute tra cose che non penso davvero e argomenti che non sarei in grado di esporre lucidamente, ritrovandomi a spostare un focus che mai come questa volta vorrei fosse chiaro.
Possiamo discutere su quanto grave sia quello che mi è successo, non ho la pretesa che la percezione da fuori possa collimare con la mia, ma credo non ci sia da discutere sul fatto che sia un abuso.

EDIT: dopo dodici ore di delirio, i tweet che mi hanno portato a chiudere il profilo sono spariti. Non so se per via della mia segnalazione o per decisione dell’autrice, ma preferisco pensare sia il secondo scenario. L’importante è che credo di poter riaprire il profilo, che è l’unica roba che mi interessi davvero fare.

Ritinteggiata

  • Manq 
  • Blog

Probabilmente non ve ne siete accorti.
Farei onestamente fatica a notarlo io che sono di casa, figuriamoci voi che, se proprio siete assidui lettori del sottoscritto, vi fate un giro da ‘ste parti in media un paio di volte al mese.
Impossibile.
Quindi lo dico io e faccio prima: ho rifatto il template al blog.
Non perché mi andasse o altro, è che col template precedente era ormai una lotta tra aggiornamenti da scongiurare e plug-in che non funzionavano più, quindi pur avendo rimandato fino a che mi è stato possibile, sono dovuto capitolare e arrendermi al fatto che il vecchio tema twenty-fifteen non fosse più adatto e andasse sostituito.
Questo nuovo si chiama NEVE.
Ci ho dovuto lavorare su un po’, ovviamente, ma per una volta è stato piuttosto semplice e sono riuscito a fare tutte le modifiche che volevo senza particolari rinunce, ottimizzando sia per desktop che per mobile.
Soprattutto, tenendolo simile a quanto avessi prima, cosa a cui puntavo nell’idea di tenere il sito leggibile.
Vi piace?
Funziona bene?
Non mi farebbe schifo avere qualche feedback.
I cambiamenti rispetto al passato sono pochi, ma credo significativi:
– Menu identico, ma con navigazione differente e spero semplificata.
– Profili social integrati nel menu
– Possibilità di modalità dark
Già che c’ero ho anche deciso di eliminare le utenze registrate perché tanto si registravano solo bot e da tempo non ho più un sistema efficace per arginarli.
In più ho rifatto il logo, anche se pure in quel caso ho cercato continuità con la versione precedente. Cambia il font e ci ho aggiunto il loghino/simbolo che già usavo come icona nel browser.
E basta, mi pare tutto qui.

Diario dall’isolamento 3: CANCELLED.

Tra qualche minuto torneremo in zona rossa per uscirne migliori sa dio quando, eppure non ci sarà una terza stagione del Diario dall’isolamento su questo blog.
No.
Quando questa cosa della pandemia è iniziata, un anno fa, era tutto diverso, con buona pace di chi dice che in un anno non è cambiato niente.
Ai tempi c’era la speranza di portare a casa dei risultati dal sacrificio, c’era l’energia fisica e mentale per reggere l’urto e, non meno importante, c’era una paura tangibile che ci teneva uniti, per il bene comune.
Oggi?
L’ottimismo è semplicemente una parola scomparsa dal vocabolario, nessuno crede più ad un domani migliore. Crediamo arriverà, ma sappiamo anche che non sarà davvero domani. Domani sarà semplicemente uguale a oggi, a ieri, a ieri l’altro e al prossimo lunedì. E se così fosse sul serio, ci sarebbe pure da ringraziare. Una ripetizione ormai nauseante di una quotidianità tossica, per tutti, ognuno a suo modo.
Anche la paura se n’è andata, lasciando il posto all’apatia, come se centinaia di morti al giorno siano un bollettino di guerra accettabile in tempi di pace. 100K morti su 3 milioni di contagi non fanno notizia, meglio focalizzarsi su una decina di morti su oltre 2 milioni di vaccinati con AZ, morti oltretutto non correlate al vaccino se non da politici senza palle e giornalisti senza scrupoli. Ci siamo ritrovati apatici nelle mani di questo o quel catalizzatore d’odio, qualcuno/qualcosa che ci dia modo di sfogare emozioni e sentirci vivi. Non sto facendo la paternale, io sono il primo ad esserci dentro fino alle scarpe: l’odio viscerale che provo verso la stampa criminale che sta minando l’unica via di uscita da questa situazione credo di non averlo mai provato in vita mia, ma al di là di quello resto apatico.
Ieri sera gli amici hanno ricominciato coi sabati su Zoom, ma non ce l’ho fatta. Sabato prossimo, magari, ma ieri no. Negli ultimi giorni sono stato poco bene. Niente di catastrofico, quella tendenza che sul momento non preoccupa nessuno per cui tieni gli stessi vestiti dieci giorni, esci di casa conciato come un senzatetto (con tutta l’empatia possibile per la categoria), non ti radi, non trovi un motivo valido per alzarti dal letto la mattina e ti lavi lo stretto necessario per non farti cacciare dalla moglie a dormire sul divano… presente no? Il fenotipo di chi non sta dando tutta ‘sta importanza alla vita ecco.
Ed è vero.
Fortunatamente non ho mai avuto tendenze suicide, sto proprio dall’altra parte della gaussiana, tra quelli con le crisi di panico all’idea di avere una data di scadenza ineluttabile. Il fatto di non voler morire però non rende accettabile vivere in questo modo. Senza uno scopo che non sia tirare avanti.
Alcuni riescono anche a dirti: “Dovresti trovare motivazione nel lavoro” e da un lato vorrei mandarli affanculo, ma dall’altro penso siano conciati addirittura peggio di me se vendere 1/3 della loro giornata per soldi (magari neanche tanti) li motiva, o anche solo gli è sufficiente, in una situazione del genere. Per quanto sia evidente a tutti ormai che il lavoro è l’unica gentile concessione di questa situazione, non farei cambio, anche se servisse a stare meglio oggi, perché razionalmente so che ‘sta merda prima o dopo finirà e sarò ben felice di tornare ad essere uno che gli stimoli li trova uscito dall’ufficio.
È passato un anno ed è cambiato tutto, anche se pensandoci gli ultimi dodici mesi non sono esistiti. Li abbiamo regalati, sperando di averne abbastanza da poterne fare a meno, ma senza la reale possibilità di scegliere se farne a meno. Pensavamo di poter vivere al doppio dell’intensità una volta usciti dall’incubo, qualcuno magari ci crede ancora perché “non apprezzi qualcosa fino a quando non capisci cosa sia perderla”, ma la realtà è che sarà già una vittoria se sapremo scrollarci di dosso i calcinacci per tornare ad essere l’80% di quel che eravamo. Ce la facessimo davvero ci sembrerà sì di vivere al doppio dei giri di prima, la nostra testa funziona così, fortunatamente. Purtroppo però io inizio a pensare che da sotto ‘sti calcinacci non usciremo tutti e se posso accettare di rimanere io tra i soffocati, tra quelli che non se li scrolleranno mai, l’idea possano essere i miei figli mi toglie il fiato.
Ed ecco perché Diario dall’isolamento 3 non si farà, perché davvero scrivere roba così ogni santo giorno è una tortura che non voglio infliggermi.

Questa mattina mi sono fatto la barba e la doccia, sono uscito in bici e sono stato all’aria aperta vestito come una persona con dell’amor proprio. Mi è servito parecchio e mi sento meglio, davvero meglio.
Non oso pensare cosa sarebbe potuto essere ‘sto post se lo avessi scritto ieri.

To tweet or not to tweet

Poco fa su twitter una delle persone che seguo ha condiviso il video di una TED Conference a tema social shaming. E’ un intervento molto bello, che credo sia giusto condividere, ma che mi dà anche occasione di buttar giù una riflessione sul mio rapporto con twitter, che nell’ultimo periodo non è proprio rose e fiori.
Prima però metto il video dell’intervento, che è la parte interessante del post. A chi non volesse sorbirsi anche il resto basta evitare di leggere quel che c’è scritto dopo.

Fortunatamente, i problemi che sto avendo io con twitter non sono quelli riportati nel video. Potrebbero esserlo? Non lo so, da un lato credo di no, non è un rischio che correrei volentieri, ma dall’altro è evidente io non abbia una percezione reale di come il mio modo di esprimermi su twitter arrivi a chi legge.
La persona che ha condiviso questo video qualche ora prima mi diceva, dopo avermi dato del troll, che mi esprimo su twitter “come fossi su un forum nel 2003”. Credo sia un commento molto centrato, quindi partirò da lì.

Io non mi sono mai posto più di tanto il problema di come si sta su un social network, quale che sia. Li ho sempre approcciati in modo molto egoistico ed egocentrico: usarli per il mio scopo alle mie regole, non curandomi più di tanto di venire compreso. Non lo dico con l’arroganza di chi crede sia l’approccio corretto, però è una cosa di cui sono consapevole e che non ho mai pensato di cambiare. Vale a tutti i livelli, ovviamente. Su Instragram, ad esempio, non metto quasi mai foto di paesaggi nè uso hashtag per catalizzare visite. Il motivo è che l’ho sempre inteso come un album di ricordi personali da condividere, che debbano parlare di me e non di quanto sia bello o interessante quel che mi sta intorno.
Lo stesso discorso vale per twitter. Ci sono entrato perchè lo trovo un bel modo per stare aggiornato su quel che succede intorno a me e perchè mi dà la possibilità di dialogare con persone che non sono magari accessibili per un’interazione diretta. Non necessariamente persone con cui sono sempre d’accordo, spesso con persone di cui stimo l’opinione anche quando è molto distante dalla mia. Nel video qui sopra si parla di twitter come di “Mutual approval machine” (10:42) ed è una cosa che penso molto vera, ma che personalmente non faccio. Mi piace discutere con persone che la pensano in modo diverso da me perchè mi aiuta a pensare. A volte mi permette di mettermi in discussione, altre volte rafforza il mio punto di vista in virtù dell’aver avuto una visione più completa delle altre possibilità. Puntualmente però, quando mi capita uno scambio di punti di vista con qualcuno che la vede molto diversamente da me, i like sono sempre piuttosto schierati: i follower dell’interlocutore cuorano i tweet dello stesso. Se si tratta di uno che ha “i numeri” di solito le sue risposte ricevono un’approvazione solida e massiccia. Raramente qualcuno della curva opposta trova condivisibile la mia visione ed è una cosa che mi è sempre sembrata “strana”, a livello statistico. Probabilmente parte della spiegazione sta in questo fenomeno di “bolla di approvazione” all’interno di cui ci si muove.

Un’altra parte della spiegazione potrebbe stare nel fatto che non sono capace di comunicare online. Io ho “imparato” a relazionarmi con persone sconosciute usando una tastiera proprio sui forum, per quello prima dicevo che quella descrizione appiccicatami ‘sta mattina è probabilmente molto vera. Non ho cambiato modo di pormi rispetto a quelle dinamiche lì e se c’è una differenza comunicativa tra i due mezzi, io non solo non la applico, ma non la conosco proprio. Oltretutto quel tipo di approccio è piuttosto comune anche nelle chat whatsapp che ho con gli amici, con la grossa differenza che in quel caso sono persone che conosco e a cui è più semplice “contestualizzare” un mio messaggio sulla base della persona che sono, identificandone magari il tono o lo scopo. 
Non è che cerchi di essere criptico quando scrivo, di solito ci provo davvero duro a farmi capire, eppure il messaggio spesso non passa  o non attecchisce. Non sono così insicuro da pensare di non saper scrivere frasi di senso compiuto, ma il numero di persone che hanno a che fare con me online e che non capisce quanto gli dico è diventato “sospetto”, perchè siano unicamente loro la causa del problema. In più sono abbastanza permaloso, quindi per quanto cerchi di non farlo mai per primo, non ho particolari inibizioni nel portarmi a livello di chi si pone in maniera passivo aggressiva o mi tratta evidentemente da scemo e questo, incredibilmente, non aiuta a chiarire eventuali incomprensioni.
Tutto sommato che la cosa fosse in questi termini mi è sempre andato piuttosto bene. Il rate di situazioni in cui uscivo dalla discussione con il nervoso era accettabile e pensavo di avere le spalle sufficientemente larghe per sopportare che una manciata di sconosciuti potesse pensare di me che sono un demente.
Nell’ultimo periodo però mi pare di raccogliere dal mio intorno digitale sempre più merda in faccia ed inizio ad averne un po’ abbastanza. Sono un tizio con 333 follower che nei massimi episodi di consenso online raccatta due o tre dozzine di like. Non ho ancora smesso di chiedermi come mai certe cose che dico non arrivino, soprattutto quando si tratta di gag o battute, ma mi sono rassegnato all’evidenza dei fatti. Sono sempre stato così, però. Quindi o mi prendevo troppo pochi vaffanculo prima (possibile) o qualcosa è cambiato anche nel modo in cui le altre persone stanno sui social. Probabilmente, anche in questo caso, la verità sta in mezzo. 
Il video qui sopra mi ha portato a riflettere sul fatto che le mie spalle potrebbero non essere davvero larghe abbastanza. Ed è una cosa che fa paura.

Da qualche giorno sto pensando seriamente di staccare un po’ la spina a Twitter.
Se non l’ho fatto è perchè credo davvero sia un buon modo per rimanere aggiornati su quanto succede nel mondo: su twitter le notizie arrivano prima e in maniera meno filtrata, lasciandomi un giusto spazio per approfondire. Non è una cosa a cui mi sento di rinunciare.
La soluzione quindi potrebbe essere continuare a starci, ma senza parlare con nessuno. Leggere quel che scrivono gli altri e magari scrivere quel che mi va di dire a mia volta, ma smettere di interagire. Conoscendomi potrebbe essere una delle sfide più difficili per me perchè il mio stare sui social deriva da un grande bisogno di parlare con persone di cose di cui non ho modo di discutere altrove. Al momento la vedo come una rinuncia gigantesca, forse però sovrastimo il mio reale bisogno di stare attaccato a questa macchina.
C’è quel famoso detto: “E’ meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.”.
Ecco io ritengo sia una mega cazzata.
O meglio, se per quel che penso e dico ti sembro stupido è giusto correre il rischio e fare in modo che il tuo giudizio emerga. In un modo o nell’altro, è una cosa che alla fine farà bene ad entrambi. Andando per logica però, potrebbe tranquillamente essere un altro ambito in cui il mio punto di vista si riveli non condiviso.

EDIT: La mia forza di volontà ha resistito sette giorni. Dio, se sono inaffidabile.

 

L’amatriciana GIUSTA

Ci sono essenzialmente tre motivi per cui mi arrogo il diritto di scrivere la ricetta dell’amatriciana GIUSTA pur non essendo di Amatrice e avendoci anzi messo 2/3 abbondanti della vita a realizzare che non si chiamasse “pasta alla matriciana”:
1) Ho il giusto livello di ODIO verso le rivisitazioni gourmet.
2) Ho fatto un corso dedicato alle paste alla romana.
3) Se Enzo al 29 avesse una tessera frequent eater, la mia sarebbe d’oro.

Perchè l’amatriciana? Perchè dei sughi alla romana è l’unico che sono capace di fare. Pur essendo semplicissimi e composti da un numero minimo di ingredienti, infatti, i primi piatti laziali nascondono una miriade di insidie e realizzarli nel modo GIUSTO è una sfida che non è facile superare.
Prendiamo la carbonara, per esempio. 
In casa mia, da anni, sono abituato a mangiare spaghetti con la frittata. Li faceva mia madre e li fa anche la Polly. Mi piacciono eh, tanto anche. Però non posso non riconoscere siano una variante sbagliata perchè la ricetta esige l’uovo fluido, crudo e cremoso. Questo è addirittura un problema, per me, perchè io l’uovo crudo lo odio e ho sempre il terrore di ordinare una carbonara fuori casa proprio perchè, se viene fatta male, l’uovo crudo mi risulta mille volte meno sopportabile dell’uovo troppo cotto.
Quando però la mangi GIUSTA, capisci realmente cosa sia la carbonara e non puoi più fingere chiamando così anche la versione casalinga.
In giro si trovano ricette super complesse per arrivare al risultato, tipo questa, ma non credo che una carbonara GIUSTA valga tutto quel lavoro, soprattutto se posso farmi la mia pasta con frittata e apprezzarla comunque parecchio. La carbonara GIUSTA quindi io me la mangio al ristorante e morta lì.
Idem Cacio&Pepe. Non ho la minima voglia di impazzire per non far stracciare la cremina di formaggio, quindi quando la faccio a casa scolo la pasta e ci rovescio sopra due quintali di pecorino e pepe nero macinati, senza che faccia creme e generando una roba sbagliatissima, che però ha comunque il suo gusto.
Il messaggio è: la cucina GIUSTA esiste, ma sbagliare non è certo un dramma, basta farlo in modo consapevole.

Arriviamo quindi all’amatriciana.
Esiste un disciplinare per questo sugo, delle regole ferree per quanto concerne origine e dosaggio degli ingredienti, tipo di pasta e via dicendo. Questa ricetta se ne batte allegramente il cazzo, ma vi farà portare a casa la miglior amatriciana che abbiate mai preparato con le vostre mani. Pronti?

INGREDIENTI:
– Guanciale, una fetta spessa mezzo centimetro. 
– Passata di pomodori datterini Mutti
– Pecorino romano
– Pasta (su quale ci scanniamo dopo)
– Olio, sale e pepe nero macinato
– NON SERVE UN CAZZO D’ALTRO, mettete via quel peperoncino. Dai. Veloci.

PROCEDIMENTO:
Partiamo dal guanciale. Prendete la vostra fetta, pulitela dalla cotenna, e tagliatela a listarelle. Diciamo che dei parallelepipedi 0.5×0.5×2 cm funzionano, ma non dovete mettervi lì col righello. Basta non tritarlo e stare più regolari possibile per cuocerli in modo omogeneo.
Scaldate un bel po’ di olio in una padella e quando è caldo ci buttate il guanciale. “Eh, ma minchia pure l’olio, c’è già il grasso del guanc…” ZITTI. L’olio aiuta a rosolare il guanciale, è fondamentale, ma poi mica finisce nel sugo. Quando il vostro guanciale è super croccante lo togliete dalla padella e buttate tutto il grasso che rimane nella stessa. A questo punto avrete una ciotolina con i vostri pezzettini di guanciale croccanti, che devono avere la consistenza di un cracker e scrocchiare sotto i denti, e una padella senza grassi dentro, ma con quei residui marroncini appiccicati sopra che definiamo “fondo di cottura”. Ok?

Bene, ora è tempo di mettere a bollire l’acqua salata per la pasta. Ma che pasta?
Pare ovvio, i bucatini. E invece no. Non perchè non siano buoni, ma perchè dopo un po’ di tentativi ho realizzato che la pasta migliore per questo sugo, in termini di resa, sono i gran fusilli Voiello. Non prendo soldi eh, non sono marchette le mie. E’ proprio che se li fate con quella pasta lì il rapporto sugo:pasta in bocca è perfetto.

Prepariamo il sugo. 
La pentola è quella di prima, con le sue belle crosticine marroni. La rimettiamo sul fuoco e ci rovesciamo la passata di datterini Mutti. Perchè questa? Perchè è dolce. Il trucco infatti è non salare il sugo e usare una salsa dolce, visto che il pecorino romano è salatissimo. Idem come sopra, non è una marchetta, non sono un influencer. Sono solo goloso.
La salsa, liquida, vi aiuterà a deglassare il fondo del guanciale, basta passare un cucchiaio di legno e staccarlo, per mandarlo ad amalgamarsi al pomodoro. Fiamma bassa, lasciamo sobbollire fino a che la pasta è pronta. Al dente.

Ora abbiamo tutto quel che serve, basta mettere insieme i pezzi.
Scoliamo la pasta e la rovesciamo nella pentola del sugo, che togliamo dal fuoco. Aggiungiamo il guanciale croccante e mantechiamo tutto con il pecorino romano grattugiato, abbondante. Mantecare vuol dire mescolare fuori dal fuoco, ma lo sapete perchè ormai i programmi di cucina in TV occupano il 75% dei palinsesti.

Fine, l’amatriciana è pronta, potete al massimo aggiustarla di pepe se vi piace spinta. Io lo faccio, per dire, ma va a gusti. L’importante è realizzare che non state facendo un’arrabbiata o una puttanesca.
Una volta che capite questa cosa, avete svoltato.


Questo è il millesimo post di questo blog. MILLE.
Per un momento ho pensato che usarlo per la ricetta dell’amatriciana fosse uno spreco mondiale, ma alcuni sedicenti lettori mi hanno suggerito che difficilmente avrei potuto produrre niente di più rilevante e quindi eccoci qui.
A me un po’ di emozione però questa cosa la suscita, scusate, quindi mi prendo una postilla per ringraziare tutti quelli che, almeno una di queste mille volte, si son fermati a leggere quel che avevo da dire.
Grazie a tutti. <3

Una per BASTONATE che chiude

Srivere un blog è una delle tante cose che ho iniziato a fare senza sapere cosa fosse. Era un pomeriggio del 2005 e mi ci sono infilato convintissimo avrei poi mollato entro breve e senza rimpianti. Vai tu a sapere mi avrebbe preso così bene scrivere.
Son passati davvero tanti anni da quel pomeriggio e questa cosa dei blog sta sempre più diventando l’equivalente dei giapponesi nella foresta alla fine della seconda guerra mondiale. Eppure per un certo periodo se internet ha avuto senso è stato per via dei blog.

Ho iniziato a leggere BASTONATE quasi da subito. Non ho idea di come ci fossi arrivato, dovessi metterci due centesimi direi da Junkiepop (rip.), probabilmente per la cosa della classifica delle copertine più fighe dei dischi usciti tra il 2000 e il 2009. Forse addirittura prima, ma conta poco.
Quello che conta è che non me ne sono mai andato. Mi son letto tutti i pezzi, anche quelli scritti dagli autori che non mi piacevano (qualcuno), anche quelli che parlavano di roba che non mi piace (la larga maggioranza). Per Francesco è una roba normale appassionare qualcuno parlandogli di musica che non gli piace, per me non lo è mai stato, eppure ero sempre lì.
In nove anni ho mandato a BASTONATE tre “pezzi”, spinto da quella insana voglia di far parte di qualcosa che ti piace no matter what. Il primo è passato, ma non c’era scritto niente. Era solo il link a un video con un titolo. Uscì senza il titolo.
Il secondo aveva addirittura un contenuto, una micro recensione di tre righe all’album di Natale dei Bad Religion. Uscì esattamente come l’avevo inviato. Anni dopo in un altro pezzo Francesco dimostrò di averlo completamente rimosso dalla memoria, come capita coi traumi.
Il terzo era una roba entusiasta sulla reunion dei Mineral che non solo fu cassato, ma suscitò addirittura un contro-post volto a bastonare la reunion stessa. Va beh, anche BASTONATE ogni tanto cappellava male, chi non?

Oggi BASTONATE chiude i battenti dopo nove anni in cui, tra le tantissime robe fatte, dette e promosse, si son tolti pure la soddisfazione di un paio di premi come miglior sito musicale italiano, in faccia a gente che non era propriamente allo stesso livello in termini di mezzi e “impegno” (leggi: gente che lo fa di mestiere). Credo sia una cosa bella, ma soprattutto giusta, in un mondo dove se si pensa a una penna per dirigere Rolling Stones viene in mente Selvaggia Lucarelli.
A differenza di tanti, troppi blog che ho seguito con passione e che se ne sono andati senza manco salutare, BASTONATE lascia un post di addio a sancire ancora una volta quel gradino di stile che li ha sempre tenuti più in alto degli altri nella mia classifica personale dell’internet (nota anche come la Esticazzi? Chart). La cosa buffa è che nel post citano addirittura una band che mi piace, cosa che in nove anni sarà successa in una manciata scarsa di altre circostanze. Nel senso, mi ha fatto sorridere, cosa che visto il contesto non era pronosticabile.

Tutto questo per dire che, bon, BASTONATE mancherà abbastanza anche se ormai pubblicava pochissimo, perché saperlo lì era un piccolo stimolo ad andare avanti nell’ignorare che i blog hanno rotto il cazzo. Nella foresta di cui sopra inizio a sentire l’eco dei tasti del mio pc mentre scrivo e forse dovrei riflettere su cosa vuol dire.
Forse invece mi sta bene sia cosí, la recente discussione a tema Primo Maggio ha già sancito il mio comfort nel collocarmi tra i vecchi tromboni e credo che non ci sia nulla di male nel vivere le cose del proprio tempo anche oltre la fine della loro rilevanza. Può farlo il vinile, magari capiterà anche ai blog.
Di mio voglio solo ringraziare per tutto Francesco e gli altri. Per celebrare questo avvenimento c’era solo un alternativa a scrivere ste righe ed era sentirsi un disco dei Fugazi, cosa che anche no.
I Fugazi sono quel gruppo che se dici che ti fan cagare prendi scoppole da chiunque, ma mi pare il momento giusto di fare outing. Anche solo per suscitare disappunto e quindi chiudere con una gag che per tutto il post mi sono pregato di evitare.
Il titolo del post vorrebbe essere un omaggio, ma probabilmente è sbagliato.

La mia storia con internet

Oggi ho visto Dietnam raccontare la sua storia con internet all’interno di un’iniziativa di cui non so nulla*, ma che per come l’ho colta mi è sembrata molto carina. Di conseguenza ho deciso di partecipare buttando giù la mia versione.
A pensarci è l’incipit perfetto perchè la mia storia con internet è fatta in larghissima parte di autoinviti ad iniziative che scopro in giro e che trovo carine. Lo faccio grossomodo dal 2005, quando sui blog che seguivo partivano catene in merito ad ipotetiche liste di canzoni da passare agli alieni, per fare il primo esempio che ricordo. A memoria non sono mai stato coinvolto direttamente, nel senso che nessuno mi ha mai chiesto “Ehi, Manq, ti va di partecipare a sta cosa?”, ma un tot di volte mi ci sono infilato di mio e in alcuni casi ne sono uscite robe anche carine. 
Sono tipo il protagonista di Tapparella, ma ho quasi 37 anni.
La cosa se vogliamo strana è che non vivo male questa situazione, per niente. E’ indubbio ci sia una sorta di “giro giusto” da cui mi sarebbe piaciuto ricevere considerazione, ma per me internet è sempre stato soprattutto un modo di gratificare me stesso. Scrivo cose e sono contento di averle scritte, finisce lì. Non ci lavoro**, non ci guadagno, non lo considero la mia fonte primaria di soddisfazione o gratificazione. 
Cosa sia per me internet riassume bene la storia che ho con lui.

In primo luogo internet è stato musica. Soprattutto musica gratis. 
Sono nato in provincia e mi sono costruito un giro di amicizie più legate alla prossimità spaziale che non a reali interessi in comune, di conseguenza per me avere accesso a un posto in cui scoprire musica nuova da ascoltare è stato la svolta. Non parlo solo di poter scaricare roba gratis, ma proprio di sapere ci fosse roba buona da scaricare. Più dei vari napster, emule, winmx per me sono stati vitali siti e webzine. Anche Myspace, tocca ammettere, ma soprattutto i forum.
Ricordo con amore infinito il forum di Monnezza nonostante credo odiassi il 98% degli utenti con cui entravo in contatto. Gente che ora probabilmente frequento online con altri nomi (#grazieaddio), ma che ai tempi avrei preso a sprangate sui denti. Tranne Fat Emo Boy. A Fat Emo Boy volevo bene. Magari è l’unico che se scoprissi oggi chi è mi starebbe sui maroni.
La mia storia con Internet è una storia di seconde possibilità date inconsapevolmente a gente che ha solo cambiato nick.
C’è stato un periodo in cui avrei voluto scrivere di musica per i siti che frequentavo e c’ero pure riuscito con Emotional Breakdown, che aveva accettato un paio di pezzi miei prima di chiudere per sempre. Poi c’è stato un secondo periodo in cui scrivevo di musica per una webzine che trattava prevalentemente metal e nu-metal. Le mie rece erano tipo i servizi senza donne nude di Novella2000.
Mi piaceva, come cosa.
Ogni tanto ci scappava pure qualche accredito per concerti dove davanti al gruppo trovavi massimo 50 persone. Calcolando il mio livello di rilevanza come critico musicale, probabilmente nessuna pagante.

Oltre alla musica, il secondo elemento per importanza della mia storia con internet sono le persone.
Ho conosciuto la mia prima morosa propriamente detta grazie a internet, per quell’assurdo meccanismo per cui serviva ICQ per incontrare una ragazza che abitava a 100m dal mio liceo. Tolto lo scintillante inizio non direi internet sia stato poi questo grande motore alla mia vita sentimentale, piuttosto alla mia vita sociale.
Ho già parlato dei forum e il più importante è certamente quello di GdR che ho frequentato nei primi 2000, attraverso cui ho conosciuto un monte di gente che frequento ancora oggi in real life (a parte Manowar tutti volentieri, tra l’altro).
Morti i forum sono arrivate le sezioni commenti dei siti che frequentavo. Anche lì era bello entrare a far parte di community e conoscere persone con le tue stesse passioni. Scoprire a trent’anni di non essere l’unico al mondo a reputare “The Last Boyscout” il miglior film di sempre è una bella epifania ed è stato possibile solo grazie ad internet.
Lo step ancora successivo di questo fenomeno sono probabilmente i gruppi su Facebook che sfociano in gruppi whatsapp, ma io non ci sono arrivato. Temo di essere sceso dal treno alla stazione prima. La mia vita fuori da internet è diventata troppo densa, con ogni probabilità, o forse non mi è ancora capitata la spinta giusta per poter fare questo ennesimo passo in avanti nel panorama del dialogo virtuale.

E’ bello dialogare su internet.
Fa incazzare, spesso, eppure è l’unico posto in cui puoi trovare interlocutori per qualunque argomento tu abbia voglia di affrontare. La mia storia con internet quindi è anche venata di un certo rammarico perchè nella mia testa sarebbe potuto e dovuto essere un posto molto più utile di quel che è diventato.
Un luogo dove imparare qualcosa, comunicare con tutti, avere accesso ad informazioni, che invece è diventato un ricettacolo di fake news, dove la “satira” ha sostituito l’informazione e dove comunicare ha ormai un significato profondamente distorto.
Non credo sia colpa di internet, però.

Conclusione: io sono Manq e la mia storia su internet è vecchia di vent’anni o quasi in cui mi sono sostanzialmente divertito.

* è probabile che i coinvolti ci guadagnino dei soldi con questa cosa e che io la stia spingendo a gratis unicamente per dare sfogo alla mia voglia di raccontarmi. Anche questo dice qualcosa della mia storia con internet.
** un pochino oggi ci lavoro per forza, perchè sono nell’ufficio marketing di un’azienda ed è impossibile prescinderne ormai. Diciamo che il mio lavoro non dipende dalle mie (non) competenze sul web ecco.

Selfie

Stavo rientrando in box, questa sera. La Polly seduta affianco, Giorgio nel seggiolino dietro che diceva cose tipo “Oggi ho giocato tanto”.
Ero lì che guidavo e d’improvviso ho avuto la percezione che quello che sto vivendo sia il periodo più bello della mia vita.
Non so quanto durerà, io del futuro ho sempre e solo paura.
Sarebbe fantastico essere qui a pensare la stessa cosa, avere la stessa percezione della propria esistenza, tra moltissimi anni. Non è quello però il punto.
Domani non è importante, come non lo è ieri.
Il concetto di vivere il presente è qualcosa di ultra comune, quasi retorico, ma tra il predicarlo e il saperlo/poterlo fare c’é tutta la differenza del mondo.
Oggi, nel box, questa consapevolezza mi si è accesa nel cervello e mi ha sconvolto. Tante volte mi è capitato di rivalutare a posteriori porzioni della mia vita, quella sensazione agrodolce di malinconia verso momenti che “allora sì che si stava bene”.
Rendersi conto di stare bene oggi è tutta un’altra questione, ha tutta un’altra potenza.
È una roba speciale che non credo mi fosse mai successa prima.
La nebbia fittissima che avvolge il futuro continua a spaventarmi, oggi più che mai, ma per una volta non è bastata a scatenare le mie ansie.
Sono sdraiato al sole.
Potrebbe piovere? Certo, ma ora non c’é che qualche nuvola lontana quindi me ne resto sdraiato qui e, vaffanculo, me la godo.

Questo spazio negli anni è stato tante cose, ma per me era, é e sarà sempre soprattutto un posto dove mettere in ordine, scrivendo, i “casini” che ho in testa.
Farlo in internet può sembrare senza senso e forse lo è, ma con me ha funzionato e, devo dire, funziona ancora oggi dopo tanto, tanto tempo.

La Spada

Chi mi conosce sa della mia passione per i giochi di ruolo, che in realtà è una passione per Dungeons & Dragons visto che nella mia vita ho giocato poco altro. Non che faccia davvero la differenza, a voler essere pignoli: per come l’ho sempre vissuta io, il GdR è tutta questione di costruirsi mondi e avventure fantastiche nella testa e poco importa il sistema di regole che si utilizza per farlo. Il target di questo post però sono i NERD e Dio solo sa quanto questi ultimi sappiano spaccare il cazzo con precisazioni inutili e fastidiosamente puntigliose, di conseguenza meglio essere rigorosi fin da subito. Anche perché, pur essendo lampante come un pistolotto introduttivo del genere dissuada chiunque dal proseguire la lettura, questo resta un post che parla di giochi di ruolo nel 2016 e quindi non c’è davvero pericolo che qualcuno stia effettivamente leggendo.
Va beh, torniamo al sodo.
All’inizio dell’anno mi sono deciso a buttare giù questa avventura, la cui idea di base mi gira in testa da tipo quindici anni. Per una serie di ragioni che non starò ad elencare non mi ero mai messo a darle una forma vera, scritta, con l’impegno necessario a chiuderne il plot per bene, eppure ciclicamente mi tornava fuori questa voglia di lavorarci su. A differenza delle N volte precedenti, questo giro ho fatto il grande passo ed ho iniziato effettivamente a riversare le idee su carta. Siccome più andavo avanti e più la cosa mi dava gusto, a crescere è stata anche la voglia di fare le cose per bene.
Il risultato dei miei sforzi è questa cosa qui.

Di cosa parla?
Parla di divinità malvagie, artefatti potentissimi ed eroi che provano a sconfiggere le prime e recuperare i secondi. Nulla di particolarmente innovativo, eppure penso di aver messo giù il concetto in modo personale, costruendo non solo un’ambientazione mia in cui svolgere il tutto, ma anche dei personaggi abbastanza profondi da rendere interessante l’interpretazione e l’interazione tra i giocatori.
Come è costruita?
È un’avventura per 5 giocatori (4 PG e un DM) basata sull’edizione 3.5 di D&D. I personaggi sono pre-costruiti sia per caratteristiche che per background, in modo da inserirsi perfettamente nella storia. È un’avventura piuttosto classica nello svolgimento: si interagisce, si combatte, si esplorano aree e si può anche investigare un po’.
Non è il classico fantasy colorato e “cafone”, piuttosto un medioevo cupo e darkeggiante, con qualche pennellata di magia che si mescola ad ettolitri di superstizione.
Quanto dura?
Non saprei dire, dipende molto dallo stile di gioco e dal Master. In linea di massima 6 ore di gaming dovrebbero bastare, poi possono essere 4 come 8.
Cosa c’è nel file?
Tutto quel che serve: avventura, schede PG, allegati da fornire ai giocatori. Tutti i file grafici sono in alta definizione ed in versione stampabile e questo è il motivo per cui il download è piuttosto pesante (circa 80 mega).
La si scarica cliccando sull’immagine della copertina, oppure qui.
E’ gratis?
Sì, però il file è protetto e per sbloccarlo serve una password. Il motivo è che mi piacerebbe sapere chi la vuole giocare e, sopratutto, nel possibile vorrei evitare qualcuno la spacciasse come propria. Chi è interessato può scrivermi nei commenti e avrà la password.
Si può usare per un eventuale torneo?
Sì, è pensata proprio per quello e in fondo c’è anche una sezione per il conteggio dei punti. Se interessa, basta chiedere e se ne parla.
La parte grafica l’hai curata tu?
No. Ho preso immagini dal web, sperando nessuno si offenda. Alcune le ho modificate per necessità, ma in generale è tutta roba fatta da altri, che ringrazio. Mi rendo conto ora che potrei citare gli autori, ma ho cercato tutto tramite google immagini e non mi sono annotato i siti di provenienza. My fault. Non avendo alcuna velleità commerciale, spero la mia buona fede risulti credibile.

Questo è quanto.
Come detto, i giochi di ruolo sono da sempre una passione e mi piace scriverci cose sopra. Sto anche scrivendo le cronache della campagna in cui gioco con gli amici, sotto forma di blog. Riassumo ogni sessione raccontandola col POV di uno o più personaggi giocanti. Siamo fermi da un annetto, ma a gennaio riprenderemo. Il link al blog lo metto qui. Mi ci sbatto non poco, insomma.
Son cose.

La cassoeula GIUSTA

Alla fine è successo.
Ho bucato un mese sul blog. In quest’ultimo ottobre non ho mai messo mano al mio diario per scrivere una paginetta. Mancanza di tempo? Sarebbe bello poter dire di sì, invece è più che altro mancanza di cose da dire. Trenta giorni senza mai percepire la necessità di dire la mia su qualcosa. Ha del patologico, conoscendomi.
Comunque sia, sta mattina preso dai sensi di colpa ho pensato a cosa potesse valer la pena condividere e l’unica risposta che ho saputo darmi (anche imbeccato, ad onor del vero) è che potrei illuminare il mondo con la ricetta per la cassoeula GIUSTA.
Io faccio la miglior cassoeula possibile.
Davvero.
Non sono un fenomeno ai fornelli, ma su questa cosa non temo confronti. Mi mangio le vostre nonne, mando a scuola le vostre madri, umilio eventuali suocere e mogli. Potreste mangiare la mia cassoeula e quella di Cracco in parallelo e alzarvi dal tavolo con la voglia di prendere lo chef a schiaffoni. Questo lo so perchè la ricetta di Cracco sta nel suo libro e l’ho letta. Sarebbe una sfida anche più semplice di quella a mamme, nonne e suocere in realtà.
Se sono divantato un pro però, è anche perchè ho saputo negli anni intrecciare diverse tradizioni e fondere filoni paralleli in un blend definitivo, che unito a minime conoscenze di lavoro ai fornelli post medioevo ha elevato il piatto al sopra citato livello di GIUSTEZZA, che poi è l’unico aggettivo da usare quando si parla di alimenti, ma questo ve l’avevo credo già spiegato.
Veniamo quindi a noi e partiamo con la ricetta della cassoeula GIUSTA. Cosa sia la cassoeula non sto a spiegarvelo, metto giusto il link a wikipedia per eventuali meridionali giunti a questa pagina fiutando il profumo delle verze.
La ricetta per la cassoeula GIUSTA è per 8 persone, perchè la cassoeula si mangia in compagnia degli amici.

Ingredienti:

  • 4kg di verze possibilmente gelate (segue spiegazione)
  • 20 pezzetti di puntina di maiale
  • 10 verzini (segue spiegazione)
  • 8-10 quadratini di cotica di maiale
  • 1l di vino rosso
  • 1 scatola di pelati
  • 2 carote
  • 2 coste di sedano
  • 1 cipolla
  • 1 scalogno piccolo
  • 1 dado per brodo vegetale
  • Olio, burro, sale e pepe

Preparazione:
Per prima cosa sposatevi, oppure andate a convivere. Alla mal parata restate a casa con mamma, l’importante è avere qualcuno che vi possa aiutare a “mondare” le verze, ovvero lavarle, pulirle e asciugarne le foglie. Questo per due motivi:
1) E’ un lavoro tremendo
2) Se le pulite da soli va a finire che le pulite male o non le pulite proprio.
ATTENZIONE: questo blog suggerisce solo di richiedere collaborazione alla propria controparte femminile, non di sfruttarla per i lavori noiosi, umili e degradanti. Questo blog non si prende nemmeno la responsabilità di eventuali divorzi conseguenti richieste mal formulate in termini di aiuto/collaborazione.
Negli ingredienti segnalo che la verza deve essere “gelata”, ovvero colta dopo che le temperature notturne sono scese sotto lo zero. Così almeno vuole la tradizione. Causa global warming io non uso verze gelate praticamente mai, anche perchè comprandole al supermercato sa Dio da dove arrivino e a che temperature siano state sottoposte. La regola fa riferimento all’epoca degli orti. C’è chi oggi ovvia passando la verza in freezer una notte prima di pulirla, ma ho idea sia una mezza cazzata e di solito non lo faccio. Anche perchè, nel mio freezer, non ci entrano certo 4kg di cavoli. Una volta pulita e asciugata la verza, mettetela da parte.

In due pentole sbollentate i pezzi di cotenna e fate bollire i verzini. I verzini sono piccoli salamini che qualsiasi macellaio lombardo saprà prepararvi su specifica richiesta. Sono fatti apposta per la cassoeula. Non fatemi bestemmiare usando le salamelle o qualche altra strana salsiccia creativa. Queste due parti di maiale vanno precotte per sgrassarle e rendere la cassoeula più digeribile. Se lavorerete come si deve il sapore non ne risentirà e potrete mangiarne il doppio, alla fine. Il verzino, in particolare, va fatto bollire per almeno venti minuti e poi fatto raffreddare nella sua acqua.

Ora pulite le carote, il sedano, la cipolla e lo scalogno e preparate un trito grossolano. Non fate una roba finissima, perchè i pezzettoni devono rimanere visibili a fine cottura. A chi vi dice che il trito grossolano non cuoce in maniera uniforme date una sberla e ditegli che è la sberla di Manq (cit.), tanto è probabile sia Cracco o un suo emissario.
In una padella di alluminio aggiungete olio e burro in modo che il grasso presente sia sufficiente a coprire l’intera superficie in modo abbondante. Non lesinate, tanto poi il grasso si butta. E’ importante che la padella sia di alluminio, o di ferro, o di rame e non di acciaio, perchè l’acciaio scalda male e rosola peggio. Rosolate le verdure e quando sono dorate rimuovetele dalla padella.

Nella stessa padella ora rosolateci i pezzetti di puntina, da ambo i lati, fino a che acquistino una bella crosticina. Se non ci stanno tutti sul fondo della pentola, come probabile, rosolateli in più riprese. L’importante è che siano tutti belli dorati. A quel punto toglieteli. Vi rimarrà una padella con un bel fondo abbrustolito e del grasso (olio e burro) in eccesso. Rimuovete questa parte grassa e usate un bicchiere abbondante di vino per deglassare il fondo di cottura a fuoco vivo, aiutandovi con un cucchiaio di legno. Il gusto del maiale è in quello che rimane attaccato alla pentola, non nel burro e nell’olio. Quindi rimuovere il grasso, ancora una volta, non toglie gusto al piatto.

Ok, ora avete il trito grossolano ben rosolato in un recipiente, il maiale ben rosolato in un secondo recipiente e un fondo di cottura al vino rosso che sfrigola in padella. Bene. Ributtate nella stessa sia i pezzetti di puntina che il trito di verdure, quindi salate e pepate. Ora bisogna iniziare ad aggiungere le verze. Il metodo è semplice: mettete verze fino all’orlo della pentola, aggiungete un bicchiere di vino rosso e un pizzico di sale grosso. Chiudete il coperchio e aspettate una decina di minuti. Il sale e il calore faranno perdere acqua alle verze, che ridurranno il volume creando spazio per altre verze. Ripetete l’operazione fino ad esaurimento. Se avete usato una pentola di proporzioni corrette (quindi bella grossa) in circa quattro giri avrete aggiunto tutte le verze e tutto il vino. Non spaventatevi all’idea di usare il sale grosso, la verza è dolce e perde un sacco d’acqua, quindi dovrete salare ancora prima della fine. Promesso.
Una volta aggiunte tutte le verze e lasciato anche le ultime appassire per 10 minuti, riaprite il coperchio e date una bella mescolata. E’ tempo di aggiungere i pelati (senza risciacquare la latta eh, non vogliamo aggiungere più liquido del necessario) e il dado (non il brodo, per lo stesso motivo di prima. Se qualcuno ha da ridire sul dado trattatelo alla stregua di chi critica il trito grossolano.). Il tutto va fatto cuocere per 2 ore e mezza da questo istante.

Quando manca un’ora e mezza alla fine, quindi un’ora dopo l’aggiunta dei pelati, aggiungete i verzini e le cotenne adeguatamente scolati e richiudete per l’ultimo round di cottura.

Prima di servire, aggiustate nuovamente di pepe e sale. Lo so, sembra incredibile, ma se avrete fatto tutto come indicato qui, potrebbe servire ancora un pizzico sale.

Se seguirete questa ricetta vi garantisco preparerete la miglior cassoeula della vostra vita, che potrà essere completata SOLO dall’aggiunta di un po’ di polenta. Su quest’ultima non sono ferratissimo, ma ecco alcune indicazioni di massima:
– NO alla polenta istantanea
– NO alla polenta di grano saraceno
– NO ai formaggi nella polenta
– NO alla polenta liquida/molle.
Se la volete fare buona usate un bel paiolo di rame e dal momento in cui avete finito di aggiungere la farina NON GIRATELA PIU’. Si formerà una crosticina sopra che permetterà la cottura perfetta sotto. Io non ne so molto di polenta, ma la Polly è super skillata e mi dice si faccia così. Serve una polenta un po’ consistente perchè deve fare da pane per il sugo (la pucia) della cassoeula. Il discorso formaggi invece è complicato. Nessun pranzo a base di cassoeula è completo senza una bella fetta di zola o taleggio da accompagnare alla polenta rimasta, perchè “la buca l’è minga straca se la sa no da vaca”, ma un conto è mangiare polenta e formaggio DOPO la cassoeula, un conto è accompagnare quest’ultima ad una polenta adizionata di formaggio. Fidatevi, non ci sta.

A me ora resta solo la fissa del fatto che a ottobre non ho pubblicato niente e questa cosa mi manda a male. Facendo due conti però, io la cassoeula l’ho fatta ieri, 1° novembre, perchè tutti sanno che va mangiata ai morti. E’ altresì noto che la cassoeula migliore è quella cucinata il giorno prima e poi riscaldata prima di servirla, il che ci porterebbe al 31 ottobre. Giusto?
Sì, quindi io retrodato sto post e vaffanculo.