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In risposta ad un brutto articolo.

Delle cose brutte della rete ho appena parlato. Nel dettaglio, la cosa brutta dei social è che c’è sempre qualcuno che ti mette a conoscenza di contenuti che avresti fatto volentieri a meno di leggere (grazie eh.). Questo è un problema, perchè quando leggo qualcosa che mi da fastidio in rete, io ho questa irrefrenabile necessità di rispondere a tono. Questa volta, tuttavia, rispondere all’articolo a tema Giochi di Ruolo di Massimo Montani e Gilberto Gerra in un commento sul loro sito mi sembrava onestamente troppo poco. La questione richiede infatti un’analisi un po’ più dettagliata e credo che questo spazio abbia ancora un senso per questo genere di operazioni.
Innanzi tutto però, ci vuole un link all’articolo che mi appresto a commentare: eccolo.
So cosa state pensando. L’ho pensato anche io. “Eh, vabbeh, ma hai visto il sito? Papaboys.org… Dai… non vale manco la pena star li a perderci tempo…”. Questo però è un commento non solo molto superficiale, ma anche dannoso, perchè sottostimare il nemico è sempre la prima causa delle sconfitte. Quindi adesso mi metto sotto e commento il pezzo in questione in maniera seria e possibilmente precisa, cercando di non cedere a facili ironie e di non buttarla troppo in caciara.

“L’espansione della pratica dei giochi di ruolo ha sollevato da più parti perplessità e allarme: l’ambientazione spesso irreale o truculenta, il carattere totalizzante e la lunga durata di questi “giochi ” porterebbe a fenomeni di alienazione e dipendenza fra i praticanti. L’articolo che segue prende dettagliatamente in esame il rischio reale.”
Come sarebbe sempre auspicabile per chi si prefigge di scrivere un testo informativo/divulgativo non ascrivibile alla sfera delle mere opinioni personali, sarebbe buona cosa indicare delle fonti. Vorrei sapere questo sollevamento da più parti di che parti è composto, ad esempio, come capire chi abbia teorizzato la connessione tra GdR e fenomeni di dipendenza e alienazione.

“La diffusione del “giochi dl ruolo” tra gli adolescenti, nell’età della difficile ricerca personale, è estremamente preoccupante e dovrebbe suscitare interrogativi non banali negli adulti. L’impiego di questo materiale riguarda un gran numero di giovani, a diversi livelli di coinvolgimento psichico ed emozionale, con conseguenze sul comportamento che non è semplice valutare.”
Io su questo posso pure essere d’accordo. Non condivido l’assunto, ma non trovo mai sbagliato che un genitore si interessi alle pratiche del figlio ed è proprio per questo che articoli come quello che sto commentando sono molto pericolosi, perchè non aiutano un genitore a capire. In effetti non è quello lo scopo. Un genitore che voglia davvero approfondire di cosa si tratti quando si parla di GdR non credo possa prendere in considerazione articoli senza fonti che spacciano per assodate teorie tutt’altro che dimostrabili. E’ più facile però che il pezzo trovi terreno fertile in chi non ha per niente voglia di capire, ma cerchi un’opinione preconfezionata da fare propria in merito per porsi poi di conseguenza nei confronti dei figli. Un nuovo dogma fatto per gente che ragiona per dogmi. Se scrivessi che avere genitori così è molto più dannoso di qualsiasi pratica GdR e che le cause di eventuali disturbi relazionali e/o tossicodipendenze andrebbero ricercate in quello, ma non avessi fonti a supporto della mia teoria, questa resterebbe mia personale opinione. Capito come funziona?

“Certo non è sensato liquidare il problema sbrigativamente, considerando questa, al pari di altre, la moda legata ad una effimera sottocultura: troppo evidente è la difficoltà degli adolescenti del nostro tempo a pensare un proprio futuro, a riconoscere la propria identità sostanziale, a polarizzare l’esistenza rispetto ai sistemi dei valori, per sottovalutare strumenti “ricreazionali” che proprio con l’identità inducono a giocare.
E ancora la diffusione di disordini psicologici e comportamentali che includono la ricerca delle “sensazioni forti”, al di fuori di un quotidiano grigio, la incapacità a distinguere tra reale e virtuale, la povertà di percezione e comunicazione delle emozioni suggeriscono la possibile corrispondenza ambigua di questi “giochi alle patologie sociali emergenti.”

Come detto all’inizio, “liquidare il problema sbrigativamente” è proprio l’errore che non voglio commettere. Di questo paragrafo, che non fa che ribadire quanto già detto e quindi non necessita particolari commenti, mi soffermerei sull’associazione del GdR alla ricerca di “Sensazioni forti”. Devo riconoscere che il nesso mi è completamente oscuro, quindi mi piacerebbe avere una spiegazione. Stiamo dicendo che un adolescente in cerca di sensazioni forti, nel 2014, sceglierebbe di sedersi ad un tavolo con degli amici ed usare la fantasia?

“L’ambientazione dei giochi include, nella migliore delle ipotesi, il mondo magico, del mistero, pieno di incantesimi, maghi, fate, elfi, guerrieri mitici; tematica classica lo scontro tra il guerriero buono e il potente malvagio: l’adolescente respira una mentalità fatta di destini ineluttabili e di insormontabili maledizioni, si immedesima in una cornice piena di ultra-poteri e di mitologie che pongono ristretti limiti alla libertà della persona.
Nei casi peggiori, e molto frequenti, l’ambiente dei giochi è quello dei mostri, dei vampiri, dell’horror più cruento, dell’occulto e dei riti iniziatici. Si va dagli amuleti stregati all’immedesimarsi nel divorare carogne e al rivivere di cadaveri: un supermercato del sacro, dell’”aldilà” e del sacro-satanico non lontano dal modo di pensare che conduce ad aderire a gruppi o sette di questo settore.”

Sarebbe facile fare dell’ironia e sottolineare che nel leggere di “destini ineluttabili e insormontabili maledizioni” la prima cosa che mi è venuta in mente è il peccato originale. Così come leggendo di “cornici piene di ultra-poteri e di mitologie” è impossibile non pensare alla Bibbia. L’idea però è di tenere il discorso su toni civili. Mi fa riflettere l’idea che per qualcuno “ristretti limiti alla libertà dell’uomo” possa avere connotazione negativa anche solo nell’ambito dell’immaginario. Inoltre, continuo a non capire su che base la finzione e l’immaginazione possano aprire le porte a certe derive in assenza di una predisposizione psicologica dell’individuo stesso. Mi si spieghi, magari con delle evidenze scientifiche a supporto.

“Il bravo giocatore è quello che sa immedesimarsi meglio nel ruolo prescelto o assegnato; viene molto apprezzato per le soluzioni intelligenti, per le risorse personali che sa tirare fuori per districarsi nei passaggi più difficili del gioco: i giochi di ruolo sono per gente “smart”, intelligente, brillante, astuta che guarda dall’alto in basso chi si accontenta degli spaghetti, della fidanzata e della vita reale: un cimento per uomini un pò “superiori”, o che comunque presto nel gruppo stabiliranno una gerarchia di “superiorità” in base alle capacità e all’intuito. Si afferma così l’atteggiamento mentale che, attraverso un “cammino di perfezionamento”, consentirebbe alla persona di raggiungere grandi risultati, ignorando limiti e relazioni interpersonali: è l’ottica utilizzata nei percorsi delle sette del “potenziale umano”.”
Lo ammetto, qui ho riso. Per tutto il mondo il giocatore di ruolo è, essenzialmente, uno sfigato. E’ uno stereotipo odioso, ma basato su una casistica di “nerd” anni ’80/’90 indiscutibilmente rilevante. Lo so perchè è un mondo che conosco bene e che ho frequentato a lungo. Credo questa sia l’unica volta in cui leggo che i giocatori di ruolo in realtà sono, parafrasando, gente smart che se la mena e taccia di inferiorità i ragazzi “normali”. Mi sembra una fotografia talmente fuori fuoco della questione, da pensare che l’articolo tutto sia in realtà una sonora presa in giro. Purtroppo non lo è. Ancora una volta, resto sbigottito nel leggere che il concetto di “cammino di perfezionamento che consente alla persona di raggiungere grandi risultati” sia un qualcosa di diseducativo. Va detto che ignoro cosa siano “le sette del potenziale umano”.

“Il fatto più inquietante è che la metodologia di tali giochi presenta forti assonanze e probabilmente una origine comune con modalità utilizzate all’interno di particolari forme di psicoterapia di gruppo: in questo ambito il terapeuta, conducendo il gruppo utilizza l’assunzione di ruoli per i pazienti, al fine di far emergere aspetti interiori inespressi, facilitare l’introspezione, rimuovere inibizioni, suggerire strategie di cura e ottenere effetti catartici.
Diviene impensabile che strumenti così delicati, utilizzati da terapeuti abilitati, nei limiti di ben precisi vincoli deontologici, e con competenze specifiche, vengano impiegati in modo aspecifico, dati in pasto, attraverso dettagliatissimi “manuali”, a chiunque li acquisti.”

Insisto imperterrito a prendere sul serio il testo e rispondere nel merito, pur iniziando a fare fatica. L’idea di base è che siccome esistono le auto di F1 e che per guidare le auto di F1 bisogna essere piloti esperti, dovrebbe essere vietato vendere le automobili comuni.

“Il leader naturale di un gruppo dl adolescenti verrà dotato, attraverso il gioco, di approfonditi elementi metodologici per indurre altri nei ruoli previsti dal gioco stesso: il manuale gli suggerisce tutti i fattori necessari, gli atteggiamenti, i comportamenti, il modo di sentire e di pensare: le sue capacità carismatiche verranno ampliate da questa “dotazione” senza che alcun riferimento etico sia garantito: si vede con facilità il rischio dell’ instaurarsi di dipendenze e sudditanze, di prevaricazioni e strumentalizzazioni che esulano dalle normali dinamiche di un gruppo adolescenziale.”
Io non lo vedo con facilità. Seriamente. Vorrei mi si spiegasse il concetto in maniera più chiara perchè così scritto non ne capisco il senso.

“La cosa diviene ancor più seria se si considerano i tempi del gioco: non si tratta di incarnare il ruolo di un personaggio fantastico per una o due sere, ma per molti mesi di seguito: occorre immaginare come ci si sente rivestendo il carattere del killer, del vampiro, della vittima, dell’ impiccato o dell’oste menzognero per 12 – 18 mesi.
“Il gioco migliore – ci ha detto con entusiasmo uno dei giovani coinvolti – è quello che non finisce mai, che dura tutta la vita” : un immedesimarsi che sostituisce irreversibilmente il ruolo fittizio e condizionato alla persona e alle sue scelte.”

Cerchiamo di capirci. 12-18 mesi è una tempistica data da chi? Su che base? Ci sono ragazzi che giocano a GdR per 12 mesi consecutivamente senza interrompere? Se ci sono pause, di quanto sono? Con che cadenza avvengono le sessioni di gioco e quanto durano? Non vi sembra di buttare lì numeri e dati senza il minimo raziocinio? Mi piacerebbe anche sapere chi sono i “giovani coinvolti” interpellati da chi scrive, perchè ho la sensazione, il dubbio anzi, che le loro parole siano state stravolte o perlomeno reinterpretate.

“Il leader del gruppo diviene un “master”, un coordinatore-facilitatore che ha il compito di condurre il gioco: di solito personalità “dominanti”, ad elevata autostima, forte determinazione, spunti di tipo narcisistico-istrionico assumono il ruolo di master; questi soggetti tradiscono una forte aggressività rivolta verso gli altri, ma la capacità di controllare i pari senza prevaricazioni aperte o cruente.
I soggetti alla ricerca di identità, piu attratti da prospettive ideali, che trovano disattese nella società reale, con caratteri di fondo non lontani dal pattern depressivo, o con personalità passivo-dipendente, si adattano al ruolo di giocatore e ricevono punto per punto dal manuale le informazioni necessarie alla definizione di sè: come devono essere “fisicamente”, come sentirsi psicologicarnente, quali atteggiamenti assumere: un vero e proprio stato di dipendenza può instaurarsi nei confronti del master: “Tutto dipende dalla bravura del master – ammette un giocatore di diciotto anni – se ci sa fare il gioco diventa straordinario” ; il ritorno ad una realtà senza ruoli predefiniti e senza guida può essere disorientante.”

Forse ho capito dove sta il problema. Non c’è malafede. Gli autori presuppongono un approccio al GdR simile a quello che loro, presumibilmente, hanno nei confronti della religione. Qui ad esempio parlano del Master come fosse un prete, ma soprattutto nel secondo paragrafo descrivono come si possa trovare nel GdR, a detta loro, quello che dovrebbe invece fornire la religione. Risposte e speranze che sono disattese dalla vita reale. Sì al regno dei cieli, no ai Forgotten Realms. Se letta così, allora tutta questa operazione ha certamente più senso. Restando sbagliata, ben inteso. Io non discuto ci sia chi ha bisogno di trovare alternative irreali alla propria esistenza per poter vivere sereno, ma a questo punto il problema è questo tipo di approccio, non la risposta che si sceglie nel perseguirlo. Chi si abbandonasse alla fede nel modo in cui loro presuppongono ci si debba abbandonare al gioco, è forse meno preoccupante? Non direi.

“Il master racconta: è la voce fuori campo, il filo conduttore, il narratore, tra le pagine di un libro, che dà colore agli avvenimenti, ai luoghi, ti fa entrare nelle situazioni. Può essere più o meno direttivo, svolgere il ruolo di un semplice “facilitatore” o suggerire con autorità incondizionata il canovaccio su cui i giocatori costruiscono la loro parte.
Permette di scegliere i personaggi o li assegna a seconda delle caratteristiche dei giocatori: anche in questo caso un ambito ricreazionale di apparente libertà si trasforma in luogo di stigmatizzazione, nell’assegnazione di “etichette” che, della persona, pretendono di esaurire le potenzialità in modo rigido e riduttivo.”

Siamo sempre lì. E’ ovvio che chi scrive presuppone un’apertura mentale nulla di chi gioca che probabilmente gli è propria.

“Il gioco è tutto mentale, non fisico, non agito: le paure o l’impatto con la concretezza, con la vita misurabile, con “l’alterità” degli altri senza mediazioni sono rimandati a un futuro senza definizione; il virtuale fa da ricettacolo per la sensazione di inadeguatezza a relazioni interpersonali “vere”‘, fatte anche di accettazione dei propri limiti e dei problemi degli altri.
Le conseguenze di quest’immersione nel virtuale, che si estendono alla vita di tutti i giorni, hanno proporzioni non valutabili. I rapporti sessuali al di fuori della coppia stabile sono liberati da “fastidiosi sensi di colpa” se avvengono in conseguenza dell’assunzione di un ruolo per gioco: la violenza o i comportamenti autodistruttivi non sei tu che li agisci, ma il tuo personaggio che ti è rimasto “appiccicato” addosso, quindi sono resi più giustificabili.”

Immagino che in altro articolo i due autori illustrino le deviazioni mentali di chi, per lavoro, fa l’attore. Oppure che combattano una lotta contro l’insegnamento della recitazione o del teatro nelle scuole. Basta recite negli asili. Basta rappresentazioni della natività in Piazza a Natale. Ok, sto sconfinando nel sarcasmo, chiedo scusa.

“Il gioco “Vampire”, ambientato tra creature della notte, non-morti o morti-viventi, definisce del vampiro i caratteri fisici, psicologici, attitudinali, “vampirici” e gli ultra-poteri: pregi e difetti del personaggio che emergeranno nelle varie partite e che consentiranno l’assegnazione di punteggi negativi o positivi.
Un pregio del vampiro proposto agli adolescenti è l’inappagabile desiderio di uccidere, un’altra caratteristica presentata come positiva è la “duplice natura”, la natura ambigua della creatura vampirica, divisa in se stessa. Un tipico difetto del vampiro è rappresentato dagli incubi notturni che lasciano strascichi la notte successiva rendendo più difficili le azioni nel gioco: non si richiede la competenza dello psichiatra per comprendere a quali gravi forme di destrutturazione della personalità ci si possa trovare di fronte in seguito a queste “innocue assunzioni di ruolo; quali percezioni distorte di sè possano essere indotte.”

Dissento. Per ipotizzare “gravi forme di destrutturazione della personalità” conseguenti al gioco di ruolo servirebbe, quantomeno, la competenza di uno psichiatra. Per fare una diagnosi, a casa mia, serve il dottore.

“Se da un lato la violenza e l’ambiguità, il sangue e l’onnipotenza sono i fattori determinanti comuni di queste trame, dall’altro una vera e propria esplicitata intenzione all’esplorazione dell’insight, del sè profondo, è oggetto di specifici glochi.
Sul gioco Kult c’è scritto: “Pericoloso: questo gioco conduce ad esplorare aspetti oscuri della tua anima; questo può arrecare disturbo a qualcuno: vietato ai minori di anni 16″ : quale sia la finalità di sintetizzare aspetti profondi di sè all’interno di un gioco non è facile intuire: certo l’aspettativa di un feeling interpersonale non superficiale, nelle dinamiche di gruppo, si va affermando sempre più e la stessa aspettativa è espressa dai consumatori di pastiglie nelle discoteche, i derivati anfetaminici definiti, proprio per il loro ruolo “‘entactogeni”.
Questo conoscersi fino in fondo ed esprimere agli altri la propria identità sostanziale risponde da un lato ad una esigenza positiva, ma c’è da chiedersi come mai debba essere mediato, nel nostro tempo, dal gioco o dai farmaci: ancora ci si deve interrogare riguardo ai limiti e alle violazioni degli stessi nell’ambito di una strumentale “divulgazione”‘ della propria intimità.”

Non conosco il gioco in questione e non ho capito grossomodo nulla del paragrafo, ivi compresa la conclusione per cui giocare di ruolo sia assimilabile all’assunzione di sostanze psicotrope.

““Ah, certo” – dice il commerciante – “Se poi qualcuno ha difficoltà personali, e interpreta le cose in modo autodistruttivo, non dipende certo dal gioco” : anche in questo caso la società adulta abdica alla responsabilità di tutelare proprio le persone più fragili… Un mondo di gente “‘solida” e sicura che prevede di generare per certo figli stabili e incondizionati: un mondo di “vincitori” che non hanno tempo per i perdenti e i falliti!”
Condivido il presupposto. E’ giusto, a mio avviso, tutelare chi non ha piena comprensione di un mezzo ed è nelle condizioni di utilizzarlo. Ben venga l’affiancamento della famiglia che si avvicina al figlio, sapendo che gioca di ruolo, e cercha di capire di cosa si tratti. Dialogo. Mi viene in mente mia madre che, quando a 15 anni ho comprato “Punk in Drublic”, si è interessata agli aspetti che potesse comportare per me ascoltare un certo genere di musica. La trovo un’operazione giusta. Meno giusto sarebbe stato dirmi: “tu quella roba non la ascolti perchè poi diventi un drogato.” Cosa che, incredibile a dirsi, non è successa.

“Da ultimo va rilevato che l’impiego di sostanze psicoattive, in particolare le metamfetamine e le incontrollabili nuove generazioni di stimolanti sintetici, si sposa perfettamente con le esigenze dei partecipanti al giochi di ruolo: queste droghe aumentano, durante l’effetto acuto, l’energia, l’intuito e la concentrazione, ma contemporaneamente conferiscono disinibizione associata ad un blando distacco dalla realtà: niente di meglio come veicolo per migliori livelli di immedesimazione nel ruolo fantastico, per affievolire ancor più i confini tra verità e sogno, nella apparente valorizzazione della propria “smartness” (lucidità, intelligenza). E, d’altro canto, proprio le alterazioni biochimiche cerebrali indotte dall’ecstasy e dalle droghe analoghe, con le associate turbe del tono dell’umore e dell’identità, potranno, all’interno di un circolo vizioso, indurre di nuovo alla dipendenza da relazioni interpersonali esclusivamente inquadrate attraverso le regole dei giochi di ruolo.”
Ecco, appunto. Quest’ultimo passaggio è estremamente debole e appare, ai miei occhi, come un tentativo ultimo di dare motivo di preoccupazione: della serie, se non è bastato tutto quello che ho detto fino ad ora (e, con ogni probabilità, non è bastato) estraggo l’anatema della droga così da fornire una preoccupazione seria e reale. Una cosa che, anche solo nel dubbio, possa centrare l’obbiettivo. Il punto è che non c’è davvero un senso logico a quanto scritto, oltre che nessuna prova empirica o ricerca scientifica a suffragare l’ipotesi. Se mi drogo per alterare la percezione di me stesso, le mie inibizioni, e la mia realtà, perchè farlo in concomitanza ad uno svago dove tutto questo posso ottenerlo senza droga? Anche solo economicamente, non è una scelta furba. Mi drogherò in discoteca, ai concerti, a scuola, sul lavoro, in famiglia, ovunque non abbia altro mezzo per non essere me stesso. Magari però è a me che manca qualche passaggio.

Se mi sono preso tutto questo tempo (ciao pausa pranzo) e questi caratteri per rispondere all’articolo è perchè come detto trovo sbagliato lasciar correre operazioni come quella messa in atto dal pezzo in questione.
La speranza è quella di alimentare discussione, confronto e scambio di opinioni (perchè di quello si tratta). Una cosa che, da sempre, ritengo utile a tutti.

La generazione che ha perso. Noi.

E’ un po’ di tempo che mi gira in testa un concetto, ma come sempre accade quando mi trovavo a pensarci non ero mai nelle condizioni di scriverci sopra. Non lo sono manco ora, in realtà, ma ad un certo punto uno deve darsi delle imposizioni. Oltre ad alzarsi dal letto la mattina, intendo. Fatto sta che l’altro giorno mentre navigavo sul sito della Gazzetta ho visto un articolo a tema Maradona che stoccaccia una tipa. Il pezzo titolava: “Riecco la mano de Dios”. Ho fatto anche uno screenshot perchè certe cose vanno documentate come si deve.
In battuta ho pensato: “ma guarda te che brutta fine che ha fatto la Gazzetta dello Sport”, quasi subito però è riemerso in me il tarlo di quel concetto che continuava a girarmi in testa e così mi ci sono fermato sopra. Il problema, purtroppo, non è la Gazzetta dello Sport.
Il problema è che la mia generazione è, sostanzialmente, la prova empirica della natura fallimentare della specie umana.
Ok, c’è un salto tra le due affermazioni, lo capisco pure io che scrivo, quindi adesso mi spiego meglio. Beh, diciamo che ci provo.
Partiamo da una premessa: io la storia l’ho studiata a scuola, durante il liceo, periodo in cui non è che lo studio fosse proprio la priorità. Però pensando alle varie epoche dell’uomo non mi viene in mente un altro momento in cui l’umanità si sia trovata per le mani un mezzo così potente, rivoluzionario ed egualitario come internet. Ecco, vogliamo analizzare l’uso che se ne è fatto? Per carità, molte cose buone sono venute fuori dalla rete, ma se tu che leggi in primis pensi alla musica gratis, al porno gratis o ai social network, allora capisci (?) che il problema è grave. La realtà è che internet è stato relegato al concetto di svago e se questa non è una sconfitta clamorosa allora non so davvero come altro definirla.
Dieci anni fa pensavo a quanto fosse bello un mondo in cui le notizie fruissero libere ed orizzontali. Internet destinato a diventare lo strumento principe per l’informazione e la divulgazione. Oggi la gran parte dei contenuti che si trovano in internet sono fake. Siamo al punto in cui è divertente inventarsi notizie e metterle online per vedere chi ci casca. Interi siti dedicati a questa cosa. A diluire i contenuti utili in un mare di merda siamo stati noi, la mia generazione. Gente che nella vita non caga un’opinione manco sotto tortura e d’improvviso si ritrova a dire la propria su tutto da dietro una tastiera. Pure in merito ad argomenti che non conosce o che magari neanche gli interessano. Io potrei essere uno di questi, ben inteso. L’importante in ogni caso e’ scriverlo prima degli altri. Anche l’informazione canonica è stata ingurgitata da questo meccanismo perverso di diretta estrema, per cui le notizie vanno date in tempo reale, in modo da poter essere commentate in tempo reale. Senza possibilità di analisi. Un contenuto online da due ore è vecchio, serve continuo ricambio. Notizie sempre meno rilevanti, non approfondite e spesso anche non verificate riempiono le pagine dei giornali online e la rete di materiale inutile. Non saprei come altro definirlo. Intrnet sarebbe potuto essere la nuova informazione ed invece la nuova informazione è diventata internet, nella sua peggiore accezione. Si è parlato per anni del diritto di satira senza rendersi conto che la satira era l’unica cosa che ci stava rimanendo e che, a lungo andare, ha finito per sostituire l’informazione. E’così che abbiamo ammazzato lo strumento.
Non è una cospirazione, non è un’astuta manovra dei poteri forti, è proprio che abbiamo fallito la più grande e probabilmente irripetibile occasione della storia. E siamo stati noi. Non le generazioni passate di cui diciamo sempre “cazzo vuoi che ne capiscano?” e nemmeno quelle future che ai nostri occhi non sanno combinare un cazzo. Noi. Abbiamo perso ed è il caso di riconoscerlo. Un arco evolutivo costruito sul vorrei, ma non posso che, sul più bello, si è trasformato in un potrei, ma non ne sono capace.
Chi è causa del suo male, pianga se stesso.

Sputare nel piatto in cui si è mangiato, dicesi:

Ci sono quelle cose che una volta ti piacevano e adesso invece no. Magari ne parli e fingi ti piacciano ancora, oppure che non ti siano mai piaciute, però quando ci pensi e non hai nessuno a cui mentire finisci spesso col dire che la ragione sta nell’essere diventato adulto. Vien buona per tutto, effettivamente, come spiegazione, ma che sia anche vera non è così automatico.

Facciamo un esempio. Giorni fa è uscito il disco nuovo dei Lagwagon. Agevolo una diapositiva.

Per il processo di cui sopra, io adesso sentirei di dover precisare che riprendere in mano il blog per scrivere dei Lagwagon, sia una roba di cui vergognarsi.  E lo sarebbe eh, ma il post tratterà solo marginalmente di quello, promesso. Ad ogni modo sto disco io l’ho sentito e mi ha fatto abbastanza cagare. Me lo aspettavo. La domanda però è: è davvero perchè sono ormai troppo vecchio per certe stronzate (cit.)?

No.

Ho delle prove a supporto di questa tesi.

La prima riguarda ancora i Lagwagon. Ok, potrei aver mentito quando dicevo che il post si sarebbe occupato solo marginalmente di loro. Nell’estate 2013 mi ero ripreso in mano più o meno tutti i loro dischi, diciamo quelli che secondo me avevano un senso quando sono usciti: Hoss, Feelings, Double e il loro Live in a Dive (ci metterei anche Blaze perché a me piace, ma è uscito fuori tempo massimo per essere tra quelli insindacabili). A parte il primo, gli altri sono proprio dischi brutti. Dentro ci sono ancora i pezzi fighi che ricordavo, ma diluiti in un mare di merda. Parlando di lavori che a volte non arrivano ai 30′, il problema è notevole.

Questa non è una prova, si potrebbe obbiettare. Alla fine anche questo cambio di opinione potrebbe essere legato all’anagrafe e io potrei non avere più l’età per apprezzare l’HC melodico in generale, pure se fatto bene.

No. Di nuovo.

Uno dei dischi che ho ascoltato di più in questo 2014 privo o quasi di uscite interessanti è un disco del 2006 che mi ha girato su facebook un ragazzo che conosco. Ed è un disco HC melodico. Slide!

Un gran bel disco,  aggiungo. Ci sono le melodie, i suoni giusti, la ritmica giusta ed un uso delle chitarre che in dischi del genere si trova raramente. Da qualche mese ascolto a ripetizione un disco che alla mia età e con i miei gusti attuali non avrei mai pensato di poter anche solo digerire. Fact.

La conclusione.

Con il tempo non cambiano i gusti.  Si ampliano, magari, ma non si stravolgono. Quello che cambia è la propensione a venire a compromessi. I Lagwagon sono quella ragazza che ricordi carina dai tempi del liceo e che rivista oggi su Facebook ti sembra un cesso. Se ci pensi bene e sei disposto ad ammetterlo, con tutta probabilità era un cesso anche quindici anni fa. Il tempo ed il distacco hanno distorto la realtà portandoti a ricordarla diversa da ciò che è. Migliore. I Lagwagon hanno fatto un disco dei Lagwagon ed è brutto e trascurabile per moltissimi motivi, ma tutti derivanti dal fatto che siano i Lagwagon e non dal nostro essere nel 2014.

Poi chiaro, chi invecchia male c’è. Non si discute.

Quando ieri ho aperto l’editor del blog per scrivere, avevo intenzione di parlare dei tizi che hanno messo su una start-up per produrre latte usando i lieviti invece delle mucche (qui la pagina web). Ci avrei scritto sopra un bel pistolotto (tutto sommato producendo un post che a differenza di questo avrebbe anche avuto una sua utilità), ma alla fine l’unica cosa che ha senso dire è OGM 1 – Teste di cazzo 0.

One last kiss

Un altro post. Ebbene sì.
Venerdì sera tranquillo. Niente da fare, vado con la Polly a vedere Dragon trainer 2 (MEH) allo spettacolo delle 20:00, poi mangiamo una roba al volo da Rossopomodoro (NO) e alle 23:00 scarse siamo a casa. In serate così è un attimo finire su youtube/spotify a cazzeggiare. Se non si accende casualmente la play, dico.
Solite cose: ascolti un pezzo, che ne chiama un altro e poi un altro ancora. Decidi di fare una playlist che non riascolterai mai più e ci passi diciamo due ore. Inizi per associazione di idee, poi cerchi i pezzi che vuoi metterci, poi pensi ai pezzi che devi metterci per forza e cerchi anche quelli. E poi togli almeno 2/3 dei pezzi che hai scelto perchè non stanno bene con l’ultimo che hai tirato dentro e la tua playlist è diventata un’altra cosa rispetto all’idea originaria, ma ormai sei in ballo e la devi finire. Che vuol dire arrivare ad avere un numero di tracce nell’intorno di 15, in un ordine che ritieni funzionale al messaggio e alla playlist stessa. Come dicevo: le solite cose.
Sta di fatto che ad un certo punto, scartabellando la mia libreria su Media Player mi è capitato in cuffia un pezzo che non sentivo da boh, tantissimo. Il pezzo si chiama “One Last Kiss” e nella mia playlist sta a nome Adventures of Jet. Il disco è Muscle. L’anno d’uscita è il 2003. Prendiamo queste info e mettiamole lì.
Sto pezzo è finito nel mio PC indicativamente tra il 2003 e il 2006. Sono quasi sicuro di averlo letto, nominato da qualcuno, sul forum di Munnezza. Però per una volta non era una roba tipo leggi un commento e ti viene voglia di ascoltare il pezzo in questione. Ricordo che c’era un dibattito legato all’autore. Una di quelle discussioni tipo: “Oh, ma sapete mica di chi è il pezzo che fa così/dice così/che si sente in quel contesto lì?” e d’improvviso tutti lo conoscevano, tutti lo cercavano e nessuno aveva ragguagli in merito. E alla fine uno è arrivato e ha detto: “Ma sì, sono gli Adventures of Jet.” e io mi sono fiondato su internet e l’ho cercato, a lungo, fino a che l’ho trovato e scaricato. Era un pezzo figo, effettivamente. Genuino, con un certo tiro, delle melodie oneste e quell’alone sporco e ruvido che aveva quasi tutta quella roba lì in quegli anni lì. Finisce a schifio, con ognuno che suona per conto suo in un tripudio di ignoranza, ma gasa il giusto. Abbastanza da fare il secondo passo e cercare tutto il disco.
Introvabile.
Ai tempi i dischi introvabili erano più di qualcuno. Se non la ritenevo una causa degna di farsi venire il fegato gonfio, mollavo presto il colpo e mi accontentavo del pezzo che avevo. Per questi Adventures of Jet andò così.
Dieci anni dopo, Dio, per distrarci dal fatto che ancora esistano le zanzare ed il meeting di CL, ci ha donato Spotify e così quando alle 2 di notte mi è finita in cuffia la canzone incriminata, ho azzardato di nuovo il famoso secondo passo e ho deciso di sentirmi il disco per intero. Anche su Spotify trovare il disco o il gruppo non è immediato, però c’è.

Lo faccio partire. La prima traccia è fatta di rumoreggiare e tastierine. Pare una roba simpa per iniziare il disco, suona un po’ troppo pulita, ma potrebbe anche starci. La seconda traccia fa nascere il dubbio. Ancora tastiere, ancora suoni pettinati. La terza però è lei, di nome e di fatto. Mh. Andiamo avanti. Dalla quarta in poi, di nuovo in linea con l’inizio del disco. E’ evidente che la traccia di mio interesse sia inserita a cazzo in un disco che non c’entra niente. Va beh, non muore nessuno. Però io resto con la voglia di ascoltare il disco e, alle due passate di notte, ne so meno di quando mi ci sono messo.
Usiamo google. Cerco “Adventures of Jet”, ancora con l’idea che fossero sbagliate tutte le altre tracce. Occam a casa mia è un barbiere. Trovo qualcosa. Pochissimo. Ma con pazienza tiro insieme i pezzi e finisco sulla pagina dei Bobgoblin. Mi faccio una veloce cultura leggendo la bio e poi passo alla sezione musica, dove in fondo trovo anche le release a nome Adventures of Jet. Muscle è lì in bella mostra e si può ascoltare in streaming. Figata. Lo faccio partire e scopro che le tracce erano tutte giuste anche su Spotify, tranne “One Last Kiss” che, ovviamente, è un altro pezzo completamente in linea con il contesto.
Maddai.
Così riprendo in mano la traccia di cui voglio scoprire l’origine e memorizzo la prima strofa. “Down and lost again, intetions through the door”. Inizio a scriverla su Google per vedere se dal testo riesco a risalire al pezzo e all’autore. Scrivo “Down and lost again” e il browser autocompleta la citazione. Mi sento uno stronzo. In primis. Poi penso che magari è una cover di un pezzo famosissimo, tipo dei Beatles, e che se così fosse di risalirci dal testo non se ne parla. Ho già in canna due o tre Madonne, quindi, ma ci provo uguale e premo invio. Con mia somma sorpresa esce un sito di lyrics che riporta la citazione a nome Jerry Can. Dai che forse. Torno su Spotify e cerco. Niente. Cerco meglio. Trovo.

E’ la opener di un disco targato 2010. E’ impossibile che questo pezzo sia uscito nel 2010. Faccio partire il disco. Questa volta ci può stare. I pezzi sono abbastanza distanti tra loro e dalla traccia iniziale, ma la voce mi pare sia quella e i suoni sono sufficientemente approssimativi da risultare simili. Si va da roba tipo Lagwagon a roba tipo Good Riddance. Molta pattumiera, qualche cosa di decente. Mi faccio l’idea sia una raccolta uscita nel 2010 di pezzi da demo di varia origine e natura. E’ una spiega che può bastarmi, alle 3 del mattino.
Ci scrivo prima su due righe su FB, poi mi ricordo che ho un blog e butto giù un post.
Oh, “We had it all” è figa.
It was totally worth it.

I premi dell’internet

Sto riflettendo su quanto può essere triste da parte mia dedicare un post alle votazioni per i premi dell’internet. C’è infatti da tener presente che:
1) Di solito chi ci scrive sopra è perchè è coinvolto. Tipo che lo puoi votare e può vincere. Per queste persone ha chiaramente un senso. Non è il mio caso (ha anche quasi smesso di tirarmi il culo per la cosa, tra l’altro, nel senso che ho quasi accettato il mio non essere diventato FAMOSISSIMO online. Quasi.)
2) Non conosco NESSUNO dei candidati. Nel senso di persona. Non sono miei amici, per alcuni ho una certa stima, ma che ha basi del tutto virtuali (rischio effetto Civati: lo leggi e pensi “cazzo è in gamba”, poi però magari lo incontri, ci parli e pensi anche no.).
3) Dare indicazioni di voto presuppone avere un audience. Farlo qui sopra è tipo parlare allo specchio.
A conti fatti quindi, è probabilmente una cosa molto triste.
Ecco le mie indicazioni di voto:

MIGLIOR SITO: si può votare i400calci come miglior sito in generale. Cioè, si deve. Io l’ho fatto. Si tratta infatti di un raro caso di eccezione al punto 2: ho incontrato alcuni dei coinvolti ed è stata ogni volta una cosa molto figa. In più il capo è tipo il mio bloggher preferito di sempre.  Ci sono altre motivazioni, ma le riservo alla spiega per le altre categorie in cui li voto.

MIGLIOR PERSONAGGIO: ho votato perchè ero all’inizio e avevo paura di non arrivare a 10 categorie totali. Ho votato Pif. Sono in qualche modo convinto che far vincere Diprè sia SBAGLIATO. Capisco nominarlo per il lol, ma farlo vincere no. Proprio no. NO.

MIGLIOR ARTICOLO: ho votato “Le 10 Cose sulla LAV che (non) vorresti sapere“. Non mi piace come è scritto, non condivido tutto quello che c’è scritto e mi rode il culo che la rete candidi un pezzo per quel tema scritto da qualcuno che non ha basi scientifiche. Però il pezzo è interessante e ha spunti molto buoni, oltre al fatto che il nemico del mio nemico non è mio amico, ma un voto ai premi di internet se lo merita.

MIGLIOR COMMUNITY: qui deve vincere i400calci perchè ha il gruppo di commentatori, fan e partecipanti agli eventi (cazzo, la #400TV, ma cosa aspettate a votare fortissimo???) più figo in assoluto. Ne faccio parte. Voglio il premio.

MIGLIOR SITO DI NEWS: ho sempre votato l’ANSA, ma in sti giorni ha diffuso la notizia fake di una sesta stagione di Breaking Bad come fosse vera. C’ero cascato anche io 24 ore prima, ma non è il punto. Voto il Post.

MIGLIOR SITO DI SATIRA: No contest.

MIGLIOR BATTUTA: Voto Lercio.

MIGLIOR SITO TELEVISIVO: Voto Serialmente pure se è in un momento critico. Proprio perchè è in un momento critico.

MIGLIOR SITO CINEMATOGRAFICO: Giassai.

MIGLIOR SITO MUSICALE: Voto BASTONATE nonostante abbia parlato male della reunion dei Mineral in almeno due occasioni. In somma protesta avrei voluto votare a margine, un sito fighissimo che ho scoperto da poco e che però non era candidato, nonostante le notizie diffamatorie messe in giro dalla concorrenza:


Comunque voto BASTONATE anche perchè è davvero il miglior sito musicale in giro.

MIGLIOR SITO FOOD: avrei votato Briciole in Cucina perchè ho conosciuto una delle due ragazze che lo tiene ed è brava e simpatica. Non era candidato. Non voto.

MIGLIOR SITO TECNICO DIVULGATIVO: Ho votato Lega Nerd perchè meritano un voto anche se forse non in questa categoria, che gli va un po’ strettina.

CATTIVO PIU’ TEMIBILE: Voto Nebo, più che altro per la roba brutta che gli hanno fatto recentemente.

MIGLIOR SELFIE: Mi rifiuto di votare. Cioè, guardate i candidati. Pare il premio “Ormone libero”, ma organizzato dalle carmelitane scalze.

TRASMISSIONE TV PIU’ SOCIAL: beh, direi X Factor. A detta di tutti la roba che rende le TL più illeggibili DOPO la #400tv (avete votato i 400 calci in ogni categoria votabile, sì?).

MIGLIOR HASHTAG: #Vinciamopoi. Impareggiabile.

Si vota QUI.
Due post in tre giorni.
Che mese prolifico.

Cose che potrebbero anche interessare qualcuno (#esticazzi)

Non mentirò, questo post ha come scopo principale il non far girare a vuoto questo Agosto 2014, fino a poco fa candidato serissimo a primo mese senza post da Gennaio 2005, ovvero da che questo blog è stato aperto.
#esticazzi.
Siccome non ho voglia di scrivere niente di approfondito, interessante o anche solo lungo abbastanza per dare al post una vaga credibilità e non farlo apparire come mera tacca sull’ipotetico muro del mio essere ossessivo/compulsivo, farò un listone di robe.

1) Ho appena visto il finale di True Blood. Per un tot di motivi che ho già ripetuto ad oltranza, in parte anche qui sopra, lo ritengo una delle serie più significative di sempre. Quella che si è chiusa è forse la stagione meno brillante ed io ero così carico di aspettative che rimanere soddisfatto non sarebbe mai stato possibile. Quindi non mi sono nemmeno goduto gli ultimi metaforoni buttati dentro a forza, tra eutanasia e matrimoni non riconosciuti dalla legge che però se c’è l’amore vaffanculo a tutti, e ho seguito il tutto come un conto alla rovescia verso il finale. Verso l’incombente dissolvenza in nero. Mentre sullo schermo Jason diceva a Hoyt che la morte non può spaventare se si vive il presente al meglio io lo ascoltavo, ma avevo chiaramente la testa al fatto che forse sarebbe stato l’ultimo discorso contorto dello sceriffo Steakhouse. Un momento così magicamente “meta” da essere suo modo bellissimo. E’ una serie che mi mancherà e a cui sarò per sempre legato. Probabilmente gioca un ruolo importante l’averla sempre letta come la cosa più intelligente girasse in TV, soprattutto perchè non lo era per nessuno e questo mi lasciava modo di pensare che, semplicemente, LA GENTE non ci arrivasse mentre io sì. E poi era tremendamente divertente. E poi mentre scrivo sto sentendo un disco (SPOILER: ne parlo dopo) che mi prende malissimo e ho una tristezza pesa addosso che non so se dipenda dal fatto che, come ogni lutto che si rispetti, ci sia voluto un minimo a metabolizzarlo oppure se sia il disco. Oppure magari sono io e basta.

2) Su RockIt ci sono in anteprima streaming 6 tracce del disco dei And So Your Life Is Ruined. Sei tracce che per quello che ne so potrebbero essere anche tutto il disco. Il link è questo. Stando su RockIt probabilmente l’hanno già sentito tutti ad oltranza da mesi, io però vivo sotto le pietre come le lucertole e per arrivarci me lo sono dovuto trovare sbattuto in faccia dalla bacheca Facebook. E’ un disco che mentre lo ascolti pensi abbia tutti i suoni sbagliati e invece poi capisci che sono giusti così. E ci sono degli arpeggi di chitarra che sono fatti apposta per dirti cose come “Raccontami le tue paure // son sicuro che metà sono le mie” e che con me hanno veramente vita facilissima. Prima, mentre ascoltavo una delle parti strumentali stavo navigando e accidentalmente è partito un filmato sul sito della Gazzetta che parlava della partenza di Balotelli. C’era sta melodia dolce e triste sullo sfondo e Mario che parlava di addii ed era un connubio tremendamente suggestivo. Ora, come cazzo parla Balotelli, l’accento che ha e le cose che dice, per renderle parte di una cosa anche vagamente nostalgica e/o emozionante vuol dire che la parte musicale deve avere i contro coglioni. Oppure che chi ascolta debba essere in quel mood lì, magari per via del telefilm appena concluso (SPOILER: ne ho parlato prima). E’ stata una cosa di un secondo o due, ma è stato bello. Il disco è bello. Ultimamente vengono fuori cose che mi spingono a rivalutare l’impatto che la svolta in italiano dei Fine Before You Came ha avuto sulla musica di casa nostra. Bene così.

3) Pensavo che avrei scritto qualcosa sull’#IceBucketChallenge, ma anche no. Mi prendo giusto un secondo per un cinque altissimo a quelli di Fondazione Telethon che oggi hanno retwittato la mia idiozia, dimostrandosi avanti anni luce.

E anche ad agosto qualcosa alla fine ho pubblicato.
Blog’s not dead.

#esticazzi.

How I Met GLI SPOILER

E così è finito anche “How I met your mother”.
Ho appena visto il season finale e sono triste e arrabbiato, ma soprattutto arrabbiato. Inizio ad averne un po’ piene le palle di serie che mi accompagnano anni per poi buttare il finale nel cesso, quindi ora parto con una filippica che potrebbe durare millemila battute e contenere ogni genere di spoiler su questa serie o altre serie che ho visto in passato.
Il primo show il cui finale mi ha innervosito è stato Lost, ma io mi sono sparato tutte e sei le stagioni nel giro di tre mesi quindi il risentimento è stato minimo. Vuoi che non ho avuto modo di passare anni a fare ipotesi assurde per domande a cui mai sarebbe stata prevista risposta, vuoi perchè l’impressione avrebbe svaccato era forte da poco più di metà del cammino, non ne ho sofferto particolarmente. Resta un finale dimmerda eh, intendiamoci, ma a bilancio son più i pro che i contro direi. Poi è stato il turno di Dexter, ma anche lì poco giramento di cazzo perchè, sebbene si tratti del peggior finale mai realizzato per qualsivoglia opera televisiva, un po’ tutta la serie ad esclusione della prima stagione (per altro autoconclusiva) e di qualche momento sparso s’era dimostrata ampiamente una merda.
Discorso a parte, quindi, per HIMYM, perchè io a differenza di molti l’ho sempre trovato godibile e ben riuscito, in tutte le sue fasi che pur riconosco altalenanti. Di conseguenza, l’amarezza per questo finale così BRUTTO è quasi ai massimi storici.
Mo parto con un analisi del perchè il finale fa schifo come episodio di HIMYM in generale, proseguo sul perchè la scelta di concludere così la serie sia discutibile, e finisco dicendo la mia sulla storia del “che conta è il viaggio non la fine”.
Via.
L’episodio conclusivo di HIMYM è una porcheria essenzialmente per due ragioni. La prima è che non fa ridere. Ora, la serie a me risulta sia una comedy e, come tale, mi aspetto che possa puntare anche a commuovermi/intenerirmi/emozionarmi, restando chiaro che di base debba però farmi ridere almeno un po’. Dal punto di vista delle battute, delle gag e del divertimento quest’ultima puntata non ha nulla da offire. Zero. In quaranta minuti manco un sorriso. Però non è che sia voluta la cosa, intendiamoci. Non è un episodio pensato per essere amaro, le gag ci sono. Però fanno schifo. Il Playbook vol.2 e Jim Nacho? Seriously? Quindi ecco, a prescindere da tutte le implicazioni sul finale è un episodio venuto male. E’ anche sviluppato male. Quaranta minuti per condensare una quantità spropositata di elementi con cui avrebbero tranquillamente potuto riempire una stagione. Affrontandoli come si deve, magari, e senza dare l’impressione di aver voluto arrabattare tutto per tirare le fila della questione quando ormai non si sarebbe più potuto rimandare oltre. Così assistiamo al personaggio di Barney che in 20′ ritorna sui passi compiuti in, tipo, quattro stagioni. E il gruppo che si sfalda per ragioni che, ok possono starci, ma erano lì da sempre e non hanno comunque mai portato i cinque ad allontanarsi. Tutto di corsa, tutto arrabattato per giustificare un finale discutibile che, però, si sarebbe potuto preparare meglio senza questa folle corsa al “colpo si scena” che, oltretutto, non ha di fatto sorpreso nessuno. Episodio brutto, quindi, ma andiamo oltre.
Discutiamo della scelta finale. A differenza di altri casi, qui non è sulla coerenza che possiamo scagliarci. Per come la serie è stata concepita e portata avanti il tutto ha una sua logica. Fa schifo, ma è coerente. Sono meno propenso di altri però a definirlo come unico finale possibile. Si poteva chiudere con un cazzo di happy ending e io avrei voluto un cazzo di happy ending perchè altrimenti, invece di una comedy, nove anni fa avrei iniziato a guardare un’altra cosa. C’era margine per chiuderla bene, di conseguenza s’è scelto di chiuderla male e per questo io odio profondamente gli autori. I melodrammi tristoni li evito come la peste perchè non sento il bisogno di vederne anche di finti in TV, quindi mi rotea il Cristo se mi vengono buttati in faccia a tradimento. Sta cosa è l’equivalente di Gordon Ramsey che mette la carne nei piatti vegetariani. Ma poi, la madre si ammala e muore giovane? La stessa madre che ben prima di Ted avrebbe dovuto sposarsi con il suo uomo perfetto se questo non fosse stato ucciso da un pirata della strada? #HowIMetLaSFIGA eh. Ah no, aspetta, l’uomo ideale di lei che muore rende the mother in tutto e per tutto uguale a Ted… è quello il punto? Beh, è un punto di merda. Sorvoliamo anche sulle cause di rottura tra Robin e Barney che dire pretestuose è poco e io non ho più sufficiente livore per argomentare. Passiamo al punto tre della disamina.
“La fine non conta, quel che conta è il viaggio”.
Sto. Cazzo.
La fine conta come conta tutto il resto, nell’analisi di un’opera. Questo finale rende meno belli gli episodi precedenti? No, neanche un po’. Rende meno bella la serie? Sì, di brutto. Ne ho pieno il cazzo di dover sempre affrontare un’analisi schierandosi o con la parte CAPOLAVORO IN TOTO o con la sua rivale MERDA SENZA APPELLO. Si può amare una serie riconoscendone i difetti o criticarla sottolineandone i pregi. Si può e si dovrebbe sempre fare così, perchè di serie perfette io ne ho viste poche.
Ok, ho scritto fin troppo e il sonno inizia a farsi strada.
Quest’anno sarà la volta anche del season finale di True Blood, che per me resta una delle cose migliori in circolazione. Magari farà cagare, magari no. Vedremo.
Chiudo con un interrogativo: dopo questo season finale, quante chances ha l’imminente “How I Met Your Dad” di fare anche solo un briciolo di ascolti?

Madonna di Dio la tristezza…