Vai al contenuto

Web

Storia di un tweet

In questi giorni mi è successa una cosa strana.
Come credo chiunque legga queste pagine ormai saprà, da qualche anno sono un utente attivo nel magico mondo di twitter. Lo uso molto, mi piace, ed è il motivo principale per cui ormai sul blog scrivo sempre meno.
Non ho molti followers. Le persone che mi seguono sono circa 150 e per la maggior parte si tratta di amici, utenti fake e gente che ho conosciuto, non necessariamente di persona, tramite qualche giro giusto dell’internet. Penso ai blog che seguo e alle iniziative loro correlate, per dire.
Quelli che hanno iniziato a seguirmi solo sulla base di quel che scrivo e che sono rimasti nonostante il mancato follow back sono pochi ed è importante precisarlo qui per dare un quadro della situazione, oltre che per ringraziarli della stima.
Ho la presunzione di pensare che di tanto in tanto io usi twitter per dire cose intelligenti, almeno quando non sono impegnato a fare live tweeting di qualche evento televisivo a caso. Se non pensassi di dire cose sensate probabilmente non lo userei, come non scriverei un blog, ma in questo caso nonostante la mia insicurezza cronica sono abbastanza self confident da ritenere che il mio numero di follower sottostimi la qualità del mio profilo.
Bum!
Lo so, suona fastidiosamente arrogante, ma andava detto per chiudere questo cappellone introduttivo a presentazione dell’aneddoto che mi appresto a raccontare.
Venerdì sera stavo girando su FB e sul wall di un mio amico vedo una di quelle vignette che non fanno ridere e che usano una scusa qualsiasi per picchiarti in faccia foto di belle ragazze poco vestite (RESPECT, in ogni caso, per le foto di belle ragazze poco vestite.). Nella fattispecie, a corredo dell’immagine di due modelle avvinghiate su un letto, venivano espressi (imho male) punti di vista interessanti rispetto alla questione omofobia e all’incoerenza di quella che è un po’ la regina delle obiezioni.
Il concetto mi piace, così lo rielaboro in una forma che reputo immediata, diretta e divertente, e lo butto su twitter. Non essendo Luttazzi, preciso anche che la battuta non è mia seppur io l’abbia riarrangiata.

Inaspettatamente, questo tweet fa il botto.
Inizia a generarsi un’ondata di RT che io in precedenza non avevo mai sperimentato. Quando mi andava di lusso, gongolavo per essere arrivato a una ventina di stellinamenti (che vita triste eh) e mi pareva già di essermi aperto al mondo.
#Einvece la cosa a questo giro pare un fiume inarrestabile che si autoalimenta. Io un po’ sono contento, ma un po’ di più mi tira il culo perchè, cazzo, il concetto twittato non è manco mio. Tipo quei gruppi che provano a fare musica loro una vita e non succede niente, ma poi sbancano con una cover fatta per caso.
Con quel tweet ho guadagnato tipo 30 nuovi follower, che per me son numeri GROSSI, e non posso fare a meno di chiedermi se riuscirò a mantenerli col mio twittare standard. Son problemi eh, lo so.
Ovviamente, con l’andare della propagazione del tweet (a mia analisi, dopo il 70° RT), hanno iniziato ad arrivarmi risposte di gente che non aveva capito la battuta. C’era chi mi diceva di lasciare stare Gesù, come chi diceva “eh, ho capito non discriminare, ma da lì a dire che è naturale ne passa!”.
Alcuni sono riusciti nell’impresa di RT la battuta, followarmi, rispondermi con una critica dovuta al loro non aver capito il punto, offendersi per la mia controrisposta, defollowarmi e togliere il RT. Tipo in dieci minuti.
Io, dalla mia, ho cercato di rispondere a chiunque mi scrivesse in merito. Cerco di farlo sempre perchè 1) mi pare il senso ultimo del mezzo e 2) di norma i numeri sono tali da non costituire un impegno in termini di tempo.
Il succo della questione è che da Venerdì ho il cellulare in vibrazione costante, cosa che ha decisamente cagato il cazzo a mia moglie (lei, per dire, di notte si sveglia se lo sente. Io no.) almeno quanto ha alimentato il mio ego.
Ed era una storia che volevo raccontare.
Chiudo per ringraziare Malika Ayane. Non ho controllato (giuro), ma è l’unica celebrità che mi è saltato all’occhio abbia stellinato il tweet.
L’unica persona famosa che, prima di oggi, avesse preferito un mio tweet è Selvaggia Lucarelli.
Prima che mi bloccasse, ma quella è un’altra storia.

Manq’s awards 2013

E anche quest’anno siamo giunti al momento delle classifiche finali, che su questo sito investono solitamente una moltitudine di argomenti e risaltano il meglio ed il peggio dell’anno solare a mio insindacabile giudizio.
Come la mia logorrea esige, dopo ogni classifica ci sarà la classica spiega.

Migliori dischi:
Biffy Clyro – Opposites
Dargen D’amico – Vivere aiuta a non morire
Cabrera – Nessun rimorso
Moving Mountains – S/T
Defeater – Letters home
Spiega: primi metto i Biffy perchè il disco è uscito a gennaio e quindi se lo sono dimenticato tutti nelle classifiche finali, invece è bello. Forse non così bello da stare al primo posto, ma decisamente bello abbastanza perchè non mi si rompa il cazzo per avercelo messo. Secondo Dargen D’Amico perchè credo sia il disco che ho ascoltato di più quest’anno e perchè c’è dentro LA canzone del 2013. Terzi i Cabrera perchè hanno fatto un EP stupendo che avrei messo primo se non avessi la paura di passare per quello che se la mena e mette un EP semi sconosciuto al primo posto solo per darsi un tono. Quarti ci vanno i MovMou perchè il disco che non piace a nessuno a me piace sempre di più. Quinti finiscono i Defeater perchè Letters Home è un disco bellissimo e anche se i pezzi sono meno belli di quelli del disco 2013 dei Touché Amoré, Letters home non l’ha mixato un idiota e quindi merita di stare più in alto.

Peggiori dischi:
Minnie’s – Ortografia
Jimmy Eat World – Damage
Face to Face – Three chords and a half truth
Spiega: mi spiace mettere i Minnie’s nella classifica dei dischi brutti, ma mi aspettavo tanto e questo disco non mi è piaciuto. La stima nei loro confronti resta immutata. Secondi ci metto i Jimmy Eat World perchè il disco è una merda clamorosa e inappellabile. Primi i Face to Face per le stesse motivazioni dei Jimmy, ma con l’aggravante di averlo fatto uscire il giorno del mio compleanno.

Miglior concerto:
Pentimento + Less Than Jake @ Circus Line (NYC)
Spiega: suonavano su una barca impegnata a circumnavigare Manhattan al tramonto. Enough said.

Peggior concerto:
Ataris + Cancer @ Li-Fi (MI)
Spiega: Kris, per l’amore di Dio, smettila.

Migliori film:
Gravity
Rush
Don Jon
Pain&Gain
Django Unchained
Spiega: Gravity è il film che da un senso all’andare al cinema. Rush mi ha tenuto incollato alla sedia, complice anche la mia ignoranza rispetto ai fatti narrati. Don Joe mi ha spaccato dal ridere. Pain & Gain è uno dei migliori film di Bay. Django è chiaramente bellissimo, ma l’ho apprezzato di più alla seconda visione. Restano fuori classifica un sacco di film belli, quindi da questo punto di vista il 2013 è stato figo.

Peggiori film:
Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
Only God forgives
A good day to Die Hard
Spiega: La prima parte de Lo Hobbit mi ha spaccato il cazzo oltre ogni preventivabile misura. Il nuovo film di Refn non è un film. Bruce, per l’amore di Dio, smettila.

Migliori serie TV:
Breaking Bad season finale
Fringe season finale
Spartacus War of the Damned
True Blood season 6
Black Mirror season 2
Spiega: la stagione finale di Breaking Bad è inarrivabile, pure per Fringe che comunque mi ha preso tantissimo. Al terzo posto finisce Spartacus perchè anche in quel caso il coinvolgimento emotivo è stato a livelli folli. Poi ci sono l’immancabile True Blood, che resta una delle cose migliori e più intelligenti in circolazione, e quel gioiellino disturbante di Black Mirror.

Peggiori serie TV:
Homeland season 3
Dexter season finale
The Following season 1
Spiega: la terza stagione di Homeland l’ho mollata al quarto episodio e un motivo ci deve pure essere. La stagione finale di Dexter è LAMMERDA. La prima stagione di The Following è peggio.

Migliori libri:
1° Open – Andre Agassi
2° World War Z – Max Brooks
3° La ragazza dei cocktail – James M. Cain
Spiega: la biografia di Agassi è scritta così bene da risultare bellissima a uno che non ha mai seguito il tennis come il sottoscritto. World War Z mi è piaciuto molto più di quello che mi aspettassi. La ragazza dei cocktail è un noir coi contro coglioni.

Peggior libro:
Inferno – Dan Brown
Spiega: Dan, per l’amore di Dio, smettila.

NBA All-Star Game 2014

Come di consueto siamo giunti a quel momento nell’anno in cui c’è da votare per l’Allstar game NBA. Per varie vicissitudini prevalentemente legate a Sky e al suo servizio spesso discutibile ho potuto seguire pochissimo questo inizio di stagione cosa che, unita alla mia non proverbiale preparazione in materia di basket NBA, ha reso la scelta dei quintetti più grossolana del previsto. Al solito, le mie picks sono fondamentalmente dettate da un mix di valore assoluto, rendimento recente, simpatia e tifo.
Agevolo le selezioni e poi la classica spiega.

Quintetti

Premessa: da qualche anno ormai la suddivisione in ruoli ha perso decisamente di senso nell’NBA in generale e sopratutto in un evento come questo. Io però, come sempre, cerco di fare dei quintetti che rispecchino il mio vago senso delle posizioni e dei ruoli.
Partiamo da ovest.
A fare il play ci metto C. Paul perchè nel ruolo è il più forte che c’è e la spiega finisce qui. A fare la guardia insieme a lui c’è Harden. Sia i Clippers che i Rockets non hanno il record che ci si aspetterebbe da squadre che partono almeno sulla carta per giocarsela fino in fondo, ma sono entrambe ampiamente sopra lo 0.65 (nel momento in cui scrivo) e direi che se quei due lì non sono la principale ragione del bilancio comunque in positivo, poco ci manca. Passiamo ai lunghi. Ala piccola schiero KD e anche in questo caso credo non servano ulteriori spiegazioni. Oklahoma vola e lui con lei e per quanto inizi a starmi un po’ sulle balle, direi che trovarne uno meglio diventava complicato. Ala grande invece scelgo Aldridge, che fino ad oggi ho sempre snobbato parecchio, ma che visti i risultati di Portland diventa impossibile escludere ancora una volta. Ho segato Lillard al posto suo. Nota: Portland sta riuscendo a far sembrare un giocatore di basket pure Robin Lopez. Chiudo il quintetto con il mito e la leggenda di Javalone McGee, idolo assoluto del sottoscritto e giocatore da Allstar game se ce n’è uno. Grandissimo.
E’ il turno dell’est.
Si parte con Irving che, con tutti i difetti che gli si possono trovare, in un anno in cui Rose si spacca di nuovo e fa temere tutti per il suo futuro nello sport e Rondo ancora non s’è visto diventa a mio avviso scelta obbligata. Come guardia ecco l’altro idolo assoluto del sottoscritto, ovvero JR Smith. New York sta vivendo un inizio di stagione ai limiti dell’imbarazzo e il mio eroe non è certo esente da responsabilità, ma io amo IL TALENTO e quello lì ne ha a chili. E’ nuovamente il turno dei lunghi. Nessun dubbio sul volere George come rappresentante di Indiana nel mio quintetto. Giocatore che mi piace molto (grazie al cazzo) e che merita senza dubbio la vetrina. A fare il 4 invece credo sia giusto portare il giocatore più dominante della lega, tal LBJ. Chiudo con la posizione di centro che, non fosse per i guai fisici, darei a occhi chiusi a Tyson Chandler perchè è un giocatore che adoro. Escluso lui, trovo ancora una volta giusto dare spazio a uno dei ragazzi di Indiana e quindi metto Hibbert.
Per chiudere, write in vote a GG Datome più che altro come incoraggiamento visto che ancora non ha praticamente dato segni di vita.
Direi che è tutto.
A voi studio.

Scrivere di musica: una chiacchierata con FF

Questo pezzo è costituito da uno scambio di mail tra Manq (a.k.a. io) e Francesco Farabegoli, l’uomo dietro a BASTONATE noto anche come FF, @disappunto, kekko senza la z finale e probabilmente altro. Tutte e dieci le persone che frequentano questo blog ormai dovrebbero sapere che BASTONATE per il sottoscritto è un sito di musica che andrebbe letto e così, dopo aver passato un po’ di tempo a pensarci su, ho deciso di chiedere a FF se avesse voglia di fare una chiacchierata a tema “scrivere di musica”. Ha accettato e questo è quello che ne è venuto fuori. Non la definirei intervista perché le domande sono in realtà farcitissime di opinioni e questo per me in un’intervista è sbagliato. Però ecco, nel dire la mia gli chiedo delle robe e lui, dicendo la sua, risponde.
A tal proposito, mi prendo l’ultima riga per ringraziarlo della disponibilità. [SPOILER] A quanto pare difficilmente si nega a questo tipo di cose, ma a me fa comunque tanto piacere che nello specifico abbia accettato.[/SPOILER] E’ un pezzo lunghissimo, ma secondo me dovreste leggerlo.

Tu scrivi molto spesso di musica e la targhetta dice che nel 2013 l’hai fatto particolarmente bene. Io leggo praticamente sempre quel che scrivi, ma a memoria non ricordo un disco di cui hai parlato bene che mi piaccia.
All’inizio pensavo che il trucco fosse nel fatto che leggevo i tuoi post sui Fugazi come leggo racconti che parlano, chessò, di gente che ammazza altra gente. Non serve essere affine all’esperienza raccontata per godersi il pezzo. Però non è così, nel senso che se leggo una tua cosa (pure oggi, con la statistica che ormai rema davvero contro), di norma mi prende la voglia di ascoltare ciò che ci sta dietro. E no, non mi prende voglia di fare stragi quando leggo di killer, di conseguenza non è solo come scrivi, ma inevitabilmente anche quello di cui scrivi. Tutto questo fa un po’ a pugni col concetto per cui, alla fine, leggere di musica resta idealmente un controsenso totale. Prendere un disco e ascoltarlo dovrebbe funzionare meglio di leggere mille battute sul tema, per farsi un’idea o addirittura un’opinione in merito. Questa autosufficienza non è estendibile ad ogni contesto e credo di divagare troppo dicendo che pensare lo sia è uno dei mali maggiori del nostro tempo, ma insomma, per la musica credo funzioni senza troppe controindicazioni. Quello che mi piacerebbe sapere, per cominciare, è se scrivi di musica perché ritieni sia invece necessario spiegarla a chi non può evidentemente farcela da solo. Cosa che, nel mio caso, farebbe il paio col fatto che ogni volta dopo aver letto il tuo pezzo, ascoltato il disco (o parte di) e averlo trovato orrendo mi ritrovo addosso un senso di inadeguatezza.

Ti faccio un esempio: ultimamente sono ossessionato dal disco nuovo di Lady Gaga. Ok? Il disco nuovo di Lady Gaga è un disco che non piace quasi a nessuno, ma a me mi sta scoperchiando il cervello e penso che sia una delle opere più poderose del passato recente e mi metto lì a ragionarci sopra, ci perdo un pomeriggio, faccio collegamenti, eccetera. Ok? Nel momento in cui scrivo del disco di Lady Gaga ti racconto un pezzo di me, cioè non ho la pretesa di raccontarti perché il disco dovrebbe piacerti. Ti racconto perché piace a me, che cosa mi smuove, eccetera. Eventuali momenti in cui mi son sentito nel passato come quando ho sentito ARTPOP, premesse ideologiche, analisi dei costi, eccetera. Per dire, a me interessa più l’intensità della musica di quanto mi interessino le canzoni, ok?, e il disco di Lady Gaga per me è di un’intensità devastante, non so dirti, sembra scritto con un coltello alla gola. Poi uno arriva, magari non ci trova i singoloni crassi e ignoranti alla Poker Face e pensa “boh, no, per me è una merda”. Ci sta, voglio dire. Se tu mi dici “la musica che ascolti mi fa schifo ma leggo comunque i tuoi pezzi”, non so, per me da una parte è il complimento più bello che mi puoi fare e dall’altra è una cosa ovvissima, quasi banale. Voglio dire, io non conosco tanta gente coi miei gusti musicali. Si può dire che conosco una sola persona con dei gusti musicali che rispecchiano i miei: se dovessi stare a quelli che la pensano come me, immagino mi toccherebbe chiudere bottega.
Sulla componente educativa dello scrivere di musica, non lo so. Per me la musica e lo scrivere di musica sono due cose diverse. Ora magari è facile dirlo: mi conviene farmi un’idea del disco ascoltandomelo piuttosto che leggendo quello che scrive la gente su quel disco, senza dubbio; e quindi lo scrivere di musica deve essere qualcos’altro. Però, se ci penso, quando ho iniziato a leggere le riviste mi facevo un mio viaggio mentale su dischi che non avevo mai ascoltato, così a prescindere, era una parte del gioco. Era un viaggio mentale disgiunto da quello che diceva il pezzo, magari: ti leggi una recensione e ti sembra troppo carica di insulti o campata per aria, e ti fai un’idea del disco che è il contrario di quello che hai letto, senza aver sentito il disco.
Venendo a me e te, non sono io a doverlo giudicare ma credo che la roba che scrivo abbia una componente narrativa in cui qualcuno si ritrova, molto di più che nei gusti musicali, quindi magari è quella –magari gli Shellac non sono il tuo gruppo preferito, ma il tuo gruppo preferito fa una musica che ti dà quello che gli Shellac danno a me. Non lo so. Tu riconosci l’autorità critica di qualcuno tra quelli che leggi? Tipo “se ne ha parlato bene lei/lui mi fido”?

No. Però secondo me c’è tutto un mondo tra leggere un pezzo a tema ARTPOP apprezzandolo anche parecchio e leggere un pezzo a tema ARTPOP e ritrovarsi alla fine con la voglia di capire se ci siano le condizioni perché anche a me possa scoperchiare il cervello. Poi quello che succede dopo aver ascoltato il disco conta relativamente nell’ambito del discorso che stiamo facendo. Che importa è arrivare ad ascoltare i pezzi invece di chiudere il browser dopo una lettura piacevole. Una delle cose più belle che mi sia mai capitato di leggere su un blog l’ha scritta XXX (NdM: privacy) in merito ad un live di Andrew WK (qui), ma ciò nonostante non gli riconosco la portata di cui sopra. Per me è questo il punto della questione ed è una cosa che, se me lo chiedi, dipende da chi scrive mentre per molti sta nella curiosità di chi legge. Sempre in tema di valutazioni personali, per me non è affatto ovvio parlare a molti scrivendo di qualcosa che poi piace a pochi, perchè assodato che non stiamo analizzando il piacere di una lettura indipendente dal suo contenuto, viene fuori tutta quella cosa dello scrivere della passione che sta dietro alla musica e dei fenomeni che la musica smuove. Cose che possono essere indipendenti sì dal tipo di musica di cui si discute, ma che non possono prescindere dall’avere la musica al centro invece di, chessò, le sementi. Poi magari domani apri un blog sulle sementi, io lo leggo e reagisco tipo: “PERCHÉ’ CAZZO NON HO UNA SERRA SUL BALCONE?” e allora il discorso cade. Ma non ho motivo di pensare sia così, oggi. La cosa che dici sul farsi il film di come suona il disco di cui hai letto prima di averlo sentito per me è vera oggi come ieri, tanto più la parte in cui valutazioni e ipotesi sono disgiunte dal suono ed entrano nel merito dei giudizi del recensore.
Tu hai un blog su cui scrivi della musica che ti piace, che poi credo sia l’operazione che sta alla base di chi scrive di musica per puro diletto. Mi piace una roba e ne parlo, fenomeno che prevede la stroncatura nella misura in cui parli di qualcosa che ti ha fatto schifo, ma in virtù del fatto pensassi/sperassi potesse essere buona quando l’hai approcciata. Quando io ho iniziato a scrivere di musica (che abbia scritto e scriva tutt’ora di musica è un fatto che esula dal merito dei risultati ottenuti) a tutto questo aggiungevo un livello ulteriore: la necessità. Per me era necessario che qualcuno parlasse della musica che mi piace. Chiarita la tua idea sulla valenza educativa dei pezzi, vorrei capire quanta importanza ha su BASTONATE l’aspetto divulgativo e, già che ci siamo, anche se ti fila il discorso sulla stroncatura unicamente come espressione di delusione oppure reputi sia un mezzo necessario ancora una volta a diffondere il tuo messaggio di cosa è sbagliato. Che poi in merito una mia idea leggendoti ce l’ho, ma vorrei capire se è giusta.

In linea di principio Bastonate nasce come blog divulgativo, verso i primi anni duemila. C’era questa idea di mettere in piedi una webzine che parlasse solo di sludge, approfonditissima, molto dettagliata, molto specifica. Così insomma i primi pezzi su Bastonate erano tipo “c’è questo gruppo nuovo, c’è questo gruppo con nome stupido, c’è questo streaming” e cose simili. Come impostazione l’abbiamo mollata per due motivi: il primo è che ci annoiavamo, il secondo è che non ascoltiamo dischi a sufficienza. L’altro giorno ho incontrato Matteo, che è quello con cui l’ho aperto, e mi ha detto che nel 2013 ha ascoltato tre dischi nuovi. Forse ora sono sei. Metti che io ascolti trecento dischi nuovi all’anno: è comunque tutta roba che mi rimbalza addosso, non è roba che vado a cercare con la lanterna o cosa. quasi tutto mi piomba a casa, e quindi la mia sensazione è che non sia così necessario mettersi a pompare questa musica.
Un’altra cosa che è importante si rifà a quel discorso che ti facevo prima: nello scrivere di musica, la cosa principale è lo scrivere. Così insomma, da un paio d’anni l’unica regola fissa su Bastonate è che il pezzo dev’essere buono. Se il disco è buono e il pezzo non è buono, il pezzo non esce. Naturalmente “buono” vuol dire tante cose, a volte escono delle ciofeche però magari hanno dei passaggi che mi piacciono, oppure contengono un punto di vista interessante, oppure hanno un bel corredo di immagini, non so. la cosa brutta dei pezzi divulgativi, informativi e quel che è, in senso stretto, è che non sono buoni quanto gli altri perché non raccontano una storia o ne raccontano una banale. poi ovviamente un riscontro diciamo pop c’è sempre, sia chiaro: se parlo di katy perry faccio più accessi che se parlo dei Bongzilla.
riguardo alla stroncatura, segue più o meno quello che ti ho detto sul resto. Se la stroncatura è buona la metto, se non è buona non la metto. Ogni tanto ne parlo con Enzo Baruffaldi, che cerca di convincermi che la stroncatura non ha grandissimo senso ed è molto meglio censurare il pezzo sul gruppo. ecco, ok, è un modo di vedere le cose, non so, la musica mi dà ancora molte emozioni -anche negative. E poi ha senso perché la stroncatura si basa su un concetto di appartenenza tribale piuttosto forte, almeno per gli standard della roba di cui stiamo parlando. Se stronchi un gruppo come i Sonic Youth, per dire, sai benissimo chi sarà tuo amico e chi sarà tuo nemico. Se promuovi i Sonic Youth, invece, è probabile che nessuno te ne chieda mai conto. Quindi in prospettiva diventa importante stroncare, un po’ per dare un’idea generale di cosa vuoi dalla musica (è importante far trasparire una visione d’insieme, o la gente non entrerà mai in sintonia con la tua roba), un po’ per dare al tuo scrivere un’impronta, assumerti la responsabilità di non piacere a qualcuno. è per quello che scrivere stroncature è così divertente: non sono gli insulti al gruppo, è sapere che stai deliberatamente mettendo i bastoni tra le ruote a qualcuno che magari non ti ha fatto niente. dà una certa forza allo scrivere.

La cosa di assumersi la responsabilità di non piacere a qualcuno è bellissima. Io non credo di esserci portato, ad una roba del genere, quindi probabilmente parlo per invidia. Porsi contro come veicolo per definire se stessi e il proprio prodotto funziona moltissimo, ma a volte prende il sopravvento e detta le priorità in un pezzo a tema musicale. Parti costruendoti una certa figura nell’ambito della critica musicale, definendoti, e poi magari arriva il prodotto che ti spiazza (no, ok, esagero, però diciamo che non è facile collocare dentro o fuori) e si crea quel dilemma per cui parlarne bene o male dipende molto più dall’aderire al proprio manifesto che non alla reale portata del prodotto. E poi a cascata, con i lettori che si collocano a seconda dei pezzi scritti dalle loro penne/tastiere di riferimento. Cosa che, nei tempi dell’internet, porta inevitabilmente a stormi di opinioni intrecciate e radicali difese fino alla morte da gente che magari il disco deve ancora ascoltarlo. Ipotizzo. Che poi è lo stesso bisogno di appartenenza che ti porta a decidere di ascoltare quel genere musicale quando hai dodici anni ed è la via per virare da babbo ad alternativo senza cambiare nulla della tua quotidianità. Mentre scrivo, realizzo che probabilmente il web è pieno di dodicenni esattamente in quel momento della loro vita e che andrebbero valutati come tali invece di dar loro rilevanza solo perché il nick non ha credenziali anagrafiche. E capisco anche che ogni tanto ho la tendenza a parlare del web come fosse un’entità precisa e codificata E come io fossi un grillino o uno di Repubblica. Ok, è anche il momento di andare a parare da qualche parte con questa domanda. Tu dici che, cito, “una cosa radicale/violenta può essere fatta solo da qualcuno che pensa in un modo radicale/violento per me non è chiusura mentale, è buon senso.“. Dargen D’Amico sostiene: “Se io avessi un pubblico propriamente indie, non mi sognerei mai di partecipare a Sanremo, sarebbe un suicidio…“. Io di mio capisco che il tutto ha un suo senso legittimo e coerente, ma mi trovo a relazionarmi con l’essere nato in una buona famiglia, vivere in un contesto da ceto medio, non aver mai assunto droghe e lavorare tutti i giorni per una casa e una famiglia MA ascoltare prevalentemente roba che parla di disagio, droga, violenza, vita irresponsabile fino ad arrivare a pochi, ma presenti, adoratori del Demonio (che reputo peggio degli adoratori di Dio. E’ come credere nello sport e tifare Juve, tipo.). E non discuto ci sia un grosso problema di coerenza in me, ma arrivare a dovermi sentire fuori posto perché mi piace un genere musicale che non fitta con la mia estrazione sociale è disturbante. La domanda è: conta davvero così tanto l’essere coerenti nel fare e nello scrivere di musica?

Sai se mi dici LA COERENZA a me viene in mente, non so dirti perché, mia mamma che a quindici anni mi tira il cazziatone in privato per come mi vesto, e poi in pubblico mi difende dicendo “MA SÌ DAI È LA MODA E POI L’IMPORTANTE È CHE STANNO BENE LORO”. Questa cosa nella musica corrisponde ad ascoltare la musica che cazzo ti pare e piace, e quindi direi che l’estrazione sociale non c’entri niente. Io però a uno che grida contro il capitale e ha la villa poco fuori Bertinoro non gli credo, così come non credo a uno che canta STRAIGHT EDGE e quando scende dal palco si scola una birra. Nel pezzo che mi citi parlavo dei Deafheaven e descrivevo un genere musicale: quel black metal da cameretta fatto di dieci minuti di chitarra plin plin e pedali a manetta e poi cinque minuti di urla selvagge effettate e chitarre pese a pioggia. A me quella roba è sempre sembrata poco di pancia, molto frutto di sforzi intellettuali, e allora magari tra le due mi sento un Trucebaldazzi che quando canta io ciò troppo odio sai che è vero e l’odio lo senti proprio uscire dallo stereo. Però insomma è solo un’idea mia sulla faccenda. Essere coerenti nel fare musica, non lo so, è una delle cose. Non mi piace la parola. COERENZA mi sembra una cosa che ti fissa a uno standard che magari non sei stato nemmeno tu a fissare. Mi viene da pensare a termini alternativi e mi vengono in mente parolacce tipo RIGORE o ETICA o ONESTÀ; ma io non lo so se questa roba definisca quello che ho in testa. Non so, decidere che la tua musica deve passare attraverso certi canali. Io quando ho saputo che i Fugazi non concedevano interviste a Rolling Stone perché avevano pagine di pubblicità degli alcoolici, non so, sono rimasto folgorato, e alla fine se avessi un gruppo forse vorrei fare una cosa simile, decidere di passare per certi canali e boicottarne certi altri; la musica come atto politico fuori dalle logiche di destra o di sinistra, ecco, questa cosa mi piace abbastanza. Però dell’etica dei Fugazi non fregherebbe un cazzo a nessuno se la musica non fosse così buona, ecco, e quindi la musica viene prima. Per quanto riguarda lo scrivere non so, se i musicisti non si pongono domande dovrebbe essere chi scrive a porle. E allora la critica musicale inizia ad avere un senso, magari. Invece sulla COERENZA o RIGORE o ETICA o ONESTÀ in sé di chi scrive, non lo so, io scrivo per quasi chiunque me lo chieda (ho rifiutato forse cinque collaborazioni in tutto il tempo che ho scritto), cerco di scrivere ogni singolo pezzo al meglio delle mie possibilità, nient’altro. Come ascoltatore la COERENZA o RIGORE o ETICA o ONESTÀ è che se ho soldi da spendere nella musica li spendo nella musica e cerco di spenderli in un modo che abbia senso, quindi magari pagare un disco a venti euro al negozio invece che quattro dischi a venti euro su Amazon. O che so, pagare più concerti possibile invece che chiedere accrediti stampa a destra e a manca nei locali. Lasciare una birra al bancone e comprare una maglietta al gruppo e quelle cose lì.

Non lo so. Capisco la faccenda del rigore e della credibilità, ma continuo a vederci un eventuale valore aggiunto che però non è imprescindibile. L’altro giorno girava un pezzo a tema black metal nazista e violento (commentato anche da te su Bastonate) che raccoglieva, come ciclicamente accade, tutta quella serie di luoghi comuni che però partono dal presupposto ci sia una coerenza, no ok, un’onestà che invece non è per nulla necessaria. E’ chiaro che tu porti esempi in positivo, come quello dei Fugazi, in cui l’integrità fornisce uno spessore notevole alla questione. Però se la stessa integrità ce l’avessero gli Slayer, e magari ce l’hanno anche ma io a quel punto non voglio saperlo, per me diventerebbe complicato ascoltarli. Così come diventerebbe legittimo farsi domande su chi invece problemi non se ne fa. Non dico di prender buoni i messaggi che vanno nella mia direzione e auto-convincermi dell’essere finti di quelli che puntano altrove, ma, in sintesi, che se fai un pezzo bello E dici una roba figa sei un genio, se fai un pezzo bello dicendo una cazzata puoi essere comunque un musicista che mi piace. Se fai un pezzo osceno dicendo cose fighissime io non lo saprò mai perché non ti ascolto a prescindere e quindi non rientri nei casi in analisi. Per me funziona così. Mi piace molto però la parte in cui dici che chi scrive di musica deve porre le domande che chi fa musica non si pone, lo trovo vero in generale se si parla di giornalismo, ma questa è una cosa che, riflettendoci ora, nei tuoi pezzi apprezzo particolarmente.

L’articolo che citi è un buon modo di farti capire cosa intendo. L’articolo parte da un film norvegese sugli zombi nazisti e dice “sì, tra l’altro in Norvegia ci sono sempre stati problemi coi nazisti. Esempio? L’Inner Circle bruciava le chiese.” è un modo stronzo di mettere in piedi la cosa per diversi motivi: il pezzo contiene insinuazioni anche molto pesanti (tipo Burzum coinvolto nella strage di Utoya), parla di roba successa vent’anni fa, taglia tutto con l’accetta e tanti saluti. Il tutto per denunciare cosa? Che la Norvegia non è immune al nazismo? Ci sono partiti in Norvegia che stanno al 20% e promuovono politiche anti-immigrazione. Ci sono anche in Italia, per dire, ed è una cosa contro cui si dovrebbe combattere di giorno in giorno. E quindi, se vuoi, ci troviamo in una situazione in cui non ci frega un cazzo di cosa succede dietro casa nostra ma dobbiamo pesare quello che dice un gruppo nei testi? Non lo so. Io gli Slayer credo di capirli, per me sono espressione di un disagio reale -lo erano, quantomeno, venticinque anni fa- e la loro musica mi parla. poi la roba che mi dice magari è orribile, ma preferisco un gruppo che mi tenga acceso il cervello e mi spinga a dissociarmi, soprattutto se la musica è la musica degli Slayer. E questo è un modo di essere integri, ecco. Poi se ti vai a leggere i loro testi a volte c’è da starci male. A volte c’è da starci male anche coi testi dei Fugazi, per dire.

Andrei avanti per altri diecimila scambi sul tema, perché mi sto divertendo davvero molto, ma lo scopo ultimo resta tirar fuori un pezzo sul blog che sia leggibile in termini di lunghezza e credo noi si abbia sforato già da diverse battute. Adesso quindi sparo l’ultimo argomento che vorrei analizzare, che è la questione dialogo/scambio. Quando scrivi di musica sul blog o su una rivista, il pezzo è necessariamente autoconclusivo. Oggi però internet ha aperto le porte alla facilità di interazione e in potenza chiunque può parlare direttamente all’autore dell’articolo ponendo questioni, facendo analisi e contestando passaggi. Io arrivo da un’epoca in cui i forum funzionavano parecchio, ma lì le discussioni nascevano con l’intento di essere uno scambio di opinioni. Un pezzo sul blog, dicevo, non nasce per essere discusso. Tu hai la sezione commenti sempre aperta e, di norma, partecipi agli scambi che ne escono in maniera abbastanza attiva. C’è molta gente che apre un blog, lascia spazio ai commenti, ma poi non risponde e questo a me da i nervi perché la considero sempre una mancanza di considerazione, quando in realtà in molti casi uno magari sente di aver già detto tutto nel pezzo e semplicemente non ha cazzi di ripetersi. L’ultima domanda è quanto valore aggiunto può dare, se può darne, la facilità di discussione 2.0 nell’ambito dello scrivere di musica e quanti danni, invece, pensi possa fare il concetto web dell’uno vale uno (cit.) per cui tutti possono volendo dire la loro. E’ una domanda un po’ del cazzo se vuoi, ma mi incuriosisce.

Quelli che non hanno tempo di star dietro ai commenti del proprio blog sono le “blogstar” o quella gente lì, le persone che magari hanno 70 commenti per ogni pezzo, cosa che io non ho (un mio post fa 20 commenti se proprio la gente si scatena). Però, per dire, scrivo saltuariamente (non dirlo in giro) per un sito di cinema che si chiama XXX [NdM: non l’ho detto in giro.], fa cento e passa commenti ad articolo, e lì rispondere ai commenti non mi stanca. Immagino però che XXX abbia un pubblico incredibilmente buono, relativamente parlando. Per dire, leggo i pezzi di Tea Hacic su Vice, alcuni sono molto belli, e sotto cento commenti di gente che le dà della troia. Allora perché ti ci dovresti prestare, e quindi vaffanculo. Ovviamente mi danno fastidio le persone brutte e i minus habens, e quelli che con il cuore impavido (e una mail falsa) danno opinioni scomode sul mio blog tipo “Bianconi handicappato di merda”, in un pezzo sui Baustelle nel quale magari io ho pesato gli accenti per dare un punto di vista originale. Ma poi non è fastidio, è che non capisco come faccia uno a essere così idiota e così desideroso di dimostrarlo. Ma LA DISCUSSIONE è sempre la cosa, quella che mi fa più piacere. Per me è abbastanza naturale ficcarmici. Per dire, quando scrissi quel pezzo sui Baustelle una tizia lo linkò su Facebook dandomi del fascista, io le scrissi in privato, ora siamo amici e tre ore fa mi ha mandato un suo pezzo per Bastonate (true story).
Comunque non è una vera domanda, giusto? Nel senso, i blog hanno i commenti, e quindi si tengono aperti ai commenti. Commento libero e non moderato, niente generalità, regola fissa. Nel form di wordpress devi inserire un indirizzo email, credo nient’altro. Poi magari ne cancello qualcuno ogni tanto, tipo “era ora che Vic Chesnutt morisse, meno male”: in fin dei conti è uno spazio mio e ogni tanto mi piace buttar fuori un cretino. Se c’è uno spunto interessante generato da un MIO pezzo a cui posso dare una MIA risposta sul MIO blog, cazzo, rispondo e ho pure fretta e sono eccitato come un bambino.

Prendere le distanze

Conosco un tale.
Si chiama Davide e siamo entrati in contatto tramite un forum di giochi di ruolo che entrambi si frequentava diverso tempo addietro. Non perché ora noi si abbia di meglio da fare, ma solo perché i forum sono morti prematuramente circa cinque anni fa. Questo tizio, sul forum, si firmava MANOWAR e nella signature aveva rimandi nostalgici al ventennio.
E’ lampante sia una persona con cui non ho e non voglio avere nulla a che fare.
Sta di fatto che per circostanze ancora poco chiare io e questo tale non solo siamo in contatto ancora adesso (ogni tanto commenta pure qui sopra firmandosi Mnwr nel tentativo di dissimulare), ma ultimamente capita ci si trovi d’accordo su diversi aspetti della vita. Pubblica i miei pezzi sui social senza fini denigratori, condivide la mia fiducia/speranza in Renzi (lo dico per alimentare quel fenomeno riguardante Renzi e i voti della gente di destra) e, cosa davvero incredibile, ultimamente siamo anche stati d’accordo su un disco.
La cosa, per motivi che spero risultino ovvi, mi mette fortemente a disagio.
Quindi adesso scrivo un pezzo parlando di un disco che in questi ultimi giorni sto a dir poco consumando, nella speranza di ricevere badilate di insulti e farmi tornare a dormire sereno.
Sigla!

Dargen D’Amico è un giusto.
Partiamo da un presupposto: io di rap capisco pochissimo. In realtà capisco poco di musica in generale, ma a differenza degli altri generi di cui di solito parlo/scrivo il rap non lo ascolto proprio. Cosa che mi rende non solo incompetente, ma proprio ignorante in materia. Ho in casa un paio di dischi degli Articolo 31 che fossero auto non pagherebbero più il bollo e ogni tanto mi prendo bene per qualche singolo che mi passa per il wall dei vari social. Ci sono personaggi appartenenti al mondo del rap che mi fanno simpatia e altri che invece mi danno in culo, ma senza una reale motivazione artistica. A pelle. A parte Fibra, che la radio mi costringe ad ascoltare spessissimo e che reputo scarso oltre ogni modo in termini di rime e di quel che io reputo si intenda quando si parla di “flow”.
A Dargen D’Amico ci sono arrivato grazie al pezzo qui sopra, che per il sottoscritto è a mani basse canzone dell’anno. Quando l’ho sentita la prima volta ho pensato fosse la classica “coglionata ignorante che però ti prende bene” e così ci ho riso su pensando l’avrei dimenticata appena fosse finita l’estate. Invece con l’andare del tempo l’ho ascoltata diverse volte e, pur conscio resti essenzialmente una coglionata ignorante, ci ho trovato molto di buono. Intendo veramente buono. Mi piace un sacco la base, ad esempio, sia come melodia che come ritmica. Mi tira in mezzo ogni volta. E poi mi piace il testo, perchè reputo molto interessanti diverse delle rime che ci sono dentro. E’ una canzone sulle tette, non sto cercando di trovarci un qualche sottotesto improbabile per sentirmi meno scemo all’idea che mi piaccia, e una canzone sulle tette potremmo scriverla tutti. Solo che, sbaglierò, nella maggior parte dei casi ne uscirebbero robe tremendamente più volgari, banali e sciatte di “Bocciofili”. Sì, è possibile.
Sta di fatto che sulla base di questo pezzo e di svariate centinaia di battute spese da BASTONATE per smantellare “Vivere aiuta a non morire” mi sono interessato al fenomeno e, pur nell’era di youtube/spotify/torrent/whatever, ho pensato che il modo migliore per documentarsi fosse andare a vedere un live di Dargen D’Amico. Senza conoscere i pezzi, senza basi. Ha suonato in un locale molto figo di Brugherio tempo fa, io ho presenziato ed è stato tutto un susseguirsi di: “Figata! Genio! Quanto stile! Ecc…!” [NdM: Sì, a Brugherio esiste un locale figo che potrebbe chiamarsi LOSTOWN, ma anche no, e che fosse esistito quando ero ragazzo probabilmente avrei frequentato rovinandomi l’esistenza a venire e venendo su molto diverso da come sono ora.]. La prima cosa che ho notato nello show di Dargen D’Amico è che il suo set, a me, prende bene. Saranno le basi, saranno le melodie, sarà la cassa dritta che non ho mai fatto mistero di amare, però se mi metti ad un concerto di JD io mi ci diverto a bomba. Oltretutto sul palco stava con due dei Fratelli Calafuria, che con le chitarre hanno dato un bel risvolto alla faccenda ed elevato di molto lo stile del tutto, lasciando il palco nella seconda parte del live causa, cito, “rifiuto di prestarsi a suonare certi pezzi”. Non so se sia vero, ma mi piace pensare di sì.
A concerto finito io avevo già diversi pezzi preferiti.
Questo e quest’altro su tutti, ma anche “Lorenzo de’ Medici”, di cui pare impossibile trovare una versione streaming da linkare. Il che può essere indicativo, ma anche no.
Abbagliato dall’esperienza live, il terzo step della mia personale folgorazione per l’artista Dargen D’Amico è stato l’acquisto del suo disco, punto che ci riporta a bomba all’incipit della storia. Sono ormai settimane che ascolto a ripetizione “Vivere aiuta a non morire” e mi piace ogni volta. Lo sento in macchina, dove ogni tanto è anche bello mettere nel lettore qualcosa che sia registrato, mixato e prodotto in modo da valorizzare l’impiantino che ai tempi avevo istallato. E’ un disco lunghetto, sono 17 tracce, e non tutte mi prendono bene allo stesso modo. Non ce n’è mezza, però, che devo forzatamente skippare e questo prima dell’acquisto per me era impensabile. Qui si potrebbe aprire una parentesi sul mio essere disposto ad acquistare un disco con la forte possibilità di trovarne insopportabile una parte più o meno estesa. Continuo a vedere nel prodotto una genialità notevole, come a volte mi capita di fare con prodotti analoghi di discipline diverse. Penso a True Blood, per dare un riferimento. Dargen D’Amico usa le parole in maniera interessante, divertente, tutto sommato nuova per quanto mi riguarda e alterna momenti introspettivi a momenti caciaroni come nella vita facciamo più o meno tutti costantemente.
Può piacere, come non piacere.
A me piace, e spero questo basti a ridefinire certe distanze.

Io non so fare il cubo di Rubik, ma c’è chi si è fatto il cubo di Ruby – Dargen D’Amico – Il cubo (Fondamentalmente).

Smartblog

Aggiornamento super conciso del blog dovuto al fatto che, recentemente, sono approdato nel magico mondo dello smart web e di conseguenza ho implementato notevolmente la mia già ampia gamma di profili on-line.
Ora ho un account Instagram, per dire, che è la roba di cui più sentivo la mancanza. Ovviamente ora che ce l’ho non lo userò mai, oppure lo userò malissimo, ma chissene.
Il punto è che questo blog, per me, sarà sempre lo snodo principale di tutte le mie attività on-line e quindi da qui dovrebbero poter essere seguite tutte. Nel menu a destra, quindi, alla voce foto, ora è possibile vedere un bel widgettino contenente l’ultimo scatto effettuato e il bottoncione che rimanda alla mia pagina. Sotto restano comunque tutte le gallerie che c’erano prima, perchè son sempre la parte principale di quella sezione.
L’altra novità è il reintegro della categoria musica, sempre nel menù a destra. Ora ci si trovano altri due bei widgettini. Il primo serve ad ascoltare in streaming le playlist che faccio con Spotify, il secondo serve ad ascoltare in streaming tutti gli episodi di quello che fu il mio programmino radiofonico.
Quest’ultimo l’ho messo perchè avrei sempre voglia di fare una seconda stagione e non è detto che prima o poi mi decida a mandarla in onda.
Fare questi aggiornamenti al blog ogni tanto mi fa sentire come quelli che nel 2013 fanno ancora i tagliandi alla Ritmo, ma vabbè.

Selvaggia Lucarelli non mi stima

Oggi mi è capitata una roba strana.
Accendendo il PC, sta mattina, e facendo il classico rituale giornali/mail/social network mi sono imbattuto in un twitt di Selvaggia Lucarelli (@Stanzaselvaggia) riguardo un presunto ricovero di Morgan in una clinica di Monza a causa di una overdose da farmaci. Dico presunto perchè il twitt era pieno di “pare” e io non ho comunque verificato la notizia, ma il mio punto in questo post non è dubitare dell’attendibilità degli scoop della Lucarelli perciò andiamo avanti. Insomma vedo questo twitt e mi viene da rispondere che, tutto sommato, se Morgan viene ricoverato in overdose sono anche un po’ fatti di Morgan. Non mi sono mai sentito particolarmente bacchettone riguardo a questioni di Privacy, ma a titolo personale trovo sempre abbastanza fastidioso l’exploitation estremo della sofferenza altrui.
Ho quindi risposto, credo tra l’altro senza essermi posto in maniera particolarmente maleducata.
Di lì a pochi secondi, scopro che Selvaggia Lucarelli decide di bloccare il mio account. Lì per lì, la cosa mi fa un sacco ridere. Non che adesso ci stia male, intendiamoci, però diciamo che sul momento non avrei mai scritto un post sul blog per parlare della cosa. Poi, col tempo, ho effettivamente iniziato a rimuginarci un po’ sopra e la cosa ha iniziato a farmi girare abbastanza il cazzo. In fin dei conti, non ho che espresso un parere penso legittimo. Nella foto qui affianco si vedono altre risposte, date da altri utenti, che immagino siano stati querelati, se il trattamento è proporzionale. La cosa bella di twitter è che mette in connessione tutti senza tener conto di qualsivoglia gerarchia. Se vuoi far sapere a qualcuno cosa pensi di lui o di quel che fa, twitter è un mezzo che funziona. Il destinatario può non ascoltare, ignorarti, ma tu dovresti essere libero di poter dire la tua.
Tempo fa, per gioco, mi ero messo a trollare Daniela Santanché (@DSantanchè). Era la prima volta che facevo qualcosa del genere, voglio precisarlo, e non sarò durato più di un paio di settimane, però mi ci ero messo per davvero. Avevo iniziato a seguirla ed ogni volta che twittava qualcosa, solitamente cazzate, io rispondevo pesante. In tema eh, mai con meri insulti alla persona, però duro. Viene da se che dopo un po’ si capisce da soli che è una roba inutile, tanto non è che dall’altra parte ci sia attenzione, però come sfogo funziona. Fai sapere che non condividi. Dici la tua e se non ti ascoltano pace, ma almeno hai espresso un’opinione.
Ad ogni modo per quelle due o tre settimane che son state, Daniela Santanché non s’è mai disturbata a bloccarmi.
Che debba farlo Selvaggia Lucarelli in risposta ad un “pare siano cazzi suoi” mi sembra oggettivamente eccessivo. Tanto più che come me, probabilmente anche altri e ben più quotati follower devono averle risposto in maniera simile. Però non credo loro li abbia bloccati. Anzi. A qualcuno ha pure risposto snocciolando il suo legittimo punto di vista sull’etica dell’informazione e della privacy. E allora questo mi puzza un po’ di snobbismo 2.0 ed è una cosa che, onestamente, dal personaggio non mi sarei aspettato. Altre volte le avevo risposto e credo ci siano almeno un paio di miei twitt tra i suoi preferiti, ma è bastato un mezzo dissenso per finire trattato come uno stalker qualsiasi.
Vabbè Selvaggia, che devo dirti, pazienza.

Anche lui, alla fine, ha fatto pure cose buone…

Tipo morire.
Battute a parte, oggi gira in rete questo filmato di un discorso di Hitler del 1932.

Con questo io non sto facendo un parallelismo tra Grillo e Hitler, nè tra M5S e Partito Nazista.
Il mio punto è solo che certi discorsi, in momenti di crisi e difficoltà, fanno certamente presa ed è facile cavalcare un risentimento popolare diffuso ed eterogeneo per far leva e guadagnare consenso. Bisogna fare attenzione, da ambo i lati. Chi si propone con questo atteggiamento deve in primis stare attento a non eccedere nel delirio di onnipotenza, nel totalitarismo (di cui il voler per forza governare da soli è un brutto sintomo) e trasformarsi in qualcosa che, ne sono sicuro, non è quello per cui si è iniziato a far politica. A tenere gli occhi aperti, però, deve essere soprattutto il popolo che segue questo tipo di leader carismatico. Sono i seguaci che danno il potere, gli elettori, e quindi sono loro i primi in obbligo di tirare il freno.
PS: Ma ci sono i discorsi di Hitler su youtube? E’ normale?

Indicazioni di voto

Mi si segnala questo test facile e veloce che dovrebbe più o meno indicare da che parte ci si trova, in termini programmatici, rispetto ai partiti che si presentano alle prossime elezioni politiche. L’ho trovato interessante e quindi ve ne parlo.
Poi magari nei prossimi giorni scrivo un post sulle mie intenzioni di voto, ma magari no.
Sicuramente scriverò un post su Fringe e sul suo avermi privato di qual si volgia tempo libero.

THX to: Voi Siete Qui.

TicketOne.it is the new Merda

Come abitudine, io i biglietti in prevendita da TicketOne.it non li ho mai presi. Un po’ perchè per gli eventi a cui solitamente partecipo pagare la prevendita è abbastanza inutile, trovando sempre o quasi disponibilità sul posto, un po’ perchè proprio come filosofia trovo TicketOne.it una roba contro cui schierarsi a priori e senza necessità di reali motivazioni. E’ tuttavia capitato che mi ritrovassi per le mani due voucher da 25 euro l’uno proprio da utilizzare sul portale in questione e così ho dovuto farmi forza, infrangere quasi tutti i miei preconcetti morali ed etici, e acquistare sul sito.
Tutto questo ha portato ad un’unica conseguenza positiva: ora posso continuare a parlare male di TicketOne.it, ma posso farlo con cognizione di causa. Da lì, la decisione di estendere a tutti una mia analisi in merito.
Andiamo con ordine, per punti.

1 – Decido di regalare due biglietti per un evento all’Arcimboldi ai miei genitori, per Natale. In questo caso il modo più semplice e veloce per procurarmeli è proprio TicketOne.it e quindi decido di interfacciarmi con il loro sistema e provare ad utilizzare questi fantastici voucher.

2- Vado sul sito e procedo a selezionare l’evento e i posti. Mi accorgo che parte un conto alla rovescia di tot minuti, una quindicina, entro cui dovrò per forza di cose completare tutta la procedura di acquisto. La cosa mette un po’ di ansia e di pressione e non ne capisco minimamente l’utilità, ma non è una particolare tragedia.

3- Arrivato al momento di effettuare il pagamento, il primo scoglio. Non è possibile inserire più di un voucher per ogni acquisto. Se volessi usare due voucher, dovrei comprare i due biglietti separatamente, pagando due volte le spese di spedizione. Questa cosa è abbastanza un’inculata, oltre a non essere prassi su moltissimi altri siti di acquisti online. Amazon, ad esempio, ti fa inserire tutti i voucher che vuoi in un singolo acquisto. E ci mancherebbe pure, essendo un voucher a tutti gli effetti denaro. La cosa assurda è che non puoi usare più voucher nemmeno se acquisti più biglietti per lo stesso evento e, probabilmente (non ho provato), nemmeno se acquisti più biglietti per più eventi, ma in un unico ordine.

4- Pensando ingenuamente di sbagliare qualcosa io, sospendo l’acquisto e decido di contattare il servizio clienti on-line per avere spiegazioni in merito. Visto il conto alla rovescia, chiudo proprio tutto e non se ne parli più fino ad ottenuto chiarimento. La risposta mi arriva dopo 2 giorni lavorativi e dice solo: “Non si possono cumulare voucher all’interno dello stesso ordine”. Beh, grazie.

5- A questo punto decido di usare un solo voucher per l’acquisto del regalo dei miei genitori. Scopro però un concerto che mi interessa ad una settimana di distanza. Prezzo 20 euro in cassa, poco meno di 25 con prevendita. Vabbè, pur di non averci più a che fare, decido di fare questi due ordini, smaltire i buoni e buttare via soldi in prevendita per un concerto che sicuramente non sarebbe andato sold out. Torno sul sito TicketOne.it, avvio il procedimento, parte il timer, inserisco i dati e procedo all’inserimento del voucher. Codice Voucher non valido. Bestemmio. Provo un paio di volte, ma niente. Penso quindi che forse l’averlo inserito in quell’ordine mai concluso fatto giorni prima possa aver invalidato il codice. Provo col secondo codice, quello del secondo buono. Nulla. Non va. “Codice non valido”. Essendo Sabato decido di non contattare di nuovo il servizio on-line, ma vado direttamente ad uno sportello a chiedere spiegazioni. Mi dicono che, ovviamente, loro sono solo punto vendita e che non sanno come aiutarmi visto che i voucher, da loro, non li si può usare. Valgono solo on-line. E va bene.

6- Torno a casa e decido di chiamare il servizio clienti a pagamento (1 euro al minuto iva esclusa). Come al solito musichette e menù interattivi a cascata fino a che riesco a parlare con un operatore, a cui riferisco il problema. Risposta: scriva al servizio clienti on-line. What? Sì, loro non sanno come aiutarmi e si fanno pagare un euro al minuto per dirmi di usare il form on-line gratuito. Ormai le bestemmie non si contano più.

7- Ho un’illuminazione. Penso che possa magari essere un problema di browser, così rifaccio tutta l’operazione usando Chrome invece che IE. Sto giro il codice risulta valido e così acquisto i biglietti per i miei (ci torniamo dopo).

8- Decido di usare il secondo voucher per il concerto cui volevo andare, ma ormai siamo a Lunedì ed essendo il live Mercoledì le prevendite sono chiuse. Quindi nisba. Ok, questo non è imputabile a TicketOne.it nello specifico, però se tutto fosse andato via liscio io avrei potuto acquistare senza problemi. Invece no, il voucher mi resta in mano per un futuro evento. Evviva.

9- Dicevo dell’acquisto del regalo dei miei. E’ il 16 dicembre e sul sito TicketOne.it non c’è una previsione di consegna dell’ordine. Nulla. Niente stime, neanche spannometriche. Il niente. Io, spinto da ingenuità cronica, ritengo che 9 giorni per stampare due biglietti e recapitarli via corriere espresso siano sufficienti e così ordino, fiducioso di poter avere il regalo per natale. In quest’ottica, inserisco come luogo di consegna l’ufficio dei miei suoceri, così che il corriere trovi sicuramente qualcuno al momento della consegna. Inoltre seleziono tipo 3 euro di “Confezione Regalo”.

10- Ovviamente nulla arriva per Natale. L’ordine viene preso in carico diversi giorni dopo l’acquisto on-line. Va bene, ok, non garantivano nulla (in realtà proprio non dicevano nulla per potersi orientare) quindi mea culpa. La spedizione parte dopo Natale e il corriere arriva a consegnare. Quando? Il 31-12 alle 16.30. Chiaramente trova chiuso, perchè non dico tutti, ma la maggior parte degli uffici fa mezza giornata il trentuno di Dicembre. Per carità, ancora niente di grave, ma giusto per sottolineare l’ingegno con cui lavorano.

11- Siamo alla conclusione. La consegna avviene i primi giorni di Gennaio ed io ho i miei bei biglietti nella loro fantastica e non proprio economicissima confezione regalo. Vado dai miei e do loro il regalo di natale, scusandomi per il ritardo. Loro aprono la confezione e, come per magia, ecco due bei biglietti con stampato sopra a caratteri cubitali il prezzo.

Ecco, questo è il resoconto dettagliato della mia prima esperienza di interazione con TicketOne.it. La personalissima morale che ho tratto da questa vicenda è che se pure siano meritevoli di disprezzo anche solo per le percentuali assurde di diritti di prevendita che applicano ai biglietti, questo è nulla in confronto alla scarsità del servizio che offrono.
Per queste ragioni, caro il mio bel TicketOne.it, per quanto mi riguarda devi morire male.