Vai al contenuto

Indonesia & Singapore (2025)

Ho sempre sostenuto che non sia necessario essere ricchi per viaggiare e ne sono ancora convinto. E’ evidente, però, che avere più soldi da spenderci permetta di ampliare il raggio delle possibilità in maniera piuttosto lineare. Ci sono tuttavia modi diversi di spendere per viaggiare. Quello che interessa a noi è ricercare la possibilità di entrare in contatto con il posto che vogliamo visitare, sempre con l’obbiettivo di essere il meno invadenti possibile. In questo modo si è in grado di fare del proprio viaggio, oltre che una vacanza, anche un’esperienza di confronto con la cultura locale ed è quello che, personalmente, cerco di portarmi a casa ogni volta. Per me, ma soprattutto per i miei figli. Questo tipo di esperienza, per chi come noi fa altro di mestiere, non credo possa prescindere dall’appoggiarsi ad agenzie competenti.
Per questo da ormai tre anni noi, da sempre turisti fai da te, abbiamo iniziato a farci supportare da HTS Viaggi, un’agenzia con cui abbiamo instaurato un rapporto di fiducia sulla base del comune modo di intendere il viaggio e l’etica che ci sta attaccata. Viaggiare così costa di più, ma per noi accresce esponenzialmente il ritorno e quindi, fatti i dovuti conti in casa, è un investimento che ci piace fare. Questo siluro iniziale è per spiegare come mai quest’anno, pur scegliendo una meta piuttosto “economica” come l’Indonesia, siamo comunque riusciti a spendere una bella cifra per le nostre vacanze. Ora possiamo passare al report.

La Polly nella riserva di Komodo Partiamo da qualche commento generale. Dire Indonesia non è particolarmente indicativo, perchè parliamo di un Paese composto da una moltitudine di isole molto diverse tra loro, sia per quanto riguarda l’aspetto naturalistico, che culturale. Per dare un riferimento, è un Paese con oltre 700 lingue diverse. Al momento della scelta, il nostro (principalmente mio, ad essere onesti) punto irrinunciabile era visitare la riserva naturale dei draghi di Komodo. Attorno a quello, avremmo poi costruito il resto dell’itinerario. Un’altra cosa che avevamo deciso, ancor prima di contattare l’agenzia, era che non avevamo troppa voglia di andare nè a Bali, nè a Lombok. Questo perchè conosciamo diverse persone che ci sono state e, anche approfondendo l’argomento, è emerso fossero entrambe mete distanti dalle nostre necessità: tantissimo turismo, tantissima confusione, tantissimo traffico e in generale poco da offrire per un viaggio con due bambini di 7 e 10 anni. Dulcis in fundo, l’ultimo punto che volevamo inserire nel nostro piano di viaggio era uno scalo lungo a Singapore, perchè ci è sembrata una buona occasione per visitare anche quel posto sfruttando la vicinanza con la nostra meta principale. Con questi tre capisaldi, ci siamo confrontati con l’agenzia e abbiamo disegnato l’itinerario finale insieme, cercando di far quadrare necessità, logistica e budget. E devo dire che ci siamo riusciti. Abbiamo strutturato un itinerario composto essenzialmente di tre tronconi: il primo attraverso la riserva naturale di Komodo, il secondo per l’esplorazione dell’isola di Java e il terzo, appunto, a Singapore. Quattordici giorni totali, dodici giorni pieni in loco.
Questo ci porta alla prima questione chiave: i voli. Quest’anno abbiamo preso un numero molto alto di aerei, otto, di cui metà per tratte interne. Sono oggettivamente tanti, per un viaggio così breve, e non credo lo rifarei tutti gli anni perchè è pesante. Per questo specifico caso però sono convinto la scelta abbia avuto senso e la consiglierei come eventuale eccezione alla regola. L’alternativa, volendo stare sulle destinazioni scelte da noi, sarebbe stata segarne una o due e allungare la permanenza in quella/e rimasta/e, ma non credo abbia senso farlo e in seguito, andando nel dettaglio dell’itinerario, proverò a spiegare perchè.
Per i voli abbiamo usato un totale di quattro compagnie aeree. Per il lungo raggio siamo tornati a volare con Turkish Airlines, che offriva il piano più conveniente per le nostre tratte, e l’abbiamo trovata ancora una volta eccellente. Volando in economica, il nostro metro di giudizio si fonda su tre fattori: spazio vitale (in linea a tutte le altre compagnie), intrattenimento a bordo (eccellente, forse il migliore tra quelli provati negli anni) e cibo (dignitosissimo, anche qui tra i migliori provati). In più, Turkish è l’unica, fino ad ora, ad averci dato un piccolo kit di volo con ciabattine, calze, mascherina, spazzolino e dentifricio, oltre ad un regalino per i bambini. Nulla che ci interessi, ma è comunque una carineria che è giusto segnalare.
Per le tratte interne la questione è stata decisamente più complessa. Incastrare le nostre necessità di permanenza nei vari posti con la disponibilità dei voli interni può non essere semplice, specie quando si vola da e per la zona di Komodo, ad oggi ancora non servitissima. Noi alla fine ce l’abbiamo fatta utilizzando tanti vettori diversi: Batik Air, Garuda Indonesia e Scoot, ma siamo comunque dovuti ricorrere a scali forzati a Jakarta che ci saremmo risparmiati e che hanno di fatto appesantito la logistica. Prenotando a Gennaio per Agosto poi, i voli interni hanno subito molti cambiamenti di orario con il passare dei mesi, costringendoci a rivedere il piano vacanze un paio di volte. Anche in questo, avere il supporto di un’agenzia si è rivelato fondamentale. Delle tre citate, forse la compagnia meno confortevole è Scoot, di fatto la Ryan Air singaporeana, ma per voli corti ce la si può tranquillamente far andare bene.

Olly a YogyakartaChiusa la parentesi dedicata ai voli, passiamo ad altre informazioni generali per chi volesse fare un viaggio simile al nostro. Spoiler alert: dirò cose in aperto contrasto a quanto sta dicendo Selvaggia Lucarelli, che si è trovata a fare un viaggio analogo al mio nei miei stessi giorni. Per me non essere in linea con la sua visione è una specie di medaglia, ma magari voi la vedete diversamente.
Periodo/Clima: Agosto è il momento migliore per visitare l’Indonesia, perchè è la sua stagione secca. Noi, in nove giorni di permanenza in loco, non abbiamo preso una sola goccia d’acqua. Può sembrare incredibile, ma questo non vuol dire che ad Agosto lì non piova MAI. Parliamo pur sempre di un Paese che ospita la foresta pluviale, il cui nome dovrebbe evocare un certo tipo di riflessione. Andarci ad Agosto vuol dire semplicemente ridurre le possibilità di prendere l’acqua. Discorso diverso per quanto riguarda Singapore, che in Agosto è caratterizzata da un caldo ed un’umidità pazzeschi e da un’elevata possibilità di prendere acquazzoni. Il fatto che Indonesia e Singapore siano relativamente vicini tra loro non implica abbiano lo stesso clima, così come ci sono differenze tra le varie isole della stessa Indonesia. Quando si viaggia la premura di non andarsela a cercare scegliendo il periodo meno propizio è fondamentale, ma col meteo serve sempre anche un po’ di culo. A noi è andata bene.
Cibo: per la mia personale esperienza, l’Indonesia è uno dei pochi posti in cui sono arrivato a saturazione con la proposta alimentare ben prima di tornare a casa. Una cosa che mi succede solo negli Stati Uniti, con la differenza che lì trovare alternative è decisamente più semplice. Se non si viaggia in hotel di alto livello che propongono cucina internazionale di qualità o scegliendo ristoranti raffinati e costosi (comunque non diffusissimi), l’esperienza col cibo indonesiano può essere ostica perchè si finisce in fretta a mangiare riso, uova e pollo per due settimane. Non bastasse, ci sono due ulteriori aggravanti: la prima è che il pollo spesso viene fatto a bocconcini senza prima venire disossato (una roba delirante), la seconda è che basta distrarsi un secondo per avere nel piatto salse di una piccantezza rara. 3/4 della mia famiglia è composta da elementi che si adattano e con il gusto dell’assaggio per i sapori nuovi, Olivia non mangia un cazzo e ha fatto 12 giorni a riso bollito perchè alternative, semplicemente, non ce n’erano quasi mai. Da un punto di vista della sicurezza alimentare, invece, devo dire che con la solita accortezza di evitare ghiaccio e verdure crude nessuno è stato male. Discorso diverso per Singapore, dove c’è ovviamente tutto quello che si può desiderare, pagando di conseguenza. Anche lì però noi abbiamo sempre optato per soluzioni local, sfruttando le infinite possibilità di street food offerte dai diversi quartieri a prezzi decisamente abbordabili. Per Olly c’era il McDonald.
Precauzioni sanitarie: ormai noi siamo vaccinati davvero per tutto, ma anche quest’anno abbiamo fatto un consulto con un medico per eventuali consigli pre-partenza. L’Indonesia non richiede di particolari profilassi, a meno di fare passaggi importanti nella giungla in certi periodi dell’anno (malaria). Dal nostro lato, abbiamo colto l’occasione per vaccinarci contro la Dengue e levarci il pensiero, ma non abbiamo praticamente trovato zanzare da nessuna parte durante tutto l’itinerario. A sensazione, è un vaccino che ci sarà molto più utile a casa che in viaggio, prossimamente.
Viaggiare con bambini: sarà che i miei iniziano ad essere grandicelli, ma questo è forse il viaggione che hanno apprezzato di più. Da un lato è stato decisamente più vario degli ultimi, contemplando sia una parte di mare, sia una parte di esplorazione, sia una parte cittadina. Dall’altro abbiamo visto una quantità di animali pazzesca, tutti liberi e nel loro habitat, cosa che li ha fomentati alla grande. Tolto il limite del cibo, di cui vi ho detto, non ci sono particolari controindicazioni ad andare in Indonesia con dei bambini e infatti noi ci abbiamo trovato un sacco di famiglie come la nostra. Ovviamente, la chiave è avere bambini che possono stare ore in aereo e in aeroporto senza diventare matti, ma lì sta a voi conoscere i limiti dei vostri figli. Per i nostri non è mai stato un problema e, ormai, è quasi diventato un plus.
Moneta: anche in Indonesia ormai è possibile viaggiare quasi completamente cashless, ci sono molti più ambulanti col pos lì che in un qualsiasi mercato rionale italiano. Noi abbiamo comunque prelevato un miglioncino di rupie da spendere in giro e per le mance. Sono grossomodo 50 euro e son bastati alla grande.

Manq a Dieng Intro finalmente finita, andiamo al tour.
Il primo troncone del nostro viaggio è stato nella riserva di Komodo e lo abbiamo fatto in barca. Siamo volati su Labuan Bajo, dove abbiamo fatto base in un hotel carino (ma con il mare che sembrava una discarica) con l’unico scopo fosse comodo per l’imbarco. La nostra “crociera” è durata tre giorni ed è stata un’esperienza TOTALE, sicuramente per chi scrive il punto più alto del viaggio, ma necessita di qualche precisazione. La prima è che la parola crociera potrebbe evocare un’idea molto distante da quello che abbiamo effettivamente fatto. Una descrizione più fedele potrebbe essere “tre giorni su una specie di peschereccio riconvertito in cui per tirare lo sciacquone nel bagno comune era necessario buttare una pentola d’acqua di mare nella tazza”. Anche detta così, però, può suonare più hardcore di quanto fosse in realtà. L’ambiente era pulito, le due stanze a nostra disposizione piuttosto confortevoli (in media, una decisamente più dell’altra) e il bagno comune era condiviso solo da noi quattro e dalla nostra guida perchè sulla barca viaggiavamo solo noi. In quei tre giorni, siamo stati portati attraverso la riserva naturale per visitare spot di snorkeling meravigliosi (i più belli mai visti dal sottoscritto), spiagge paradisiache, punti panoramici bellissimi fino alla fatidica isola di Komodo. Paradossalmente, la visita all’isola dei draghi è stata forse il punto più deludente di questo primo troncone di viaggio perchè l’esperienza è davvero tanto “turistica”: si viene scortati in fila lungo un percorso di circa un kilometro e si aspetta il proprio turno per fotografare i draghi in cui ci si imbatte. Pur essendo liberi, l’impressione è di un contesto quasi finto, che toglie un po’ di poesia al tutto lasciando un filo di delusione. L’aspettativa era di un ambiente e un’esplorazione decisamente più wild. L’aspetto forse più interessante è che intorno ai draghi vive un villaggio in condizioni precarie, nel tentativo di raccogliere il più possibile dai turisti che passano di lì. Un bel reality check.
Al netto di quello, però, Komodo rimane una tappa da fare e l’esperienza in mare è assolutamente il modo migliore per farla, approcciando una regione indonesiana ancora piuttosto lontana dal turismo di massa che contraddistingue ad esempio Bali, con perle naturali indescrivibili e tantissima natura incontaminata con cui entrare in contatto. Abbiamo nuotato con le mante, le tartarughe e gli squaletti in acque di cui si poteva vedere il fondale anche quando si trovava a quindici o venti metri di profondità. Esperienze che non sarebbe possibile fare, quantomeno non in maniera altrettanto profonda, tramite singole escursioni giornaliere. Il tutto condito dall’esperimento della vita in barca, mangiando piatti caserecci in compagnia dell’equipaggio e godendosi la navigazione di giorno e di notte. Mentre scrivo sto già fantasticando su altre possibili mete in cui farlo. Per chi fosse interessato, la nostra barca era questa e il nostro itinerario è stato quello da due notti.

Giò a SingaporeLasciata la riserva naturale, la nostra seconda tappa è stata l’isola di Java e più precisamente Yogyakarta. In questa seconda parte di viaggio ci siamo concentrati maggiormente sugli aspetti culturali dell’Indonesia, dedicandoci alla visita di templi, comunità locali e ambienti naturali diversi da quelli marini. Il primo giorno lo abbiamo dedicato all’esplorazione della città, che ci è piaciuta molto. Abbiamo visitato il palazzo del sultano, il castello dell’acqua e ci siamo avventurati attraverso i vicoli iper caratteristici di quel che si può considerare il “centro storico” di Yogyakarta. Più di tutto, però, abbiamo apprezzato la visita al tempio Prambanan, una meraviglia architettonica della cultura Hindu.
Il giorno seguente abbiamo scelto di fare una spedizione nell’entroterra, fino all’altopiano di Dieng. Questa, in assoluto, è l’unica cosa che sconsiglio vivamente di fare a chiunque volesse pianificare un viaggio come il nostro. Sulla carta sarebbero dovute essere tre ore di viaggio all’andata e due al ritorno, ma per una serie di ragioni che comprendono i festeggiamenti dell’indipendenza indonesiana, noi ce ne abbiamo messe più di cinque ad andare e quasi quattro per tornare. Una vasca infinita. Non è tanto lì il problema, però. La cosa brutta è che, arrivati in loco, ci si trova al cospetto di un paio di “spot” da fotografare e nulla più. C’è la vista del lago dai due colori e quella di un cratere fumante, ma nessuna delle due vale anche lontanamente lo sbattimento di arrivarci e, soprattutto, non ci sono escursioni o passeggiate da fare in loco che permettano di stare almeno un po’ nella natura. So che sull’isola un’escursione che tutti dicono valga la pena di fare è quella al vulcano di Bromo, ma noi l’avevamo esclusa perchè richiedeva un’alzataccia e tantissime ore di auto. Avendole poi fatte comunque, forse sarebbe stato meglio fare quello. Questa giornata è, di fatto, il motivo per cui questo viaggio non prende il massimo dei voti nella mia valutazione finale.
Terzo giorno, invece, si torna a livelli altissimi con la doppia visita a Borobudur e ad una comunità locale che vive poco distante. Il primo è probabilmente il tempio più famoso dell’indonesia e vale da solo la tappa a Java. Non solo perchè vederlo riempie gli occhi, ma anche perchè le guide dedicate sono capaci di raccontarne la storia in modo davvero completo e appassionante, permettendo di approfondire aspetti importantissimi della cultura buddista, ma anche sottolineando i danni incalcolabili del colonialismo inglese, olandese e giapponese. Una lezione di storia che, trattando di luoghi lontani da noi, difficilmente ci viene presentata a scuola. I miei figli sono si sono appassionati tantissimo all’argomento ed è una delle cose che raccontano con più fervore a chi chiede loro delle vacanze. Per quanto riguarda la visita alla comunità, invece, devo nuovamente elogiare la scelta fatta da HTS, che con i suoi contatti locali ci ha permesso, come fu in Perù, di entrare in contatto con una realtà genuina, vera, lontanissima da quelle create ad hoc per vendere ninnoli ai turisti, ma che invece hanno la volontà di ospitare chi fa loro visita e trasferire parte della propria cultura. Per noi, sempre uno dei punti più alti del viaggio. Anche perchè ci hanno anche preparato una merenda locale stratosferica.
Prima di tornare in albergo, abbiamo scelto di fermarci anche in un sito di produzione del famigerato caffè Kopi Luwak, per farci raccontare come viene prodotto ed assaggiarlo. Ed è buono, davvero.

Il giorno seguente abbiamo preso l’ultimo dei voli interni per raggiungere Singapore e chiudere il nostro tour. Singapore è una città pazzesca, imparagonabile a qualsiasi altra abbia visto, in cui si fondono comunismo e capitalismo a creare uno scenario di contrasti davvero difficile da spiegare. Girarla è davvero semplicissimo e ci si trova tutto quel che si può cercare. La parte di Marina Bay è certamente la più famosa, lì si trovano i negozi delle grandi firme e tutta quella parte di ricchezza estrema che uno potrebbe associare a città come Dubai o New York, ma ad averci conquistati sono stati il quartiere cinese, quello arabo e quello indiano, con i loro chioschetti e i loro mercatini. A livello naturale, poi, Singapore è pur sempre una città costruita nella foresta pluviale, quindi è possibile farsi un giro nella riserva naturale Bukit Timah o nel Giardino Botanico per entrare in contatto con flora e fauna locali in libertà. Pure troppa fauna, volendo, visto che oltre che varani, scimmie e scoiattoli a noi è capitato anche di incrociare un serpente (che poi google ci ha detto essere un velenosissimo serpente.)
Tre giorni a Singapore forse sono pochi, ma a noi sono bastati per coglierne il fascino e rimanere incantati, anche grazie alle indicazioni di Giacomo e Valentina che ci vivono ormai da nove anni. Se dovessimo tornare nel sud-est asiatico, probabilmente ci passerei ancora. Unico consiglio che posso dare è che stare a chinatown, dove eravamo noi, è logisticamente perfetto. Il nostro hotel non era male e aveva una colazione faraonica, ma ve lo segnalo soprattutto per la posizione.

Ed eccoci alla fine. Come detto, la valutazione del viaggio sfiora solamente la perfezione perchè ci sono state un paio di cose che forse, col senno di poi, avrei cambiato e perchè logisticamente è comunque una quindici giorni molto impegnativa. Ciò nonostante, rimane una delle esperienze di viaggio che mi ha dato di più in assoluto per varietà di quanto visto e vissuto e che, di conseguenza, consiglierei a tutti.


Team:
Polly, Manq, Giò e la Olly
Durata: 14 giorni
Km percorsi: Circa 300 via terra e non so quanti via mare, oltre alle tratte aeree.
Mezzo di locomozione: Hariini (barca) e Adiputro (minivan).
Spesa: 3.500 euro circa a persona
Sponsor*: Bintang beer.

VALUTAZIONE:
4.5-stelle

*Con Sponsor si intende il o i prodotti che si sono distinti per presenza costante durante il viaggio. Nessuno mi ha mai dato un euro per viaggiare, mai (tranne appunto la mia azienda in questo caso, per i miei 10 anni di onorato servizio.)