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Parchi & West Coast USA – 2016

Il viaggio del 2016 ha finalmente coronato il mio più grande desiderio in termini di vacanze: andare in California. E’ abbastanza comune intendere con California tutta quell’ampia porzione occidentale di Stati Uniti in cui stanno molti dei più famosi parchi naturali USA e che, a conti fatti, sono poi tutti in altri stati. Per questo, il nome più etimologicamente corretto di questa guida è quello che trovate nel titolo, ma sono abbastanza sicuro che se finissimo a parlare del viaggio a voce, di fronte ad una birra, dire California sarebbe certamente più chiaro ed immediato. Preamboli inutili a parte, organizzare questo viaggio è stato un grosso lavoro ed ha richiesto una cura dei dettagli certamente maggiore a qualunque altro viaggio mai intrapreso in precedenza, vuoi per la mole di cose da vedere e la vastità delle distanze da coprire in rapporto ai giorni a disposizione, vuoi soprattutto perchè con noi ci sarebbe stato Giorgio, a.k.a. Puffo, a.k.a. un bimbo di quindici mesi. In quest’ottica, tutto andava pianificato davvero con precisione per evitare o perlomeno limitare il più possibile gli imprevisti e devo dire che, a conti fatti, ce la siamo davvero cavata bene. Questo fa si che, in questa occasione, la guida comprenda anche una sezione apposita dedicata ai suggerimenti per chi viaggia con neonati.

A quanto pare non è più possibile impostare itinerari di più di dieci tappe in Google Maps, quindi mi tocca spezzare il viaggio in tre parti. Prima però le classiche indicazioni su voli, alberghi e noleggio auto.
Ancora una volta abbiamo volato con l’accoppiata British & American Airlines, spezzando la tratta in due porzioni rispettivamente di 2 e 10 ore. L’unica alternativa economicamente accettabile quando abbiamo prenotato, molti mesi prima della partenza, era volare con Air Canada, spezzando il tragitto grossomodo a metà (Milano-Montreal-LA). Abbiamo desistito essenzialmente per tre motivi: 1) è impossibile prenotare un biglietto con neonato senza posto assegnato sapendo il prezzo finale esatto prima di pagare, 2) avevamo il dubbio che la seconda tratta venisse considerata alla stregua di un volo interno, il che significa niente sistemi di intrattenimento per 5 ore e 3) gli orari erano più scomodi. Il prezzo finale dei biglietti è stato di 2300 euro perchè il bambino sotto i due anni paga solo le tasse aeroportuali (300 euro). Abbiamo prenotato entrambi i voli di Martedì, fissando la permanenza a due settimane esatte. Allungare o accorciare la vacanza di meno di 7 giorni comportava un aumento drammatico del prezzo dei biglietti, per una qualche regola USA che non ho capito (stessa cosa succedeva anche con altre compagnie aeree). Anche l’ipotesi di differenziare arrivo e partenza si è rivelata non percorribile economicamente, cosa che ci ha costretti a volare su LA, unico punto compatibile con il giro in programma, a scapito di San Francisco che a quel punto è diventata per forza di cose non includibile nell’itinerario.
Per quanto riguarda il noleggio auto, ci siamo rivolti a Budget che ci ha messo a disposizione un’offerta irrinunciabile: 470 dollari per 15 giorni di SUV, incluso il seggiolino per Giorgio, a fronte dei 720 necessari per il nolo di una vettura di classe economy presso la stessa Budget, con la concorrenza ancora più alta in prezzo. Niente navigatore satellitare perchè installare le mappe sul mio Garmin è costato un quarto (anche se con incalcolabili bestemmie). Statistica alla mano, lo staff che lavora negli uffici Budget USA è composto solo da imbecilli con cui è impossibile avere discussioni proficue, ma il risparmio vale il litigarci ogni volta.
Per chiudere, abbiamo prenotato in largo anticipo anche tutti gli hotel, usando la solita modalità Booking.com con cancellazione gratuita. Il consiglio è di farlo sempre, specie per le zone vicine ai parchi dove trovare posto in agosto può davvero essere complicato, se fatto all’ultimo momento.

Altre note generali: il pass annuale ai parchi nazionali può essere fatto all’ingresso di qualsiasi parco senza difficoltà, costa 80 dollari a veicolo e si ripaga completamente visto che l’ingresso ai parchi costa in media 20 dollari a veicolo. Nell’organizzare il viaggio mi sono appoggiato molto al sito Viaggi-Usa, davvero pieno di ottimi spunti e suggerimenti.

PRIMA PARTE

I primi giorni dell’itinerario sono quelli che presentano gli spostamenti più complessi e lunghi e questo perchè, costretti a tagliare San Francisco e lo Yosemite, volevamo assolutamente vedere le sequoie e abbiamo scelto come prima tappa il Sequoia National Park. Abbiamo fatto bene? Ni. Per evitare di “sprecare” giorni, appena atterrati abbiamo immediatamente ritirato l’auto e fatto rotta su Bakersfield, cosa che nel traffico losangelino vuol dire guidare tre ore dopo un volo intercontinentale. Si fa eh, ma bisogna essere preparati all’idea. Noi lo eravamo. Quello a cui non eravamo pronti, invece, è stato il dover guidare più di un’ora dall’ingresso del parco al bosco dove poi si trovano effettivamente le sequoie. Il secondo giorno si è quindi trasformtato in una vasca interminabile che ci ha visti partire da Bakersfield, raggiungere il famoso Generale Sherman al centro del parco e poi fare rotta verso Ridgecrest, seconda tappa dell’itinerario scelta nell’ottica di avvicinarci alla Death Valley e ridurre i trasferimenti del giorno seguente. Alla luce di tutto questo, non so cosa avrei dovuto trovare nel parco per far sì che ne valesse davvero la pena, ma certamente quel che ho visto non è stato sufficiente. Le sequoie sono davvero impressionanti e ci sono nel parco diversi sentieri per poter fare delle escursioni anche carine, ma in un itinerario di questo tipo non biasimerei chi decidesse semplicemente di saltare questa tappa. Il punto, purtroppo, è che un giorno di avvicinamento alla Death Valley da LA è necessario e “in zona” non direi ci sia null’altro che possa valere la pena.

Aiutati dal jet-lag, il mattino seguente siamo partiti ben prima dell’alba con l’obbiettivo di raggiungere la Death Valley quando le temperature ancora permettono di visitarla. Il piano questa volta ha funzionato alla grande e così tra le 7 e le 10 della mattina, con il termometro ben sotto i 30°C, abbiamo potuto girare diversi punti del parco in tranquillità, chiudendo la nostra permanenza al Forty Niner cafè di Furnace Creek, dove ci siamo concessi una colazione che faceva davvero molto pranzo prima di ripartire alla volta di Las Vegas. La valle della morte a mio avviso è uno dei posti da vedere a tutti i costi quando si decide di fare un tour di questo tipo, lo spettacolo vale davvero tantissimo e non credo esistano altri luoghi simili al mondo. Anche Las Vegas è decisamente un posto fuori dal comune, ma direi in accezione tutt’altro che positiva. E’ un comodo pit-stop e, onestamente, non passarci nemmeno lascerebbe una curiosità morbosa che è bene soddisfare, tuttavia è uno spettacolo piuttosto triste, che trasuda finzione e trash oltre limiti digeribili. La sera migliora un po’, quando le luci splendono, ma credo sia impossibile non restarne delusi pur arrivando con aspettative molto basse. Va detto però che ci abbiamo mangiato il miglior hamburger della vacanza.

Da Las Vegas ci siamo a questo punto mossi in direzione Panguitch, comoda tappa dove soggiornare prima di visitare il Bryce Canyon. Con un giorno a disposizione dedicato allo spostamento, abbiamo pensato di fare una sosta a Zion e visitare il primo canyon della vacanza. Ancora una volta la scelta ha pagato. Zion è forse il meno peculiare tra i parchi visti, ma permette diverse escursioni a piedi immersi nella natura e passare una giornata a camminarci dentro è stato per noi molto appagante. Unico accorgimento da considerare è il fuso orario, poichè il passaggio da Nevada a Utah comporta il portare l’orologio un’ora avanti e lascia quindi un’ora in meno a disposizione per la visita. La sera, come detto, abbiamo pernottato a Paguitch dove abbiamo cenato al Cowboy’s Smokehouse Cafe. Se vi capita, fatelo anche voi.

Il Bryce Canyon si è rivelato il parco più bello di tutto il tour. Con una giornata a disposizione anche in questo caso siamo riusciti a fare diverse escursioni, potendo apprezzare il panorama sia dall’alto che dal fondo dei cunicoli e, davvero, vale ogni minuto trascorso al suo interno. Organizzarsi in modo da poterci stare da mattina a sera è quindi un suggerimento da tenere in considerazione.

SECONDA PARTE

Visitato il Bryce Canyon abbiamo dormito a Kanab, da dove siamo ripartiti con l’obbiettivo di entrare nella riserva Navajo e raggiungere la Monument Valley. Per evitare trasferimenti interminabili abbiamo spezzato il viaggio fermandoci prima all’Upper Antelope Canyon e poi sulle rive del Lake Powell. Organizzare una visita al primo non è stata cosa semplice perchè i posti a disposizione sono davvero pochi ed è necessario prenotare con largo anticipo, cosa che abbiamo scoperto troppo tardi e che quindi non abbiamo fatto. L’orario migliore per apprezzare la magia di questo cunicolo strettissimo colorato dai raggi del sole è le 11:30, ma noi abbiamo trovato posto solo per il tour delle 9 di mattina che comunque sa regalare davvero delle belle immagini. Purtroppo il piccolo Giorgio non ha gradito molto lo stare in un tunnel buio e pieno di gente ed ha costretto la mamma a lasciare il canyon in largo anticipo, ma io ho potuto completare la visita. Il posto merita, niente da dire, ma è davvero molto affollato e dover procedere ammassati in fila ne ammazza di molto l’atmosfera.
Discorso diverso per il Lake Powell, che offre un paesaggio davvero suggestivo e dai colori spettacolari. Noi siamo entrati prima all’ingresso della Lone Rock per poi fare un po’ di foto dall’alto di Wahweap. Ci sarebbero molti altri punti da cui vederlo, ma si trovano fuori dall’itinerario e abbiamo per questo dovuto rinunciarci, ma siamo comunque contenti di quanto abbiamo visto.

Grazie alle tappe di cui sopra siamo arrivati alla Monument Valley nel suo momento migliore, ovvero al tramonto. Che dire, è un altro di quei posti da non perdere assolutamente. In macchina abbiamo fatto tutto il tour interno, potendo girare per tutta la valle, ma l’ideale a conti fatti sarebbe fare una delle tante escursioni a cavallo disponibili in loco.
Abbiamo dormito a Kayenta, poche miglia distante dal parco e credo unico posto dove fosse possibile trovare degli alloggi. In queste zone è possibile guidare per miglia senza trovare nemmeno l’ombra di un insediamento dell’uomo. Cosa che, se me lo chiedete, è fantastica.

Il giorno seguente, partendo ancora una volta di buon ora e sfruttando il fuso questa volta favorevole, siamo arrivati al Grand Canyon, che abbiamo visitato dal South Rim. Che dire, lo spettacolo che si presenta a chi si affaccia per la prima volta su quel panorama è grandioso e toglie il fiato. Il parco tuttavia non offre molto di più, purtroppo. Le passeggiate lungo il rim sono spesso su sentieri asfaltati completamente al sole e per lunghi tratti si trovano ben distanti dal bordo del canyon, non offrendo quindi nemmeno una vista decente del panorama. Attraversare tutto il south rim è un tragitto di 32 miglia e offre diversi punti panoramici, ma alla lunga sembrerà di guardare sempre lo stesso paesaggio e quindi il consiglio è di fermarsi solo nei più significativi (il mio preferito è Desert View). Una cosa che invece può davvero valere la pena fare è scendere lungo il Bright Angel Trail che porta fino a dentro il canyon. E’ una camminata molto lunga e, soprattutto, doverne affrontare prima la discesa la rende psicologicamente difficile poichè si procede sempre con l’ansia di quanto sarà dura risalire. Noi ne abbiamo percorso solo il primo tratto, sconfitti dalla paura e dal sole, ma col senno del poi sarebbe stato meglio fare solo quello, ma farlo per bene. Una bella peculiarità del parco è la presenza di tantissimi alci, cervi e cerbiatti che è possibile vedere spesso anche da vicino. La notte ci siamo fermati a Valle.

A questo punto, il nostro itinerario prevedeva di raggiungere San Diego, ma la distanza è davvero notevole così abbiamo pensato di spezzare il tragitto in tre tronconi. Il primo è stato dedicato ad un assaggio della famigerata Route 66, che abbiamo percorso fino ad Oatman attraversando le Black Mountains in quel tratto denominato “bloody 66” proprio per via della pericolosità della strada. Oatman è molto carina, con i suoi muli liberi in città e quell’atmosfera da vecchio west, per chi è in zona credo valga molto più la pena rispetto ad altri posti collegati alla celebre route, come Williams, Seligman o la stessa Kingman in cui noi abbiamo pernottato.

TERZA PARTE

Il secondo troncone ci porta da Kingman a Palm Springs, con tanto di sosta e visita del Joshua Tree National Park. Un altro bell’assaggio di deserto e della sua desolazione. Visitare il parco non è semplice, un po’ per il caldo e un po’ per il terrorismo dei ranger che appena hanno visto il bambino hanno iniziato a snocciolare fiumi di raccomandazioni per metterlo al riparo da possibili e sfortunati incontri con il temutissimo rattlesnake. Con questi presupposti abbiamo deciso di trattenerci in loco il meno possibile, abbastanza però per poter visitare tutte le aree più suggestive attraversando di fatto il parco da sud a nord. Joshua Tree è l’ultimo parco naturale che abbiamo visitato e per celebrare la fine della prima parte del viaggio ci siamo concessi un po’ di pazza gioia a Palm Springs dove l’economicissimo Caliente Tropics Resort ci ha permesso di rilassarci in piscina e il ristorante Fisherman’s Market & Grill ci ha rifocillati con dell’ottimo pesce.

Dopo una prima parte di vacanza all’insegna degli spostamenti e dei paesaggi sconfinati e incontaminati degli Stati Uniti, eccoci arrivare nella prima grande città: San Diego. Personalmente avevo davvero molte aspettative per questa tappa e sono state tutte ripagate: ad oggi, è l’unica città USA (continentale) in cui vivrei. La città, l’oceano, la gente, i tacos di pesce (Lucha Libre un must per chiunque passi da queste parti): è davvero tutto a misura mia. Che tu sia a downtown, a La Jolla o a Coronado hai sempre l’impressione di stare bene. Ecco, San Diego è la città dello stare bene. Da vedere non c’è molto, noi abbiamo usato i giorni a disposizione per visitare le diverse spiagge (La Jolla Shores e Coronado Beach le migliori), il museo della US Midway e lo zoo, che se ho ben capito è uno dei più grandi degli Stati Uniti. Abbiamo boicottato Seaworld per questioni ideologiche (anche se poi lo Zoo, vabbeh). Null’altro da segnalare.

L’ultima tappa ci ha portati ad LA, a detta di chiunque abbia fatto questo giro un posto inutile ed evitabilissimo. Tutto sommato confermo. Siamo stati a Beverly Hills, ma citando la Polly “…alla fine Rodeo Drive è una Monte Napoleone senza Cova…”, siamo stati a Hollywood e avremmo potuto farne a meno. Persino lo sbattimento per andarsi a vedere il tramonto dall’osservatorio Griffith non vale la coda ed il delirio che servono ad arrivarci. Insomma, la città degli angeli non va molto oltre il continuare a guardarsi intorno e dire “Ehy, qui ci hanno girato questo film!”. Va detto che non siamo stati agli Universal Studios, forse l’unica cosa da fare davvero quando si è qui, ma a fine vacanza, con poco tempo a disposizione e un bambino di 15 mesi abbiamo preferito dedicare l’ultimo giorno a Venice Beach. Abbiamo noleggiato delle bici e siamo stati tutto il giorno in giro con quelle, dal lungo mare che porta a Santa Monica, ai canali artificiali di Venice, passando per Muscle Beach. Io non rimpiango la scelta.

Quindici giorni sono forse pochi per il giro che abbiamo fatto, il poco tempo ci ha costretti ad un ritmo di marcia davvero sostenuto, però a mio avviso il risultato è stato ampiamente oltre le aspettative e, a parte la stanchezza finale, non ne abbiamo risentito.

VIAGGIARE CON UN BIMBO:
Come dicevo all’inizio, viste le circostanze in cui abbiamo viaggiato mi sembra utile poter dare qualche indicazione a chi si apprestasse a voler intraprendere lo stesso itinerario in compagnia di un bimbo piccolo.

  • Viaggio aereo: nessuno può dirvi se 10 ore di volo con vostro figlio in braccio siano fattibili o meno. Lo sapete solo voi (e anche voi potreste tranquillamente avere un’idea sbagliata). A noi è andata meglio di quanto pensassimo.
  • Spostamenti in macchina: sono tanti e vanno organizzati bene se non volete che il bimbo impazzisca, ma con un po’ di criterio e sfruttando i suoi sonnellini non è impossibile muoversi serenamente. L’unico consiglio che darei è di portare il proprio seggiolino da auto, che tanto viene imbarcato gratis da tutte le compagnie aeree che ho esaminato. E’ sicuramente meglio di quello che vi daranno a noleggio, in termini di comodità del bambino, e questo aiuta a farlo stare in macchina volentieri.
  • Fuso orario: i bimbi lo assorbono meglio di noi, a conti fatti.
  • Cibo: amici che vivono a San Diego (e che ringraziamo per tutte le dritte) ci hanno consigliato pappe e succhi della Gerber e latte in polvere Enfamil. Ci siamo trovati bene. Soprattutto coi mix frutta e verdura da bere. Giorgio è uscito di testa per mela e broccoli, per dire.
  • Alberghi: noi abbiamo soggiornato quasi solo in motel e catene, nulla di lussuoso, ma spesso era possibile avere un lettino da campeggio senza costi aggiuntivi. A volte però senza lenzuola, quindi a conti fatti meglio tenerlo nel lettone. La cosa davvero importante è cercare di avere sempre un microonde per scaldare colazione e pasti, un buon thermos ed una buona borsa frigor (noi abbiamo preso questa ed è una figata totale).
  • Altre esigenze: Walmart ha TUTTO.


Team:
Manq, la Polly e Puffo
Durata: 15 giorni
Km percorsi: 4200 indicativamente, tratte aeree escluse.
Mezzo di locomozione: Ford Flex
Spesa: 2500 euro (Ad adulto, indicativamente e compresa la quota bimbo)
Sponsor*: Walmart

VALUTAZIONE:
5 stelle

*Con Sponsor si intende il o i prodotti che si sono distinti per presenza costante durante il viaggio. Nessuno mi ha mai dato un euro per viaggiare, mai.