Vai al contenuto

Gennaio 2016

I vent’anni di Heavy Petting Zoo

“Heavy Petting Zoo” è il secondo disco punk-rock che ho comprato in vita mia. L’ho ordinato a Pick Up, il negozio che allora mi vendeva i CD, e c’erano volute delle settimane prima che mi arrivasse. Giovanni, il padrone, non aveva idea di che roba fosse e ricordo che, quando me lo consegnò, guardando la copertina fece un mezzo sorriso.
Mia madre non reagì allo stesso modo.
Da un figlio adolescente ti aspetti prima o poi delle preoccupazioni e quindi se un giorno ti torna a casa brandendo un disco con in copertina un tizio che molesta una pecora, credo sia legittima un po’ di perplessità. Sono i primi anni del liceo, hai appena smesso di essere uno studente modello per abbracciare il culto della sufficienza risicata e ora te ne esci con questa cosa del punk-rock. Da lì a drogarsi è un attimo. Sbaglierò, ma ad una certa i miei erano convinti mi drogassi.
Ho iniziato ad ascoltare un certo tipo di musica perchè suonava veloce e carico. Accendevo il walkman e mi andava in circolo l’adrenalina. Non era il messaggio, non c’era volontà di ribellione. Nichilismo, rabbia, emarginazione? Zero. I testi di quelle canzoni avrebbero potuto dire qualsiasi cosa, non lo capivo e non mi importava. Il processo era del tutto irrazionale, emotivo, e convogliava l’energia propria dell’adolescenza. Per dirla con una famosa citazione sentivo “una forza dentro di me che neanche io so spiegare come“.
E mi prendeva bene.
La musica aveva soprattutto lo scopo di farmi stare bene. Non è sempre stato così, ma lo è spesso e lo era sicuramente in quegli anni lì. Quando ti infili dentro la musica, quando ascoltare un disco non è il sottofondo a quel che fai, ma quel che fai e basta, è come quando bevi. Ti tira fuori quel che sei davvero e fa venire a galla le emozioni che quotidianamente filtri sotto tonnellate di sovrastrutture comportamentali. Credo sia la ragione principale per cui, su di me, il metal o il grunge non hanno grossomodo mai funzionato: io puntavo stare bene.
La prima volta che ho ascoltato HPZ, ovviamente da una cassetta duplicatami non saprei nemmeno bene ricordare da chi, per me fu una sorta di illuminazione. Bastarono 3’58” per definire con chiarezza che quello era ciò che avrei voluto ascoltare a ripetizione per i prossimi giorni, che diventarono poi mesi ed anni. Hobophobic parte drittissima e ti centra come una sberla. Schiacci PLAY e nei primi, boh, 10 secondi ti arrivano in faccia i Nofx, tutti insieme. Il basso, la batteria velocissima, la voce di Mike, le chitarre e quei cori armonici (?) così diversi dagli uo-oh da singalong puro che avevo conosciuto con gli Offspring. Un manifesto completo ed esaustivo in 10 secondi ad aprire un pezzo che prosegue senza sosta, senza pause, con quei colpi di tom pesantissimi e quelle rullate messe apposta per impedirti di riprendere fiato. Non hai letteralmente il tempo per capire cosa stia succedendo perchè quando pensi di aver preso le misure, di iniziare a orientarti, dopo 48 secondi convulsi, è tutto finito. Di botto. Come qualcuno avesse premuto un interruttore. Te ne resti lì come dopo uno di quei flash che quando ti capitano nella vita non sei sicuro di averli visti o sentiti davvero.
Ed è a quel punto che arriva lo xilofono.
Un jingle stupidissimo di xilofono è l’ultima cosa che mi sarei mai potuto aspettare dopo una partenza così ed è su quel primo “Bleah” che credo di essere definitivamente capitolato. Bandiera bianca e resa incondizionata. Fate di me ciò che volete, avete vinto voi. Vi amo. Ho passato mesi a consumare quel disco e ogni volta che lo ascoltavo lo trovavo semplicemente perfetto in ogni aspetto.
Oggi invece sono diversi anni che non lo ascolto, anche rispetto ad altri dischi dei Nofx. Quando ho deciso di buttar giù questo post ho provato ad andare a memoria e mi sono sorpreso di quanto fosse annebbiato il ricordo che ne ho in testa. Mentre scrivo non ho la minima idea di che pezzo sia “What’s The Matter With Kids Today?”. Non me la ricordo proprio e la cosa mi infastidisce a diversi livelli. Quindi mi prendo una pausa e mi riascolto il disco.

Madonna, che bomba di disco.
Alla fine non mi ricordavo davvero un mucchio di cose, ma quella che forse mi ha colpito di più è la voce di Mike. Non saprei dire, ma ho sempre avuto l’impressione che la sua voce su questo disco fosse diversa, in qualche modo, da quella presente in tutti gli altri. La prima volta che ho ascoltato “Punk in Drublic”, dopo mesi di monoteismo devoto a HPZ, l’ho fatto da una cassetta che sul lato B aveva i Rancid (Credo “Let’s go” [uno dei dischi invecchiati peggio tra quelli che ho in casa. L’ho messo in macchina un paio di anni fa e ci son rimasto malissimo. Radio sempre clamorosa però.].). Ricordo che al primo ascolto del nastro avevo il dubbio su quale dei due dischi fosse quello dei Nofx perchè in nessuno dei due riconoscevo la voce. Oggi mi sembra inconcepibile poterli confondere, ma fu così.
Io credo ancora che HPZ sia uno dei migliori dischi che i Nofx abbiano mai pubblicato. Probabilmente per una band che incide da più di vent’anni sempre lo stesso album sul gradimento personale pesa molto l’ordine cronologico con cui li si approccia, ma è pur vero che il disco con gli abusi sessuali alle pecore è diffusamente ritenuto un loro mezzo passo falso. A torto, ovviamente.
Nel booklet di “So long… and thanks for all the shoes” c’è una sorta di sezione FAQ in cui i nostri sostengono di aver registrato HPZ con l’idea di farlo piacere ad MTV. La cosa fa ovviamente sorridere, ma potrebbe non essere così lontana dalla verità. Ho sempre pensato che il “non avercela fatta” a finire nel turbine del punk-rock da televisione degli anni ’90 sia stato meno voluto di quanto i Nofx abbiano sempre cercato di sbandierare, almeno fino a questo disco qui. I soldi poi sono arrivati comunque e l’immagine di band integra che non si piega ai giganti della discografia ha contribuito molto nel farli arrivare, ma non scommetterei fosse quello il piano di partenza.
Resta il fatto che questo disco, additato da molti se non come il loro tentativo di vendersi, certamente come un disco troppo lento per piacere, contenga in realtà alcuni pezzi che non potrei mai togliere dalla (lunga) lista i miei preferiti in assoluto: “The Black and White” con la sua ritmica incredibile, “Bleeding Heart Disease”, “Hot Dog In A Hallway” (che è un titolo oltre il geniale) e la conclusiva “Drop the world”, con quella tromba che quando entra, ogni volta, mi mette addosso una pelle d’oca spessa un centimetro. Nel 1996 le mie preferite erano “Love story” e “Release the hostages” (che resta sempre un gran pezzo).

Questo disco oggi compie vent’anni.
I Nofx nel 2016 sono sempre gli stessi, solo più vecchi. Ho visto recentemente alcuni inediti della prima stagione di “Backstage passport” e, per quanto possa essere triste, vederli fare certe cose oggi mi mette addosso il malessere. Le ultime volte che li ho visti suonare (ormai anni fa) mi han dato l’idea di non reggere più il tiro della loro stessa musica, oltre che il peso delle sostanze che assumono prima di suonarla. Qualche mese mi è capitata sott’occhio un’intervista di Mike per i 25 anni della Fat Wreck e ascoltandolo non puoi fare a meno di pensare sia ancora un tipo tutto sommato stimabile, ma che forse i neuroni abbiano iniziato ad abbandonare la nave. E poi c’è la storia del calcione al fan sul palco, che probabilmente non ho mai digerito del tutto.
Eppure ancora oggi i Nofx sono quella band di cui nessuno parla né scrive su internet per sbrodolare dei bei tempi andati (presenti esclusi), ma che quando passa a suonare raccoglie un consenso ed una partecipazione trasversali. Come al liceo sapevano mettere insieme chiunque, dallo skater wannabe al fissato coi sex pistols, oggi richiamano sotto il palco un pubblico assolutamente eterogeneo. Ragazzini e quarantenni, gente che ha smesso di ascoltare questa roba da lustri e gente che ha iniziato ieri, oltre a chi, ovviamente, ci crede oggi come ci credeva nel 1996. Se pensate all’inossidabile ed invariabile scaletta che da vent’anni viene suonata nelle cosiddette “Discoteche Rock”, i Nofx sono l’unica band presente che non passasse anche per radio o in TV e qualcosa questo vorrà pur dire.

Io non ascolto più i Nofx da tantissimo tempo, ma ogni volta che mi capitano in mano i dischi vecchi mi sento davvero un fesso ad averli mollati a prendere polvere su una mensola. 
In ogni caso, quando mi arriva un messaggio o una notifica di qualche tipo sul telefono, parte un jingle stupidissimo suonato con lo xilofono.

Sarri, Mancini e le contraddizioni del calcio italiano

Non credo ci siano altri Paesi in cui il calcio sa tirare fuori contrasti ai limiti dell’assurdo come accade in Italia.
Prendiamo la questione Sarri-Mancini. In pratica l’allenatore del Napoli, evidentemente fuori dai gangheri, decide di insultare il suo collega e avversario e ha la malaugurata idea di dargli del “finocchio” o forse del “frocio”, non ho ben capito. Credo cambi poco.
Ovviamente è subito il pandemonio.
Giusto, viene da pensare, perché certi atteggiamenti andrebbero stigmatizzati con fermezza, specie nello sport dove dovrebbero regnare concetti come il rispetto dell’avversario e l’etica sportiva. Da lì lo scandalo, i cori di sdegno e le richieste unanimi di sanzioni.
Eppure qualcosa non mi torna.
Inizio a leggere in giro la parola “omofobia” e ho questa impressione per cui non sia del tutto chiaro quanto successo. Sarri ha voluto insultare Mancini e l’ha fatto con il primo appellativo offensivo che gli è filtrato dal cervello alla bocca. Non credo, anzi, sono sicuro non avesse in testa i gusti sessuali dell’allenatore nerazzurro.
Se dai del bastardo a un tale è perché pensi non sia veramente figlio di suo padre?
Ecco come la penso io: ogni lingua e ogni cultura comprenono gli insulti, che sono niente più che la manifestazione di mancanza di educazione. Personalmente trovo abbastanza ridicolo mettermi a fare dei distinguo su quali siano accettabili e quali no: nessuno dovrebbe esserlo.
Certamente ci sono insulti che esprimono più di altri carenze culturali nella popolazione che li utilizza. Un popolo che usa “frocio” come insulto è chiaramente un popolo di base omofobo, tuttavia molti di coloro che dicono “frocio” non lo fanno con lo scopo di denigrare le abitudini sessuali del bersaglio. Molti lo fanno perché è una parola comunemente usata allo scopo di attaccare/offendere l’interlocutore. Abitudine. Poi certo, se incontrando due ragazzi che si tengono per mano in strada grido loro “froci” è decisamente diverso, ma non è questo il caso. E poi, volendo davvero essere ipersensibili, non è forse altrettanto omofobo chi apostrofato come “Frocio” si risente?
Sarri è stato maleducato e soprattutto è venuto meno all’etica che dovrebbe stare alla base dello sport e per questo andrebbe sanzionato, ma sarebbe stata la stessa cosa se avesse dato a Mancini dello stronzo, eppure nessuno ne avrebbe fatto un caso.
C’è una sorta di moralità posticcia e forzata nel nostro calcio che, a mio avviso, è solamente dannosa e non aiuta ad educare.
Un altro buon esempio è il razzismo negli stadi, una gigantesca nuvola di fumo negli occhi.
Mi spiego.
In america hanno una cosa che si chiama “Trash talk” il cui principio è fondamentalmente insultare l’avversario, ferirlo più possibile a parole, in modo da deconcentrarlo e trarne vantaggio sul campo. Se lo chiedete a me è quanto di più antisportivo esista, ma è tollerato dalle regole. Il “tifo contro” è fenomeno del tutto accomunabile e non si può certo chiedere ad un tifoso la sportività che non si pretende dagli stessi atleti. Quindi se dando del negro o dello zingaro ad un calciatore, o facendo BUH ogni volta che tocca palla, riesco nell’opera di deconcentrarlo io sto centrando il mio obbiettivo di tifoso e non è per nulla scontato io sia razzista. Sopratutto, non vedo perché questa cosa vada criminalizzata quando è lecito cantare ingiurie alla madre morta di Materazzi o al fratello disperso (poi morto) di Kaladze.
Ma i contrasti assurdi non si trovano solo dentro il calcio. Il brutto è quando confrontiamo il calcio alla società e scopriamo che la seconda è molto peggio, sebbene nessuno purtroppo se ne lamenti. Non si tratta di benaltrismo eh, ma di priorità.
Un paese in cui Salvini fa politica non può risultare credibile quando prova a stigmatizzare il razzismo negli stadi. Non è un concetto di ipocrisia, che comunque è evidente, ma proprio di modus operandi.
Siamo un Paese razzista? Si.
Cambiare questa realtà si può, ma sono convinto che sia più facile il problema svanisca dagli stadi una volta ripulita la politica che forma l’opinione pubblica piuttosto che vice versa. Infatti il mondo del calcio è il primo a credere sia solo questione di immagine. Tavecchio va bene a tutti finché non esterna il suo pensiero (davvero razzista e omofobo in quel caso, roba che manco Trump…). Se importasse qualcosa a qualcuno il tizio non dovrebbe stare dove sta. Non dovrebbe nemmeno esserci arrivato, ad onor del vero, e invece le sue uscite diventano “gaffe” e le si insabbia appena possibile.
Stesso discorso per l’omofobia.
Non è pensabile che in un Paese in cui la forza teoricamente progressista e di sinistra è ancora ampiamente insicura in tema di diritti civili, il calcio debba provare in modo palesemente artificioso ad apparire irreprensibile in merito. È chiaro che l’operazione puzzi di finto. Specie quando la base del contendere è pretestuosa, come nel caso Sarri-Mancini.
In Italia ogni singolo campetto in cui giocano bambini e ragazzi è una cellula che accresce il cancro della diseducazione sportiva, alimentata da genitori ed allenatori incapaci di dare un esempio corretto.
Volendo risanare e dare un modello di comportamento, forse, varrebbe la pena partire da lì.

MTV Generation

Disclaimer: il titolo di questo post va pronunciato come foste Fred Durst.

Ieri su twitter è partito un fenomeno di revisionismo storico a tema MTV, il canale musicale che ha fatto da sfondo ai pomeriggi di moltissimi ex-ragazzi che oggi navigano nell’intorno dei 35 anni. Alla base di questa ondata di ricordi c’è la notizia vera o presunta dell’imminente ribrendizzazione (che bella parola, soprattutto scritta così, scevra di qualsiasi riferimento anglofono) di quello che oggi è il canale in chiaro di MTV, ovvero MTV8.
Premesse d’obbligo:
– Non ho idea se la notizia sia, appunto, vera o presunta.
– Non ho idea se MTV8 sia davvero un canale esistente oggi sul digitale terrestre, nè se questo sia davvero il discendente di MTV.
– In generale se ci fosse un decimo del fact checking sbandierato per sta vicenda in una qualsiasi delle situazioni della vita che richiederebbero davvero un fact checking, si starebbe tutti meglio.

Il punto è che al grido di #AddioMTV molti di noi si sono sentiti in diritto ti ripescare a piene mani dalla memoria per tirare fuori aneddoti e ricordi appartenuti ad un tempo in cui si stava tutti meglio. E quando ce la lasciamo scappare un’occasione per scivolare nella dolce malinconia dei giorni che furono? Io personalmente mai. Credo di aver iniziato con questa attitudine che ero ancora minorenne. Una vita proiettata costantemente indietro, che ha come faro il nume tutelare del “quando eravamo giovani”: Max Pezzali.
Così via libera a citazioni, immagini e ripescaggi improbabili. Certo, ogni cinque twit in argomento toccava leggere l’immancabile intervento di quello che “Eh, MTV è morta da dieci anni e ve ne accorgete solo ora” che ci sta nella misura in cui il mondo è evidentemente sovrappopolato, ma tutto sommato seguendo l’hashtag di cui sopra saltavano fuori robine di un certo spessore.

E quindi eccomi qui, col pensiero che forse due parole su MTV sarebbe anche carino scriverle.
Io MTV l’ho guardata tanto, davvero tanto, dai primi anni novanta fino ad un punto imprecisato in mezzo agli anni zero. Scrivo sforzandomi di non usare google per ricordare come andò, ma se la memoria non mi inganna è possibile la guardassi prima che nascesse ufficialmente come MTV Italia, cosa a quanto pare successa nel 1997 (sì, ok, ho usato google alla prima frase dopo aver detto che non l’avrei fatto. That’s me.).
Negli anni novanta tenere sotto controllo i canali musicali era di vitale importanza, perchè delineavano la linea netta ed incontrovertibile che separa il bene dal male. Tutto ciò che passava su MTV era commerciale e la roba commerciale andava disprezzata. Un manifesto chiaro, preciso ed inappuntabile.
Ai tempi della dicotomia MTV / TMC2 era al più lecito seguire la seconda, almeno per quanto riguarda la mia etica personale, ma ancora una volta unicamente sulla spinta dell’antagonismo radicale verso i VJs, TRL e compagnia. Che poi, se MTV Italia è nata nel 1997 e TMC2 è morta tipo nel 2000 (sto giro non googolo, ricordo di aver seguito l’ultimo giorno di trasmissioni su TMC2 con un forte dispiacere e di averne parlato alla mia morosa di allora che, giustamente, pensava fossi scemo a dare tutto sto peso alla cosa.), la battle of the brands (mi escono così) è stata molto più breve di quel che ricordassi.
Dicevamo, MTV come parametro di riferimento per dare una faccia al nemico. D’altra parte, lo dicevano pure i NOFX nel booklet di Heavy Petting Zoo: “No Thanks to: MTV” e siccome il nemico dei miei idoli era il mio nemico, discussione chiusa.
Col tempo però mi sono ammorbidito un tot nei confronti del canale musicale per antonomasia e ho iniziato a trovarci del buono. Tipo:

Ecco, lei era buona.
Mi ricordo ancora quando una sera partì un programma in diretta da Roma e condotto da Mao, non saprei dire il titolo, e Valeria, da sempre bionda, si presentò in studio mora, spiegandomi nel dettaglio il concetto di amore.
E’ un peccato che tra noi le cose non abbiano funzionato e lei si sia ostinata ad ignorare la mia esistenza negli anni in cui ero single (non proprio 2 su 34 eh, carina, avresti avuto margine cazzo…). C’est la vie.
Tornando ai lati positivi di MTV, il primo ed inarrivabile è l’avermi permesso di vedere Scrubs. Non so se vi ricordate la campagna mediatica con cui MTV aveva spinto il lancio della serie. Ne parlavano sempre, a tutte le ore ed in ogni contesto. Clip a sorpresa ogni 15′. Un martello. Quell’anno facevo già l’università e uscivo tutte le sere. Andavo con gli amici nel parcheggio di fronte a casa eh, non proprio nella movida milanese, ma ero fuori sempre. Tranne il giovedì, perchè c’era Scrubs. Le prime due stagioni di Scrubs sono la cosa migliore mai uscita da un televisore. Poi è diventato “solo” una roba oltremodo divertente, ma le prime due stagioni CAPOLAVORO, col caps lock.
Se lo chiedete a me MTV ha sempre dato soddisfazione soprattutto quando non trasmetteva musica.

Non solo però. Ad un certo punto, ad anni zero ormai inoltrati, la sera mi guardavo Brand: New e Sgrang! (si chiamava così il programma wannabe musica pesa? EDIT: No. Accentosvedese mi ricorda che il programma “peso” di MTV era Superrock. Sgrang! Stava su TMC2.). Ore di sciroppamento di musica alternativa comunque fastidiosa per beccare una tantum un video capace di svoltarti l’esistenza. Tipo. Ma anche. Va riconosciuto che quantomeno quello di Coppola fosse un bel programma. L’unico che ricordi, a conti fatti.

La fascia pomeridiana è sempre stata il peggio, anche una volta conclusa la mia parentesi di antagonismo a priori. Total Request Live. I danni che ha prodotto TRL sono incalcolabili. Erano gli anni del boom dei Blink 182 e Giorgia Surina, che sta alla musica quanto io sto a lei, li accostava a qualunque cosa avesse delle chitarre e/o velleità simpa. “Una cosa alla Blink” passava da elogio a dura critica ogni santo giorno in cui ella volesse spingersi al commento tecnico/tattico su uno dei pezzi passati nel programma. I riferimenti musicali di Giorgia Surina credo si componessero unicamente di U2 e dei tre singoli di Enema of the State. Fine. In coppia con Maccarini e poi con Cattelan riuscì nel non difficile compito di criminalizzare la parola EMO, regalandoci fenomeni come i LOST. Se la morte delle tv musicali implica non dover più assistere a cose tipo questa, è davvero avvenuta troppo tardi. Maccarini l’ho incontrato al Milano Whisky Festival un paio di mesi fa. Chi si sconvolge leggendo che i nati nel ’98 quest’anno diventano maggiorenni (cit.) dovrebbe incontrare per caso Maccarini nel 2016 e dare un senso reale al proprio sconvolgimento.

Una volta sono stato ad un programma di MTV, Supersonic o forse solo Sonic, conduceva Silvestrin. Enri lo usava palesemente per tirar dentro a suonare gruppi che piacevano a lui. La sera in cui ho presenziato io c’erano in cartello gli Undeclinable e Max Gazzè. Ricordo che avevo scritto in redazione chiedendo di poter partecipare per vedere i primi e mi invitarono. Forse perché l’unico (non è vero dai, c’era un altro tipo li per loro e mi aveva tirato un pippone sul dramma della cancellazione della prima data italiana dei New Found Glory.). Andai con Ciccio, che per l’occasione si era preso un paio di adidas che a detta sua avevano solo lui e un qualche personaggio di spicco dell’alternative mondiale. Silvestrin aveva la maglietta dei The Get Up Kids. Io ero probabilmente vestito come al solito. Fu bello, tutto sommato, ed è un peccato non ci siano tracce di quella puntata su youtube. La cosa mi suggerisce che forse non fu mai trasmessa. Ci starebbe.

In qualunque modo la si metta, MTV è stata un pezzo importante della formazione della mia generazione. Non so se fosse il caso di ingigantire una notizia o inventarsi un ipotetica ribrendizzazione (volevo riscriverlo, scusate) per parlarne. Certo è che una paginetta a tema su questo blog ci sta e, senza questa circostanza, probabilmente non sarebbe mai uscita. E forse per una volta sarebbe un peccato perché pur non avendo riletto ho l’idea mi sia uscita benino.

Il conte di Montecristo

[…]
La notte sfavillava di stelle. Erano in cima alla salita di Villejuif, sulla spianata da dove si vede Parigi che, come tetro mare, agita i suoi milioni di lumi che sembrano tutti fosforescenti, più numerosi e mobili di quelli dell’oceano, che non conoscono bonaccia, che si urtano sempre, e sempre s’infrangono, e sempre s’inghiottono fra loro.
Il conte scese e fece qualche passo, solo, e, dopo un cenno della mano, la carrozza si scostò di qualche metro. Allora considerò lungamente, e con le braccia incrociate, quella fornace in cui vengono a fondersi, a torcersi tante di quelle idee che dopo essere fermentate nel magma incandescente, sprizzano per andare ad agitare il mondo. Quindi allorché ebbe ben fissato il suo sguardo possente sopra quella nuova Babilonia:
“Gran città!” mormorò, chinando la testa e congiungendo le mani come pregando.
“Non sono ancora sei mesi che ho oltrepassato le tue porte. Lo spirito della Provvidenza che credevo mi vi avesse condotto, ora me ne allontana trionfante. Il segreto della mia presenza fra le tue mura l’ho confidato soltanto a Dio, che solo ha potuto leggere nel mio cuore, solo sa che mi ritiro senza odio, né orgoglio, ma non senza dispiaceri, solo sa che non ho fatto uso né per me, né per vane cause, del potere di cui mi ha fornito. Oh gran città! Nel tuo seno palpitante ritrovai ciò che cercavo, minatore paziente, ho rimescolato le tue viscere per farne sortire il male, ora la mia opera è compiuta, quella che ho creduto mia missione è terminata, ora tu non puoi più offrirmi né gioie, né dolori: addio, Parigi! addio!”
E volse lo sguardo ancora sulla vasta pianura, come quello di un genio notturno, quindi, passando la mano sulla fronte, risalì nella carrozza che si chiuse dietro di lui, e disparve ben presto dall’altra parte della salita in un nugolo di polvere.
[…]

Semplicemente uno dei libri più belli che abbia mai letto.