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GdR

Ho giocato Baldur’s Gate 3

Nella mia vita non sono mai stato un grandissimo videogiocatore, neanche da ragazzino. Ho giocato pochissimi titoli, a cui però ho dedicato tantissimo tempo. Tra questi, la saga di Baldur’s Gate è probabilmente l’unica su cui sono tornato diverse volte. La giocai tutta all’uscita in modalità single player per poi rigiocarla quasi immediatamente dopo costruendo l’intero party sulla scia del nostro party di D&D. Ricordo che registrammo anche tutte le voci per doppiare i personaggi, un lavoro oltre il maniacale di cui probabilmente ho ancora i file da qualche parte.
Poi la giocai l’estate della tesi di laurea, costretto a casa ad Agosto mentre gli amici si sparavano una vacanza on the road in California(1) e forse un’altra volta prima del 2020, quando durante il lockdown mi è sembrata la cosa più normale del mondo reinstallare tutto e ripartire ancora una volta.
Se ho passato gli ultimi due anni a monitorare ogni possibile sito di e-commerce nel tentativo di trovare una Playstation 5 al suo prezzo reale, senza cedere alle truffe dei vari Game Stop, è solo perchè sapevo che nel 2023 sarebbe uscito il terzo capitolo di questa saga.

Questo per dire che sì, c’era dell’hype.
Il gioco è uscito il 6 settembre e io l’ho finito in 2 mesi esatti, il 6 novembre.
L’ultimo salvataggio, quello che si genera automaticamente prima dello scontro finale, registra 129 ore di gioco effettivo, ma è una stima al ribasso. Per la tipologia di gioco che è, infatti, il dato non tiene conto dei passaggi in cui ho dovuto ricaricare e ripartire da un punto più indietro a causa di scontri finiti male e/o decisioni di cui non ero soddisfatto (ma di questo parliamo dopo). Sono quindi portato a considerare attendibile una stima di 150 ore di gioco effettive spalmate su 60 giorni, numero che calcolatrice alla mano mi addebita 2.5 ore di gioco al giorno per ogni fottuto giorno che dio ha mandato in terra tra il 6/9 e il 6/11 2023.
Tutti i giorni.
Anche quelli in cui ero via per lavoro e non avevo accesso alla playstation.
“Ma questo è impossibile!” starai pensando. E hai ragione, perchè tu giustamente non consideri che un essere umano possa privarsi del sonno per giocare ad un videogame, specie alla non più verde età di 42 anni. Eppure eccoci qui.

Baldur’s Gate 3 è un gioco meraviglioso.
Non ho titoli per definirlo il miglior RPG della storia, ma è sicuramente il migliore tra quelli che ho giocato io. La cosa davvero magnifica però è che lo è al netto della storia che racconta. Non che la trama portante sia brutta, non lo è per niente, ma a me sono servite almeno metà delle ore di gioco per poterci entrare ed iniziare davvero ad interessarmene. Per lunga parte della mia esperienza il mega plot che dà origine agli eventi è rimasto sullo sfondo, costantemente offuscato da interessi più marginali ed immediati, che fossero relativi a side quest o allo sviluppo di rapporti interpersonali con altri NPC. 
Perchè la caratteristica senza dubbio migliore di questo gioco è che puoi davvero (DAVVERO!) giocarlo di ruolo, ad un livello di libertà e coerenza interne che non avevo mai visto prima in un videogioco(2). Non si parla quindi solo di operare alcune scelte o, ancora più classico, di giocare il proprio PG buono o malvagio, ma di percorrere una strada fatta di grigi, in cui definita l’idea che abbiamo del nostro personaggio la si possa adattare a scelte diverse in circostanze diverse, rendendo di fatto ogni storia “unica”. Per quello mi capitava di ricaricare dopo qualche decisione, perchè dentro di me sentivo che non fosse giusta per il PG, non perchè la ritenessi sbagliata in senso assoluto o controproducente. Senza voler fare spoiler, io ho scelto di giocare la storia usando il personaggio che avevo creato per la nostra campagna storica di D&D. Chiedendogli di riassumere la sua filosofia di vita, risponderebbe: “Va beh, se proprio devo salvare il mondo per risolvere ‘sto mio problema, oooook…”. Nulla di particolarmente elaborato, ma siamo comunque dalle parti di un personaggio che non è interessato particolarmente a fare del bene, ma non è neanche votato alla malvagità. Non è nemmeno il classico opportunista, però, perchè sceglierà sempre la via più “etica” per ottenere il proprio tornaconto, anche quando questa non dovesse essere la più semplice o immediata. Un personaggio di questo tipo non è facile da inserire in un RPG, perchè la maggior parte delle volte i giochi tendono a schiacciare questa propensione al bene per proprio tornaconto in una propensione al bene e basta, snaturando l’idea del PG in qualcosa di piuttosto diverso. In Baldur’s Gate 3 questa cosa non succede e sono rimasto impressionato da quanto la mia idea di personaggio potesse stare all’interno del gioco in maniera coerente e, anzi, fosse supportata dal gioco stesso nelle scelte che mi poneva di fronte. 
Altro aspetto superlativo riguarda i personaggi non giocanti, che non sono solo bellissimi e profondissimi, ma che hanno davvero una propria volontà ed indole, che il gioco ti permette di non offuscare e allineare forzatamente a quella che è la linea del personaggio giocante. Tantissime scelte compiute per gli NPC, per portare avanti le loro storie personali, lasciano al giocatore l’opzione di mettersi in disparte e lasciar loro la possibilità di agire per come sono stati pensati da chi li ha scritti. Anche qui, senza voler fare spoiler ci sono almeno un paio di finali “amari” per alcuni dei personaggi di contorno che fanno parte del gruppo, ma assumono tutta un’altra dimensione e carica emotiva se ci si arriva consci del fatto che quella sia la loro volontà e non qualcosa che dipenda dalle scelte che abbiamo compiuto noi per loro.
Insomma, Baldur’s Gate 3 è un gioco di ruolo VERO ed è quella la cosa per cui è valsa la pena buttare due mesi di sonno.

Altre note sparse.
– Tecnicamente e visivamente è molto ben fatto. Si bestemmia un po’ con la telecamera, specialmente durante alcuni combattimenti, ma è tutto gestibile.
– Giocarlo con il pad è di un’immediatezza incredibile, cosa che mai avrei pensato.
– La struttura dei combattimenti a turni mi è piaciuta tantissimo ed è gestibilissima anche da chi non conosce il sistema di gioco, per quanto probabilmente avere una padronanza della 5a edizione di D&D porti alla possibilità di strutturare i combattimenti in maniera ancora più strategica. Io non sono mai stato quel che si definisce un power player, ovvero uno di quelli che si studia ogni regola per creare il personaggio più forte possibile o la combo di attacco più letale. Io ho sempre giocato solo per l’aspetto interpretativo, spesso costruendo personaggi che nei combattimenti risultano utili quanto una pala da neve ai caraibi, quindi probabilmente ho commesso tanti errori nella scelta di abilità e incantesimi o nella meccanica di approccio agli scontri, ma ciò nonostante sono andato avanti senza troppi intoppi.
– L’ambientazione in cui ci si muove è davvero ben fatta e permette di calarsi in pieno dentro al mondo di gioco, anche quando l’azione si svolge in contesti e ambienti che non amo. Muoversi attraverso le vie di Baldur’s Gate, nell’ultimo capitolo del gioco, è qualcosa di incredibile. Non raggiungevo un livello così di immersività dai tempi di Red Dead Redemption 2.
– Gale è il miglior NPC di sempre.
– L’unica nota negativa, forse, è l’aver messo un cap ai livelli dei personaggi un po’ troppo basso. Non tanto perchè ambissi ad arrivare a chissà quale livello superiore, quanto perchè ho praticamente giocato tutta l’ultima parte di gioco già al massimo della “potenza” del mio party, cosa che ha reso le sfide meno difficili e stimolanti. Vero è che io ho giocato praticamente ogni side quest trovata, andando abbondantemente oltre la mole minima di gioco necessaria a chiudere la storia, ma forse sarebbe stato possibile bilanciare meglio questo aspetto.

Se vi capita, giocatevi Baldur’s Gate 3.
Io sto già pensando di ripartire, magari con l’opzione “oscura pulsione” che però giocata ora è certamente meno misteriosa di quanto fosse in origine.
Intanto, vi saluta Malcer.

1. maiali.
2. e che spesso mancano, purtroppo, anche se si gioca da tavolo.


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Il film di D&D

È uscito Dungeons & Dragons – L’onore dei ladri e ieri l’ho visto al cinema.
Per me la miglior trasposizione possibile di una sessione di D&D che giocherei con gli amici, quindi adesso facciamo che metto qui il trailer e chiudo la parte spoiler-free, poi sotto al video ne parlo in dettaglio.
Andate a vederlo al cinema, vi prego, perché voglio ne escano almeno altri dieci.

Se fai un trailer in stile honest trailer è già abbastanza chiaro il livello di strizzatina d’occhio a cui aspiri, quindi da un lato mi compri subito, ma dall’altro mi si attivano tutti i sistemi d’allarme possibili. Mi piace mi si faccia l’occhiolino, ma dipende sempre da chi me lo stia facendo e quanto riesca a non rendersi ridicolo nel farlo.
Secondo me, quindi, un buon modo per iniziare a parlare di questo film é valutare il livello di fan service che ci hanno messo dentro.
Quanto ce n’è?
Tanto.
Dá in qualche modo fastidio?
No.
Certo, dipende dal tipo di approccio che si ha con il materiale di partenza.
Dungeons & Dragons è un gioco vecchio e reso popolare da una generazione di nerd che non hanno minimamente a che fare con l’accezione attuale del termine. Non vorrei fare una digressione troppo ampia, ma il termine nerd ha un percorso uguale ed inverso a quello del termine emo. Entrambi hanno stravolto il loro significato nel processo di sdoganamento verso l’uso comune, solo che “Nerd” è passato dall’essere un insulto destinato ad una cerchia di persone con evidenti problemi di relazione al mondo esterno, ad una sorta di etichetta spesso auto-assegnata che in qualche modo certifichi la figaggine e l’alternativismo di chi se la sente addosso. Ad “Emo” è successo l’esatto opposto.
C’erano quindi due rischi da scongiurare facendo questo film. Il primo era di fare qualcosa che usasse D&D solamente come marchio per portare in sala i rimastoni come me, ma che puntasse in realtà a chi pensa di essere un nerd perché ha visto Stranger Things. Un film in cui due o tre “sottili citazioni” (che non chiamerò easter egg per evitare di indisporre il Governo) vengono annacquate in una poltiglia hypster e anonimissima, priva della reale intenzione di trasporre lo spirito del gioco e volta solo a monetizzare cavalcando una moda che tiene fino a che resta superficiale.
Il secondo era quello di puntare forte sul target originale, prendendosi drammaticamente sul serio e cercando di trasporre tutti i must dei veri fanatici del gioco. Fare una sorta di Bohemian Rhapsody, per dare un riferimento. Occhio che questo non vuol dire per forza fare un film cupo, drammatico o traboccante di epica per metallari puzzolenti. Nessuno produrrebbe un film così, oggi. Quel che invece si fa di continuo è scrivere storie seriosissime, con personaggi (super)eroici, e farcirle di spalle comiche e gag da barzelletta del cucciolone che sembrano incollate a forza nel contesto. Ecco, il film di D&D non fa questo errore.
L’Onore dei Ladri sceglie un tono e lo tiene per tutto il tempo, con una coerenza rara. Il tono è quello del cazzeggio e, santo Dio, è il tono che ogni sessione di D&D divertente dovrebbe avere. Hanno trasposto il gioco nella sua giocositá e lo hanno fatto tramite gag che ogni giocatore di D&D ha vissuto con gli amici, ma che sono sempre abbastanza ricercate da non risultare stucchevoli perché trite e ormai abusate. Per fare degli esempi: non c’è il nano che litiga con l’elfo, c’è parlare coi morti; il personaggio del barbaro non è stupido, è diretto e quindi a volte fuori luogo. Cose così.
Se poi parliamo delle scelte che legano più fortemente il film al gioco e alla sua community, per me sono stati perfino raffinati. Le classi dei personaggi sono ben rappresentate, stereotipate il giusto da farle arrivare anche a chi non mastica, ma senza eccedere nel caricaturale; la magia, elemento difficilissimo da bilanciare in scrittura, trova il giusto spazio e riesce anche a trasferire quel senso di “uso creativo degli incantesimi” tipico di chi gioca a D&D; con il personaggio dello stregone sono anche riusciti a farmi percepire la crescita di potere che in gioco si ottiene al passare dei livelli.
E poi i mostri.
Tanti e usati spesso anche solo per dare colore al mondo. Alcune creature come il mimic o il cubo gelatinoso sono evidente fan service ai giocatori di vecchia data, altre come la belva distorcente provano a dare quel tocco di ricercatezza che ogni giocatore vorrebbe dal proprio master (la frase “Hai un cazzo di manuale da centinaia di mostri, possibile si debbano incontrare sempre i soliti quattro???” l’abbiamo pensata tutti almeno una volta). Pure il drago viene proposto in maniera perfetta perché è simultaneamente demitizzato, ma senza ledere al suo essere comunque una delle creature più temibili del mazzo.
L’orsogufo invece mi piace pensare l’abbiano messo proprio per me. Mostro preferito di sempre.
Niente, più ci ripenso per scriverne e più mi convinco abbiano fatto esattamente il film che volevo e speravo facessero. Sui canali social del gioco lo stanno presentando alludendo ad un D&D Cinematic Universe e, non so che dire, io ci spero fortissimo.


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La Spada

Chi mi conosce sa della mia passione per i giochi di ruolo, che in realtà è una passione per Dungeons & Dragons visto che nella mia vita ho giocato poco altro. Non che faccia davvero la differenza, a voler essere pignoli: per come l’ho sempre vissuta io, il GdR è tutta questione di costruirsi mondi e avventure fantastiche nella testa e poco importa il sistema di regole che si utilizza per farlo. Il target di questo post però sono i NERD e Dio solo sa quanto questi ultimi sappiano spaccare il cazzo con precisazioni inutili e fastidiosamente puntigliose, di conseguenza meglio essere rigorosi fin da subito. Anche perché, pur essendo lampante come un pistolotto introduttivo del genere dissuada chiunque dal proseguire la lettura, questo resta un post che parla di giochi di ruolo nel 2016 e quindi non c’è davvero pericolo che qualcuno stia effettivamente leggendo.
Va beh, torniamo al sodo.
All’inizio dell’anno mi sono deciso a buttare giù questa avventura, la cui idea di base mi gira in testa da tipo quindici anni. Per una serie di ragioni che non starò ad elencare non mi ero mai messo a darle una forma vera, scritta, con l’impegno necessario a chiuderne il plot per bene, eppure ciclicamente mi tornava fuori questa voglia di lavorarci su. A differenza delle N volte precedenti, questo giro ho fatto il grande passo ed ho iniziato effettivamente a riversare le idee su carta. Siccome più andavo avanti e più la cosa mi dava gusto, a crescere è stata anche la voglia di fare le cose per bene.
Il risultato dei miei sforzi è questa cosa qui.

Di cosa parla?
Parla di divinità malvagie, artefatti potentissimi ed eroi che provano a sconfiggere le prime e recuperare i secondi. Nulla di particolarmente innovativo, eppure penso di aver messo giù il concetto in modo personale, costruendo non solo un’ambientazione mia in cui svolgere il tutto, ma anche dei personaggi abbastanza profondi da rendere interessante l’interpretazione e l’interazione tra i giocatori.
Come è costruita?
È un’avventura per 5 giocatori (4 PG e un DM) basata sull’edizione 3.5 di D&D. I personaggi sono pre-costruiti sia per caratteristiche che per background, in modo da inserirsi perfettamente nella storia. È un’avventura piuttosto classica nello svolgimento: si interagisce, si combatte, si esplorano aree e si può anche investigare un po’.
Non è il classico fantasy colorato e “cafone”, piuttosto un medioevo cupo e darkeggiante, con qualche pennellata di magia che si mescola ad ettolitri di superstizione.
Quanto dura?
Non saprei dire, dipende molto dallo stile di gioco e dal Master. In linea di massima 6 ore di gaming dovrebbero bastare, poi possono essere 4 come 8.
Cosa c’è nel file?
Tutto quel che serve: avventura, schede PG, allegati da fornire ai giocatori. Tutti i file grafici sono in alta definizione ed in versione stampabile e questo è il motivo per cui il download è piuttosto pesante (circa 80 mega).
La si scarica cliccando sull’immagine della copertina, oppure qui.
E’ gratis?
Sì, però il file è protetto e per sbloccarlo serve una password. Il motivo è che mi piacerebbe sapere chi la vuole giocare e, sopratutto, nel possibile vorrei evitare qualcuno la spacciasse come propria. Chi è interessato può scrivermi nei commenti e avrà la password.
Si può usare per un eventuale torneo?
Sì, è pensata proprio per quello e in fondo c’è anche una sezione per il conteggio dei punti. Se interessa, basta chiedere e se ne parla.
La parte grafica l’hai curata tu?
No. Ho preso immagini dal web, sperando nessuno si offenda. Alcune le ho modificate per necessità, ma in generale è tutta roba fatta da altri, che ringrazio. Mi rendo conto ora che potrei citare gli autori, ma ho cercato tutto tramite google immagini e non mi sono annotato i siti di provenienza. My fault. Non avendo alcuna velleità commerciale, spero la mia buona fede risulti credibile.

Questo è quanto.
Come detto, i giochi di ruolo sono da sempre una passione e mi piace scriverci cose sopra. Sto anche scrivendo le cronache della campagna in cui gioco con gli amici, sotto forma di blog. Riassumo ogni sessione raccontandola col POV di uno o più personaggi giocanti. Siamo fermi da un annetto, ma a gennaio riprenderemo. Il link al blog lo metto qui. Mi ci sbatto non poco, insomma.
Son cose.

In risposta ad un brutto articolo.

Delle cose brutte della rete ho appena parlato. Nel dettaglio, la cosa brutta dei social è che c’è sempre qualcuno che ti mette a conoscenza di contenuti che avresti fatto volentieri a meno di leggere (grazie eh.). Questo è un problema, perchè quando leggo qualcosa che mi da fastidio in rete, io ho questa irrefrenabile necessità di rispondere a tono. Questa volta, tuttavia, rispondere all’articolo a tema Giochi di Ruolo di Massimo Montani e Gilberto Gerra in un commento sul loro sito mi sembrava onestamente troppo poco. La questione richiede infatti un’analisi un po’ più dettagliata e credo che questo spazio abbia ancora un senso per questo genere di operazioni.
Innanzi tutto però, ci vuole un link all’articolo che mi appresto a commentare: eccolo.
So cosa state pensando. L’ho pensato anche io. “Eh, vabbeh, ma hai visto il sito? Papaboys.org… Dai… non vale manco la pena star li a perderci tempo…”. Questo però è un commento non solo molto superficiale, ma anche dannoso, perchè sottostimare il nemico è sempre la prima causa delle sconfitte. Quindi adesso mi metto sotto e commento il pezzo in questione in maniera seria e possibilmente precisa, cercando di non cedere a facili ironie e di non buttarla troppo in caciara.

“L’espansione della pratica dei giochi di ruolo ha sollevato da più parti perplessità e allarme: l’ambientazione spesso irreale o truculenta, il carattere totalizzante e la lunga durata di questi “giochi ” porterebbe a fenomeni di alienazione e dipendenza fra i praticanti. L’articolo che segue prende dettagliatamente in esame il rischio reale.”
Come sarebbe sempre auspicabile per chi si prefigge di scrivere un testo informativo/divulgativo non ascrivibile alla sfera delle mere opinioni personali, sarebbe buona cosa indicare delle fonti. Vorrei sapere questo sollevamento da più parti di che parti è composto, ad esempio, come capire chi abbia teorizzato la connessione tra GdR e fenomeni di dipendenza e alienazione.

“La diffusione del “giochi dl ruolo” tra gli adolescenti, nell’età della difficile ricerca personale, è estremamente preoccupante e dovrebbe suscitare interrogativi non banali negli adulti. L’impiego di questo materiale riguarda un gran numero di giovani, a diversi livelli di coinvolgimento psichico ed emozionale, con conseguenze sul comportamento che non è semplice valutare.”
Io su questo posso pure essere d’accordo. Non condivido l’assunto, ma non trovo mai sbagliato che un genitore si interessi alle pratiche del figlio ed è proprio per questo che articoli come quello che sto commentando sono molto pericolosi, perchè non aiutano un genitore a capire. In effetti non è quello lo scopo. Un genitore che voglia davvero approfondire di cosa si tratti quando si parla di GdR non credo possa prendere in considerazione articoli senza fonti che spacciano per assodate teorie tutt’altro che dimostrabili. E’ più facile però che il pezzo trovi terreno fertile in chi non ha per niente voglia di capire, ma cerchi un’opinione preconfezionata da fare propria in merito per porsi poi di conseguenza nei confronti dei figli. Un nuovo dogma fatto per gente che ragiona per dogmi. Se scrivessi che avere genitori così è molto più dannoso di qualsiasi pratica GdR e che le cause di eventuali disturbi relazionali e/o tossicodipendenze andrebbero ricercate in quello, ma non avessi fonti a supporto della mia teoria, questa resterebbe mia personale opinione. Capito come funziona?

“Certo non è sensato liquidare il problema sbrigativamente, considerando questa, al pari di altre, la moda legata ad una effimera sottocultura: troppo evidente è la difficoltà degli adolescenti del nostro tempo a pensare un proprio futuro, a riconoscere la propria identità sostanziale, a polarizzare l’esistenza rispetto ai sistemi dei valori, per sottovalutare strumenti “ricreazionali” che proprio con l’identità inducono a giocare.
E ancora la diffusione di disordini psicologici e comportamentali che includono la ricerca delle “sensazioni forti”, al di fuori di un quotidiano grigio, la incapacità a distinguere tra reale e virtuale, la povertà di percezione e comunicazione delle emozioni suggeriscono la possibile corrispondenza ambigua di questi “giochi alle patologie sociali emergenti.”

Come detto all’inizio, “liquidare il problema sbrigativamente” è proprio l’errore che non voglio commettere. Di questo paragrafo, che non fa che ribadire quanto già detto e quindi non necessita particolari commenti, mi soffermerei sull’associazione del GdR alla ricerca di “Sensazioni forti”. Devo riconoscere che il nesso mi è completamente oscuro, quindi mi piacerebbe avere una spiegazione. Stiamo dicendo che un adolescente in cerca di sensazioni forti, nel 2014, sceglierebbe di sedersi ad un tavolo con degli amici ed usare la fantasia?

“L’ambientazione dei giochi include, nella migliore delle ipotesi, il mondo magico, del mistero, pieno di incantesimi, maghi, fate, elfi, guerrieri mitici; tematica classica lo scontro tra il guerriero buono e il potente malvagio: l’adolescente respira una mentalità fatta di destini ineluttabili e di insormontabili maledizioni, si immedesima in una cornice piena di ultra-poteri e di mitologie che pongono ristretti limiti alla libertà della persona.
Nei casi peggiori, e molto frequenti, l’ambiente dei giochi è quello dei mostri, dei vampiri, dell’horror più cruento, dell’occulto e dei riti iniziatici. Si va dagli amuleti stregati all’immedesimarsi nel divorare carogne e al rivivere di cadaveri: un supermercato del sacro, dell’”aldilà” e del sacro-satanico non lontano dal modo di pensare che conduce ad aderire a gruppi o sette di questo settore.”

Sarebbe facile fare dell’ironia e sottolineare che nel leggere di “destini ineluttabili e insormontabili maledizioni” la prima cosa che mi è venuta in mente è il peccato originale. Così come leggendo di “cornici piene di ultra-poteri e di mitologie” è impossibile non pensare alla Bibbia. L’idea però è di tenere il discorso su toni civili. Mi fa riflettere l’idea che per qualcuno “ristretti limiti alla libertà dell’uomo” possa avere connotazione negativa anche solo nell’ambito dell’immaginario. Inoltre, continuo a non capire su che base la finzione e l’immaginazione possano aprire le porte a certe derive in assenza di una predisposizione psicologica dell’individuo stesso. Mi si spieghi, magari con delle evidenze scientifiche a supporto.

“Il bravo giocatore è quello che sa immedesimarsi meglio nel ruolo prescelto o assegnato; viene molto apprezzato per le soluzioni intelligenti, per le risorse personali che sa tirare fuori per districarsi nei passaggi più difficili del gioco: i giochi di ruolo sono per gente “smart”, intelligente, brillante, astuta che guarda dall’alto in basso chi si accontenta degli spaghetti, della fidanzata e della vita reale: un cimento per uomini un pò “superiori”, o che comunque presto nel gruppo stabiliranno una gerarchia di “superiorità” in base alle capacità e all’intuito. Si afferma così l’atteggiamento mentale che, attraverso un “cammino di perfezionamento”, consentirebbe alla persona di raggiungere grandi risultati, ignorando limiti e relazioni interpersonali: è l’ottica utilizzata nei percorsi delle sette del “potenziale umano”.”
Lo ammetto, qui ho riso. Per tutto il mondo il giocatore di ruolo è, essenzialmente, uno sfigato. E’ uno stereotipo odioso, ma basato su una casistica di “nerd” anni ’80/’90 indiscutibilmente rilevante. Lo so perchè è un mondo che conosco bene e che ho frequentato a lungo. Credo questa sia l’unica volta in cui leggo che i giocatori di ruolo in realtà sono, parafrasando, gente smart che se la mena e taccia di inferiorità i ragazzi “normali”. Mi sembra una fotografia talmente fuori fuoco della questione, da pensare che l’articolo tutto sia in realtà una sonora presa in giro. Purtroppo non lo è. Ancora una volta, resto sbigottito nel leggere che il concetto di “cammino di perfezionamento che consente alla persona di raggiungere grandi risultati” sia un qualcosa di diseducativo. Va detto che ignoro cosa siano “le sette del potenziale umano”.

“Il fatto più inquietante è che la metodologia di tali giochi presenta forti assonanze e probabilmente una origine comune con modalità utilizzate all’interno di particolari forme di psicoterapia di gruppo: in questo ambito il terapeuta, conducendo il gruppo utilizza l’assunzione di ruoli per i pazienti, al fine di far emergere aspetti interiori inespressi, facilitare l’introspezione, rimuovere inibizioni, suggerire strategie di cura e ottenere effetti catartici.
Diviene impensabile che strumenti così delicati, utilizzati da terapeuti abilitati, nei limiti di ben precisi vincoli deontologici, e con competenze specifiche, vengano impiegati in modo aspecifico, dati in pasto, attraverso dettagliatissimi “manuali”, a chiunque li acquisti.”

Insisto imperterrito a prendere sul serio il testo e rispondere nel merito, pur iniziando a fare fatica. L’idea di base è che siccome esistono le auto di F1 e che per guidare le auto di F1 bisogna essere piloti esperti, dovrebbe essere vietato vendere le automobili comuni.

“Il leader naturale di un gruppo dl adolescenti verrà dotato, attraverso il gioco, di approfonditi elementi metodologici per indurre altri nei ruoli previsti dal gioco stesso: il manuale gli suggerisce tutti i fattori necessari, gli atteggiamenti, i comportamenti, il modo di sentire e di pensare: le sue capacità carismatiche verranno ampliate da questa “dotazione” senza che alcun riferimento etico sia garantito: si vede con facilità il rischio dell’ instaurarsi di dipendenze e sudditanze, di prevaricazioni e strumentalizzazioni che esulano dalle normali dinamiche di un gruppo adolescenziale.”
Io non lo vedo con facilità. Seriamente. Vorrei mi si spiegasse il concetto in maniera più chiara perchè così scritto non ne capisco il senso.

“La cosa diviene ancor più seria se si considerano i tempi del gioco: non si tratta di incarnare il ruolo di un personaggio fantastico per una o due sere, ma per molti mesi di seguito: occorre immaginare come ci si sente rivestendo il carattere del killer, del vampiro, della vittima, dell’ impiccato o dell’oste menzognero per 12 – 18 mesi.
“Il gioco migliore – ci ha detto con entusiasmo uno dei giovani coinvolti – è quello che non finisce mai, che dura tutta la vita” : un immedesimarsi che sostituisce irreversibilmente il ruolo fittizio e condizionato alla persona e alle sue scelte.”

Cerchiamo di capirci. 12-18 mesi è una tempistica data da chi? Su che base? Ci sono ragazzi che giocano a GdR per 12 mesi consecutivamente senza interrompere? Se ci sono pause, di quanto sono? Con che cadenza avvengono le sessioni di gioco e quanto durano? Non vi sembra di buttare lì numeri e dati senza il minimo raziocinio? Mi piacerebbe anche sapere chi sono i “giovani coinvolti” interpellati da chi scrive, perchè ho la sensazione, il dubbio anzi, che le loro parole siano state stravolte o perlomeno reinterpretate.

“Il leader del gruppo diviene un “master”, un coordinatore-facilitatore che ha il compito di condurre il gioco: di solito personalità “dominanti”, ad elevata autostima, forte determinazione, spunti di tipo narcisistico-istrionico assumono il ruolo di master; questi soggetti tradiscono una forte aggressività rivolta verso gli altri, ma la capacità di controllare i pari senza prevaricazioni aperte o cruente.
I soggetti alla ricerca di identità, piu attratti da prospettive ideali, che trovano disattese nella società reale, con caratteri di fondo non lontani dal pattern depressivo, o con personalità passivo-dipendente, si adattano al ruolo di giocatore e ricevono punto per punto dal manuale le informazioni necessarie alla definizione di sè: come devono essere “fisicamente”, come sentirsi psicologicarnente, quali atteggiamenti assumere: un vero e proprio stato di dipendenza può instaurarsi nei confronti del master: “Tutto dipende dalla bravura del master – ammette un giocatore di diciotto anni – se ci sa fare il gioco diventa straordinario” ; il ritorno ad una realtà senza ruoli predefiniti e senza guida può essere disorientante.”

Forse ho capito dove sta il problema. Non c’è malafede. Gli autori presuppongono un approccio al GdR simile a quello che loro, presumibilmente, hanno nei confronti della religione. Qui ad esempio parlano del Master come fosse un prete, ma soprattutto nel secondo paragrafo descrivono come si possa trovare nel GdR, a detta loro, quello che dovrebbe invece fornire la religione. Risposte e speranze che sono disattese dalla vita reale. Sì al regno dei cieli, no ai Forgotten Realms. Se letta così, allora tutta questa operazione ha certamente più senso. Restando sbagliata, ben inteso. Io non discuto ci sia chi ha bisogno di trovare alternative irreali alla propria esistenza per poter vivere sereno, ma a questo punto il problema è questo tipo di approccio, non la risposta che si sceglie nel perseguirlo. Chi si abbandonasse alla fede nel modo in cui loro presuppongono ci si debba abbandonare al gioco, è forse meno preoccupante? Non direi.

“Il master racconta: è la voce fuori campo, il filo conduttore, il narratore, tra le pagine di un libro, che dà colore agli avvenimenti, ai luoghi, ti fa entrare nelle situazioni. Può essere più o meno direttivo, svolgere il ruolo di un semplice “facilitatore” o suggerire con autorità incondizionata il canovaccio su cui i giocatori costruiscono la loro parte.
Permette di scegliere i personaggi o li assegna a seconda delle caratteristiche dei giocatori: anche in questo caso un ambito ricreazionale di apparente libertà si trasforma in luogo di stigmatizzazione, nell’assegnazione di “etichette” che, della persona, pretendono di esaurire le potenzialità in modo rigido e riduttivo.”

Siamo sempre lì. E’ ovvio che chi scrive presuppone un’apertura mentale nulla di chi gioca che probabilmente gli è propria.

“Il gioco è tutto mentale, non fisico, non agito: le paure o l’impatto con la concretezza, con la vita misurabile, con “l’alterità” degli altri senza mediazioni sono rimandati a un futuro senza definizione; il virtuale fa da ricettacolo per la sensazione di inadeguatezza a relazioni interpersonali “vere”‘, fatte anche di accettazione dei propri limiti e dei problemi degli altri.
Le conseguenze di quest’immersione nel virtuale, che si estendono alla vita di tutti i giorni, hanno proporzioni non valutabili. I rapporti sessuali al di fuori della coppia stabile sono liberati da “fastidiosi sensi di colpa” se avvengono in conseguenza dell’assunzione di un ruolo per gioco: la violenza o i comportamenti autodistruttivi non sei tu che li agisci, ma il tuo personaggio che ti è rimasto “appiccicato” addosso, quindi sono resi più giustificabili.”

Immagino che in altro articolo i due autori illustrino le deviazioni mentali di chi, per lavoro, fa l’attore. Oppure che combattano una lotta contro l’insegnamento della recitazione o del teatro nelle scuole. Basta recite negli asili. Basta rappresentazioni della natività in Piazza a Natale. Ok, sto sconfinando nel sarcasmo, chiedo scusa.

“Il gioco “Vampire”, ambientato tra creature della notte, non-morti o morti-viventi, definisce del vampiro i caratteri fisici, psicologici, attitudinali, “vampirici” e gli ultra-poteri: pregi e difetti del personaggio che emergeranno nelle varie partite e che consentiranno l’assegnazione di punteggi negativi o positivi.
Un pregio del vampiro proposto agli adolescenti è l’inappagabile desiderio di uccidere, un’altra caratteristica presentata come positiva è la “duplice natura”, la natura ambigua della creatura vampirica, divisa in se stessa. Un tipico difetto del vampiro è rappresentato dagli incubi notturni che lasciano strascichi la notte successiva rendendo più difficili le azioni nel gioco: non si richiede la competenza dello psichiatra per comprendere a quali gravi forme di destrutturazione della personalità ci si possa trovare di fronte in seguito a queste “innocue assunzioni di ruolo; quali percezioni distorte di sè possano essere indotte.”

Dissento. Per ipotizzare “gravi forme di destrutturazione della personalità” conseguenti al gioco di ruolo servirebbe, quantomeno, la competenza di uno psichiatra. Per fare una diagnosi, a casa mia, serve il dottore.

“Se da un lato la violenza e l’ambiguità, il sangue e l’onnipotenza sono i fattori determinanti comuni di queste trame, dall’altro una vera e propria esplicitata intenzione all’esplorazione dell’insight, del sè profondo, è oggetto di specifici glochi.
Sul gioco Kult c’è scritto: “Pericoloso: questo gioco conduce ad esplorare aspetti oscuri della tua anima; questo può arrecare disturbo a qualcuno: vietato ai minori di anni 16″ : quale sia la finalità di sintetizzare aspetti profondi di sè all’interno di un gioco non è facile intuire: certo l’aspettativa di un feeling interpersonale non superficiale, nelle dinamiche di gruppo, si va affermando sempre più e la stessa aspettativa è espressa dai consumatori di pastiglie nelle discoteche, i derivati anfetaminici definiti, proprio per il loro ruolo “‘entactogeni”.
Questo conoscersi fino in fondo ed esprimere agli altri la propria identità sostanziale risponde da un lato ad una esigenza positiva, ma c’è da chiedersi come mai debba essere mediato, nel nostro tempo, dal gioco o dai farmaci: ancora ci si deve interrogare riguardo ai limiti e alle violazioni degli stessi nell’ambito di una strumentale “divulgazione”‘ della propria intimità.”

Non conosco il gioco in questione e non ho capito grossomodo nulla del paragrafo, ivi compresa la conclusione per cui giocare di ruolo sia assimilabile all’assunzione di sostanze psicotrope.

““Ah, certo” – dice il commerciante – “Se poi qualcuno ha difficoltà personali, e interpreta le cose in modo autodistruttivo, non dipende certo dal gioco” : anche in questo caso la società adulta abdica alla responsabilità di tutelare proprio le persone più fragili… Un mondo di gente “‘solida” e sicura che prevede di generare per certo figli stabili e incondizionati: un mondo di “vincitori” che non hanno tempo per i perdenti e i falliti!”
Condivido il presupposto. E’ giusto, a mio avviso, tutelare chi non ha piena comprensione di un mezzo ed è nelle condizioni di utilizzarlo. Ben venga l’affiancamento della famiglia che si avvicina al figlio, sapendo che gioca di ruolo, e cercha di capire di cosa si tratti. Dialogo. Mi viene in mente mia madre che, quando a 15 anni ho comprato “Punk in Drublic”, si è interessata agli aspetti che potesse comportare per me ascoltare un certo genere di musica. La trovo un’operazione giusta. Meno giusto sarebbe stato dirmi: “tu quella roba non la ascolti perchè poi diventi un drogato.” Cosa che, incredibile a dirsi, non è successa.

“Da ultimo va rilevato che l’impiego di sostanze psicoattive, in particolare le metamfetamine e le incontrollabili nuove generazioni di stimolanti sintetici, si sposa perfettamente con le esigenze dei partecipanti al giochi di ruolo: queste droghe aumentano, durante l’effetto acuto, l’energia, l’intuito e la concentrazione, ma contemporaneamente conferiscono disinibizione associata ad un blando distacco dalla realtà: niente di meglio come veicolo per migliori livelli di immedesimazione nel ruolo fantastico, per affievolire ancor più i confini tra verità e sogno, nella apparente valorizzazione della propria “smartness” (lucidità, intelligenza). E, d’altro canto, proprio le alterazioni biochimiche cerebrali indotte dall’ecstasy e dalle droghe analoghe, con le associate turbe del tono dell’umore e dell’identità, potranno, all’interno di un circolo vizioso, indurre di nuovo alla dipendenza da relazioni interpersonali esclusivamente inquadrate attraverso le regole dei giochi di ruolo.”
Ecco, appunto. Quest’ultimo passaggio è estremamente debole e appare, ai miei occhi, come un tentativo ultimo di dare motivo di preoccupazione: della serie, se non è bastato tutto quello che ho detto fino ad ora (e, con ogni probabilità, non è bastato) estraggo l’anatema della droga così da fornire una preoccupazione seria e reale. Una cosa che, anche solo nel dubbio, possa centrare l’obbiettivo. Il punto è che non c’è davvero un senso logico a quanto scritto, oltre che nessuna prova empirica o ricerca scientifica a suffragare l’ipotesi. Se mi drogo per alterare la percezione di me stesso, le mie inibizioni, e la mia realtà, perchè farlo in concomitanza ad uno svago dove tutto questo posso ottenerlo senza droga? Anche solo economicamente, non è una scelta furba. Mi drogherò in discoteca, ai concerti, a scuola, sul lavoro, in famiglia, ovunque non abbia altro mezzo per non essere me stesso. Magari però è a me che manca qualche passaggio.

Se mi sono preso tutto questo tempo (ciao pausa pranzo) e questi caratteri per rispondere all’articolo è perchè come detto trovo sbagliato lasciar correre operazioni come quella messa in atto dal pezzo in questione.
La speranza è quella di alimentare discussione, confronto e scambio di opinioni (perchè di quello si tratta). Una cosa che, da sempre, ritengo utile a tutti.

Perdere la verginità al Lucca Comics

Avrebbe un senso.
Prendi i grandi festival musicali, le rassegne di cinema, i congressi scientifici. Persino la cazzo di giornata mondiale della gioventù. Sono situazioni fatte apposta per scopare. Nessuno ammette che ci partecipa per quello, ma solo per non doversi giustificare in caso di fallimento nell’impresa. Il fine ultimo è e sarà sempre trovarsi in un ambiente in cui, paradossalmente, da peculiari si diventa terribilmente standard. Tutti simili, tutti con gli stessi interessi. L’appiattimento rompe le barriere, avvicina le persone e abbassa le resistenze. La paura del diverso non può esistere in una situazione in cui si è tutti diversi allo stesso modo.
Andare a Lucca Comics per scopare avrebbe davvero un sacco di senso.
Io invece mi ci sono spaccato i coglioni.
La ressa ovunque, gli stand strapieni, pochissime cose belle da vedere e anche quelle poche messe in condizione di non poter essere viste. La puzza di sudore. I cosplayer, la gente in fila per un autografo, la gente in fila per mangiare dei noodles che neanche se mi pagassero, la gente in fila per i cessi chimici o per fare una foto. La gente in fila per vedere altri giocare ad un videogame. E’ una fiera di nerd per nerd e quindi non è un cazzo divertente. Per quanto la televisione e il cinema si dannino l’anima nel diffondere questa nuova immagine del geek come paradigma di figaggine contemporanea, la realtà è ancora quella di quindici anni fa: il disagio.
Ho resistito una giornata, comprando un paio di libri che avrei preso senza problemi altrove. Avrei voluto comprare un set di dadi per D&D, ma non è stato possibile.
Il giorno seguente siamo andati a San Miniato, terra di vino e tartufi, a mangiare e bere. Abbiamo scoperto una terra bellissima che non conoscevamo e prodotti deliziosi che siamo ansiosi di riprovare. Abbiamo camminato, fatto foto e ascoltato interessantissime lezioni sul vino, il tartufo e i cantucci. Poi siamo stati a Pisa a vedere Campo dei Miracoli, siamo rimasti a bocca aperta e abbiamo scattato altre fotografie.
Alla fine, in autostrada tornando verso casa, ci siamo chiesti come cazzo ci fosse venuto in mente di andare a Lucca.

Assistenza tecnica blogger.com: a true story

Tempo fa avevo creato un blog per gestire la campagna di D&D in cui facevo il master (sono un nerd, what a surprise!).
Ai tempi ero un felice utente di blogger.com, così decisi di creare un nuovo account a nome del cattivone della campagna e iniziare a gestire la cosa in quel modo. Era un blog privato, accessibile unicamente a me e ai giocatori.
Sta di fatto che la campagna finisce un paio di anni fa ed io smetto di accedere al blog in questione fino a quando, giorni fa, mi torna la curiosità di voler leggere qualcuno di quei post. Decido così di effettuare il log in.
Purtroppo non ricordo più la casella email che avevo utilizzato per generare l’account di blogger, ma ingenuamente penso che questo non dovrebbe essere un problema. Casomai più ostico sarebbe non ricordare la password, ma solitamente non sono così originale e quindi mi sento abbastanza tranquillo e vado ad approcciare la questione.
Scopro che blogger è stato assorbito da google e che quindi devo accedere tramite account google. Per accedere, mi si richiedono email e password. Normale. Io però l’email non la ricordo, così clicco sul link “non riesci ad accedere al tuo account?” e finisco sulla pagina per il recupero dei dati. Easy.
Ci sono due opzioni. La prima, richiede l’inserimento dell’indirizzo email cui verranno inviate tutte le specifice come password, indirizzo,ecc…. La seconda opzione è quella che serve a me: “Hai dimenticato nome utente o password? Inserisci l’URL del tuo blog!”. Perfetto, io l’indirizzo del blog lo ricordo eccome, quindi riempio il campo indicato e clicco felice e speranzoso su “cerca”.
Questo è ciò che compare:

L’impressione è di essere finito in una barzelletta sui carabinieri.
Mi ci sforzo un po’, provo mille mila combinazioni di indirizzi hotmail.it, ma proprio non mi viene in mente qualse sia. Ok, non bisognerebbe mai registrare un servizio con un’email che non si controlla. Avete ragione. Però se non avessi fatto una cazzata non avrei necessità del centro assistenza. Non so voi, ma se io chiamo il fabbro perchè son rimasto chiuso fuori casa accetto che mi dia del pirla, però mi deve ANCHE aprire la porta. Altrimenti mi incazzo.
Tirate le mie mille o duemila madonne, provo ad approcciare il “centro assistenza“, che si rivela essere una sorta di forum, nel tentativo di avere qualche info. Scopro con somma sorpresa di non essere l’unico al mondo ad aver dimenticato la mail connessa al suo account, anzi, ci sono moltissime discussioni aperte che riportano una domanda come la mia. Ed è così che faccio la conoscenza di tal Fabrizio Castelli, genio assoluto ed eroe indiscusso. Fatico a capire se lavori per blogger o se sia semplicemente un caritatevole benefattore, sta di fatto che quest’uomo, con serafica pazienza, risponde a tutti la stessa cosa.
“Usa il form per il re-invio dei dati”.
Probabilmente è convinto di avere a che fare con suoi simili. Io lo capisco che, magari, a lavorare all’assistenza nella gran parte dei casi ci si trovi al cospetto di gente che, autonomamente, non sa nemmeno allacciarsi le scarpe. Ci sta quindi che la prima risposta sia nell’ambito dell’ovvietà. Se però il 99.9% delle persone ti risponde cose tipo: “certo che ho provato, il problema è che quel sistema l’ha pensato una scimmia visto che cercavo l’indirizzo email e mi han mandato l’informazione al mio indirizzo email”, forse qualche informazione in più dovresti darla. Invece niente. Tutte le discussioni che ho letto (e son tantissime) partono con l’utente X che espone il problema, Super Fabio che risponde di usare il form automatico e l’utente che replica di averci già provato, ma di necessitare un sistema alternativo.
La cosa assurda, è che sto tizio pare l’unica voce di blogger. Non c’è un servizio email da contattare, non c’è un referente con cui parlare. C’è solo il forum in cui la gente posta mille mila volte la stessa domanda e nessuno risponde nulla di vagamente utile.
Ora, io posso pure vivere senza poter accedere ai riassunti delle mie vecchie sessioni di D&D. Mi gira il cazzo, ma posso andare avanti. Il punto qui è un altro. Non è possibile, se ti chiami Google, mettere in piedi un servizio di assistenza tecnica così.
Il fatto che ormai la maggior parte delle aziende che forniscono prodotti non abbiano più da relazionarsi fisicamente col cliente, ha generato mostri terrificanti.

Sdoganamento una sega

Questo post era in canteire nella mia testa da un bel po’ di tempo, ma credo non ci fosse momento migliore per dargli una forma ed un corpo. Tra breve spiegherò il perchè oggi sia IL giorno giusto, ma prima vorrei introdurre a grandi linee il tema.
Today on manq.it is nerd pride.
Attenzione però, si tratta di vera attitudine nerd ed altrettanto vero orgoglio, roba molto, ma molto distante dallo sdoganamento che attualmente si cerca di dare al termine. Chiariamolo subito: Rivers Cuomo, uno “vero” che ciò nonostante ce l’ha fatta, ha creato un precedente sgradevole e da quel momento passa il concetto che essere nerd sia figo. Che sia come essere alla moda.
Beh signori, non è vero un cazzo.
Di essere nerd, anche solo un po’, in gioventù ci si vergogna. E’ avere qualcosa in comune con una fetta della società che a nessuno, ripeto nessuno, fa piacere avere intorno (anche solo per l’odore di sudore che ne scatursice).
Chi oggi si bulla dell’essere nerd, se non lo sta facendo vestito da goblin in qualche castello della bassa bresciana in compagnia di suoi simili ormai irrecuperabili, con tutta probabilità non conosce il fenomeno e pensa che sia un modo giovane e cool di definire chi ascolta indie, mette i pantaloni stretti e ha quel fare da sfigato per limonare di più. Nulla di più lontano dalla realtà.
C’è solo una strada che porta alla possibile riabilitazione della cultura nerd (ribadisco, della cultura, non dell’esserlo) ed è quella di viverci ai margini durante l’adolescenza. Abbastanza inserito da essere guardato male dalla gente normale, ma non abbastanza da non essere guardato male anche dai nerd full HD.
Il limbo degli sfigati con la fissa dei fumetti/gdr/fantascienza (spesso non propriamente self confident) che non hanno problemi con la loro passione, ma ne hanno diversi con chi nell’immaginario collettivo iconizza quel tipo di hobby.
Sto parlando di quelli a cui è riuscito di mettere in atto il comandamento supremo: “Get a life!”.
Noi.
Noi che ce l’abbiamo fatta e ne siamo consci. Sapevamo qual’era il pericolo, l’abbiamo visto e toccato da molto vicino, ma non ci siamo caduti ed oggi, razionalizzando sull’argomento, ostentiamo con orgoglio come la nostra passione per quel determinato ambito nerd non ci abbia trasformato in esseri doccia repellenti dal capello costantemente unto e la maglietta degli Stratovarius costantemente pezzata.
Solo per questo posso scrivere senza problemi che oggi è il giorno giusto per parlare della cultura nerd perchè Lunedì sera ho concluso dopo diversi anni la campagna di D&D in cui facevo da master.
E solo per questo posso rivelare con altrettanta tranquillità di essere passato in libreria questa sera ed aver acquistato un romanzo tratto dalla stessa ambientazione in cui eravamo soliti giocare per leggerne le origini.
Posso farlo perchè sto riflettendo a mente fredda nella solitudine di casa mia di fronte allo schermo del mio portatile.
Oggi in libreria però, a caldo, quando la commessa mi ha chiesto “E’ tuo “La trilogia degli Avatar”?” ho di getto risposto: “Sì, ma è per un mio amico.”
Chi ha visto il lato oscuro se lo porta dentro per sempre e vive nell’ansia.
Mi dispiace per i Deaf Pedestrian, ma di “good” non c’è proprio un cazzo in tutto questo.

Sosta

Mi voglio prendere qualche giorno di assoluto relax e questo lungo week-end festivo fa proprio al caso mio. Dopo settimane di stress ed insonnia sentivo di dovermi regalare uno stop anche se Lunedì nulla è andato come avrebbe dovuto. L’università a quanto pare vuole darmi gli ultimi colpi prima di lasciarsi sconfiggere ed io ho deciso di porgere l’altra guancia, sperando di assaporare così una rivincita ancora più dolce e tuttavia rischiando di compromettere tutto quanto.
Il primo giorno di riposo è stato ieri e credo proprio di averlo affrontato come si dovrebbe, dismettendo il pigiama alle 19.00 e solo perchè la sera sarei dovuto uscire. Per tutto il giorno non ho fatto che stare a letto a guardare episodi della prima serie del dottor House, prima con la Bri e poi da solo. Come serial non è male, gli episodi sono un po’ tutti uguali però è riuscito là dove avevano fallito illustri suoi simili come Lost, ovvero mi ha appassionato. Molto credo sia dovuto all’adorazione che provo per il protagonista e la sua personalità urticante. Come dicevo prima, la sera sono poi uscito. Era la fatidica serata della sfida di Mafalda, ristorante il cui menù ci era stato presentato come “impossibile da finire”. Come ovvio non ci sono stati problemi nello sconfiggere le tanto temute porzioni e gli unici problemi ci sono stati non tanto per la quantità, quanto per la qualità di alcune portate non proprio prelibate. La serata è trascorsa piacevolmente ed è stata conclusa dalla maggior parte del gruppo al Libra, mentre io e Simo abbiamo preferito tornarcene a casa. Anche la giornata di oggi è stata spesa in assoluto relax tra qualche partita alla playstation e il tentativo di organizzare una visita al Motorshow per domani (Sabato). Purtoppo il proposito di gita è stato presto soppresso per mancanza di adesioni, ma è normale quando si cerca di organizzare qualcosa in una compagnia che passa il 50% del suo tempo a lamentarsi di non fare mai nulla di nuovo e il restante 50% a declinare qualunque proposta si discosti dai programmi standard settimanali. Peccato, ci sarei andato volentieri, tuttavia non è certo una di quelle iniziative che sono disposto a gestirmi da solo pur di portare a termine. Ormai è abbastanza chiaro a tutti che per poter prendere una boccata d’ossigeno dalla routine inarrestabile che ci governa si debba volgere lo sguardo fuori dalla compagnia. C’è chi si affitta una casa in montagna, chi va al cinema con la morosa, chi esce con altra gente, chi va a concerti e chi semplicemente se ne sta a casa sua pur di non dover sopportare la combo venerdì+sabato al pub di turno.
Comunque sia domani ho una giornata da riempire. Dovrò sicuramente preparare qualcosa per la sessione di Lunedì e altrettanto sicuramente vorrò concedermi qualche altra puntata di House. La restante parte della giornata magari la impiegherò nelle prime ricerche dei regali di natale.
Magari.
Più probabilmente dormirò.
A chiudere la sosta quindi sarà il turno della Domenica, dedicata al torneo di Palazzo delle Stelline. Non nutro particolari speranze nell’organizzazione, ma passare un pomeriggio con Sturm, Ace, Darius e Porn ha rappresentato un buon motivo per aderire senza porre questioni.
E’ stato bello tornare a scrivere sul blog e anche l’averlo fatto come una volta era abitudine: in tarda notte.
In sottofondo passano leggere le note di “Twelve Small Steps, One Giant Disappointment” dei Bad Astronaut, colonna sonora quanto mai indicata per questo post e per questi quattro giorni. Il disco sta volgendo alla conclusione e con lui questa pagina e la mia giornata.
Manca un quarto d’ora alle tre e sono sveglio.
Per una volta, tuttavia, sono sereno.

Role playing

In questi giorni sto dando ampio sfogo alla mia passione per il gioco di ruolo.
Non che io stia giocando più di tanto, anzi, tuttavia mi sto concentrando su diverse iniziative inerenti a questo mio hobby.
La prima cosa di cui voglio parlare è il blog che sto creando riguardo alla campagna di Dungeons and Dragons che masterizzo ogni due Lunedì ormai da più di un anno.
L’idea è quella di avere uno spazio in cui inserire le cronache delle sessioni (ovvero piccoli riassunti di quanto succede in gioco), le storie dei personaggi, i grafici di avanzamento dell’esperienza e chissà quant’altro.
Non so quanto possa essere utile il sito che ne uscirà, tuttavia scrivere di queste cose mi sta divertendo non poco. Il lavoro non è moltissimo, per la maggior parte è tutta roba che avevo già scritto qua e là durante quest’anno, si tratta solo di riordinare il tutto e metterlo on-line in maniera carina.
Per il momento sono giunto al traguardo delle prime dieci sessioni di gioco, ma spero di riuscire a portarmi alla pari in questo week-end.
Così ad occhio mi sembra ne stia uscendo un lavoro discreto e quindi ho deciso di linkarlo qui affianco.
La seconda notizia riguarda il mio rientro nel mondo dei Live di Vampiri.
E’ circa un anno e mezzo che non gioco più, ma è da molto che mi è tornata la voglia di farlo. Certo, adesso come adesso non potrei concedermi un appuntamento fisso come allora, quando giocavo due volte al mese. Troppi impegni e troppo poco tempo a disposizione sono le principali cause, ma forse anche perchè non avrei voglia di giocare così frequentemente.
Pochi giorni fa tuttavia Dax mi ha proposto di partecipare ad una serata in gioco organizzata dall’Associazione Oscuro Abbraccio ed ho deciso di cogliere la palla al balzo. Dovrebbe trattarsi di serate sporadiche, credo con una frequenza di non più di una volta ogni tre/quattro mesi.
Ho talmente voglia di giocare che ho già un paio di idee per il personaggio.
Vedremo cosa ne esce.
Ora però vado a farmi la doccia.

Il week-end

Raccontare questo fine settimana alle due di notte di Domenica sera non ha molto senso, soprattutto essendo consci di dover andare al lavoro domani mattina. Il mio capo sarà via fino a Mercoledì, ma con tutto quello che ho da fare è bene che io domani alle 9.00 sia in laboratorio.
Avrei dovuto scrivere prima.
Non ne ho avuto il tempo.
In realtà fino a Sabato sera non avrei avuto molto di cui raccontare se non il menù del pranzo di compleanno di mio padre. La voglia di scrivere me l’ha messa il concerto dei Thrice.
Bello.
Mi sono piaciuti tantissimo dal vivo gli Hundred Reasons, apprezzati pur non avendoli mai sentiti su disco. Il cantante sa veramente il fatto suo. Per quanto riguarda i Thrice invece il concerto è durato un po’ troppo poco, credo non più di un’ora, con un’unica traccia dopo la canonica pausa col finto finale ed il pubblico che inneggia per la performance di altri pezzi. Per dirla in parole povere non è che si siano proprio ammazzati per questo live, come lo facessero per obbligo e non per piacere. Posso capire che all’ultima data di un tour la voglia e le motivazioni siano in calando, però credo che comunque il pubblico meriti un certo trattamento.
Parlando di musica avevano dei suoni sbalorditivi, soprattutto sulle tre voci. Questo aggiunge diversi punti alla mia valutazione.
Oltre all’aspetto più strettamente legato allo show, credo che ci siano diversi motivi per ricordare il live di Sabato sera.
In primis l’essere finalmente andato ad un concerto “serio” con la Bri.
E’ stato molto bello poter condividere una delle mie principali passioni ed è stato ancora meglio farlo senza avere l’impressione che lei fosse lì per farmi un favore. Oltre a questo fatto di non poca rilevanza e non certo facile ripetizione, ho trovato molto piacevoli molte delle cose viste e successemi al Transilvania live: dall’aver conosciuto la blogger friend Betty, all’aver assistito allo show di un inglese ubriachissimo con l’espressione meditativa di chi sta riflettendo sui massimi quesiti della fisica pur non riuscendo letteralmente a stare in piedi, alle frasi geniali tipo: “Un po’ di casino! Basta con questa merda di emo Dioca*e!” oppure “Adesso vado e ammazzo un emo” proferite a gran voce da alcuni idoli tra il pubblico, all’aver rivisto Pier con dei capelli improponibili e senza che lui mi riconoscesse per niente. Per tutto questo la serata di sabato è stata un’altra serata molto molto bella.
Non vorrei abituarmici.
Sabato prossimo mi sa che per tornare in registro andrò al Tyr Na Nog.
Meglio non esagerare con l’euforia.
Se non ho scritto oggi invece è perchè per tutto il giorno e per tutta la sera sono stato impegnato nell’ultima tappa del campionato di D&D che quest’anno mi ha visto tra gli organizzatori.
Sono contento che sia finita.
Questa esperienza mi ha tolto molto più di quanto abbia saputo darmi, sotto ogni punto di vista. Di tutte le persone con cui ho avuto a che fare oggi ne salverei relamente poche, forse anche meno di quelle che realmente andrebbero salvate.
Oggi.
Magari più avanti sarò meno disfattista.
Personalmente però non scommetteri su questa ipotesi neppure pochi centesimi.