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Ottobre 2019

Te spiego l’EMO

Giorni fa Andrea ha riscoperto il piacere di fare le playlist su Spotify e ne ha tirata fuori una che racconta l’emo nella sua prima fase, diciamo quella che va dal 1985 al 2000. Per chi non lo conoscesse, Andrea è una delle penne di Impatto Sonoro, ma soprattutto un “amico di internet” che recentemente ho avuto il piacere di incontrare di persona e con cui mi è già capitato di fare giochini tipo quello di cui vi sto scrivendo. 
Dico giochino perchè Andrea, dopo aver condiviso la sua (bellissima) playlist ed essersi beccato il mio like, ha pensato di chiedermi se mi andasse di farne una sullo stesso tema. Potevo mai tirarmi indietro? Ovvio che no.
Non paghi, abbiamo deciso di estendere il concetto e coprire anche le fasi successive della storia, in modo ne uscisse un quadro diciamo completo.
In sostanza quindi mi sono cimentato nel mettere giù una breve serie di playlist a tema EMO e, visto che sono uscite più carine di quanto immaginassi, ho pensato potesse valere la pena metterle anche qui sopra e scriverci due righe due di commento.
Le regole erano pochissime: finestra temporale definita e massimo 12 tracce, come qualsiasi playlist dovrebbe essere se lo scopo è farsi ascoltare. Io ad ognuna ho messo come cover un’immagine di Andrea Emo e il perchè, se avete letto fino a qui, non ha senso spiegarlo. 

Emo 101 (’85-’00)
A conti fatti la più semplice da fare, ma anche quella in cui credo fosse più difficile distinguersi rispetto ad altre ipotetiche liste redatte con il medesimo scopo. Parliamo degli anni in cui l’emo è nato ed ha goduto del suo momento creativo di maggior spicco. Per moltissimi, l’unico periodo che abbia senso analizzare.
Su 12 pezzi, credo almeno 8 escano da dischi che per me sono capolavori. La cosa se vogliamo peculiare è che lo sono anche per un sacco di gente che ne capisce molto più di me. I gruppi coinvolti son quelli che trovate in qualsiasi testo a tema emo reperibile su internet, da wikipedia in giù, tralasciando però tutte le pagine di gente che parla di una roba che non ha idea di cosa sia.
Dopo averla fatta l’ho ascoltata alla nausea.

Emo 202 (’01-’10)
Qui la situazione si fa spinosa perchè è evidente il primo decennio del nuovo millennio coincida sì con la “maturazione” del genere, ma anche con il suo più drammatico sputtanamento. La corretta informazione avrebbe dovuto tener conto di entrambi i fattori e regalarci una playlist cumulativa, ma con Andrea si è deciso per farne due, una radical chic e una da guilty pleasure. Io i confini tra le due li vedo davvero molto sfumati, ma capisco il ragionamento.
La prima è questa e contiene alcune delle mie canzoni della vita.

La seconda invece è decisamente più cafona e contiene un sacco di roba che non ha propriamente una dignità. Dal canto mio però rivendico il diritto di difendere ogni singola traccia di questa seconda lista, che a conti fatti se vogliamo ha dalla sua il tentativo di sviluppare il tema in maniera diversa, anche se profondamente sbagliata a livello ideologico.
Poi oh, se ho tempo per una sola delle due, 8/10 metto su la seconda perchè io un po’ la penso come René Ferretti.

Emo 303 (’11-’19)
Terza playlist e siamo a quello che per me è il capitolo più complicato perché c’è da pescare nell’ultimo decennio (che decennio poi non è, ma vabbeh) e io non sono più sul pezzo da tantissimo tempo. La prova è che in lista sono finiti pezzi di dischi belli, ma che non ho mai comprato.
In generale il grosso del mio sforzo era volto a dimostrare che le idee, quando si parla di emo, ormai siano finite, ma anche che fare bei dischi usando le idee di altri venuti prima non è mai stata pratica per quel che mi riguarda deplorevole. In coda ho voluto mettere quello che per me è l’unico filone nato in questo periodo e con qualcosa di “nuovo” da dire e se vogliamo fa sorridere perché pur basandosi sul campionare i pezzi dei decenni prima (letteralmente), alla fine risulta comunque più fresco del revivalismo derivativo delle tracce che lo precedono in questa playlist.
Questo giro ci ho messo anche un pezzo italiano perché, in questo decennio, ho ascoltato forse più dischi italiani che stranieri. Poi mi dicono che da noi arriva sempre tutto dopo, quindi credo abbia senso.

Probabilmente nessuno ha bisogno che io gli spieghi cosa sia l’EMO, certamente non nel 2019, ma è un giochino che mi sono divertito a fare e che mi ha permesso di mettere insieme delle playlist che ascolterò certamente un sacco.
Quindi boh, evviva.

Il mio disco Preferito

Una volta leggevo un blog di musica che mi piaceva molto e che in merito alla questione “disco preferito” aveva una posizione piuttosto articolata.
Per me il discorso è decisamente più semplice: da che esisto ho avuto diversi dischi preferiti, in diversi momenti della mia vita, ma mai più di uno per volta.
Il primo è stato The Final Countdown degli Europe e c’entra col fatto che il 5 settembre 1988 invece di andare in seconda elementare sono andato in sala operatoria a farmi aggiustare il cuore. Il disco me lo portó in ospedale un amico dei miei, su una cassetta da 90′: lato A gli Europe, lato B l’album di Barbarossa con dentro Al di là del muro. Del lato B ricordo a malapena quel pezzo, che tuttavia non ascolto da 31 anni (sono tentato di metterlo su ora, ma credo alla fine eviterò1). Con The Final Countdown invece fu amore vero, tanto che ancora oggi me lo risento volentieri, quando capita.
Per quasi tutti i miei dischi preferiti è funzionato così: musica che posso immediatamente associare ad un periodo o un’esperienza, a volte a una persona, e da cui mi sono sentito rappresentato al 100% come ascoltatore (probabilmente anche come individuo) nel momento in cui stava in cima alle mie preferenze.

Ho questa idea che, per quanto spero mi resti molto tempo a disposizione, non ci sono altri dischi preferiti ad attendermi nel futuro. Temo ci sia una stagione per tutto, nella vita.
È quindi ragionevole pensare che il mio attuale disco preferito sia destinato ad essere il Preferito con la maiuscola, avendo avuto la meglio sulla concorrenza passata ed essendo al contempo al sicuro da attacchi futuri.
Paradossalmente, è anche l’unico disco che è riuscito a farsi amare così tanto senza essere correlato a nessun particolare aspetto/momento della mia vita.

Questo post parla di Under the Radar, un disco dei Grade.

Ho detto che non è un disco che ricollego ad un momento della mia vita, ma non vuol dire che non abbia ricordi a riguardo. A differenza di tanti altri dischi infatti, ricordo esattamente la prima volta in cui l’ho ascoltato. Ero in treno, vagone con cuccetta, e stavo andando con mio padre in Sicilia per il matrimonio di un cugino. Dopo aver speso una cifra di tempo nel tentativo di trovarlo su uno dei vari P2P dell’epoca (a memoria siamo nel 20052), finalmente me lo ero scaricato e messo sul lettore .mp3 portatile, con moderate aspettative. Erano gli anni in cui bazzicavo una webzine chiamata Munnezza (poi Dedication) e UtR era citato come riferimento principale di una cifra di dischi post-hc, nu-emocore e compagnia di cui in quel momento storico andavo ghiottissimo. Ciò nonostante, sulla webzine non c’era una recensione del disco e anche altrove leggerne era piuttosto complicato, trattandosi di un’opera probabilmente sì seminale, ma da cui ha avuto origine uno dei movimenti più infami e bistrattati della storia del rock alternativo. Movimento di cui, vorrei ribadire, sono comunque stato profondamente appassionato per diversi anni e che, ancora oggi, mi pare tutto sommato in linea con tanta altra merda che non ho ritegno nell’ascoltare, ma che a conti fatti gode inspiegabilmente di maggior credito. 
Ad ogni modo, ricordo di essermi messo questo disco in cuffia e di essermene innamorato subito. Il motivo di questo colpo di fulmine l’ho capito un po’ di tempo dopo: UtR è sostanzialmente il disco perfetto, sotto ogni punto di vista.
Non c’è un pezzo debole o mal riuscito, ok, ma questa non è una caratteristica unica. Il punto è che non mi vengono in mente altri esempi in cui così tante melodie siano state incastrate in modo altrettanto efficace per generare di fatto canzoni prive della canonica struttura strofa-ritornello, ma che non perdano la capacità di incollarsi in testa immediatamente e restarci a vita. Under the Radar ha scoperto la formula magica per fondere gli elementi duri e tendenzialmente poco accesibili dell’hardcore ad un immediatezza completamente pop, senza però abbassarsi ai compromessi paraculi che sono invece stati fondamentali a tutti quelli che sono venuti dopo e che hanno di fatto sancito la morte del genere. Una roba completamente irripetibile, tanto che gli stessi Grade col disco seguente hanno provato a cambiare completamente strada, credo per evitare paragoni infelici (che in ogni caso è impossibile non fare, visto che Headfirst Straight to Hell è, ad esser buoni, un disco del tutto sbagliato).
Non bastasse la perfezione compositiva, UtR è anche il mio disco di riferimento in termini di suoni e produzione. Non è una di quelle robe iperprodotte in cui l’approccio diciamo “barocco” a Pro Tools con lo scopo di far suonare tutto GROSSO si traduce nel far suonare tutto finto, ma non è neanche figlio del movimento reazionario che in tutta risposta ha sancito i dischi di musica alternativa dovessero per forza suonare come se li avesse registrati un non udente nel suo box catturando tutto in presa diretta col microfono del Canta Tu.
In UtR c’è una base ritmica solidissima e piena, che ti tiene incollato ai pezzi senza distrarti, e poi ci sono due chitarre che fanno sempre la cosa giusta, dialogando perfettamente e risultando sempre distinguibili, anche nei momenti più rumorosi. Zero sovraincisioni, nessuna traccia di chitarra aggiuntiva, essenziale come pochi altri dischi che ho in casa eppure ricchissimo di sfumature che vengono fuori ascolto dopo ascolto. Anche le voci sono perfette: le parti di scream sono sporche e ruvide, ma mai finte, mentre quelle clean sono melodiche, ma non melense. Tutto è al posto giusto per undici tracce, di cui l’ultima si chiama Triumph and Tragedy e ad un certo punto dice così:

My relationship, with reality (yeah)
It comes and goes

Non credo esista un singolo verso in qualsiasi altra canzone che senta più vicino.

Oggi, 12 Ottobre 2019, compie vent’anni il mio disco Preferito. 


1 Alla fine ho evitato.
2 Ho controllato, era davvero il luglio 2005. Il cugino è andato in viaggio di nozze a Sharm el-Sheikh e l’hanno rimpatriato pochi giorni dopo per via degli attentati. Una di quelle cose che non sai dire se sia sfiga perché c’è finito in mezzo o culo perché può raccontarla.

Joker

Sta sera ho deciso di andarmi a vedere il Joker di Todd Philips (o se preferite di Joaquin Phoenix), da solo e al secondo spettacolo. Non avevo voglia, ma ho letto così tanti complimenti in giro da voler verificare di persona appena possibile.
Il dubbio più grande che avevo era che non avrebbe retto le aspettative che mi sono fatto leggendone in giro.
Ecco alcuni commenti sparsi che può leggere anche chi non lo ha visto, senza che rovinino nulla (tranne forse uno, ma lo segnalo prima).
1) Non lo so se usare il cattivo dei fummetti sia stato solo un pretesto per vendere il film, ma di sicuro, anche togliendo i Wayne e Gotham City dall’equazione, persino mia nonna all’uscita avrebbe detto: “Bello tutto, ma questo è il Joker…”
2) Non dirò che Joaquin Phenix è meno bravo di quel che si dice e legge in giro. Mentirei. Per darvi l’idea di come la vedo io però, posso dire che il mio Di Caprio preferito non è quello di The Revenant.
3) Ho letto che negli Stati Uniti c’è una certa preoccupazione intorno a quanto questo film possa innescare e che addirittura in alcuni casi si sia parlato di “stato di allerta” e “misure precauzionali”. Posso capire, ma non credo sia un problema del film.
Al di qua dell’Atlantico fortunatamente credo il peggio che possa accadere sia un nuovo effetto “V per Vendetta”, il cui pensiero mi porta in ogni caso a bestemmiare maledicendo la pellicola.
4) Domanda tecnica: la versione doppiata presenta gran parte dei testi a video tradotta in italiano, ma non tutti. Perché (cazzo) ne hanno tralasciati alcuni? Se pensavano fosse un lavoro utile (non lo è), tanto valeva farlo completo.
5) Si chiama Joker, parla del Joker: è un cinecomic. Non capisco la polemica che si è scatenata in tal senso.

Concludendo quindi é un gran bel film e merita i premi e i complimenti che sta raccogliendo, anche oltre la prova d’attore del protagonista. Per me, ad esempio, ha una regia strepitosa.
Se proprio dovessi fargli un appunto (MINISPOILER) mi sarei giocato meglio l’ambiguità tra quel che è reale e quel che Arthur percepisce in seguito alla sospensione delle terapie farmacologiche cui è sottoposto. Il film parte bene in quel senso, ma poi diventa eccessivamente “pulito” e lineare, quindi forse si poteva far meglio. Sono però davvero dettagli che non tolgono nulla alla valutazione complessiva.
Ultima riflessione a margine. Inizio ad avere un problema con le opere che mi sbattono in faccia quanto è orrenda la società in cui viviamo. Giorni fa tiravo un pippone sui social in merito all’ultimo video di Massimo Pericolo e ai numeri che mette insieme e per questo Joker vincitore a Venezia vale grossomodo lo stesso discorso. Non dico sia sbagliato che l’arte svolga questo ruolo, penso anzi il contrario, però forse sto nella parte di società che certi problemi li vede, ma non li vive ed il mio inconscio egoista vorrebbe evitare di venirci a contatto, se non sempre, almeno quando sta cercando di dedicarsi ad azioni di svago. Credo lo prenda come un colpo sotto la cintura. Lo so, è un discorso stronzo, ma sto spazio serve soprattutto a mettermi di fronte ai miei discorsi stronzi.
Certo è che se in Italia opere come Gomorra sollevano sempre un putiferio legato a quanto sia eticamente corretto raccontare i cattivi con una certa epica, al netto del fatto il messaggio nostrano sia sempre che quel tipo di scelta criminale non paga, questo film fa proprio saltare il banco, basandosi quasi esclusivamente sul darci la prospettiva del pazzo omicida. Non dico sia una cosa per forza sbagliata, credo sia argomento complesso e che certamente non voglio affrontare alla 1:55 di notte, ma resta un dato a mio avviso interessante.

Nel 2019 sono usciti sia Endgame che Joker: direi annata non male per i fumetti sul grande schermo.