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Novembre 2020

Diario dall’isolamento 2: day 25

Oggi parliamo di patrimoniale, perchè ne parlano tutti e io sono una delle persone più ignoranti in termini di contabilità fiscale possiate immaginare, quindi scrivere di patrimoniale oltre a mettere qualche paletto ideologico potrebbe essere un modo per ragionare e spingere qualcuno che ne sa più di me (aka chiunque) a spiegarmi cose che non ho mai capito o correggermi relativamente a minchiate che penso di sapere e invece no.
Direi che facciamo un bel post per punti, che forse aiuta.

  1. Chi ha di più deve pagare di più.
    Una tassazione dei patrimoni, nei numeri di cui si è letto (0,2% dai 500K euro fino ad un massimo del 2% sopra i 50M ), per me è cosa buona e giusta. Lo so che la tassazione è già crescente in base ad aliquote, quindi che chi guadagna di più già paga di più, ma in un momento di crisi trovo corretto chiedere un sacrificio ulteriore a chi può permetterselo. Quindi per me patrimoniale: sì.
  2. Non comprendo del tutto l’idea di sostituire con la patrimoniale l’IMU sulle seconde case. Serve ad alleggerire la pressione su chi non ha un patrimonio enorme e magari ha solo ereditato una seconda casa? Ok, ma se l’obbiettivo è chiedere di più a chi ha di più, chi ha una seconda casa qualcosa in più credo debba e possa darlo. Non so, non ne faccio una battaglia, ma mi manca il razionale. Forse è anche perchè nel mio intorno per pagare l’IMU sulla seconda casa spesso di case devi averne tre o più, tra residenze creative e gabole varie.
  3. Ok eliminare l’imposta di bollo sui CC e deposito titoli, perchè è comunque roba che fa cumulo per il calcolo del patrimonio e quindi se poi scollini e paghi la patrimoniale in sostanza te li tassano comunque, se invece stai sotto non sei poi così ricco. Almeno così è come l’ho capita io. Questo varrebbe anche per le seconde case, pensandoci, quindi va beh, il punto 2 era inutile… o forse no?
  4. Tutto questo discorso si basa sull’assunto che lo Stato debba sapere qual è il tuo patrimonio per potertelo tassare, che in un Paese come il nostro credo sia tutt’altro che scontato, tra intestazioni creative, capitali esteri e probabilmente mille altre cazzabubbole che conoscerei se avessi tanti soldi. Il rischio che vedo io è che lo Stato, come spesso accade, vada a bussare a chi non si nasconde e non è una cosa bella da fare, se l’idea alla base è una tassazione più giusta. O meglio, va benissimo perchè abbiamo detto sopra che si parla di persone che possono dare qualcosa in più, ma forse come atto di rispetto nei loro confronti si dovrebbe simultaneamente fare qualcosa di concreto per accertarsi che tutti quelli che possono dare, diano. Non solo alcuni.
    Invece la sensazione è che il nostro Paese preferisca le soluzioni facili a quelle eque e quindi vada a pescare solo da chi non può o non vuole fare il furbo. 
    Patrimoniale sì, ma misure concrete e simultanee di verifica pure.
  5. Vorrei capire come questo patrimonio viene calcolato. Prendi due pensionati con casa di proprietà, magari ereditata a loro volta, e i risparmi di una vita da impiegati (TFR compreso). Se ci arrivano, forse, c’è qualcosa che stiamo sbagliando da qualche parte. Non nel chiedere loro un sacrificio, che magari possono permettersi davvero, ma certamente nel definirli come I RICCHI. Questo però credo sia un discorso più ampio, che pesca a piene mani da tutta la narrazione relativa ai boomer che intossica il dibattito contemporaneo della, mettiamoci tutte le virgolette possibili, “lotta di classe”. Ci si ricollega di nuovo al punto 4, ovvero alle persone a cui si dovrebbe per lo meno il rispetto di chi quel qualcosa in più, magari bestemmiando, comunque alla fine della fiera lo dà ogni santa volta che lo Stato arriva a bussare. 
  6. Chi non ha un patrimonio di 500K euro (o superiore) non ha alcun diritto nel sentirsi paladino della giustizia mentre sbraita quanto sia giusto e doveroso che altri paghino di più. Non ci vuole un cazzo a pretendere di togliere ad altri. Lo si può dire (lo sto facendo anche io), in molti casi è doveroso esigerlo e non è per niente facile ottenerlo. In nessun caso però possiamo sentirci “migliori” mentre chiediamo sacrifici (piccoli o grandi che siano) che non ci toccano (o da cui magari traiamo beneficio, come in questo caso). E’ un atteggiamento stronzo, anche se sta dalla parte del giusto.
    Ho quasi quarant’anni e persone che a venti/venticinque urlavano di quanto fosse ingiusto non tassare i ricchi oggi le vedo dire che “la patrimoniale è una porcheria perchè noi poveri risparmiatori…”. La ruota gira, il tempo passa e tutto diventa meno radicale quando i soldi da mettere sono i propri, quindi se non siete completamente sicuri di esserci, quando chiederanno a voi, beh, anche meno raga.

Diario dall’isolamento 2: day 24

Open my eyes
Open the fucking door
I can’t help but feel like
I’ve been here before
Or a million times
In one of a million lives
I can’t shake the feeling
That I’ve already lived mine
Maybe I’ve been living forever
Sure feels like I’m losing my mind
I’ve been alive as long as I can remember
Maybe I’ll come out better next time
Open my mind
Shed the skin of another life
Let me rest here another night
I may have learned something this time
Keep pushing forward
Without understanding
With no way of knowing
Which way I am going
Keep getting nowhere
Over and over
I know when I get there
I’ll be another day older
Maybe get a bit closer this time

Sono andato a trovate i miei.
Vaffanculo, arrestatemi.
Il testo qui sopra è di un pezzo degli Iron Chic, Don’t drive angry, preso da un disco molto bello che non si è inculato nessuno, uscito qualche anno fa.

Diario dall’isolamento 2: day 23

Se apro il mio profilo instagram ormai ci trovo solo robe da mangiare.
Credo sia l’anno in cui ho condiviso più foto, non è assurdo? Forse inconsciamente è un modo per rimarcare la sopravvivenza, l’essere ancora “vivi” non inteso come biologicamente attivi, ma cerebralmente vispi.
Che peso che sto diventando sul blog, madonna. Scusatemi.
Non lo faccio apposta, è che inizio a scrivere e se non ho argomenti vado a ruota libera. Abbiate pazienza (oppure cambiate aria, davvero lo capirei).
Tornando al discorso cibo: abbiamo tirato le pappardelle e ho messo a marinare il cinghiale. Domani vediamo come esce sto ragu.
Adesso birretta su zoom con i regaz.

Diario dall’isolamento 2: day 22

Il venerdì ha smesso di essere un giorno rilevante e io non ho molti argomenti per oggi. Manco uno in realtà.
Se ripercorro la mia giornata fino ad ora, oltre a lavorare, ho:
– litigato su twitter parlando di Mattia Feltri, che non credo riuscireri ad inserire in una classifica di motivazioni per cui discutere neanche se partissi ad elencare dalla posizione mille
– ascoltato Punk in Drublic
– Giocato un po’ a THPS1+2 in pausa pranzo, chiudendo un paio di combo.
– Chiacchierato di Xfactor e punk-rock con Ale su Skype (discussioni separate, nessun legame tra le due)
– Mangiato un pan gocciole

Tra poco esco a prendere i bimbi all’asilo e passo in macelleria a ritirare il cinghiale, che domenica voglio fare il ragù con le tagliatelle fatte in casa.
Poi chiamerò i miei, col solito cinema dei bambini che ne hanno pieno il cazzo delle videochiamate.
Alla fine leggeremo qualcosa, giocheremo un po’ e, una volta messi a letto, guarderò con la Polly Better Call Saul.
Domani però si svolta, c’è il big event: si va a fare l’anti-influenzale.
Evviva.

Diario dall’isolamento 2: day 21

Decomprimere.
Io credo che la roba di cui inizio a soffrire maggiormente sia l’incapacità di decomprimere, di avere un momento e uno spazio in cui poter aprire le valvole di sfogo. Qualcuno lo fa andando a correre, qualcuno alzando pesi. Mia moglie impasta.
Io questa roba l’ho sempre trovata nella musica.
Di solito in macchina, con lo stereo oltre i livelli che si addicono al guidare con prudenza e le persone sulle auto vicine alla mia, ferme in coda come me, a guardarmi chiedendosi perchè non sia rinchiuso in un centro specializzato per malati di mente.
L’occasione migliore però erano i concerti, quando si spengono le luci e sei da solo in mezzo a persone a cui di te non frega un cazzo e di cui a te non interessa un cazzo, che siano tuoi amici o perfetti sconosciuti. Tutti gli occhi sul palco, la musica copre tutto, avvolgendoti e proteggendoti, e allora canti i pezzi, li urli, senza che ti interessi come vengono fuori. Conta solo farlo più forte possibile e se non sai le parole va bene lo stesso. Da ragazzino l’energia da buttare fuori era anche fisica, si pogava e si saltava, oggi è più che altro mentale, ma l’esigenza di base è la stessa.
Occhi chiusi, dito alzato e fuori tutto.
Lo stress, le ansie, le paure, ma anche le gioie, tutte le emozioni che nella vita sei costretto in qualche modo a gestire e misurare per non uscire dai binari in cui ci hanno insegnato sia necessario veicolare la quotidianità.
Per quell’oretta scarsa ci si ripulisce da tutto, una sorta di lavanda gastrica emozionale, e all’accensione delle luci si è pronti a tornare con rinnovata o ritrovata pace alla propria vita che, bella o brutta che sia, certamente ha qualche motivo per andarci stretta.

Il primo concerto a cui sono andato è stato nel 1997.
Da allora non c’è stato anno in cui non abbia visto almeno una volta qualcuno suonare e anche se negli ultimi anni capitava meno che agli inizi, era comunque qualcosa che facevo spesso. Non mi sono fermato neanche quando gli amici hanno iniziato a non accompagnarmici più, quando andare a un concerto voleva dire farsi ore di macchina da solo per finire il martedì sera a Bologna e rientrare ad orari senza senso con la sveglia comunque puntata per la mattina di lavoro successiva.
A fermarmi è stato questo orribile 2020, il mio primo anno concert-free.
C’è qualcosa che è peggio del non vedere la fine del tunnel, però, peggio anche del prendere atto che per me (e quelli come me) la luce arriverà in ogni caso davvero alla fine, ultimi tra gli ultimi.
Questa cosa è doversi subire continue paternali su quanto ridicola sia questa rinuncia, su quanto i problemi siano altri, su come si possa tranquillamente fare a meno di cose così frivole e superficiali in un contesto di crisi globale e doverlo fare simultaneamente ingoiando le decine di bestemmie che siamo sì abituati a tenerci nello stomaco, ma senza più la facoltà di vomitarle altrove per evitare di intossicarci.
Quel viaggio in auto in cui un disco ti toglie di dosso le rotture di cazzo del lavoro e ti permette di affrontare i capricci dei figli una volta rientrato a casa con la pazienza che si meritano, quel concerto in cui puoi letteralmente urlare i vaffanculo accumulati e tornare a parlare con amici e parenti senza immaginarti come sarebbe dar loro una testata sul naso mentre li ascolti dare fiato alla bocca.
“Puoi andare a correre per sfogarti” is the new “Mangino brioches”.

Diario dall’isolamento 2: day 20

Stavo scrivedo una roba, ma non c’è nient’altro da dire, oggi.

Da sempre la prima immagine che ho in testa di Maradona.
Quel tiro, quel gol e quell’esultanza.
Poi quel che è successo pochi giorni dopo e infine quel che si è scoperto troppi anni dopo.
Probabilmente ricordarlo così è sbagliatissimo, ma per me è una sintesi perfetta.

Diario dall’isolamento 2: day 19

Questa mattina AleBu mi ha girato l’annuncio per una posizione di lavoro molto particolare. Me l’ha introdotta così:

sei pronto a dirmi grazie?
che ti cambio la vita?
basta con sta storia della farmaceutica
è ora di lavorare con le tue vere passioni

Convincente, come approccio.
Così ho aperto il link che mi ha girato e, sorpresa delle sorprese, non stava scherzando. Mi si è infatti aperta la pagina LinkedIn di una posizione come Brand Manager per Wizards of the Coast, ovvero l’azienda che commercializza D&D.
Ora, diciamocelo, io non sono propriamente un brand manager (neanche impropriamente), sono entrato nel magico mondo del marketing dalla porta di servizio e me ne occupo in un mercato molto specifico e legato alla mia reale formazione, che è scientifica. E’ però vero che negli ultimi sette anni mi sono occupato di marketing e branding per la filiale italiana di una multinazionale americana, gestendo tutti gli aspetti della comunicazione digitale dell’azienda sul territorio italiano e cercando di far arrivare il messaggio e i valori che caratterizzano la mia azienda e sui quali si poggiano i prodotti che vendiamo. Nient’altro che branding, quindi.
Di norma quando leggo di posizioni aperte nel mio settore e relative al marketing, penso sempre di non essere preparato a sufficienza. Credo di essere bravino in quel che faccio, ma ho imparato sul campo dinamiche di marketing dentro la mia azienda e potrebbero non essere lo standard in altri contesti. Questo, in assenza di preparazione teorica, per me è sempre un bel freno a credere di poter fare bene anche altrove.
Recentemente però ho avuto una bella esperienza di selezione per una posizione molto stimolante, a cui alla fine ho rinunciato perchè in questo momento di profonda instabilità familiare poter lavorare in un’azienda in cui so muovermi, che mi stima e che mi garantisce il supporto e la flessibilità di cui ho attualmente bisogno è vitale, ma ciò nonostante è stata una bella iniezione di fiducia nelle mie capacità.
Un po’ perchè sto bene dove sono, un po’ per la mia insicurezza infatti non applico quasi mai a posizioni che trovo online, ma mi capita di accettare colloqui quando vengo contattato perchè trovo sia sempre interessante valutare il proprio mercato, avendo la fortuna di poterlo fare, ma non sono uno che si propone.
Perchè sono partito per ‘sto pistolotto?
Ah sì, perchè senza questa recente mini pera di self-confidence probabilmente vedendo quella posizione non avrei mai pensato di poter essere un candidato papabile e invece per una volta ho pensato “Perchè no? Potrei essere la persona giusta!” e così ho applicato sul serio.

Essere la persona giusta però non implica affatto essere la persona che stanno cercando e, nel mio caso, sono ragionevolmente sicuro di essere molto lontano dal profilo che si aspettano di selezionare, così ho deciso di scrivere una cover letter che fosse meno convenzionale, ma che magari potesse differenziarsi dalle altre portandoli a valutare la possibilità di approfondire il mio profilo non unicamente in base alle competenze.
Siccome non sono Montemagno e questa non è (ancora?) una success story su quanto sia smart nel vendermi, magari pescata col lanternino da una casistica fatta quasi esclusivamente di approcci analoghi falliti malamente, non è per nulla detto che questa mia strategia paghi, nè che quel che ho scritto sia il modo migliore di portare a termine quella stessa strategia, però questo è quel che ho scritto nella mia presentazione:

Dear Hasbro and Wizards of the Coast

I know I’m probably the last person you would imagine applying for this position, but when I saw it on LinkedIn I couldn’t resist to give it a try.
I’m a 39 years old biotechnologist that works in marketing since seven years, for a big corporation involved in life science. In the Italian branch of the company I take care of digital marketing&branding, working with a team to position our products on the market and communicate our values to scientists. So, I’m kind of used to talk with nerds, and I’m a nerd too.
These are the two strongest competences I could offer to you in addition to my 25 years dedication to Dungeons and Dragons.
I love my current job, but this opportunity is something I would have felt guilty not applying for.
Thanks for your attention and eventual consideration.

Best regards.

Giuseppe Mancuso, PhD

Non credo mi chiameranno, onestamente, e anche nel caso succedesse non credo pagherebbero quanto serve per farmi cambiare, ma devo ammettere che se dovesse mai succedere sarei davvero tentato.

Diario dall’isolamento 2: day 18

Hanno iniziato a circolare foto e video sessualmente espliciti di una starlette della televisione nostrana, non metto il nome così in qualche modo non mi faccio promotore di ricerche correlate, e come spesso accade in questi casi mi sono arrivate in una delle chat whatsapp che ho con gli amici.
Non uso Telegram, non sono iscritto a quei gruppi rivoltanti di cui si legge in giro, ho le classiche chat con gli amici di infanzia in cui ogni tanto fa capolino qualche pornazzo, solitamente quando si tratta di leak di materiale che riguarda appunto personalità famose o pubbliche.
Cambia qualcosa tra i video privati della maestra di Torino e i video privati di Jennifer Lawrence o di una soubrette italiana? No.
Se si tratta di materiale privato che viene in qualche modo rubato o circolato contro la volontà della diretta proprietaria è uno schifo sempre e non andrebbe alimentato mai, tuttavia devo dire che se mai nella vita mi verrebbe in mente di vedere cosa combina una perfetta sconosciuta nel suo intimo e, anzi, mi darebbe fastidio ricevere quella roba sul telefono, nel caso una una personalità pubblica c’è quell’aspetto di curiosità morbosa che fa la differenza.
Ne avevo parlato nel caso di Diletta Leotta.
Ora invece provo a fare un discorso diverso che non ha a che fare con i casi citati, a quanto ne so. Fino a qui si è parlato di materiale privato divulgato contro la volontà della vittima, immaginiamo però che quel materiale non sia “privato”, ma commerciale.
Immaginiamo il furto di materiale che ragazz* destinano a portali dove la gente paga per ricevere foto o video espliciti. Immaginiamolo come un servizio che magari completa la proposta di un* escort o anche più semplicemente come attività on demand destinata a clienti esclusivamente virtuali, ma che pur sempre clienti restano.
Ecco, in questo caso parliamo di persone che vendono contenuti di questo tipo in un contesto in cui il porno è gratis ed accessibile, quindi che circuiscono persone evidentemente limitate nelle capacità di intendere e di volere. Bene, in questo caso pur restando a tutti gli effetti un furto, io mi sento di non condannare il gesto e di innalzare questi hacker a moderni Robin Hood che puntano a redistribuire una ricchezza che ingiustamente viene accumulata da vecchi uomini bianchi di mezza età che solo per il fatto di essere ricchi si possono permettere di assistere a spettacoli che dovrebbero essere invece di dominio pubblico. Discriminare l’accesso a quel materiale su base economica è classista e vergognoso ed è qualcosa che va combattuto.

Questo post potrebbe non essere del tutto serio e non rispecchiare il punto di vista di chi scrive.
Potrebbe.

Diario dall’isolamento 2: day 17

Ho chiuso una combo su cui cristavo da mesi a Tony Hawk Pro Skater 1+2.
Inizio a credere di poter portare a casa tutti i trofei del gioco, anche se i due che mi mancano sono uno difficilissimo da fare (per uno con le mie skill) e l’altro noiosissimo.
Probabilmente ci proverò durissimo, ma altrettanto probabilmente mi toccherà fallire.
Bon, nient’altro da segnalare.
Come facessi a scrivere tutti i giorni a Marzo è davvero una roba inspiegabile.

Diario dall’isolamento 2: day 16

Sono le due di notte, siamo stati su zoom tra amici fino ad ora.
Quattro chiacchiere, un diversivo.
A parte quello, nulla da segnalare.
Retrodato il post e vado a letto, che ho sonno.
Ah, Charlotte ha firmato Gordon Hayward alla fine. Contratto senza senso a un giocatore fisicamente mai ristabilito da un infortunio tremendo, ma ragazzo a cui si vuole bene quindi speriamo smentisca tutti.
Metto un video senza guardarlo.