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Agosto 2012

Le monografie #1 – HC melodico

Hardcore Melodico by Manq on Grooveshark Dopo tanto parlarne, finalmente ho completato la prima delle famigerate monografie che il sottoscritto ha intenzione di dedicare alla musica che gli piace. Nulla vieta che questo primo capitolo diventi col tempo anche l’ultimo, non sono noto per portare a termine quel che comincio, però nell’immaginario del sottoscritto dovrebbe uscirne almeno un altro. O magari qualcosa che invece di un genere presenti una band. Insomma, vedremo. Tanto son cose di cui si parlerà tra un bel po’ di tempo, in ogni caso.
Tornando a bomba sul tema della monografia, questa selezione di brani, che potete ascoltare utilizzando il player qui a sinistra, ha la presunzione di dare un quadro di cosa sia per me l’Hardcore Melodico, approcciato da diverse direzioni e con diverse prospettive, nell’idea di dare al tutto una finta aura di completezza. Prima di iniziare, direi che è il caso di fare qualche premessa. Come tutte le etichette di genere, anche l’HC melodico ha dei confini molto poco marcati. Spesso è difficile stare lì a delineare dove finisce il punk-rock e dove inizia l’HC melodico, oppure dove finisca l’HC melodico ed inizi l’HC e basta, o ancora cosa ci sia di diverso tra il genere che presento qui e quella cosa che molti chiamano skate-punk.
Questa monografia presenta un certo tipo di suono, caratterizzato essenzialmente da velocità e melodia, non forzatamente legata alle linee vocali. Cerco quindi di tenere fuori i discorsi di tipo attitudinale e/o apparenza e mi butto a bomba sul suono. Se ascoltandola qualcuno penserà che ci ho messo roba che non c’entra, è liberissimo di farlo notare perchè i commenti son lì apposta.
Diretta conseguenza di quanto ho scritto sopra è la scelta dei pezzi. Qui non trovate le mie canzioni preferite delle band in questione, ma le canzoni che mi servono a chiarire il concetto. Alcune sono le mie preferite, altre no, ma il punto non sta lì. Che poi son comunque tutti pezzi clamorosi, quindi bene così.
Ok, direi che con l’introduzione ho concluso, quindi posso iniziare a presentarvi la mia selezione di pezzi.
Inizio, per forza di cose, con i Nofx. Per quanto mi riguarda, se dovessi spiegare l’HC melodico a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare, difficilmente partirei da altri. Inventori o meno del genere, sicuramente sono tra tutti quelli che ne hanno dettato i canoni e che hanno sviluppato meglio il discorso. Il pezzo che ho messo, preso da una compilation di millemila anni fa e con il titolo lunghissimo, basterebbe da solo ad illustrare il fulcro della questione. Parto dalle basi quindi e di conseguenza non posso che citare Bad Religion e Pennywise. Mai stato fan di nessuna delle due realtà, ma citarne l’apporto all’inizio del fenomeno è fondamentale. Da questi tre gruppi, essenzialmente, si apre una seconda generazione. Qui lo spettro si amplia e le differenze tra i gruppi diventano meno marcate, anche a causa delle parentele tra le varie band. Ecco quindi i Ten Foot Pole e i loro figliocci Pulley come primo ramo dell’albero. Poi ci sono i Lagwagonche, forse, a livello qualitativo assoluto di questa seconda tornata sono un po’ il capostipite inteso come pura fedeltà alla struttura del genere. Con loro, l’altro gruppo imprescindibile sono i No Use for a Name del compiantissimo Tony Sly. I No Use però iniziano a mischiare le carte in tavola, per quanto possibile, tirando dal lato del sentimento ed esasperando non tanto il concetto di melodia, quanto quello di ballata e di deriva “pop”. Non definibili come band “pop-punk”, almeno per quanto mi riguarda, son di certo quelli che stanno in mezzo tra la prima parte del discorso e gruppi tipo gli Ataris o gli Autopilot Off. Il pop-punk affonda profondamente le radici nell’HC melodico, ma non solo per quanto riguarda il filone “sentimentale/pseudoemo” che parte dagli Ataris (o che comunque da loro è definibile), ma anche per tutte quelle cose più squisitamente punk-rock come possono essere i Blink-182.
Tornando alla diramazione presa coi Lagwagon e i No Use, il terzo filone identificabile è composto da quelle band che, strizzando un po’ l’occhio al metal, iniziando a prestare attenzione al suono delle chitarre e ai loro intrecci. Per quanto mi riguarda, anche qui il riferimento sono gli Strung Out, seguiti da gente come Belvedere e i primi Rufio. Se mi state seguendo, forse qualche differenza tra i diversi suoni la cogliete. Poi oh, liberissimi di dirmi che è tutta roba che suona uguale, non mi offendo.
Altro filone, altro regalo. Qui si parte dagli AFI e le contaminazioni sono più verso un immaginario “dark” che può, forse, prendere origine da cose tipo i Misfits. Ma anche no. Mai piaciuta sta roba, ad essere onesto. Figli autoproclamatisi degli AFI sono gli Aiden, band che nei rari casi in cui non è impegnata a fare musica oltre l’osceno fa suo il concetto infarcendolo di poserismo e di tutti i clichè che nel post 2000 giravano in un certo ambiente.
L’impegno politico, in tutto questo, non è stato certo tralasciato. Il primo nome che deve venire in mente, in questo senso, sono i Propagandhi, ma a ruota troviamo i Good Riddance e i loro cloni postumi Rise Against. Tra l’altro, dai Good Riddance, prendo spunto per delineare un certo spostamento verso l’HC “vero e proprio” che parte e arriva unicamente nel timbro vocale o nei cori, lasciando più o meno immutate le restanti parti musicali. In quest’ottica si inseriscono gruppi tipo gli H2O, più tendenti al melodico, o i Comeback Kid, più spostati verso l’accaccì. In mezzo, i previa citati Good Riddance e compagnia.
Non può mancare infine, nella disamina del fenomeno, la componente religiosa. In particolare qui analizzo il filone “Christian”, che in ambito HC melodico fonda, o quasi, sugli MxPx, da cui derivano fenomeni più o meno irrilevanti come gli Slick Shoes (che, cmq, qui includo con un pezzo spessissimo).
Tutto chiaro? Mi sa di no. E’ tutto un gran casino, infatti, perchè discriminare in base al suono e contemporaneamente al contenuto genera intersezioni insiemistiche che neanche alle elementari. Ci si perde immediatamente. Questo anche a sottolineare come chi si mette col righello a tracciare i confini delle etichette, dicendo cosa è dentro e cosa è fuori, spesso dice minchiate.
Fin qui la situazione ammerigana. Ma vuoi che nel vecchio continente non si facesse nulla di tutto questo? Figurarsi. Qui c’erano robe come i Satanic Surfers e i Millencolin a rallegrare le vite dei giovani. Si arrivava dopo, vero, ma non ancora fuori tempo massimo, quindi ok.
E nel bel Paese? Con soli 10 anni di ritardo, in molti casi, qualcosa è arrivato, ma è stato usato per generare fenomeni discutibilissimi. Esempio? I Vanilla Sky. Meno in ritardo e con molto più senso d’essere ci sono invece stati un sacco di gruppi, tra cui io però cito e citerò alla morte i Murder, We Wrote, band che amo come poche altre nella storia del genere.
Ora, finita la lista dei sottogeneri e delle correnti, veniamo ai fenomeni di costume, che in ambito HC melodico sono essenzialmente due. Il primo è quello non proprio esclusivissimo, della cover. Qui il nome neanche c’è da starlo a cercare, perchè la all-star band dei Me First and the Gimme Gimmes è più che sufficiente a colmare ogni desiderio di sapere. Per completezza, e per nominare un’altra band, infilo anche i New Found Glory che con le cover han fatto addirittura due dischi.
Secondo fenomeno è invece la canzone da trenta secondi, che più o meno tutti avevano in repertorio. L’opera omnia in questo senso è la compilation “Short music for short people” che, pur mettendo in fila band non esclusivamente HC melodico, è pensata da chi suonava quello. Non temo smentite. Da quel disco fondamentale pesco tre band tra quelle di genere che non avevo ancora citato, e segnalo così 88 Fingers Louie, Diesel Boy e Useless ID (proudly from Israel).
Cosa resta quindi, di tutto sto carrozzone? Molto. Tante band sono ancora in giro, alcune ancora scrivono dischi identici a se stessi volta dopo volta. Quelli che a detta di molti sarebbero dovuti essere gli eredi designati della scena sono gli A Wilhelm Scream, ma io non li ho mai ascoltati e, visti una volta dal vivo, avrei preferito continuare ad ignorarli.
Chiudo questo infinito discorso, quindi, con quella che per me è la summa del genere e del post. Si torna ai Nofx, perchè mi piacciono le robe cicolari, e la chicca di cui parlo è l’EP chiamato The Decline. Diciotto minuti che valgono oro e che esplicano certamente meglio di me tutto quello che avrei voluto dire con questo post.
Fine.
Ore rileggo tutto e pubblico, ma soprattutto mi riascolto la playlist che ne è uscita perchè il mio post magari fa schifo, ma la scaletta dei pezzi è suprema.

A tuo rischio e pericolo

[…]
Dev’esserci una cinquantina di gradi Fahrenheit. Quella dei Fahrenheit è una faccenda che la fa uscire dai gangheri. Non riuscirà mai a calcolare d’istinto una temperatura in gradi Celsius. Non gliel’hanno insegnato. E se non ti insegnano il sistema metrico decimale vieni su come se avessi le briglie al cervello.
Nel sistema metrico, un millilitro d’acqua occupa un centimetro cubo, pesa un grammo e consuma una caloria per raggiungere la temperatura di un grado centigrado – che è poi l’uno per cento della differenza tra il punto di congelamento e il punto di ebollizione. E la stessa quantità di idrogeno contiene esattamente una mole di atomi.
Invece, nel sistema americano la risposta a “Quanta energia ci vuole per far bollire un gallone d’acqua a temperatura ambiente?” è “Ma vaffanculo”, perchè non si può mettere in rapporto diretto nessuna di quelle quantità.
Finchè il quadrante del suo orologio rimane illuminato, Violet decide di calcolare la temperatura in base al verso di un grillo. Conosce l’equazione*, e l’equazione – come tutte quelle a lei note – segue il sistema metrico decimale.
A dar retta al grillo ci sono dieci gradi Celsius. Che convertiti in Fahrenheit fanno cinquanta.
Il calcolo la convince a lasciare la veranda. Qualunque cosa ci sia fuori è meglio che riflettere su certe stronzate.
[…]

Nella bibliografia di fine libro, si legge: “Secondo The Manga Guide to Calculus, di H. Kojima e S. Togami, 2009, la formula che mette in relazione la temperatura con la frequenza del canto del grillo è Fc = 7(Tc), dove Fc è la frequenza del canto e Tc è la temperatura in gradi centigradi. Da notare che la stessa equazione in Fahrenheit (Tf) sembra inizialmente pesante: Tf = 9/5[(Fc+30)/7]+32 ma si riduce a Fc/0,26+39,71 che arriva abbastanza comodamente vicino (specie se i grilli non sono proprio precisissimi) a Tf = 4(Fc)+40 oppure Tf = 4(Fc+10).”

“Rest in pieces”

  • Manq 
  • Film

Premessa:
Se vai al cinema a vedere “The Expendables 2” e non esci con il cazzo sotto il mento ci sono un problema e due possibili spiegazioni.
Il problema non serve nemmeno esplicitarlo.
Le due spiegazioni sono che o ho qualcosa che non va io, o ha qualcosa che non va il film.
Nel primo caso, che considerato il film in questione non mi sento di escludere, da scrivere rimarrebbe poco quindi provo ad ipotizzare quali possono essere le motivazioni alla base di un ipotetico scenario B.
Prima di tutto però, è doveroso avere chiarissimo ciò di cui stiamo parlando:

Il mio discutibilissimo parere:
A me il primo Expendables era piaciuto parecchio. E vorrei vedere. Prima della visione di sta sera quindi io e Bazzu eravamo fuori dall’Arcadia di Melzo ed era tutto un “E’ resuscitato il film d’azione”, basandoci unicamente su due principi di cui il primo è proprio che nel film di partenza tutto funzionava e il secondo è che l’unica cosa nota del sequel era l’averci messo ancora più gente grossa. E invece, paradossalmente, l’equilibrio si spacca e ti ritrovi a pensare che, col cast della foto qui sopra, è possibile fare qualcosa di meglio. E lì tutto inizia ad andare a rotoli, ti senti sporco che più sporco non si può e hai bisogno di giustificare ogni due righe il tuo non essere convinto.
Che poi è quello eh, perchè non puoi scrivere “non mi è piaciuto” parlando di un film come The Expendables 2. Bastano i primi quindici minuti, con tutto che esplode e/o sanguina (non necessariamente nell’ordine) e tu sei lì che leggi le varie scritte sui tank e hai già tutto il sangue convogliato in un’unica parte del corpo. [SPOILER: non è il cervello]. Poi i conti però iniziano a non tornare. Lungi da me dire che tutto vada a rotoli eh, perchè le due scazzottate finali son roba grossissima, ma ci son cose che onestamente non capisco e che adesso elenco per punti visto che scrivere male di sto film mi sta mettendo a disagio:
– Fai un film in cui Stallone, Shwartzy, Willis e compagnia non fanno che sparare ad ogni cosa si muove. Mi vuoi davvero dire che serve infilarci del fan service? Il film stesso è un cazzo di fan service. Se ci piazzi battute tipo “ti termino” rivolta ad Arnie, “Yippie-Ya-Yee” rivolta a Bruce e compagnia secondo me caghi fuori dalla tazza. Poi oh, Norris che recita uno dei celeberrimi facts m’ha ucciso sul momento, ma a rifletterci boh… no vabbeh dai, quella ci stava, ma per il resto confermo la mia tesi.
– Il punto precedente è parte di un macropunto più ampio: la comicità. Per come la vedo io il film d’azione ha una sola comicità plausibile al suo interno, ovvero quella sarcastico/smargiassa che ha toccato il suo punto massimo con “l’ultimo boyscout”. Se Sly crivella di colpi un tizio e poi gli dice “Rest in pieces” (dio ci salvi dal doppiaggio, davvero squalificante ammesso questa parola esista) io mi gaso e la cosa funziona. A non andare sono invece i momenti da sitcom di cui è infarcito questo film. Un po’ perchè spesso non fanno ridere e tendono al patetico e un po’ perchè dei sessant’enni che fanno il culo al mondo sono un soggetto che è ad un niente dal diventare grottesco. L’autoironia ci sta (bella la battuta alla fine sui pezzi da museo) ed è necessaria nel contesto, ma buttare tutto in vacca no.
– Anche la comicità è parte a sua volta di un terzo macropunto ulteriore: il film. Qui non c’hanno nemmeno tentato di fare un film. E non ci provate a dirmi che anche negli action anni ’80 era così perchè la risposta è “STOCAZZO”. Qui han buttato assieme un po’ di scenette a cazzo di cane, incollate tra loro a volte con lo sputo e a volte nemmeno con quello. Poi è chiaro che se le scene sono di botti, morti e calci in faccia uno magari lo nota meno, ma a voler ben guardare qui ci sono pure un montone di scene inutili incollate tra loro alla cieca e in cui non succede un bel cazzo di niente se non qualche perculata tra Stallone e Statham. Battutine che oltretutto non fanno un cazzo ridere, mannaggia a loro. Non è che mi aspetti un plot lineare e inattaccabile eh, da un film così, ma cazzo almeno il tentativo di tirare in piedi una mezza sceneggiatura secondo me era auspicabile. Nel primo film c’era una trama. Di dieci righe eh, scritte grosse, ma almeno composta di frasi consequenziali e con capo e coda. Qui buio pesto, da sto punto di vista, e ritorno a dire che se fai una cosa del genere devi mettermici talmente tanti schiaffi dentro che non me ne devo accorgere. Cosa che evidentemente non è successa.
Insomma ecco, questi sono i dubbi che ho dopo aver visto il film e che, a costo di ripetermi, uno che vede un film con il cast della foto sopra non dovrebbe avere. Mai. E quindi niente, spero di avere qualcosa io, perchè pensare che “The Expendables 2” non sarà il mio film dell’anno è una roba troppo brutta.

Piccole novità post ferie

Rientrato ieri dalla Turchia, non ho perso tempo e mi son messo subito a lavorare a quelli che di solito sono gli appuntamenti fissi post ferie.
Il primo è la classica mini guida che redigo ogni volta che faccio una vacanza itinerante. Il link è questo, ma la si può trovare come al solito nella sezione “itinerari” del sito.
La seconda cosa è l’annesso album con le foto migliori del viaggio. Anche in questo caso, il link è qui, ma ci si può arrivare tanto dalla sezione foto del menu qui a destra, quanto dalla previa citata miniguida.
Già che ero in ballo ad aggiornare e ricaricare parti di questo sito, ho deciso di mettere mano anche alla sezione musica che era priva di aggiornamenti da più di un anno (chi se ne fosse accorto vince la mia simpatia). Al momento quella parte del menu è quindi stata rimossa e verrà reintrodotta presto (indicativamente) all’interno di quel progetto sulle monografie di cui ho tanto parlato, ma che non ho ancora iniziato.
Il progetto però c’è, non si scappa.
Ecco, queste le novità principali.
Per il resto io ho passato delle ottime, seppur brevi, vacanze e sono rientrato abbastanza riposato.
Di tutto quel che ho fatto in queste due settimane però, vorrei scrivere solo del secondo libro di Josh Bazell, “A tuo rischio e pericolo”, perchè è semplicemente un capolavoro. Gli dedicherò un post in questa settimana. Vi basti sapere che è un libro su un mostro lacustre che cita “Science” e il “New England Journal” come referenze qua e la, e che alla fine ha una bibliografia chilometrica. Ah, e che fa letteralmente morire dal ridere.
Nient’altro da dire.
Domani sera probabilmente andrò a vedere “The Expandables 2”, con ben due giorni di ritardo. Se tutto va bene, scriverò anche di quello.
Si preannuncia una settimana ricchissima di aggiornamenti.

Tony Sly

It’s too late to talk to you
And it’s too soon to say good-bye
Listen where ever you may be
You still live inside my mind

La notizia della morte di Tony Sly mi arriva da Carlo, mentre sto andando a mangiare una pizza per il compleanno della Polly. Ovviamente, mi sconvolge. E’ la prima volta che vedo morire uno dei miei idoli di gioventù. Sti cazzi Kurt Cobain, che s’è sparato prima che potessi sapere chi fosse. Sti cazzi Freddie Mercury, i Ramones, Amy Winehouse, Michael Jackson e tutti quegli artisti che sì, può spiacere, ma in fin dei conti finisce lì, subito, con una faccia magari stupita ed una frasetta su facebook. Qui è diverso. Qui si parla di uno che, boh, non solo ho visto suonare mille volte, ma ho sempre sentito vicino. Uno che ha scritto pezzi che faranno per sempre parte di me, uno con cui mi è capitato di chiacchierare.
Sono senza parole.
Non so cosa scrivere e anche dovessi arrivare a capirlo, non saprei come scriverlo. L’ultima volta che ho parlato di lui è stato per recensire il suo ultimo disco acustico. Ho scritto cose brutte, cose come “invecchiare male”, e adesso mi sento terribilmente una merda se penso che di invecchiare, per il buon Tony, non se ne parlerà.
Non ho mai capito quelli che piangono per la morte dei cantanti, però eccomi qui a far parte della categoria. Continuo a non capirlo, ma non credo conti qualcosa.
Ho tre magliette dei No Use. Una, enorme, la uso da tempo come pigiama. Una, distrutta, è la mia maglietta preferita. La terza, tamarra, ma ancora indossabile al lavoro, la metterò domani.
Sto scrivendo un milione di banalità e forse è il caso che la pianti qui. Che poi oh, non so perchè, ma il sapere che per Tony non ci sarà uno spopolare di profile pics, tweets, status e post sui blog mi fa persino rabbia.
Affanculo.
I’ll miss you, Tony, I know I will.
Exit.