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Dubbio

Treno. Posto finestrino.
Sono le 19.10 e sto tornando da laboratorio quando il convoglio arresta la sua corsa. La stazione è quella di Sesto S. Giovanni, unica di inframezzo tra dove sono salito e dove scenderò.
Si aprono le porte.
Fa il suo ingresso un ragazzo. Lo conosco? Si. Bene? No.
Gli sguardi si incontrano abbastanza a lungo da rendere noto ad entrambi che l’altro è un viso conosciuto. Si siede affianco a me.
Dubbio.
Gli parlo? Ok, potrei, ma poi che gli dico? Odio quando ti trovi a parlare con una persona cui non hai nulla da dire e scende tra i due un silenzio imbarazzante. Odio ancora di più quando pur di non cedere all’evidente penia di argomenti si inizia a parlare di cose che non interessano a nessuno.
E se invece lui non mi avesse riconosciuto? Potrei salutarlo e vedermi guardare con la faccia interrogativa di chi fruga nella memoria cercando l’identità del suo interlocutore. Perchè mettere in imbarazzo una persona? Come detto lo conosco di vista, questa possibilità è tutto fuorchè remota.
Che fare quindi?
Gli parlo? Lo saluto? Lo ignoro?
Tramite Muvo, gli Alkaline Trio continuano ad isolarmi dal mondo, dandomi un alibi. Lo sguardo è fisso all’infinito, oltre il vetro del finestrino. Il tempo passa ed un altro fattore interviene. Se lo salutassi ora, dopo tutti questi minuti, sarebbe del tutto normale per lui chiedersi come mai io abbia atteso tanto. “Perchè non voleva salutarmi?”, penserebbe. In questo caso l’imbarazzo sarebbe assolutamente inevitabile.
Dubbio.
Alla fine mi decido, non lo guardo e gli parlo: “Permesso.”
Sono arrivato. Scendo dal treno.
Percorrando la strada verso la macchina penso: “E Lui? Avrà avuto tutti i miei dubbi o semplicemente non aveva idea di chi fossi?”
Dubbio.

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