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Diario dall’isolamento 2: day 35

Ieri sono usciti i risultati dell’ERC Consolidator Grants, un finanziamento europeo molto importante destinato ai ricercatori, non solo in ambito scientifico. Metto qui sotto il grafico sulla distribuzione di questi fondi.

Bello, vero?
Siamo gente in gamba, noi italiani.
Proviamo a commentarlo un secondo, questo doppio grafico che non avrebbe bisogno di commenti.
L’Italia si aggiudica 17 finanziamenti, quanti Israele e metà della Francia. Lontanissime UK e Germania. Il dato non stupisce ed è in linea con quel che si può correlare anche ai mercati delle aziende che operano nel mio settore. Forse il divario con la Spagna è più marcato dell’ipotizzabile (da me), ma son cavilli.
Quello che invece dovrebbe far pensare è il secondo grafico, ovvero la nazionalità dei vincitori a prescindere dal Paese in cui operano. Che tradotto vuol dire che 30 dei 47 grant portati a casa da ricercatori italiani se ne vanno gloriosamente all’estero (semplificando ed assumendo che i 17 finanziamenti arrivati in Italia siano tutti vinti da italiani, altrimenti è anche peggio. Non sto a controllare, comunque, che tanto qui non ci viene nessuno.).
Perchè succede? 
Perchè in Italia fare ricerca non è un lavoro, ma un hobby, come spiegavo tempo fa qui sopra. Non voglio riprendere tutto il discorso nel dettaglio, ma è evidente che in un mondo ultra globalizzato e ormai piccolissimo, andare dove ti pagano bene e ti offrono un futuro non è così complesso (se sei bianco).
Il problema è più che altro per chi resta. Da una parte quelli bravi che non possono o non vogliono lasciare l’Italia, ma che credono in quel che fanno e sono spesso disposti a fare grandi sacrifici (economici e di vita) pur di continuare. Dall’altra quelli che fanno ricerca solamente perchè la selezione naturale libera il posto di chi ha titoli per partire, lasciandolo a disposizione (anche) di chi non li avrebbe. Se offri 1000 euro al mese scarsi ad una persona per lavorare e le dici che se non le sta bene il suo lavoro lo può fare gratis qualche tesista, beh, aspettati che quella persona renda per 1000 euro al mese, per 800 o anche per, appunto, zero. Stai selezionando la tua forza lavoro.
La cosa tragicomica è che, nel campo delle life sciences, in Italia ci sono pochissimi sbocchi anche nel privato. Quasi nulli in ricerca e sviluppo, mancando da noi le aziende. Questo tiene a galla la baracca, sommariamente, evitando che altre persone valide il cui unico freno è espatriare, mollino il colpo e contribuiscano all’emorragia. Così non fosse, il nostro sistema accademico sarebbe gambe all’aria da un pezzo. O forse no, forse sarebbe la sveglia che gli serve per investire e trattenere i ricercahahahahaha ma smettiamola.
Ultima nota: i ricercatori italiani che hanno ottenuto il grant nel 2020 si dividono perfettamente tra uomini e donne. E’ una bella notizia. In parte forse spiega il mio avere un bias notevole nell’approcciare discorsi sulla disparità di genere nel mondo del lavoro. In ricerca, l’ambiente lavorativo che mi ha cresciuto, vale la legge Hartman: vige l’uguaglianza e non conta un cazzo nessuno. Ho sempre avuto capi donna, nella mia vita, nel 100% dei casi (anche oggi).
Questo non vuol dire che il problema della disuguaglianza non esista in generale, o che la ricerca ne sia esente. I ricercatori hanno contratti di merda che rendono grossomodo impossibile pensare ad una gravidanza, per fare l’esempio più classico, ma probabilmente pesa meno che altrove e per diversi aspetti facilita la permanenza alle donne che comunque, fatti alla mano, avrebbero purtroppo meno chances degli uomini di fare carriera fuori dal laboratorio. Questo ginepraio però lo lasciamo per un’analisi futura.
Complimenti a chi si fa il culo e porta a casa questi finanziamenti, in ogni caso. Che sia rimasto o sia partito, ha comunque certamente affrontato scelte non semplici pur di tirare dritto col suo progetto.
Tanto di cappello.

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