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Ce lo meritiamo, il capitalismo

Attenzione, stai per leggere una roba che i competenti chiamano “flusso di coscienza”, ovvero una serie di frasi scritte di getto sull’onda emotiva di un momento come tanti, ma con più tempo a disposizione.
Se molli il colpo prima di partire non me la prendo.
Amici come prima.
Esattamente come prima.
Se sei tra chi c’era all’inizio, sai che qui, una volta, era tutto flussi di coscienza.

Non ho la pretesa di pensare il mio lavoro sia rilevante, ma quando passi una giornata nel reparto di oncoematologia pediatrica di un ospedale diciamo che è complicato non mettere le cose in prospettiva. Tutte le cose, quindi anche il fatto che il lavoro che fai faccia in qualche modo parte del processo che prova a tenere le persone dal lato verde dell’erba. Sul principio è anche una bella sensazione, non lo nascondo, ma se inizi a pensarci ti tocca considerare un po’ di cose non necessariamente piacevoli.
La prima è che, statisticamente, sei molto più utile a “vendere” reagenti che non a fare lo scienziato. Chiunque tu sia, ma soprattutto se sei me. La mia carriera accademica (2005-2013) vanta una decina mal contata di pubblicazioni scientifiche peer review, ho pubblicato ogni singolo progetto a cui abbia lavorato, ma è piuttosto evidente che il mio impatto sul progresso scientifico sia zero. Non intendo basso eh, proprio nullo. Diciamo che mi si trova alla voce “Risposte a domande che non era necessario porsi”. Oggi il numero di progetti di ricerca su cui posso avere impatto è imparagonabile, per quantità, e per quanto il mio ruolo all’interno di ciascuno di essi sia decisamente più esiguo (leggi: marginale), è pur sempre legato a trovare la chiave per far funzionare le cose prima e/o meglio. E quando i numeri salgono, sale la possibilità che qualcosa finisca per servire sul serio. Il che ci porta ad una questione ancora più odiosa.
Io a sta gente le soluzioni le devo vendere.
Una parte della narrazione è che quei soldi ripaghino dell’investimento fatto in termini di ricerca e sviluppo, un processo che va coperto economicamente perché sopporti i fallimenti e possa ammortizzarli. Innegabile. Però gli stessi soldi arricchiscono anche le persone. Nel mio caso specifico perlomeno a guadagnarci è chi ha messo in piedi l’azienda da zero e non qualche fondo di investimento / magnate della finanza a cui della scienza interessa solo il ritorno economico (può sembrare una cosa irrilevante, ma per me fa tutta la differenza del mondo), tuttavia parliamo sempre di persone che sono diventate oltremodo ricche. E il mio lavoro, oltretutto, è fare in modo lo diventino ancora di più. Contribuire al progresso scientifico è il mezzo che giustifica il fine, non viceversa.
So cosa state pensando.

Avete ragione.
La cosa che però mi fa arrabbiare più di tutto, la riflessione da cui nasce questo post, è che senza questo sistema malato che cerca profitto in ogni posto, ad ogni costo, il progresso sarebbe un bel pezzo più indietro.
Il motore che ha portato alla crescita esponenziale, direi a 360°, ma sicuramente almeno in ambito scientifico, è la ricchezza. Il sistema dei brevetti, la competitività, sono tutte storture che ci permettono oggi di curare malattie fino a ieri incurabili (spesso causate dalla pressione che questo stesso sistema esercita sugli individui, ma quella è un’altra questione). Era impossibile un’altra via? Non saprei. Difficile fare la storia con i se, ma forse sarebbe stato necessario evolvere come specie in maniera diversa. Meno individualista, meno egoista. Invece dopo 200 mila anni siamo ancora la più spietata tra le specie, addirittura disposti a sacrificare noi stessi sul lungo periodo, contro ogni possibile istinto di autoconservazione.
Purtroppo, ad una specie così, difficile chiedere di concepire qualcosa di meglio del modello capitalista. Sarebbe come aspettarsi la svolta vegana dai leoni.

Alla fine, probabilmente, l’unico vero problema è che quando esci da una giornata spesa in oncoematologia pediatrica sei costretto a guardare alla tua realtà e ringraziare di venirne fuori con al massimo qualche riflessione sul senso del tuo lavoro.

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