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NBA All-Star Game 2018

Che la partita delle stelle sia ormai una roba non solo inguardabile, ma anche priva del benché minimo significato sportivo penso sia cosa ormai assodata, tuttavia ogni anno non riesco a resistere alla voglia di votare i miei quintetti.
Il neonato 2018 non farà quindi eccezione.

I quintetti di Manq

Come ogni anno ecco anche qualche spiegazione.
Inutile negarlo, aver preso parte ad un accesissimo torneo Dunkest con gli amici mi ha portato a seguire l’NBA in maniera del tutto diversa, se vogliamo anche quasi fuorviante, e questo ha influenzato notevolmente le mie scelte. Eppure credo di aver messo su dei quintetti piuttosto interessanti.

WESTERN CONFERENCE:
Come prima scelta tra le guardie ci metto CP3 perchè è il mio giocatore preferito da sempre e perchè quest’anno con i Rockets sta facendo cose che non pensavo sarebbe riuscito a fare. Credevo difficile la convivenza con Harden e credevo avrebbero floppato, invece con lui in campo hanno saputo fare cose eccellenti e lui mi sembra davvero carico a pallettoni. Non vincerà, probabilmente, ma è legittimo aspettarsi qualcosa di meglio rispetto agli anni ai clippers. Per l’altra guardia invece voto il rookie meraviglia di Utah, Mitchell, che sta facendo vedere cose davvero eccellenti soprattutto in attacco. Ok, qui c’erano davvero moltissime scelte preferibili, ma il voto per l’allstar game è sempre questione anche di simpatia e Mitchell fa simpatia.
DMC è il miglior centro attualmente in NBA? Per molti no, per me di gran lunga ed essendo questa la mia selezione, si giustifica da solo. Gli affianco KD35 perchè pur essendo il giocatore che più odio della lega, le circostanze hanno voluto sia il mio fanta capitano e quindi va incoraggiato e sostenuto, insieme a Kuzma che è un’altra matricola che mi sta davvero impressionando. I Lakers fanno schifo, ma secondo me lui è molto buono e si è fatto certamente notare in questo inizio di stagione. Diciamo che si prende il voto che avrei dato a Tatum se avessi avuto spazio ad est.

EASTERN CONFERENCE:
Secondo il sito dell’Allstar Game Ben Simmons è una guardia e quindi una delle due posizioni disponibili va a lui perchè ho il dubbio sia uno di quelli che ne passano pochi nella storia (semicit.). Seconda scelta per Uncle Drew, che diciamo raccoglie simbolicamente il voto che va alla Boston di questo inizio stagione. Una squadra che perde il suo innesto chiave nei primi 5′ di stagione e che nonostante quello tira fuori una forza ed una compattezza incredibile. Irving poi scarso non è e direi che un po’ del suo ce lo sta mettendo, quindi posizione assegnata.
A fare il centro avrei dovuto metterci Drummond, la sua stagione (e quella dei Pistons, se vogliamo) sono al momento ben al di sopra delle mie aspettative, tuttavia io mi riservo sempre una quota Hornets e quest’anno Superman mi sta davvero sorprendendo per qualità e costanza. Non sarà più l’Howard di un tempo, ma è decisamente cambiato rispetto alle ultime deludentissime versioni.
Altra ala che voglio votare è Aaron Gordon, entrato nel mio cuore dall’anno in cui gli scipparono la gara delle schiacciate, è davvero migliorato molto e sta facendo vedere cose interessanti. Anche lui è nella mia fanta squadra e mi ha già fato vincere più di una partita, quindi posto meritatissimo. Chi rimane? Kevin Love, che si prende il posto di LBJ. Il motivo è che mi ha molto sorpreso il modo in cui è stato protagonista in questa prima parte di stagione, probabilmente il giocatore che ha tratto maggior vantaggio dalla partenza di Irving. Ora con il rientro di IT le cose probabilmente cambieranno, ma per me merita un posto nei cinque.

 

Once upon a time #2

Il 5 settembre 1999 una televisione nazionale mandava in onda la registrazione integrale di un festival alternativo alla sua prima edizione.
Il concerto, registrato il giorno prima dall’Arena Parco Nord di Bologna, vedeva alternarsi sul palco Tre Allegri Ragazzi Morti, Verdena, Punkreas, Lit, Hepcat, Silverchair, Joe Strummer e Offspring, che però furono gli unici a non concedere i diritti per la ritrasmissione del concerto in TV.
Per quanto tutta la replica televisiva sia rilevante ai fini di questa rubrica, il culmine furono certamente i 40 minuti del video qui sotto.

Il canale si chiamava TMC2 e il concerto era l’Independent Days Festival. L’esperimento non fu mai più ripetuto.

Once upon a time nasce come rubrica di manq.it che racconta momenti che hanno fatto la storia della musica. O forse la storia in generale.
L’uscita di Once upon a time #3 è da considerarsi altamente improbabile.

Same ginepraio, more cazzimma

Giorni fa, a seguito della faccenda Weinstein ho scritto un post. Ci ho messo tanto perchè volevo essere sicuro di non dire cose fraintendibili o che potessero in qualche modo prestare il fianco ad accuse di maschilismo o misoginia.
Ne è uscita una roba di cui ovviamente condivido anche le virgole, ma che glissava  (o forse non si soffermava a sufficienza) su certi aspetti che reputo comunque chiave nella questione.
Lo scandalo però non si è fermato ed ha coinvolto altri personaggi. Uno è Louis CK, un altro è Jesse Lacey. Sul secondo la mia lucidità è andata completamente affanculo, quindi ecco una sorta di remix del post precedente.

Partiamo da Louis CK.
Dopo le accuse, il comico ha pubblicato una dichiarazione in cui conferma la veridicità delle testimonianze e si assume le responsabilità delle sue azioni. Una parte di questa dichiarazione secondo me è piuttosto interessante. Cito:

At the time, I said to myself that what I did was O.K. because I never showed a woman my dick without asking first, which is also true. But what I learned later in life, too late, is that when you have power over another person, asking them to look at your dick isn’t a question. It’s a predicament for them. The power I had over these women is that they admired me. And I wielded that power irresponsibly.

Non importa che le donne in questione fossero consenzienti, il consenso derivava da un rapporto di potere che le stesse avrebbero percepito come forzatura. Louis CK quindi avrebbe dovuto valutare la cosa e scegliere per loro. “So che per te è ok che io ti mostri il cazzo, ma tu non lo vuoi davvero. Pensi di volerlo e sta a me che sono l’uomo capirlo e decidere al posto tuo che non è il caso.”
Il messaggio da portare a casa da tutta la vicenda quindi è che le donne non sono in grado di prendere decisioni in autonomia. Quella riportata qui sopra, per me,  è la cosa più maschilista di tutta questa faccenda. Accolta come l’ammissione di colpa accettabile per un comportamento inaccettabile, è in realtà una dichiarazione offensiva a giustificazione non necessaria di un comportamento magari non condivisibile, ma certamente non molesto.
Io non c’ero, quindi quello che è successo non lo so. So quel che ho letto, e per me vale la regola che mi ha insegnato mia nonna: “Chiedere è lecito, rispondere è cortesia.”, fatto salvo ovviamente che
1) la richiesta sia reale e non retorica
2) la risposta sia accolta e rispettata, senza conseguenze
Questi episodi invece hanno una montagna di non detti, di implicazioni presunte o potenziali su cui è facile costruire qualsiasi tesi, ma che di fatto non sono buone per nulla che non sia una bufera mediatica sui social. Il motivo per cui Louis CK probabilmente non lavorerà più (o comunque avrà problemi in tal senso), ma non avrà problemi legali. Almeno a quanto ne so.
A me resta sempre difficile pensare che un uomo che decide di fare “avances inappropriate” lo faccia sempre calcolando l’esatto rapporto di forza in essere in quel momento e non, più semplicemente, perchè non riesce ad ossigenare simultaneamente cervello e corpi cavernosi. Non è questione banale. Siamo davvero sicuri Louis CK in quelle circostanze ci abbia provato perchè conscio di giocare la parte del leone e non, più semplicemente, perchè è uno che se vede una bella donna non riesce a fare a meno di volerla portare a letto? Non è che il secondo scenario non sia grave o problematico, ma son davvero due piani  di esistenza completamente diversi. Soprattutto, non è che i due scenari siano mutualmente esclusivi. Il fatto che Weinstein caschi nel primo caso, non vuol dire ci caschino tutti o che il secondo non possa esistere. Facciamo dei distinguo, se è il caso.

Passiamo alla questione Jesse Lacey.
Mi trovo a dover commentare questa cosa partendo dal fatto che nella mia top 3 personale delle canzoni dei Brand New c’è “Me vs. Maradona vs. Elvis” e adesso cliccate sul link e ve la ascoltate leggendo quel cazzo di testo.
Non ha un significato diverso, oggi. E’ lo stesso identico autoritratto crudo e cinico che è sempre voluta essere e chi pensava fosse una sorta di inno al “bomberismo” probabilmente ascoltava i Brand New per i colori delle copertine dei dischi.
In una dichiarazione pubblicata oggi dallo stesso, Jesse ammette di essere stato a lungo in uno stato di dipendenza da sesso, cosa per cui si è già curato e da cui è già uscito. A costo di passare per fanboy miope, ci vedo una montagna di differenza tra chi allo scoppiare dello scandalo decide di andare in rehab (tipo Kevin Spacey) e chi lo ha fatto ben prima di finire sotto accusa.
Ora arriva la parte difficile da scrivere.
La ragazza che lo accusa parla di richieste di foto intime e situazioni avvenute via chat/skype. Non ce la faccio a percepirla come una situazione di cui si può avere paura, non riesco proprio. Quello che vedo e comprendo è il risentimento derivante dalla delusione di chi aveva dei sentimenti e se li è visti calpestare. Non è una cosa da poco, ovviamente, ma non è ammissibile trasformarla nella base per accuse di molestia. Creerebbe un precedente pericolosissimo, in questa dannata società plasmata dai preti. Provo a spiegarmi meglio.
Si parla tanto di “educare” gli uomini alla sessualità e ai rapporti con l’altro sesso. E’ davvero qualcosa di fondamentale, per me. Quel di cui non si parla mai però è di educare le donne, che ne avrebbero altrettanto bisogno.
Cresciamo le donne (non io, se dovessi farlo con mia figlia SPARATEMI) con l’idea che il sesso, anzi, che “darla via” sia una colpa senza appello, attenuata al massimo dal fatto che lui sia il vero amore, quello giusto, il ragazzo perfetto. Che ci si debba pensare bene prima di farlo, che si debba essere sicure. Questo perchè è una cosa di cui dover rendere conto.
Si parla di “pressioni psicologiche” subite dalle ragazze che accettano di andare a letto con un uomo, ma mai della pressione psicologica che le stesse hanno a dover ammettere sia stata anche una loro decisione. Il giudizio costante a cui sono sottoposte. In questo clima, davvero può bastare un “Eh, ma non volevo”  che sa più di giustificazione che di accusa, per mettere alla gogna una persona?
NON STO DICENDO CHE LE MOLESTIE NON ESISTANO.
Sto dicendo che la situazione è complessa e che affrontarla come viene affrontata ora è sbagliato. Non è una caccia alle streghe, quella in atto. E’ un rigurgito di mille situazioni diverse, in cui si deve iniziare a fare distinguo tra caso e caso. Weinstein non è Spacey, Louis CK non è Jesse Lacey e via dicendo. E invece stanno tutti finendo alla gogna nello stesso identico modo.

Lo so, c’è un elefante nella stanza. La ragazza aveva quindici anni e Jesse ventiquattro. Ovviamente è una cosa sbagliata. Moralmente, eticamente. Non c’è dubbio.
Per me la pedofilia però è un’altra cosa e credo ci sia un motivo se personaggi come Ian Watkins la stiano pagando in galera e non su twitter. Magari poi JL finirà sotto processo e verrà condannato. Magari quel che è venuto fuori è solo la punta di un iceberg che comprende fatti ben più gravi. Se così fosse, è giusto venga chiamato a rispondere delle sue azioni come sta succedendo a Steve Klein. Fino ad allora però, facciamo dei benedetti distinguo.

A differenza dell’altro post, questo l’ho scritto abbastanza di getto. Se sia o meno un bene non lo so. Mi piacerebbe che chi leggendo pensasse abbia scritto una montagna di cazzate poi me lo dicesse anche, perchè credo davvero parlare della cosa sia un bene assoluto. Molto del problema è culturale e credo che solo parlandone possa davvero venire a galla cosa c’è di sbagliato in quel che diamo per assodato sia normale.
Boh, magari sto giro succede davvero.

Ginepraio

Quando ho letto della faccenda Weinstein e delle accuse di Asia Argento avrei voluto scrivere due righe sul blog. Non che avessi chissà quale nuova prospettiva da illustrare, più che altro perchè avere un blog è sostanzialmente pubblicare opinioni personali non per forza necessarie e io, in merito, un’opinione ce l’ho. Alla fine invece ho lasciato andare senza dire nulla. Mi ci sono sforzato eh, a non scrivere. Il motivo? Quando si parla di molestie e sessismo si inasprisce ancora di più il meccanismo per cui le opinioni debbano sempre essere nette ed assolute, mentre io probabilmente ho bisogno di sfumature. Queste sfumature in una discussione finiscono sempre per venir stravolte, estrapolate a cazzo e usate per definirti come il peggiore degli stronzi. Dici “Weinstein è una bestia, ma…”* e se ti dice bene ti prendi del femminicida.
Mi succede da anni, quando si va in argomento. Tutto considerato è possibile io sia davvero il peggiore degli stronzi, ma resta il fatto che discutere di questo argomento è muoversi in un ginepraio. Sono alla terza quarta stesura del pezzo e ancora non so come uscirà. Scrivendo alcuni pensieri mi sono reso conto fossero cazzate e questo mi porta a pensare che non scriverne subito sia stato uno sbaglio. Mi conosco e so che mettermi al PC e stendere un post è il modo migliore che ho per riorganizzare le idee, eppure avevo (leggi: ho) davvero fastidio ad espormi.
In questi giorni però è venuta fuori la storia di Kevin Spacey e, mentre scrivo, quella di Dustin Hoffman. A sto punto parliamone, affrontiamo il ginepraio e usciamone nell’unico modo possibile.

Andiamo per punti, va.

  1. Kevin Spacey potrebbe essere un pedofilo, un molestatore seriale o semplicemente uno che una volta, ubriaco, si è trovato un ragazzino in camera e ha ipotizzato che questo ragazzino si fosse messo lì per provarci col grande attore. Ognuno di noi può farsi l’idea che vuole in base a quale racconto preferisca ascoltare, ma chi gli da da lavorare dovrebbe basarsi su qualcosa di più concreto e comprovato prima di rivedere le proprie posizioni. A meno che loro sappiano, ma a quel punto perchè fino a ieri non era un problema?

  2. Molti sottolineano il fatto che lui non neghi, ma quel comunicato a me da più l’idea di essere stato formulato su consiglio di qualche legale/manager che sperava pagasse la politica della “sincerità” con tanto di coming out finale a spostare l’attenzione.
    Così non fosse, il suo dire “non ricordo, ma se è successo mi scuso” presuppone che la situazione descritta da Rapp per Spacey sia plausibile. Il che non gioca a suo favore, ovviamente. Di nuovo, ognuno può farsi l’idea che vuole fino a che tutto resta nell’ambito delle disquisizioni da social.

  3. Il coming out. Ho letto di larga parte della comunità gay risentita perchè “facendo coming out tira in mezzo tutti gli omosessuali nelle sue porcherie”. Mi pare un’analisi incomprensibile.

  4. Si è innescato un domino. Forse è stato scoperchiato il vaso di pandora o forse il momento è così caldo mediaticamente che tutti i giornali e le riviste impieghino tantissime risorse alla ricerca di una nuova storia per cavalcare l’onda. Il fatto che in quell’ambiente non venga fuori nulla di meno recente del 1986, almeno per il momento, è strano, se l’obbiettivo è rompere il silenzio e cambiare le cose per davvero.

  5. Weinstein è una bestia

  6. Ma della vicenda Weinstein alcune cose andrebbero chiarite, alcune domande andrebbero fatte, senza dover passare per forza per quelli che danno addosso alle vittime. Asia Argento lo ha accusato dopo anni di silenzio perchè finalmente ha trovato la forza di parlarne. Brava. Poi fa riferimento ad altri episodi, ben più gravi e con diversi carnefici, ma di questi non fa i nomi. Credo sia legittimo chiedersi perchè. Non sto dicendo non sia vero, ma senza fare i nomi alla fine resta solo il gossip pruriginoso del “ce ne sono anche altri, chissà chi sono…”, buono per le discussioni dal parrucchiere.

  7. Ma assodato che nessuna attrice dovrebbe essere messa nelle condizioni di scegliere tra carriera e dignità personale, una volta che la scelta si pone è giusto che chi ha scelto carriera sia messa di fronte alle proprie responsabilità. Ancora, non si tratta di incolpare le vittime, ma di fare distinguo. Nell’ambito della ricerca da cui vengo io è prassi proporre a gente altamente specializzata ed istruita di lavorare gratis. Chi accetta di farlo, magari sulla base del fatto che se lo può permettere, alimenta un problema pur non essendone la causa.  Deresponsabilizzare in toto queste tipologie di scelta solo perchè “vittime” di un sistema marcio pre-esistente non aiuta a risolvere il problema.
    Attrici che non avendo accettato di farsi scopare da Weinstein non sono finite a ringraziarlo con in mano l’oscar immagino siano d’accordo con me.

  8. Ma credo che avere una posizione di potere in quell’ambiente ti porti ad essere costantemente circondato da donne bellissime che vogliono dartela e, ad una certa, immagino possa succedere di pensare che TUTTE le donne bellissime vogliano dartela, per finire a credere che TUTTE le donne bellissime DEBBANO dartela. Non è una giustificazione, ma credo sia importante capire cosa c’è alla base di un certo comportamento. Ho appena visto la prima stagione di Mindhunter.

  9. La cultura machista di cui la nostra società è pregna è un problema, ma lo sono anche i retaggi che ci portano a vedere il sesso come una cosa turpe, sporca e verso cui siamo completamente a disagio. Perchè posto nessuno dovrebbe permettersi avances inappropriate verso il prossimo, è altrettanto vero che se fossimo a nostro agio daremmo alla cosa un peso ben diverso. Una volta un tipo in discoteca mi ha strizzato il culo e messo le braccia al collo. Ho declinato l’offerta ridendo e lui ridendo se n’è andato. Ovvio che non ne avesse il diritto, ma se questa cosa fosse bastata a turbarmi psicologicamente credo sarebbe stato importante chiedersi perchè e non credo che interrogarsi sulle proprie reazioni implichi in nessun modo negare l’inadeguatezza del gesto subito.

  10. La cosa davvero brutta, è che tutta questa storia finirà in niente. Gente come Weinstein si godrà i miliardi scopando esattamente quanto prima e con le stesse premesse di prima. E noi finiremo a parlare d’altro.


* la storia del “se c’è il ‘ma’ sei un razzista/omofobo/whatever” è una puttanata che va bene FORSE a sedici anni. Cosa c’è dopo il ma fa tutta la differenza del mondo.

Quinoa or not quinoa?

Da ieri rimbalza per la rete un pezzo intitolato “PERCHÉ NON C’È NULLA DI ETICO NELLA VITA DI UN VEGANO“. Dopo averlo letto l’ho condiviso e ho provato a parlarne con alcune persone vegane che conosco.
Ci sono due livelli di analisi del pezzo di cui sopra.
Il primo è focalizzarsi sui toni, che è la cosa che viene più immediato fare, credo anche nell’intento di chi ha scritto il pezzo. Da quando internet ha reso la figura del giornalista indistinguibile da quella del blogger ci tocca continuamente leggere articoli dai toni “simpa”, con livelli di sarcasmo semplicemente inadeguati e per cui lo sforzo principale diventa arrivare in fondo al primo paragrafo senza spaccare il PC. Il mio riferimento mentale in questi termini è Scanzi, c’è chi (a ragione) cita Travaglio, sono entrambi ottimi esempi di quanto irritante può essere quel tipo di approccio. L’articolo uscito su The Vision è un fulgido caso di sbagliare i toni. D’accordo, ma andrei oltre.
Il secondo livello è focalizzarsi sui contenuti e qui la questione diventa più interessante. A mio modestissimo parere, il senso dell’articolo è nell’ultima frase:

“L’unica cosa che possiamo fare, la prossima volta che ci troveremo a mangiare in una hamburgheria artigianale con un amico vegano, è aiutare chi ci sta di fronte a scegliere. Fra il burger di quinoa con guacamole e mayo di mandorle e l’unica scelta etica possibile: il digiuno.”

A me pare ovvio l’obbiettivo del pezzo sia mettere in discussione un preciso approccio al veganesimo, che non è quello della maggior parte dei vegani che conosco, ma che è quello della maggior parte dei contenuti Go Vegan che mi arrivano in faccia.
Oggi ho condiviso un secondo pezzo, che punta a rispondere a quello di ieri: “Perché non c’è nulla di etico in quell’articolo sui vegani“. E’ un bell’articolo, scritto bene e ben costruito, che contestualizza i dati in maniera accurata e apre ulteriormente la visione di insieme. Solo che sbaglia mira. Dice, in riferimento al post di Lenardon:

…è un hatchet job dove si isolano informazioni dal loro reale contesto per porle in una narrativa che cerca di rassicurarti che quelli che mangiano piante sono tutti hippies scemi e tu che mangi wurstel sei uno figo e razionale e intelligente.

Non è affatto quello il punto, per me. Discutere chi scrive libri di “cucina etica” promuovendo la quinoa non è discutere chi sceglie di essere vegano.
Anni fa, in seguito ad alcune dichiarazioni omofobe di Guido Barilla, era partita una campagna di boicottaggio al marchio. Scelta legittima e se vogliamo condivisibile, a patto poi si acquisti la pasta da un produttore che sappiamo per certo essere gay friendly, o quantomeno la cui posizione in merito possa essere considerata meno sbagliata. “Compro Rummo perchè, se anche odiano i gay, hanno la decenza di non dirlo in pubblico” è una posizione assolutamente legittima, “Compro Rummo perchè Barilla odia i gay” lo è meno.
In risposta al pezzo originale però ci sono stati anche articoli davvero impresentabili, che tuttavia aiutano ad analizzare il fenomeno a tutto tondo, tipo: “Perchè non c’è nulla di etico nella vita di Matteo Lenardon : una critica sensata (forse)“. Ecco, già il titolo non lascia sperare benissimo (tanto meno il sito su cui è pubblicato), ma andando a leggere viene da pensare che articoli come quello di The Vision tutto sommato male non facciano. Cito:

Magari sarebbe stato più completo cercare di andare alla radice di questo problema, non è di certo colpa del vegano se vengono espropriate terre e ridotti umani alla fame per la produzione di quinoa (che poi, a dirla tutta, quante volte avete mangiato la quinoa?). Magari sarebbe stato più corretto parlare del comportamento aggressivo di ogni multinazionale del cibo, che vedendo aumentare la domanda, si è comportata di conseguenza. Semplice logica di mercato, non c’era nessun pretesto per attaccare il vegano.

La visione è abbastanza miope. Una scelta vegana che si basa sull’impatto ambientale dell’alimentazione carnivora/onnivora non può essere messa di fronte al suo stesso impatto ambientale perchè, ehi, il problema sono le multinazionali e le logiche di mercato, che evidentemente non si applicano al business della carne o non sono in ogni caso sufficienti a redimerlo.

E’ oggettivo ci siano nella scelta del veganesimo una buona fede indiscutibile ed un obbiettivo encomiabile. Il punto è cercare di comprendere se la strategia che si usa per arrivarci sia utile, ininfluente o addirittura controproducente. In un contesto sociale ed economico in cui l’etica sta sui menu dei ristoranti, ma non nelle teste di chi legifera su temi come commercio, agricoltura, allevamento e lavoro, per me è difficile comprendere i reali effetti della mia dieta. Da ignorante sono portato a pensare ci sia un numero X di vegani a cui tendere, sufficiente ad alleggerire l’impatto della produzione di carne, ma non abbastanza alto da diventare reale oggetto di speculazione economica globale e quindi causare danni maggiori rispetto al beneficio.
Un amico via whatsapp mi ha scritto: “Il mondo è come un grande party GdR. Servono tutti: chierici, ladri, maghi, guerrieri,… l’equilibrio che si crea in questa eterogeneità porta grandi benefici. I vegani sono quei paladini un po’ idioti che prendiamo tutti per il culo, ma alla fine in un party numeroso servono anche loro. Un mondo di soli maghi, o guerrieri, o salcazzo non funzionerebbe. Io rispetto la loro scelta, sono sicuro che per molti punti di vista sia migliore della mia. Allo stesso tempo non penso che il mondo sarebbe necessariamente un posto migliore se tutti fossero vegani.”
Ecco.

La cosa buona di tutta questa faccenda è esserci fermati a pensare alla questione, in quest’ottica tutti gli articoli hanno fatto qualcosa di utile.
Tranne questo, ovviamente.

Il punto (ennesimo) su Game of Thrones

Premessa: viene da se che leggere un articolo a tema Game of Thrones senza essere in pari col materiale uscito espone a dei rischi. Pare superfluo dirlo. Quello che non è superfluo, a quanto pare, è precisare che tutto ciò che riguarda possibili leak della sceneggiatura di ciò che ancora deve uscire NON è tema di discussione. Non qui sopra. Quelli sono solo SPOILER inutili che potete trovare ovunque in rete, ormai, ma che io non voglio sapere. Grazie.

Alla fine della settima stagione è tempo di rifare il punto in merito allo show che tanto sta appassionando me e larga parte delle persone che conosco. Con questi sette episodi siamo ormai davvero in dirittura d’arrivo, la storia di tutti i personaggi sta convergendo al tanto atteso gran finale e per gli show runner HBO non è stato più possibile nascondere le carte: ora sappiamo come intendono chiuderla.
Non dico a livello di trama, dove ovviamente c’è ancora più di qualche interrogativo rimasto aperto, ma a livello di approccio. Questi sette episodi ci dicono chiaramente che David Benioff e D.B. Weiss vogliono tirare tutti i fili, chiudere tutte le linee narrative che hanno aperto, con metodo e dedizione. Nessuno, credo e spero, si aspettava da loro un possibile approccio stile Lost. Lasciando da parte per un momento le opinioni personali su quel tipo di scelta narrativa, mi pare abbastanza ovvio che una risoluzione di quel tipo fosse proprio incompatibile con l’opera in questione.
Che tuttavia ci fosse così tanta attenzione a non lasciare davvero niente in sospeso non era per nulla ovvio e questa, ideologicamente, è una scelta di cui essere felici. Attenzione, io parlo dell’approccio, che è ben diverso da come questo poi viene messo in atto. Su quello, ovviamente, si può discutere.
Parliamo di Zio Benjen.*

La chiusura della storia del ranger di casa Stark credo sia senza mezzi termini il punto più basso mai raggiunto dallo show in termini di scrittura.
All’interno di un episodio già sufficientemente ricco di nonsense, la catena di eventi innescata per chiudere la storia dello zio è il picco dell’assurdo e lascia per forza di cose l’impressione di aver assistito ad una scena che aveva come unico scopo il mettere la spunta su una lista di cose da fare, più che la reale necessità di dare un epilogo al personaggio. Una cosa tipo: “Dai, e con questa anche Zio Benji ce lo siamo tolti dai coglioni”.
Possiamo ipotizzare diverse motivazioni alla base di una così brutta scelta. La prima è certamente la mancanza di tempo. La settima è a conti fatti la prima stagione di GoT in cui il numero di eventi eccede di gran lunga il tempo a disposizione. Questo si traduce in gran ritmo, ma anche in grossi sacrifici narrativi di cui Benjen è chiaro esempio. In altri casi, come quello di Nymeria, ci è andata meglio.
Ritenendo da sempre il detto “do or do not, there is no try” una cagata, continuo sulla linea di chi apprezza il tentativo degli sceneggiatori di chiudere tutto senza dimenticanze, anche quando il risultato non è soddisfacente.

La seconda cosa che questa stagione ci dice è che la conclusione sarà con ogni probabilità vicina alle aspettative dello spettatore. Non in termini di qualità o soddisfazione, ma proprio in termini di trama. Molti usano il termine “prevedibile” per definire la questione, ma per me la cosa è un po’ più complessa di così. Prima di infervorarmi quindi metto un’immagine che riassume il concetto.

Game of Thrones nasce da una saga di romanzi fantasy e fin qui ci siamo.
In questo tipo di opere è fondamentale un’unico aspetto: la coerenza. Una volta completa, l’opera deve poter filare via liscia e ogni evento deve essere conseguenza plausibile e sensata dell’evento precedente. Nessuno parte a guardare il Signore degli Anelli pensando che Frodo alla fine non riesca a distruggere l’anello, il punto è capire come possa farcela e, soprattutto, non avere mai la percezione dell’esito scontato mentre si guarda/legge. In questo le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sia in versione cartacea che televisiva, hanno saputo portare il senso di sospensione a livelli mai visti, inculcando nella testa dello spettatore la percezione per cui tutto sarebbe potuto succedere, ma è da sempre un bluff. Ben costruito, magistrale in certi punti, ma pur sempre un bluff.
Che l’epilogo avrebbe riguardato Jon e Dany non è mai stato in discussione. Jon è RISORTO, manco la morte può fermarlo. Se ancora pensiamo che non sia scontato il suo arrivo in fondo è perchè siamo stati distratti per anni. La grandezza di quest’opera è stata portarci dove siamo ora, ovvero dove sapevamo saremmo finiti, senza che che ne accorgessimo. Mentre noi prestavamo attenzione ai vari specchietti che ci venivano messi di fronte episodio dopo episodio, loro avanzavano, lenti, ma inesorabili, verso la conclusione.
Ora che ci siamo però, che le strade convergono, è normale che sia più difficile perdere di vista l’arrivo e, di conseguenza, non pensare al fatto che fosse chiaro fin da subito.
Un buon finale non è quindi quello che sorprende, ma quello coerente con quanto visto. Dopo sette anni siamo così dentro la vicenda, abbiamo così tante informazioni, da poter unire da soli i tasselli mancanti seguendo la logica. E’ come un puzzle, meno pezzi mancano alla fine più è facile inserirli. Non dico che sorprendere lo spettatore a questo punto sia impossibile, dico che farlo senza venir meno alla linearità della storia è difficile. Preferisco un epilogo prevedibile, ma sensato, ad uno imprevedibile che però non abbia reali basi in quanto costruito.
Dany sarebbe potuta naufragare con la flotta e non approdare mai a Westeros. Sarebbe stato sorprendente, certo, ma davvero la sorpresa è tutto ciò che abbiamo da chiedere?
Questo è quello che ha fregato Martin nei libri. Non ha accettato che il suo pubblico avesse dedotto la svolta narrativa più importante (Aegon Targaryen) e ha provato a barare, venendo meno alla coerenza fino a lì costruita. Nella serie, almeno da questo punto di vista, sono stati più bravi.
Che Jon e Dany fossero destinati ad essere gli eroi vittoriosi della storia non implica certo che finissero a letto insieme, ovviamente. Moltissimi hanno trovato scontato questo dettaglio che ai fini della storia non dovrebbe essere troppo rilevante** e che quindi sarebbe potuto tranquillamente essere evitato. Questa credo sia questione essenzialmente di gusto: c’è chi aspettava questa love story da sempre e chi sperava di non vederla mai, ci sta tutto. Io non ci vado matto, ma non stride per nulla nè con la storia, nè con la caratterizzazione dei due personaggi. A Roma credo direbbero “stacce”.

A conti fatti quindi questa non è stata certo la miglior stagione di GoT, il picco credo rimarrà la stagione scorsa, però al netto di evidenti problemi di rapporto tra numero di eventi e minuti a disposizione io sono soddisfatto.
Chiudo quindi con alcune note sparse più legate alla sostanza, a ciò che mi è piaciuto e agli interrogativi che mi sono rimasti.
Partiamo da Jaime.

L’unica cosa che ho sempre rimpianto dei libri, in termini di trasposizione on screen, è la caratterizzazione di Jaime.
Il grosso vantaggio della versione cartacea però è la narrazione a POV, che permette di farti vedere il personaggio per lungo tempo solo attraverso gli occhi di chi lo circonda, quindi per come appare, e solo poi attraverso i suoi, ovvero per ciò che è. Questo facilita molto il processo di “redenzione” perchè le ragioni che lo muovono emergono solo in seguito e portano il lettore a cambiare prospettiva. Nella serie, per ovvi motivi, questa operazione non è possibile e quindi il tutto ne esce drasticamente smorzato. Se ci aggiungiamo momenti di buio in cui gli sceneggiatori non sapevano letteralmente cosa fargli fare (ricordate “Jaime e Bronn vanno a Dorne”? Io purtroppo sì.), il timore che finisse sacrificato in toto era più che tangibile ed invece questa stagione ne determina per la prima volta il peso, mostrando Jaime per l’uomo che è e consegnandolo quindi agli spettatori come l’unico Lannister con una reale evoluzione.
La scena di lui che se ne va con la neve che arriva a King’s Landing per me in assoluto tra le migliori scene di sempre.
Una cosa che mi ha deluso, perchè ci riponevo discrete aspettative, è il rientro di Gendry che, salvo smentite future, al momento finisce nel tritacarne delle pedine sacrificate all’altare del “facciamo succedere le cose”. Fin dai tempi in cui ero semplice lettore, io sono stato #TeamBaratheon. Mi piaceva King Robert e sono tutt’ora convinto che morte di Renly sia stata la più grande porcheria della saga, in termini proprio di scrittura. Speravo quindi che il ritorno di Gendry riportasse in alto la mia casata del cuore e, devo dire, alla fine del quinto episodio ero fomentato come un bambino. Peccato la cosa si sia risolta in niente, mi auguro solo non riprendano in mano il personaggio giusto per la battaglia finale.
#MakeBaratheonGreatAgain.
Per chiudere, la morte di Viserion ed il suo arruolamento tra le fila dell’esercito degli zombie per me segna il punto chiave della divergenza tra libri e show televisivo. Se mai l’opera letteraria avrà una conclusione (cosa per nulla scontata), non credo conterrà questa svolta.
La teoria vuole che i Targaryen siano tre: Jon, Dany e Tyrion. Il drago con tre teste, ecc. Martin credo si sia tenuto il terzo in esclusiva per i libri, rendendo quindi “inutile” uno dei tre draghi. La mia speculazione vuole che il ritardo mostruoso nella messa in onda dell’ottava stagione (si parla di 2019***) sia in accordo con lo “scrittore” (virgolettato perchè uno scrittore di norma scrive): gli si da il tempo di uscire con un nuovo libro prima della conclusione della serie TV. Il libro introdurrà queste differenze in modo da tenere vivo l’interesse per la saga letteraria anche dopo la conclusione dello show, che altrimenti credo ne limerebbe non poco le aspettative ed i conseguenti profitti.
E’ un’ipotesi sensata, ma avendo a che fare con Martin può tranquillamente succedere che l’ottava stagione venga posticipata e lui non esca comunque in tempo col libro. Ormai non credo di avere più parole per esprimere il mio disprezzo nei suoi confronti, quindi la cosa mi tocca il giusto.
La serie TV avrà un finale, presto o tardi.
Io sono a posto così.


* Ho iniziato un processo di self training per iniziare ad usare ZIO BENJEN come nuova imprecazione/intercalare.
** La possibilità nasca un erede dall’unione tra Dany e Jon non la considero proprio perchè a mio avviso minerebbe la coerenza della storia. No dai, Zio Benjen, non scherziamo.
*** ZIO BENJEN!

Science fiction

Premi play.

Nella mia testa succedono cose, ok?
Non dico che ad altri non capiti, ma se capita non è qualcosa di cui mi parlano e quindi ho la percezione di essere un bambino speciale.
In quel senso lì, esatto.
Vivo costantemente immerso nelle mie fantasie, ci sguazzo. In un disco che in un mondo giusto insegnerebbero a scuola ad un certo punto si dice: “My relationship with reality (yeah), it comes and goes” ed è esattamente la storia della mia vita spiegata meglio di come saprei mai fare io (e questo paragrafo ne è la prova).
Questo per dire che mi ero fatto un film su come sarebbe finita la storia dei Brand New, una volta da loro annunciato lo scioglimento nel 2018.
Nella mia testa avrebbero fatto un ultimo tour e poi ciao a tutti, lasciando come memoria, a sorta di epitaffio, un ultimo disco di inediti.
“Da oggi i Brand New non esistono più, ma questo è il nostro ultimo disco.”
Finale perfetto.
Poi invece capita che in questo Agosto folle che sto vivendo mi saltino le vacanze, Montolivo faccia doppietta a San Siro e dal nulla sbuchino l’annuncio prima e il leak poi del nuovo (e ultimo) disco dei Brand New.
Quello che sta qui sopra.
Vi risparmio le pippe da bimbominkia tipo ODDIOH LO ASCOLTO O NO? COME FACCIO? E SE FA SCHIFO? con cui tanto vi ho già ammorbati sui social, fatto sta che me lo sono ascoltato in cuffia in questa stanza d’albergo.
Una volta sola.
Il punto non è tanto se abbia o meno soddisfatto le aspettative (no), troppo alte per qualunque disco (eh, peró Mene e I am a nightmare sono stupende…). Il punto è che mi è rimasta la fissa che questo non sia l’ultimo disco dei Brand New.
Non so se sia il titolo, il suo essere molto sconnesso nei suoni e nel tono dei diversi pezzi, la sua durata, il fatto che verrà stampato in tiratura ultra limitata, o chissá che altro.
Per me questo è tipo un FightOffYourDemons parte due. Una raccolta di materiale scritto in questi anni (tempo per scrivere robe ce n’é stato) che però non è il loro ultimo disco.
Quello uscirà a fine tour, dopo l’annuncio ufficiale dello scioglimento, nel 2018.

Due pezzi comunque mi hanno accartocciato il cuore.

Emo Trump

Qualche genio indiscusso si é messo a creare clip in cui dichiarazioni e tweet di Donald Trump diventano pezzi emo stile primi anni 2000.
Il primo l’avevo visto tempo fa, ma ho scoperto che ne sono usciti altri e che qualcuno ci ha fatto una playlist.
La metto qui sotto, sperando ne escano ancora tantissimi.

A mani basse, la miglior cosa di questo 2017.

Definisci: TRAP

Mi ricordo quel giorno come se fosse ieri
(Forse era ieri)

Ho beccato sto video su Facebook e all’inizio ho pubblicato il post così, senza scriverci nulla sotto a parte lo stralcio di strofa qui in alto.
Mi sembrava abbastanza self-explanatory, o almeno a me era arrivato con un unico significato di base: una riflessione velatamente critica sul fenomeno TRAP che ci sta investendo ultimamente, analizzata a 360° in termini di suono, contenuti e immaginario correlato.
Grasse risate quindi.
Non sono la persona più adatta per parlare di questa cosa della TRAP, conosco effettivamente solo ciò che mi arriva in faccia mio malgrado, tipo la Dark Polo Gang, e ci sono ampie possibilità perchè non sia proprio la crema del fenomeno. Recentemente ho letto cose a tema che condivido (nel senso che qui c’è il link alla più significativa), ma non ho le basi per farci un discorso mio sopra.

La roba che mi interessa scrivere invece riguarda tutta un’altra lettura, a cui sono arrivato una volta smesso di ridere del video delle focaccine ed aver iniziato a leggere in giro roba che lo riguarda.
La prima nota interessante è che sta cosa sta in cima, o comunque è messa gran bene, nelle classifiche di ascolto di Spotify. Magari sbaglio, ma questo esce un po’ dal mio concetto di “parodia”. Non tanto che sia ascoltata eh, ma proprio che esista su Spotify, che sia stata pensata come canzone e non come un video divertente per pigliare per il culo un fenomeno. Non è una roba tipo Jackal con Depsacito, per dire.
Della DPG si dice spesso sia un fenomeno di quelli nati “per il LOL”, definizione internettiana che accomuna tutte quelle cose fatte un po’ per ridere, ma di cui non è mai dato sapere quanto sia reale la portata goliardica, o in che percentuale sia parte del progetto. Tempo fa si è parlato per giorni dello scontro tra Bello Figo e la Mussolini, investendo il primo di una qualche portata politica ed indicandolo come portatore di un messaggio che poi, boh, guardando Pasta con Tonno io fatico a comprendere. E’ probabile io sia troppo vecchio per queste stronzate (cit.), e certamente il fenomeno non è il primo ad esulare dalla mia comprensione, però nello specifico ho l’impressione si cerchi in tutti i modi di infilare a forza una dignità in qualcosa che non è detto ce l’abbia, o ancor peggio, voglia averla. Per me la DPG sta allo stesso livello semantico.
Se non inciampo nella lettura quindi, i livelli sono questi: esiste la musica, poi esiste la DPG che ha come obbiettivo il riderne (il come non è ora il centro della questione) e poi c’è Mr. Focaccina che immagino voglia ridere di chi ride della musica. Tre livelli.
Però la DPG sta in classifica, anche messa piuttosto bene, quindi di fatto è musica, con un pubblico di ascoltatori e tutto il resto. A questo punto OEL (il tipo che ha fatto il pezzo qui sopra) si porrebbe l’obbiettivo di ridere di questo nuovo trend musicale e quindi i livelli diventano due.
Anche “Le Focaccine dell’esselunga” però sta in classifica e di conseguenza tutto si appiattisce ad un unico livello.
Non si capisce più se ci sia volontà di prendere delle distanze, di dire qualcosa, oppure se sia tutto semplicemente uno stesso calderone, dove il piattume è talmente sconvolgente da necessitare livelli estremi di assurdo per uscire dal mare magnum di prodotti disponibili e farsi in qualche modo notare.
Sono confuso.
Nell’ultimo periodo ho seguito davvero marginalmente la questione Liberato e quella di Cambogia (linko 2 pezzi a caso senza leggerli, giusto per darvi qualche info che non ho voglia di scrivere io), ma il succo è che della musica, a conti fatti, non fotte più nulla a nessuno. E’ un corollario ad operazioni di marketing, studi sociologici, video sul tubo. Non dico sia una novità, con il web negli anni 70 probabilmente in classifica ci sarebbero stati i jingle del carosello, però a me è una cosa che stranisce.
Leggo che non si capisce bene nemmeno se Esselunga sia coinvolta nella cosa. Magari sì, magari no. Forse è saltata sul carro una volta visti i numeri, magari è una pensata dei loro media manager fin dal giorno uno. Difficile non ne sappiano un cazzo.
Il punto è che io dovrei in qualche modo spendere del tempo per togliermi il dubbio e capire se sto ascoltando un tipo che vuol fare musica dicendo delle cose, se è solo uno che percula una moda fastidiosa o se è una cazzo di trovata pubblicitaria.

Boh, magari per voi è una cosa normale, ma a me lascia un po’ perplesso.

13 cose su 13

13 é una serie Netflix il cui titolo originale, evidentemente intraducibile, é “13 reasons why”. Parla di una ragazza del liceo che si ammazza, ma prima di farlo lascia alcune audiocassette con le ragioni per cui l’ha fatto. Ognuna di queste ragioni è riconducibile ad uno dei suoi compagni di scuola, che lo scoprirà solo dopo il fattaccio proprio ascoltando queste cassette, secondo un piano escogitato dalla morta. Non la sto banalizzando o rendendo più scema di quel che è, la sinossi è esattamente questa, ma un plot assurdo non implica necessariamente il prodotto che ne esce faccia cagare.

Volendone parlare, quale modo migliore se non stilare una lista di 13 commenti?
Probabilmente molti, tutti più originali, ma tant’è, quindi ecco la mia lista.

1) In questo pezzo ci saranno degli SPOILER, tutti ben indicati. Questa, a ben pensarci, è una cosa piuttosto assurda perchè la storia è nota dal primo minuto. La serie però è scritta in modo furbo, cercando di portare lo spettatore a chiedersi, passo dopo passo, chi avrà fatto cosa. Dovendo prendere una rincorsa infinita di 13 episodi e volendo dare al tutto un effetto climax per cui in ogni cassetta c’è un misfatto peggiore del precedente, il risultato è che per i primi 4/5 episodi la cosa stenta davvero ad ingranare. Superato il pilota, infatti, ci si trova di fronte ad una prima parte di stagione in cui sai che la tipa s’è uccisa, ma i problemi che ti presenta ti risultano troppo difficili da prendere sul serio e questo contrasto è davvero tosto da ignorare. Sembra un Pretty Little Liars, ma senza la vena demenziale e quindi senza un senso. Poi però l’intreccio si fa via via più pesante e l’attenzione aumenta, anche e soprattutto perchè vuoi sapere il ruolo nella storia di Clay.

2) Clay è il co-protagonista della vicenda, ovvero il tizio che si sta sentendo le cassette e attraverso cui riviviamo le vicende di Hannah. Il fatto che stia sentendo i nastri implica che sia una delle 13 ragioni e, per come viene presentato nel corso degli episodi, non è facile immaginare come mai possa esserlo. Da lì la curiosità che spinge a proseguire, episodio dopo episodio. In questo aspetto la serie ha, credo, il suo più grande difetto strutturale, perchè dopo undici dei tredici episodi… arriva uno SPOILER… è evidente che Clay nella lista semplicemente non ci dovrebbe stare. Siamo di fronte ad una delle più grandi prese per il culo ai danni dello spettatore dai tempi degli orsi polari di Lost e, come in Lost, funziona benissimo perchè quando il velo cade e capisci che sei stato preso in giro, ormai sei talmente dentro la vicenda da passarci sopra. Il trucco paga, quindi, ma sempre un trucco resta.

3) 13 è uno show che si propone, principalmente, di sensibilizzare i teenagers verso tematiche serie come il bullismo, la violenza sessuale ed il suicidio. Un altro sbaglio che fa, a mio avviso, è quello di tratteggiare in maniera troppo fine e discontinua il confine tra giustizia e vendetta. Io non ho problemi quando una serie o un film parlano di vendetta, anzi, ci sguazzo in quel tipo di narrativa. La vendetta però non può avere spazio in un contesto pedagogico/formativo. Se la serie vuole lanciare un messaggio e sensibilizzare, allora è alla giustizia che deve tendere. In 13 invece c’è un po’ troppa sindrome da Selvaggia Lucarelli, quel meccanismo che ti parla alla pancia e crea fomento, rabbia e voglia di “veder pagare i colpevoli”. Siamo nella società americana, i ragazzini hanno accesso alle armi e questo viene mostrato anche nello show. Se il bullismo diventa qualcosa di cui vendicarsi, il rischio è di chiudere un buco ed aprire una voragine.

4) In termini di sensibilizzazione però 13 fa una cosa molto bene: mostra. La scena del suicidio di Hannah è cruda, diretta, sconvolgente. Nel finale di stagione la sofferenza viene davvero fuori tutta, senza filtri, e questo è quel che serve se si vuole generare una reazione nello spettatore. Sono finiti i tempi delle moraline spicce da 7th Heaven, o dei drammi acqua e sapone. L’obbiettivo non è suggerirti idee distanti di malessere ipotetico, ma è darti una sberla e farti aprire gli occhi. Il mondo che viene raccontato è esattamente quello che circonda anche te.

5) Ultimamente Netflix punta molto sull’effetto vintage. Parlandone con un amico abbiamo convenuto come questo sia un barbatrucco per garantirsi l’audience anche da parte di chi teenager non lo è da tempo, ma che invece costituisce la grande maggioranza dell’utenza del canale: i trentenni. Tutta la storia delle cassette, intese come formato, non ha una reale utilità narrativa se non dare al prodotto l’ormai fortunatissima patina anni ottanta, che su di me ancora funziona, ma che, a lungo andare, temo finirà per andarmi in noia. Il lato positivo però è che…

6)… la colonna sonora è una mina, indubbiamente tra le cose migliori della serie. Se del revival estetico faccio fatica a capire il senso e anzi in certe situazioni addirittura mi disturba, non potrò mai, MAI, lamentarmi di serie che usano Elliott Smith al posto di Ed Sheeran.

7) A differenza di Brian Yorkey, l’ideatore della serie, inizio a pensare siano troppi 13 motivi per parlare di 13. Quindi, come Brian… SPOILER… ne uso uno due volte. La colonna sonora è molto molto ben curata e pensata. Nonostante Selena Gomez.

8) Al di fuori della storia principale, è stato fatto un certo lavoro sulla costruzione dei personaggi collaterali. Non sempre buono, ovviamente. I compagni di Hannah ballano infatti spesso sul confine tra cliché e macchietta (la ragazza con due papà che si scopre lesbica è probabilmente il punto più basso in tal senso). Il meglio viene fuori, a mio avviso, nella descrizione delle famiglie. Da quella di Clay, ai genitori della defunta, fino anche a situazioni più collaterali come la famiglia di Alex. Lo stereotipo è spesso dietro l’angolo, ma tutto sommato non disturba troppo e fa il paio col fatto che in diversi casi anche la morale che lo show lancia tende ad essere tagliata con la scure. Il mio avere bisogno di sfumature però non è target per lo show, che come detto punta a sensibilizzare e in tal senso, volendo parlare a gente di un’età per cui tutto è bianco o nero, colora tutto di bianco o nero. Credo sia una scelta giusta e che alla fine abbia pagato.

9) Il cast di ragazzini funziona piuttosto bene. Fa sempre un po’ specie notare come il livello di interpretazione medio sia alto in prodotti come questo, anche quando coinvolgono ragazzi molto giovani. Per essere una storia di drammi adolescenziali, direi che il rischio più grande è sempre quello dell’overacting, l’esagerazione, e qui, a memoria, non succede mai. Sono bravi, misurati e credibili in tutte le situazioni. Questo, ovviamente, aiuta molto.

10) Momento pippone, lo dico prima così eventualmente si può saltare il paragrafo. Ad un certo punto, nell’ultimo episodio, si susseguono le deposizioni dei ragazzi di fronte alle parti legali che seguono il caso. Una di queste coinvolge Kat, unica vera amica di Hannah che lascia la città ad inizio stagione e che non ha un reale ruolo nella vicenda. Proprio perchè non coinvolta direttamente nel plot, le viene affidata dagli sceneggiatori una delle dichiarazioni più a fuoco ed interessanti. L’analisi riguarda il sistema scolastico americano, ma per una volta la chiave di lettura non è legata alle diversità economiche, quindi a fattori esterni che entrano nella scuola e ne condizionano la vita, ma alla stratificazione sociale che si crea dentro la scuola in relazione allo sport. La cultura sportiva americana, che parte dai licei e che spesso viene largamente indicata come esempio positivo (non a torto, va detto), qui viene mostrata attraverso il suo lato più crudo e duro. La scuola che come primo obbiettivo ha la formazione di future star dello sport, che ne determinano il prestigio e a cui tutto diventa dovuto. Formazione sportiva, ma non dello sportivo in quanto uomo. Non è un tema nuovo, ma credo sia affrontato particolarmente bene.

11) Il finale resta aperto. Lo scopo non è mostrare una risoluzione “giuridica” delle vicende, la risoluzione cercata è solo nella vita dei protagonisti, tra chi supera la tragedia e chi ci rimane invischiato dentro. Le cicatrici restano su tutti e tutti hanno, alla fine, dovuto venire a patti non tanto con quanto avevano fatto, ma con la persona che hanno realizzato di essere. L’ho trovata una gran bella soluzione, che spero resti tale a fronte del fatto che…

12) La serie è stata confermata per una seconda stagione. Evito appositamente di cercare in rete come sarà strutturata e di cosa parlerà, proprio perchè resto convinto che le vicende del Liberty High abbiano già avuto degna conclusione. Non so quanto possa essere fattibile un nuovo “caso” da svelare attraverso un susseguirsi di ragioni/indizi. La prima stagione si lascia aperta quella porta… SPOILERONE… con Alex, ma salvo assurdi salti mortali in fase di scrittura, dubito ci sia davvero qualcosa di più che abbia senso raccontare in merito. Lo show potrebbe quindi continuare a mostrarci le storie di Clay e compagnia, diventando con ogni probabilità un’altra cosa completamente sconnessa dalla stagione precedente e dal suo stesso titolo. Come se Dexter fosse morto alla fine della prima stagione e si fosse andati avanti con protagonista la polizia di Miami, ma senza il serial killer, reale tratto distintivo che oltretutto presta il nome al prodotto. Non che sia vietato eh, però ho davvero tanti dubbi.

13) Giudizio finale: a conti fatti per me è un sì. Non ho l’età per farne la mia serie preferita, ovviamente, e non credo nemmeno sia così buona come se ne legge o sente in giro, però dal momento in cui ingrana porta a casa il risultato con soddisfazione, sia questo intrattenere un adulto o far ragionare un ragazzino. C’è da turarsi un po’ il naso qua e la, quando il teen drama viene fuori più prepotente e porta l’anima thriller in secondo piano, ma sono cose che si superano.
Poi oh, io non ho nulla contro i teen drama, Dawson’s creek resta una delle mie serie della vita, però ecco, l’ho vista che avevo 17 anni. Non 36.

Ce l’ho fatta, ho scritto 13 commenti su 13*.
Ora spero di riuscire a scrivere anche qualcosa che non tratti di serie TV.
Prima o poi.

* in realtà no, mentre scrivo questa chiusa ne ho messi insieme solo 10 e mi son già giocato la ripetizione. Ma credo molto in me.