Vai al contenuto

2009

Influenza maiala!

L’aggettivo nel titolo ha pura accezione dispregiativa.
Non ho l’H1N1.
Non credo, quantomeno, perchè la febbre alta mi è durata si e no 24 ore ed è andata via da se.
O forse l’ho avuta e si è rivelata la cagata che è: una normale influenza.
In ogni caso è meglio che io rimanga a casa al calduccio anche questa sera, per preservare il mio non proprio roccioso organismo.
Ora c’è da capire come impegnare la serata.
Di giocare a PES ulteriormente non se ne parla, a meno di volersi far venire gli occhi pallati. Gran gioco il 2010, per inciso.
L’idea è quella di guardare qualche episodio della quinta serie di House.
Prima di farlo però ho pensato di testare il mio nuovo PC per quanto concerne il blog management e quindi eccomi qui a scrivere qualche riga dopo diversi giorni.
In realtà non ho molte cose di cui scrivere, la vita da malato non riserva particolari emozioni, ed avendo liquidato in una riga l’argomento PES che di questi giorni è stato il protagonista, restano vermanete poche opzioni.
Ieri ho visto “Uomini che odiano le donne”.
Avevo letto il libro tempo fa e devo dire che il film è decisamente meglio.
Un po’ perchè il cinema ha il pregio di eliminare i fronzoli descrittivi e snellire la narrazione, un po’ perchè il regista e lo sceneggiatore hanno avuto il pregio tagliare tutto l’inutile anche a livello di trama. Non solo, hanno anche dato all’assassino movenze più pulite, da vero serial killer cinematografico made in usa, eliminando tutta “l’imprecisione” che invece aveva nel libro. Questa frase credo non sia comprensibile a chi non ha letto il libro e visto il film e forse non è comprensibile nemmeno a loro, ma non credo di poter spiegare cosa intendo senza rivelare qualcosa della trama. Non amando farlo, prefersico essere incomprensibile.
In tele il Venerdì sera non c’è nulla.
Ma veramente nulla, tanto che sto guardando “Niente di Personale” su La7. Ora non è che sia poi malissimo come trasmissione, però oggi proprio non ci siamo.
Si è aperta con il monologo di Piroso e fin li tutto tranquillo.
Poi c’è stato ospite Paolo Brosio a presentare il suo libro.
In sintesi, dopo aver rotto l’ennesimo matrimonio Brosio si è dato ad un periodo di sesso, alchol e droga da cui è uscito grazie alla Madonna.
Devo riconoscere che vederlo lì, in lacrime, a raccontare le sue sofferenze mi ha un po’ rattristato. Sono così io, mi dispiaccio se vedo qualcuno che è veramente e sinceramente distrutto dal dolore e lui lo era.
Però le testimonianze di chi parla con Dio dopo una vita di eccessi un po’ mi stufano.
Dopo Brosio c’è stato Raf a presentare il suo nuovo singolo e lì ho deciso che avevo guardato la televisione abbastanza.
E ho spento.
Un po’ come ora mi sto rendendo conto di aver scritto abbastanza.
E quindi chiudo.

Avere trent’anni

La Polly ci teneva proprio a vedere i Green Day dal vivo. Io sono un moroso come si deve e quindi ce l’ho portata, sfruttando ancora una volta le mie conoscenze altolocate. Ci ho portato anche Ciccio, perchè so che a queste cose ci tiene e già che c’ero ho tirato in mezzo anche Marco e Carlo che quando c’è da essere anni novanta son sempre presenti.
Si parte per il forum dopo il lavoro, Ciccio arriva in giacca e cravatta (una Ferragamo coi cuoricini di cui si bullerà per tutta la sera), parcheggiamo nel parcheggio a pagamento e nessuno di noi tre (Marco, Carlo e i loro amici li abbiamo incontrati dentro) ha mai sentito il nuovo disco. Viene quindi facile il totale perpendicolarsimo (my own personal contrario di parallelismo) con il concerto anni novanta.
All’interno del forum ci sono proprio tutti, dai ragazzini con i genitori, ai meno giovani nostalgici fino agli anziani. Ci sono anche diversi VIPs come il cantante dei Lost e Ringo, il DJ di Virgin Radio, da cui vengo inviato affanculo dopo una gag molto divertente che tuttavia perde molto del suo fascino se raccontata per iscritto.
Aprono il set i Prima Donna, gruppo abominevole riguardo al quale non spenderò ulteriori parole.
Io e Ciccio decidiamo di approcciare l’evento con l’attitudine punk di un tempo e così, dopo una salamella ed un rustichella, io perdo in fretta il conto delle birre. Entrambi sappiamo che le nostre speranze di sentire “Haushinka” e “Church on Sunday” verranno frustrate ancora una volta, però Ciccio si sente particolarmente parte della scena e non mi consente di esprimere qualsivoglia dubbio sulla tenuta artistica della band.
Il concerto vero inizia alle 20.38.
La scenografia è eclatante, il palco è immenso e ci sono pure i fuochi artificiali. Attaccano con pezzi dal nuovo album e sul palco ci sono altre due chitarre, una in vista ed una nascosta, più una tastiera. Billy Joe ha la chitarra, ma probabilmente non la suona. Io e ciccio, sempre più punk, decidiamo di riutilizzare uno scontrino che non ci è stato ritirato e prendere altre birre.
A fare i primi tre pezzi ci impiegano 25 minuti. Non essendo i Dream Theater è chiaro che qualcosa non va, ma alla gente sembra piacere particolarmente il momento “Ehhhhhh-Ohhhhhh” e quindi intorno a noi è puro visibilio.
A quasi un’ora dall’inizio Billy Joe attacca con le prime cover, buttate lì a piccoli assaggi per infoiare la gente. Nell’arco della serata ci sarà spazio per tutti, dai Nirvana agli AC/DC, dai Guns a David Bowie, dai Beatles fino agli Oasis, anche se credo che quest’ultimo caso non fosse voluto visto che l’intro di chitarra su cui abbiamo cantato “Wanderwall” era l’intro di “Boulevard of Broken Dreams”. Nel dubbio Ciccio dichiara che il pezzo è orribile e va a pisciare, tornando con una nuova birra. Io lo seguo a ruota.
A più di un’ora dal calcio d’inizio la ciurma inizia a manifestare disagio per via di una scaletta un po’ troppo new wave. I ragazzi sul palco se ne accorgono ed inizia il momento revival. Entra la storica chitarra con gli adesivi, la scenografia si fa minimal ed io inizio a sentire l’adrenalina salire, spinta probabilmente dall’alchol. Da qui i ricordi e le sensazioni si fanno un po’ confusi, ma spero di riuscire a renderli per benino.
Attaccano con “2000 Light Years Away”, che non è “Going to Pasalacqua”, ma che comunque accende gli spiriti. Io tiro a basso in un sorso ciò che resta dell’ennesima birra, per evitare di rovesciarla di li a poco. Nel parterre la gente smette di ballare e agitare le mani. Ciccio mi indica una tipa e grida: “AHAHAH, la figa ha smesso di ballare!!!”. Risate.
Segue “Hitchin a Ride”, il gruppo si compatta e avanza di qualche metro. L’atmosfera viene però distrutta da dieci minuti di “Ehhhhh-Ohhhhhh” e “I need only one, two, one, two, three, four!”. Io dichiaro che se fanno una roba del genere su un pezzo di quelli seri gli tiro le vans e torno a casa in calze.
All’improvviso, senza neanche chiudere il pezzo, parte “When I come Around”. Io perdo il cappellino per la prima volta. Si parte verso il palco, cantando come ragazzini. Si salta, qualcuno cade, nonostante non ci sia neanche l’ombra di quel che una volta era definito “pogo”. A fine pezzo ho il fiatone e ritorno dagli altri.
Parte “Welcome to Paradise” e si ritorna in mezzo, con più cattivria. Un piccolo pogo si crea e io e Ciccio ci buttiamo dentro ridendo come idioti. Dopo pochi scondi Ciccio mi guarda e dice: “Che pogo da froci”. Altre risate.
Sono quasi spaesato, le cose capitano intorno a me e io le subisco in preda a quella sensazione di benessere suscitata solo dai concerti d’una volta.
Durante “Brain Stew” è ormai delirio. Ciccio chiede in giro se c’è qualcuno che gli passa la versione di latino, io sostengo che “Brain Stew la suonavamo anche noi”, conscio del fatto che ciò che noi suonavamo avava solo la pretesa di essere quella canzone.
Parte “Jaded” ed io perdo il controllo del mio corpo.
Si tira di nuovo il fiato per “Longview”, aiutati dal fatto che vengano chiamati a cantare personaggi improponibili dal pubblico. Si canta tutti insieme, desiderando di uccidere la malcapitata ragazza sarda che si sta umiliando di fronte ad un pubblico non proprio ridotto. E’ una festa, con tanto di immancabili e tristissime pistole d’acqua per innaffiare un pubblico che forse un tempo ai concerti sudava, ma che oggi risulta più che altro seccato.
Il tutto pare essere vicino alla conclusione e per un attimo torno semi lucido, ma è un istante.
“Basket Case” è il degenero.
“She” è il colpo di grazia. Io vivo esperienze extracorporee e grido frasi senza senso, tra cui “Se ci sposiamo in chiesa voglio questa canzone” rivolto ad una Polly attonita. Ciccio è altrettanto adeso alla realtà e mi dice fiero di aver toccato le tette prima ad una ragazzina e poi a sua madre. Il momento è di quelli che ne vivi pochi.
Poi tutto torna pian piano alla realtà. Il concerto torna nella sua fase mainstream, l’alchol inizia ad abbandonare le mie sinapsi e l’effetto è quello di una piacevole dissolvenza fatta di botti, coreografie e coriandoli.
In questo stato passano gli ultimi pezzi e i bis, fino alla chiusura che tutti temono. Billy Joe afferra una chitarra acustica e prende il centro del palco. Ciccio mi dice che a quel punto o fa “Time of your Life” o fa “Albachiara”. Invece partono due ballatone presumibilmente estratte dagli ultimi dischi, la gente accende gli accendini, Ciccio accende una sigaretta ed io guardo l’orologio.
Siamo sulla soglia delle due ore e mezza di concerto ed io rifletto sul fatto che, si può dire quel che si vuole, ma va riconosciuto che a tirare in piedi uno show del genere partendo da tre accordi non sono stati in molti, nella storia.
Arriva il momento di “Time of your life” che non è più “Good Riddance” da almeno dieci anni e tutti sono contenti.
Le ragazzine piangono, i genitori pure.
Io ricordo la conclusione del concerto del 1997, ricordo che sono passati 12 anni e che vado per i trenta e a Billy Joe che mi dice “I hope you had the time of your life” rispondo: “I had, Billy. It was 1997”.

Nota: aggiornata la sezione “musica”.

Croce e delizia

Ci ho provato, lo giuro, a non scrivere nulla riguardo la decisione della corte UE in merito ai crocifissi nelle aule.
Ci ho provato perchè non mi andava di infervorarmi nuovamente in una delle discussioni più antiche, inutili e paradossali del nostro paese.
Oggi però sono costretto a cedere ed i motivi sono essenzialmente due.
Il primo è che scriverò dei crocifissi per distogliere la mente ed evitare di parlare del caso Cucchi, in particolare delle dichiarazioni in merito rilasciate da Giovanardi. Voglio evitare di parlarne perchè in quel caso la rabbia sarebbe difficile da controllare e mi troverei inevitabilmente a scrivere cose tipo: “Giovanardi sei un pezzo di merda e spero che ti capitino cento volte le sofferenze che quel ragazzo ha passato nelle sue ultime ore di vita”, oppure a palesare alcuni miei pensieri riguardo le forze dell’ordine: insomma cose che non voglio scrivere per non avere problemi.
Il secondo motivo, ben meno difficile da spiegare, è che il mio caro amico Manowar non ha mancato di sinsigarmi sulla questione in mattinata, portando alla mia attenzione la performance della Santanchè a Domenica 5.
Siccome non so per quanto questo filmato resterà visibile in rete, ne descrivo il contenuto: la signora in questione ha dichiarato in TV che “Maometto era un pervertito pedofilo in quanto aveva diverse mogli tra cui l’ultima di soli nove anni di età”. Con molta simpatia, Manowar aggiungeva nel suo messaggio: “è la volta buona che la gambizzano :P”.
Dal canto mio, mi sono limitato a rispondergli: “Speriamo”.
Ci sono molte cose buffe da sottolineare in tutta questa vicenda e quasi quasi è bene andare per punti:
– Ho imparato che in televisione è possibile bestemmiare reiteratamente tutte le religioni fuorchè il cattolicesimo.
– Ho imparato che nel farlo è possibile sparare puttanate colossali quali il concetto di pedofilia contestualizzato a più di mille anni fa, quando nessuno prendeva in moglie una diciottenne, o il concetto di perversione associato alla poligamia. Quest’ultimo è ancora più assurdo, se vogliamo, perchè stando alla legge naturale che tanto cara risulta ai fondamentalisti cattolici quando si parla di omosessualità o fecondazione in vitro, beh, è proprio la monogamia ad essere una perversione in quanto certamente non “naturale”.
– Ho imparato che tra la gente che conosco ci sono un sacco di persone che difendono il crocifisso. Le stesse persone che bestemmiano ogni tre parole. Le stesse persone che, quando si era a scuola, lo staccavano dalla parete o lo appendevano al contrario (non scherzo). Le stesse persone che difendono la famiglia e vanno a troie (di qualsovoglia genere). Le stesse persone che difendono la vita e poi fanno pestare a morte ragazzi in carcere. Vabbè, quelle persone lì, insomma.
– Ho imparato che c’è un sacco di gente dalla spiccata ironia, in questo paese, come dimostrano ad esempio questo link e quest’altro.
– Ho imparato che l’educazione dei ragazzi dipende da quel che c’è affisso alle pareti e non da quel che gli si dice.
– Ho imparato che i comandamenti proibirebbero di idolatrare i simboli, ma che i comandamenti sono più che altro una traccia come il codice dei pirati.

Ho anche imparato che mentre noi ci facciamo le seghe su problemi del cazzo, in America stanno facendo la rivoluzione.

Primo tentativo a vuoto

Ieri sera avrei dovuto intervistare i Poison the Well prima della data di Milano.
Non l’ho fatto.
In realtà non me l’hanno permesso, perchè non risultavo tra gli accreditati. La cosa oggi mi spiace più che altro per la possibilità sfumata di fare una cosa che sogno da sempre. Ieri invece ero seriamente incazzato perchè 1) per l’intervista sono arrivato sul posto alle 19 e siccome ero da solo starmene lì a far nulla fino all’inizio del live non è stato piacevole e 2) mi fa abbastanza girare il culo essere preso in giro. Nessuno costringe nessuno a rilasciare interviste. Io collaboro con una webzine per pura passione e, ovviamente, non me ne viene in tasca nulla. Non scrivo per Alternative Press, non paghiamo per le interviste e non faccio questo di lavoro. Per arrivare puntuale all’appuntamento ieri ho iniziato a lavorare un’ora prima per poter uscire per tempo ed arrivare all’orario stabilito e mi sono sparato un’ora di coda per raggiungere un locale in zona S.Siro la sera di Milan-Real. Arrivato in loco ho pagato il biglietto. Una persona che è disposta a fare tutto questo per la passione che coltiva non merita di essere presa per il culo da quale che sia agente/manager/cazzaro di quale che sia etichetta. E’ questione di rispetto.
Nonostante questo piccolo inconveniente il concerto me lo sono goduto. Un resoconto dettagliato della cosa lo scriverò per Groovebox nei prossimi giorni, quindi non mi ci dilungo sopra anche qui. Dico solo che i Poison the well dal vivo sono un’esperienza da fare.
“Nerdy” dal vivo è un’esperienza da fare.
Buoni anche i Thursday, sebbene non ai livelli di Bologna.
I Rise Against li ho saltati a piedi pari. Già visti, mi è bastato.
E poi io da giovane ho visto l’originale.

Level up!

Forse l’avevo accennato o forse no, non ricordo.
Sta di fatto che avevo decisamente voglia di dare una rinfrescata a questo sito e così eccoci qui.
Nuova grafica.
Come tutte le cose non è detto che piaccia, ma mi reputo abbastanza soddisfatto del mio operato.
Ci sono ancora alcuni angoli da smussare, in realtà, ma è roba che dovrebbe riguardare solo me e non i visitatori. Spero di risolvere il tutto nei giorni a venire.
Solitamente aspetto il compleanno del mio blog per operare questi grandi stravolgimenti, ma mi pare di essere andato oltre questi stereotipi esattamente quanto sono andato oltre al rosa del vecchio style.
Null’altro da aggiungere.
Anzi, una cosa c’è.
Mi sono preso la libertà di utilizzare un font non standard per la realizzazione di questa nuova veste.
Il motivo è essenzialmente che mi piaceva.
Ora, so che la cosa non è da fare e che va contro tutte le buone regole della programmazione web, ma… whatever?
Il sito funziona anche senza, non dovrei arrecare particolare danno a nessuno, ma chi volesse goderne appieno può clikkare qui e risolvere il problema in pochi istanti.
Alla prossima.

Google Hit List [Ottobre 2009]

Non ho tempo per scrivere un post lungo e articolato.
Devo preparare la casöla.

1 – qual’è il colmo della politica
2 – leonardo allenatore colto
3 – tatuaggi bioorganici
4 – tema. le possibilita’ che mi vengono date, vorro’ sempre sfruttarle a fin di bene.
5 – nella prossima vita saro’ single+video
6 – che raffaello era una merda
7 – significato di “è più di nicchia”
8 – chi comunica un cambio turno all’infermiera
9 – foto signorine ottocento
10 – non mi resta che tuffarmici

W l’Italia

In giorni in cui non ho un carica batterie per il PC a casa non posso dilungarmi nello scrivere un post.
Però una roba al volo la voglio dire.
L’Italia è l’unico paese in cui la sinistra mette alla gogna una persona perchè va con i trans mentre la destra ne difende le libertà sessuali.
Cazzo.
Sarà che sto per emigrare e quindi guardo le cose in maniera distaccata.
Sarà che ormai mi sento “distaccato” dal mio paese anche senza il bisogno di emigrare.
Però l’Italia è un paese unico.

Parliamo di gente che sa fare il suo mestiere

Rompo il silenzio con un omaggio a gente che sa fare il suo mestiere e per farlo riporto un articolo apparso questa mattina sul sito della Gazzetta.

Uno scherzo del Diavolo – Real-Milan batte Beethoven

“A Milano una nota birra tende una trappola a 500 tifosissimi rossoneri costretti ad assistere a una serata di musica da camera. Ma è uno scherzo e tra le vittime c’è anche il nostro inviato”

MILANO, 22 ottobre 2009 – Diabolici e sadici. Menti perverse capaci di intrappolare 1.000 tifosi del Milan nella sera della super sfida del Santiago Bernabeu e rinchiuderli all’Auditorium Mahler di Milano per una notte all’insegna della musica da camera. Regista dell’operazione Heineken che l’ha davvero pensata bella: una gigantesca trappola in cui sono caduti alcuni ignari ospiti invitati a un finto concerto di quartetto d’archi, famoso a New York come a Berlino e Dubai. Ma andiamo per gradi: perché fra quegli spettatori c’era anche il sottoscritto.

L’ANTEFATTO — Capiterà un giorno anche a voi. A me è successo in Gazzetta. Telefonata del mio caporedattore per una comunicazione in sala riunioni. Sguardo teso e la notizia sconcertante: il 21 ottobre devo assistere e commentare con un pezzo un concerto di un “celebre” quartetto d’archi. Pausa di riflessione. Dubbio. Leggera protesta. Genuflessione: lo ha deciso il direttore. Poi il mio capo mi ricorda un particolare: il 21 ottobre c’è Real-Milan e poiché mi occupo di Milan da quando esiste il sito, mi incupisco. Dura realtà, ma puoi dire di no a un ordine partito dall’alto? Da professionista accetto. Bastasse. Poco dopo vengo anche a sapere che della sfida, ritorno compreso, se ne occuperà un altro. E qui lo sconcerto dilaga. Stai a vedere che mi hanno fatto fuori. Ma va – penso – devo aver capito male.

DIE SHNUREN — E venne il giorno della madre di tutte le sfide. Puntuale come un orologio svizzero mi faccio trovare alle 20 davanti alla reception dell’Auditorium. Mi assegnano il posto e mi accomodo: nona fila, posto 11. Accanto a me splendide ragazze con abito lungo e giovanotti non dico con lo smoking ma quasi. Colgo frasi del tipo: “Comunque non sono il peggio vestito”, mentre una coppia disquisisce di Beethoven e di violini. Sul palco, sovrastato da uno schermo gigantesco, tutto è pronto: leggii, sedie per i musicisti. Il teatro è gremito. Si comincia. Alle 20.30 precise fa il suo ingresso il “famoso” (così si legge sull’invito) quartetto “Die Schnuren”. Mai sentiti in vita mia. Gente seria. C’è anche una giapponese. Attaccano, mentre sullo schermo viene proiettata una bella mano femminile che scrive frasi sconnesse, ma dal significato preciso: “Notte…lame di luce…fuori dal tunnel…un tempo s’infiamma” e altre amenità.

NON E’ POSSIBILE — La musica procede. Tediosa. Dieci minuti angoscianti. E la mano insiste: “Melodie diagonali…l’angolo conteso…il tacco addolora…l’Europa si alza…un fischio”. Qualcosa mi passa per la testa. Il quartetto chiude la prima sonata. Applausi scroscianti. Brusii. Ma che bravi…bis…ancora. Ancora? Ma è uno strazio. Riprendono a far vibrare le corde degli archi. Poi la mano infila altre frasi, questa volta simili a stilettate al fianco: “Ancora niente?…Difficile dire di no al capo e al professore, alla fidanzata e alla partita”. Ma stai a vedere che…Insiste: “Come hai potuto pensare di perdere il big match”, mentre i quattro infilano le note della Champions League. “Are you still with us?” si legge, “Real-Milan sono in campo, godiamoci insieme la partita”, secondo la filosofia della nota birra.

COME A S.SIRO — Uno scherzo; una candid camera. Sprofondo mentre sullo schermo esplode il Santiago Bernabeu con le squadre allineate. La partita in diretta e in alta definizione. E così il pubblico apparentemente raffinato e colto si trasforma in un popolo di barbari, pronti a immolare i gemelli dei polsini o il collier di marca per un gol di Pippo o Pato. Delirante, mentre tutti sono in piedi pazzi di gioia perché, alla faccia del quartetto, hanno ritrovato il loro Milan, mentre io avrei voluto essere in tribuna stampa a fare il mio lavoro. Ma va bene così. Anche quando Dida commette quell’errore pazzesco su Raul (commenti no-comment, “caz…”, “porc…”). Perché lo senti che è serata da Milan. Caro Ludwig Van Beethoven, per una sera ce lo puoi permettere: ma chissenefrega delle tue sonate. Guarda che meraviglia Pirlo. E Pato? Due gol da sballo. L’Auditorium è una bolgia e finisce tra cori da stadio e abbracci e baci, mentre sullo schermo passano le immagini delle vittime dell’atroce scherzo. Comprese le mie. Mi sento osservato, ma mi becco anche anch’io la mia razione di applausi. Come Pato e Dinho. E’ già qualcosa.

Il mio omaggio va quindi nell’odine a:
– Heineken, perchè la trovata è geniale.
– Gaetano Di Stefano (la firm del pezzo su Gazzetta.it), perchè l’articolo è scritto veramente bene.
– Alexandre Pato, perchè se il Milan può vincere al Bernabeu senza giocare a calcio è solo grazie a lui.

Stieg Larsson

[…]
“Nel 1924, a diciassette anni, Richard era un fanatico nazionalista e antisemita che aderì alla Lega nazionalsocialista per la libertà, uno dei primissimi gruppi nazisti svedesi. Non è affascinante che i nazisti riescano sempre a piazzare la parola libertà nella loro propaganda?”
[…]

Mi sa che hai ragione, Quentin

E’ passato tempo a sufficienza.
Ho metabolizzato.
Sono pronto per parlare di “Inglorious Basterds” aka “Bastardi senza gloria” aka l’ultimo film di Quentin Tarantino.
Non sono molto abile nello scrivere di opere che ho visto/letto senza lasciarmi andare a riferimenti che possano rovinare la visione/lettura a chi ancora non ci si fosse cimentato, quindi mi scuso da subito per quanto seguirà. D’altra parte, fatta questa precisazione, mi sento sollevato da eventuali possibili imputazioni.
Un’altra cosa che mi preme precisare è che non sono un esperto di cinema. Ne guardo parecchio, lo apprezzo e penso di aver sviluppato una certa sensibilità in merito, ma nulla più e di conseguenza potrei lasciarmi andare a conclusioni del tutto sbagliate e fuori luogo.
Disclamer finito, posso iniziare a scrivere senza remore.
Inglorious Basterds è il primo film che io mi ricordi che prende la seconda guerra mondiale e la riscrive, senza nessuna velleità storica di sorta. E senza nascondersi, perchè i protagonisti storici che contano, da Hitler a Goebbels a Himmler per intenderci, ci sono tutti, ma sono solo pedine nelle mani di un regista che dal primo fotogramma chiarisce subito gli intenti.
“Once upon a time in Nazi occuped France…”
C’era una volta.
Da quel fotogramma in poi quindi è lecito aspettarsi di tutto. E così è.
Per fare “finzione” su un argomento come il nazismo ci voleva un regista come Tarantino. Per gli altri sarebbe stato troppo facile crollare sotto il peso delle responsabilità, delle critiche e di tutto quel fluire di parole spesso sterili che si sollevano attorno ad argomenti scottanti come quello. Invece zero politically correct. Zero lesa maestà. Zero piedi di piombo. A questo punto credo che Tarantino potrebbe girare un film in Vaticano che ha per protagonista un papa vampiro senza che nessuno si sogni di dirgli un cazzo. Anzi. Probabilmente sarebbero tutti pronti ad osannarlo.
Ma è giusto così, i geni sono tali perchè riescono dove l’uomo comune fallirebbe.
Così si prende la Francia degli anni ’40 e la si immerge in atmosfere tipicamente western, tra duelli spesso solo verbali ma non per questo meno carichi di tensione, musiche alla Morricone, scalpi, assalti ed imboscate. Se vogliamo il processo è il medesimo con cui Kill Bill ha omaggiato il cinema orientale, ma il salto tra lo stile ed il soggetto in questo caso è molto più ampio e quindi l’impatto è ancora maggiore.
E poi ci sono i dialoghi, i tipici dialoghi tarantiniani che o li ami o li odi, ma che se li odi hai qualche problema. La scena di “Ho fatto un bingo” messa lì, nel momento chiave di un film che comunque dura 2 ore e mezza, la dice assai lunga su quello che intendo. Così come l’apertura sui ratti.
E ci sono i piedi, come al solito.
E ci sono le citazioni, come al solito.
In un film sui nazisti Tarantino ti da la sua idea di Sherlock Holmes e di cenerentola e trova anche il modo di omaggiare Edwige Fenech. Senza contare tutto quello che dopo una sola prima visione mi dev’essere sfuggito.
E c’è la centralità del cinema nel film, c’è il simbolismo dell’arma di propaganda che si rivolta contro il proprio creatore, ma il tutto in salsa pulp.
E poi ci sono gli attori. Ok, Brad Pitt è uno coi controcazzi, lo sanno tutti. Parliamo degli altri. Sarò esagerato, ma a mio avviso Christoph Waltz (Il colonnello Hans Landa) è da oscar e tutto il resto del cast non cade mai sotto standard elevati, con picchi di stile per Til Schweiger e Mélanie Laurent.
E poi c’è una fotografia a mio avviso incredibile.
Unica pecca, forse, può essre il doppiaggio che credo limi non poco diverse sfumature, ma è una cosa che devo controllare.
Insomma, più ci penso e più sono convinto che qui Tarantino abbia tirato fuori dal cilindro il suo film più riuscito.
E ne è ben conscio.
Tanto da chiudere il film dicendolo.