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I vent’anni di un disco fondamentale

Esattamente venti anni fa usciva questo disco.



Ultimamente pare non si possa proprio fare a meno di celebrare gli anniversari a tema musicale. A volte con iniziative belle, altre volte con iniziative brutte, troppo spesso con iniziative inutili e pretestuose. Dal 2011, ogni tre mesi parte il treno degli omaggi al ventennale di un passaggio a caso della vita di Kurt Cobain. Settimana scorsa l’ultimo della lista, celebrato worldwide con più adesioni del Natale. A proposito, per chi dovesse sentirsi perso all’idea che l’anniversario del suicidio di Kurt Nostro possa chiudere in qualche modo il ciclo, ricordo che a Giugno fa 25 anni Bleach.
Questo sproloquio iroso per dire che nonostante l’omaggio agli anniversari musicali sia a dir poco abusato nell’intorno temporale in cui ci troviamo, io mi prendo del tempo per celebrare il disco più importante della mia vita. Non il più bello, non quello che ho ascoltato di più, ma certamente il più significativo ed imprescindibile. E’ un omaggio che sentiremo e faremo in pochi. La cosa genera un po’ di quel senso d’orgoglio e appartenenza ridicolo, ma ci sta perchè con gli Offspring mi son fatto tutto il giro: pride a tredici anni, shame a ventitre, di nuovo pride passati i trenta.
Il 1994 è stato l’anno zero della musica e ha dato i natali a tre dischi fondamentali. Del primo si sarebbe dovuto parlare a Febbraio, ma per me è quello meno rilevante, mentre il terzo, il più bello, compirà vent’anni a Luglio.
In mezzo c’è, appunto, Smash e adesso lo racconto per come lo ricordo.
Il disco parte con il tipo che spiega con che approccio affrontare l’ascolto, ma io questo l’ho scoperto quando ho sentito il CD per la prima volta, ben oltre il 1994. Mi ero copiato la cassetta di Ciccio su un nastro da 90′ e, nel farlo, avevo anteposto il Side B al Side A. Avessi capito anche solo mezza parola di inglese, ai tempi, forse me ne sarei potuto accorgere. Non fu così. Il monologo di “Time to relax” oggi lo so a memoria, a differenza di quasi tutte le altre canzoni del disco di cui, a mente fredda, non saprei ricordare poi molto del messaggio. Non so se l’intento di attaccare un disco punk-rock suggerendo di mettersi comodi e rilassarsi fosse o meno ironico, l’esegesi del testo la lascio perdere volentieri. Fa sorridere che per me, ai tempi, era impossibile pensare di ascoltare una roba così senza saltare per casa rimbalzando contro i muri, mentre oggi sdraiarmi sul divano e ascoltare un disco è l’apoteosi del relax, quali che siano il disco ed il suono che ne esce.
Il primo pezzo vero è “Nitro” ed è, tutt’oggi, uno dei più fighi dell’intera discografia degli Offspring. Bello veloce, con una buona melodia e tutti gli Stop&Goes necessari a fare genere allora. E poi ci sono “Uooo-oohhh” a pioggia, che quando sei giovane e non sai l’inglese fanno comodo per sfogare la voglia di cantare. Una bomba.
La seconda traccia è “Bad Habit” e avrò già raccontato cento volte di come mi abbia iniziato al pogo, quindi non sto a riprendere il concetto. Sparo invece altri due aneddoti. Il primo è che sempre in virtù della cassetta di cui sopra, per me “Bad Habit” s’è intitolata “Nitro” per diversi anni. Il secondo è che anche un ignorante come me sapeva che alla fine c’erano un sacco di parolacce e, da bravo ribelle in erba, me le ero imparate.
“Gotta get away” non mi piaceva tanto perchè era un pezzo lento. Oltretutto c’era il video che girava su TMC2, quindi era commerciale.
Avanti con “Genocide”, capolavoro ineguagliabile. Tutt’ora il mio pezzo preferito degli Offspring nonostante quelle fucine creative di Noodles e Dexter ne abbiano usato il riff principale per tirar fuori almeno metà della loro discografia. Il bridge (?) con quelle martellate pesantissime mi distruggeva ogni volta e, ancora oggi, se capita di sentirlo mi gasa parecchio.
Il disco corre, ed è difficile la vita per un pezzo come “Something to believe in” che, a tutti gli effetti, serve solo a separare “Genocide” dal primo singolone di Smash. La soluzione scelta è infilare una sequela ineguagliabile di “Uoooh-oooh” e, come si può immaginare, vince facile.
Siamo a “Come out and play”. Non l’avessi sentita suonare praticamente in tutti i locali “rock” in cui sono stato in questi vent’anni e da tutte le band liceali più scarse e ingiustificabili con cui sono entrato in contatto, probabilmente mi piacerebbe ancora. La prima volta in vita mia in cui ho potuto mettere mano su una batteria, istintivamente, ho provato a rifare quell’attacco, picchiando un po’ ovunque non ci fossero le pelli. Per la cronaca, fu anche una delle ultime volte.
Di “Self esteem” non ci sarebbe neanche da dire nulla. Pezzo clamoroso anche questo. Il fun fact in merito è che pensavo si chiamasse SELF EXTREME e immaginavo parlasse di essere estremi. A volte mi chiedo se sia davvero necessario espormi così, gratuitamente, al pubblico ludibrio.
La canzone successiva si intitola “It’ll Be a Long Time” e mentre scrivo il pezzo non mi viene in mente come faccia, quella seguente è “Killboy Powerhead” che invece ricordo benissimo, ma scopro solo ora essere una cover. Dopo ancora c’è “What happened to you?”. Mi piacerebbe dire che è un pezzo che mi ha sempre fatto cagare come solo lo SKA può farmi cagare, ma sappiamo tutti che sarei un bugiardo. E se anche non lo sapessimo tutti, lo saprei io, quindi non si può proprio. Pezzo più debole del disco, certo, ma non così brutto. Specie per un gruppo capace di cose come “Why don’t you get a job?”.
Il finale è tutto un crescendo. “So Alone”, “Not the one” e “Smash”. Madonna, che bomba atomica che è la traccia che da il titolo al disco.
“I’m not trendy, asshole”.
Da sola, questa frase, mette in fila tutte le brillantissime bio di twitter con cui ci troviamo a convivere tutti i giorni.
Il disco finisce lì, anche se c’è spazio per una chiusa nuovamente a carico del tipo che parla e per un motivetto simpatico sul riff di “Genocide”. Mi pare di ricordare ci sia anche una ghost track con un secondo motivetto strumentale, derivato da “Come out and play”, ma non ci scommetterei. Di solito io riprendevo l’ascolto dall’inizio immediatamente dopo la fine di Smash.
Questo è il mio personale e sentitissimo omaggio al disco più importante della mia vita e l’ho scritto abbastanza di getto e senza troppe riletture, nonostante l’idea sia di pubblicarlo tra diverse ore, allo scattare dell’8 Aprile. Non so quanti percepiscano un disco in maniera così cruciale come io faccio con Smash. Un disco capace di generare, da solo, quel cambiamento radicale che innesca il processo di crescita e formazione tipico dell’adolescenza.
Spero in tantissimi, perchè è davvero una sensazione bellissima.

PS: nello stesso giorno in cui Smash fa vent’anni, Manq ne fa 33 ed è una di quelle coincidenze assurde che rendono la vita affascinante.

5 commenti su “I vent’anni di un disco fondamentale”

  1. Ciao!
    Innanzitutto auguri! Non so se è il giorno giusto, ma ci sono andato vicino credo.
    Non posso non commentare il tuo post, è lo stimolo che cercavo in una giornata altrimenti piatta.
    Sempre molto suggestivo ripensare ai favolosi anni ’90 (fuck a chi dice che sono stati inutili) tramite le tue retrospettive a sfondo musicale.

    Su Offspring però ho sempre avuto un’opinione non allineata con la tua. Ho sempre avuto l’impressione che ci facessero un po’. Mi spiego, sono un po’ i bravi ragazzi che giocavano a fare i cattivi o gli strani. Io nei loro testi non ci trovo molto senso, forse un generico tentativo di ribellione ma che non mi ha mai preso. Mi è sempre parso un po’ finto.
    Finto come i cori fatti dallo stesso Dexter nel disco, finta come la loro capacità di suonare (sono di gran lunga i più scarsi dal vivo dei gruppi “main”, sì peggio persino dei Blink :) ).
    Nel mio immaginario, finito di provare, Dexter tornava a casa di tutta fretta per non fare tardi alla cena in casa Holland. Sennò chi la sentiva la madre?

    La cosa non sarebbe negativa in sé, ci mancherebbe, ma al giorno d’oggi si direbbe che gli mancava l’X factor. Tu lo definiresti il “disagio”. Secondo me nei pezzi degli Offspring di disagio non c’è nemmeno l’ombra.
    Secondo me non è un caso che si siano sciolti come neve al sole tra il ’98 e il 2000, quando il trend punk andava a scemare. Gli album successivi ad Americana (dove salvo qualche pezzo tipo Staring at the Sun) sono a livello delle Pornoriviste. Non si sono evoluti, nè involuti, nè reinventati. Sono rimasti la brutta copia di loro stessi.

    Ma so benissimo che ognuno vive i dischi a suo modo, a seconda di com’è lui, del giorno in cui li ascolta per la prima volta, della gente con cui li ascolta, del contesto socio-culturale e persino a seconda di quanto aveva fatto il Milan la sera prima.

    Non è un mistero che la mia personale classifica del ’94-’95 (aggiungo anche il ’95 per via del secondo in classifica) sia:

    1) Dookie – la mia vita senza i Green Day sarebbe stata diversa. Sarei impiegato in fonderia, una moglie che mi lava le mutande, tre figli, andrei d’accordo con mio padre. Insomma avrei una vita tranquilla ed equilibrata.
    2) And out come the wolves – quanto disagio in questo disco! Pure troppo per l’imperturbabile provincia di Varese! Ma questo è il mio punk! Incanala la mia rabbia da adolescente, mi rende curioso per la gente con le creste e i piercing ovunque!
    3) Punk in Drublic. Maestri di ignoranza e di ironia, come non adorarli? Anche qui disagio come se piovesse, solo edulcorato da fiumi di vodka e armadietti pieni di flaconi semitrasparenti arancioni.

    A presto!

  2. Carissimo, hai assolutamente azzeccato il giorno quindi grazie!

    Tutto quel che dici è molto giusto ed è proprio lì che sta la questione.
    La mia analisi non è globale, ma proprio su quel disco in quel momento. Il salto da radio deejay al punk-rock è stato questo disco. Poi ne sono venuti altri, più belli e meno belli, di altre band più brave e meno brave (qualcuna esiste), ma è iniziato tutto da lì.
    Con Smash ho deciso che percorso fare per crescere.
    Non mi interessavano i testi (che non sapevo dove trovare, non capivo e di cui tutt’ora spesso e volentieri mi disinteresso), non sapevo valutare le qualità tecniche, non mi interessava nemmeno stare lì a capire quanto fosse VERA la loro immagine.
    E’ stata una roba empatica, non saprei definirla altrimenti. Una scintilla che mi ha innescato, da tutti i punti di vista a partire da quello musicale.

  3. “A volte mi chiedo se sia davvero necessario espormi così, gratuitamente, al pubblico ludibrio.”
    LOL, sì!
    Comunque discone, l’unico degli Offspring che mi sia mai piaciuto dall’inizio alla fine (della loro carriera salvo solo ‘Ignition’ e qualche pezzo sparso)
    E consolati, anche io non sapevo che Killboy powerhead fosse una cover!

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