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Il Martini-Vodka col dry fa abbastanza cagare

Tra i sedici ed i diciotto anni non è che leggessi tantissimo. Qualche libro d’estate, tipo Wilbur Smith o i gialli di mia madre, ma niente di più. Il motivo era essenzialmente legato al fatto che i libri che mi assegnavano da leggere i proff. del liceo li snobbavo a prescindere sulla scia di un paio di tentativi fatti in buona fede e finiti nella mestizia. Non leggevo nemmeno riviste. In casa mia non ne giravano e a scuola l’unica che circolava (o quantomeno l’unica che vedevo circolare) era Metal Hammer, materiale con cui ero sicuro di non voler entrare in contatto. Leggevo PK e Topolino, a volte qualche articolo sull’inserto del Corriere che compravano i miei, ma era roba estemporanea. Di solito la pubblicazione in questione mi finiva in mano sul cesso e la prima passata era sempre volta ad individuare servizi fotografici di vallette in cerca di visibilità. L’analisi dei contenuti arrivava solo in assenza di servizi dedicati alla strappona di turno e, quindi, abbastanza di rado. L’argomento lettura non era nemmeno fonte di dialogo con gli amici o i compagni di classe. Ci si passava dischi e videogiochi, a volte videocassette, ma non riesco a ricordare una discussione del tipo “oh, devi troppo leggere questo libro perché è fighissimo” fatta in quegli anni.
E infatti, al libro probabilmente più importante della mia adolescenza, ci sono arrivato perché un pomeriggio con gli amici siamo andati al cinema. C’era questo film con protagonista uno sconosciuto Stefano Accorsi ed una sconosciuta Violante Placido. Niente di che, il film, ma il fatto che parlasse (anche) di un gruppo di liceali punk-rocker wannabe era stato sufficiente a tenere viva l’attenzione e parlarne poi a scuola, il lunedì. Così viene fuori che qualcuno ha addirittura letto il libro da cui era tratto, questo “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, e gira persino voce sia (cito a memoria): “tutto diverso dal film perché, alla fine, nel libro Alex mica se la scopa, Aidi!”. C’è curiosità, così passo in biblioteca, ne ritiro una copia e me la leggo.
SBAM.
Libro della vita.
Non ha molto senso che io stia qui a snocciolare i motivi per cui, intorno ai sedici anni, un libro come quello potesse colpire al cuore uno come me. Sono piuttosto ovvi, in verità. Quel che mi andava di scrivere è che da quel momento io quel libro non l’ho più ripreso in mano, essenzialmente per paura. Una cosa che hai letto a sedici anni e ha contribuito in maniera sensibile a cambiarti la vita non è facile da riaffrontare una volta cresciuti perchè, insomma, c’è da mettere in conto la possibilità di essersi fatti formare da un libro stupido, infantile o, peggio di tutto, brutto. Essere disposti a verificare una cosa del genere non è facile come scriverlo. Io, infatti, ho deciso di prendermi il rischio ben oltre i trenta, con una moglie ed un figlio a referto e quindi solo una volta raggiunto il centro pulsante della mia comfort zone.
Ho riletto “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” e, signori, resta un gran libro.
Non è come ascoltare un pezzo degli Ska-P e sentirsi completamente idioti perchè una volta addirittura si pagava per andare a vederli dal vivo. In un ipotetico incontro tra il me di oggi ed il me del 1996, il primo darebbe al secondo una pacca sulla spalla e gli direbbe qualcosa come: “Bravo, ne sai.”, magari formulata meglio, ma forse nemmeno troppo.
C’è chi dice sia un libro derivativo, ma come mi accade quando si parla di musica è una critica che non capisco. Per me è come andare da Bolt e dirgli: “Sì ok, bravo, però l’ Homo Erectus…”. Una volta parlavo di Brizzi e mi rispondevano subito “…ma l’hai letto Salinger?” e io sucavo perchè no, non l’avevo letto, quindi non mi potevo permettere di far presente fosse un ragionamento del cazzo sminuire un’opera semplicemente sulla base del fatto che ce ne fosse una simile antecedente. D’altra parte è pieno di gente che reputa inammissibile mi piacciano i Finch, ma non i Deftones.
Long story short: ho riletto Brizzi a 34 anni, mi è piaciuto ancora un botto e continuo a ritenerlo il romanzo della mia generazione. L’ho pure comprato, perchè una copia fisica in casa non ce l’ho mai avuta. Un domani potrei farlo leggere a mio figlio, non perchè lui debba ritrovarcisi (spero di no, anzi, che si viva il suo di tempo), ma perchè mi piacerebbe sapesse come sono cresciuto e cosa avessi in testa quando ero adolescente. Perchè quel libro parla essenzialmente di quello.
Il titolo del post deriva dal fatto che nel film il vecchio Alex e Martino ad un certo punto ordinano due Martini-Vodka, chiedendoli espressamente: “col dry”. Una volta l’ho fatto anche io e credo sia la cosa più disgustosa mi sia capitato di bere, il che nel mio caso è statisticamente rilevante. Pensandoci, il Martini-Vodka col dry è la versione primordiale, punk e drammaticamente fallimentare del recente e fortunato “Se vuoi fare il figo, usa lo scalogno”.

Nota: questa è tipo la terza volta che riscrivo da capo questo post. Non è una cosa comune, almeno per me, perché di solito se un post non mi esce di getto come lo vorrei lo cancello e finisce lì. Ho insistito perchè è una cosa a cui tengo e, come sempre accade, quando ho delle aspettative su un pezzo non mi esce MAI come l’avrei voluto.

8 commenti su “Il Martini-Vodka col dry fa abbastanza cagare”

  1. Ma solo io vedo il post spaginato? Nella parte destra esce dai margini, vengono “mangiate” gli ultimi 3/4 caratteri per cui diventa faticosissimo leggerlo (tipo che ho smesso alla seconda riga)

  2. Concordo sul fatto della derivatività. Nel senso che è cosa buona e giusta riconoscere che una certa opera è derivativa (tipo il 98% di tutto quello che viene fatto), un conto è per forza di cose farsi piacere l’opera a monte. Di esempi, soprattutto in campo musicale, ce ne sarebbero a bizzeffe.

  3. Sono contento che il problema ti si sia risolto, perché ne ignoro la causa. :)
    Sul discorso dell’essere derivativi è, imho, solo questione di volersi dare un tono da parte di chi commenta/critica. È credo ovvio che la maggior parte delle opere siano derivative, abbiamo una certa storia alle spalle. A voler ben guardare, quelle che non lo sono hanno gli stessi riferimenti, da cui però hanno preso le distanze. Il punto è: è davvero necessario essere onniscente per apprezzare un’opera? Conoscerne le basi, i riferimenti e tutto il resto?
    Io mi sento un disco e mi piace, ma non per questo il filone da cui è stato ispirato mi deve piacere altrettanto, né mi devo sentire in obbligo di colmare le lacune per poter dire: che figata.
    Scrivo qui sopra da dieci anni e non si contano le volte in cui, specie all’inizio, gente mi scrivesse “Ma lo sai che scrivi come tizio?”. Nella maggior parte dei casi era roba che non conoscevo, che recuperavo e poi mi piaceva pure un tot. Da un lato quindi mi dava gusto perché un po’ ti accostano a qualcuno che a loro (e a te magari) piace, un po’ perché immaginano io abbia molta più cultura di quanta ne ho in realtà. Dall’altro però è una rottura di cazzo, soprattutto se sei uno non proprio ultra sicuro di se, perché inizia a chiamarti quella vocina che dice: “prendi le distanze, smarcati, se no passi per copione”.
    È un cazzo di casino.

  4. 1) troppo poco tempo per leggere tutto quello che “si dovrebbe” (mah) leggere
    2) all’inizio sta cosa del conoscere le basi può anche sembrare importante, ma alla fine chi se ne fotte. Il valore di un’opera sta nel piacere di chi ne fruisce, punto. Mi spiace dirlo, ma si applica anche a quelle cose che considero la peggio feccia, tipo i Finch.
    (Scherzo, non credo nemmeno di averli mai sentiti… Ma vedi il punto 1)

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