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Musica

Get a life!

Il mio impatto con il nuovo mondo teutonico è per forza di cose l’argomento principe di queste pagine, ultimamente.
Me ne dispiaccio, perchè mi piaceva avere un blog che parlasse un po’ di tutto, però lo stravolgimento avvenuto nella mia vita negli ultimi quindici giorni è troppo grande ed importante perchè non sia costantemente al centro dei miei pensieri.
Ad essere onesti avrei anche potuto/voluto scrivere un post di musica, ma dei due dischi di cui volevo parlare ho già detto tutto altrove, per la precisione qui e qui, rendendo un post in merito ridondante e, di conseguenza, superfluo.
Così, che piaccia o meno, ho deciso di dare sfogo a una riflessione che ho iniziato a maturare sin dal mio arrivo e che, in questi giorni di “festa”, è tornata di tremenda attualità.
C’è qualcosa di sbagliato nel modo che hanno qui (e nel mondo, a questo punto) di intendere il mio lavoro o sono io che ne ho un’idea scorretta?
Spiego meglio.
Nel laboratorio dove sono ora ospite in attesa che il mio reale posto di lavoro venga pronto, ci sono un sacco di ragazzi provenienti da altrettanti, o quasi, posti differenti. Ci sono australiani, canadesi, greci, indiani e tedeschi di ogni regione. Gente che più o meno orbita in una fascia di età compresa tra i venticinque ed i trenta, miei coetanei insomma, e che ha le più diverse situazioni familiari e personali: sposati con figli, sposati senza figli, sinlge, conviventi ed ancora residenti con i genitori. Insomma, è un ambiente senza dubbio eterogeneo. Ciò che contraddistingue ognuno di loro però, è l’onnipresenza in laboratorio. A qualunque ora io arrivi al mattino, loro sono qui e a qualunque ora io me ne vada, loro ci sono ancora. Tutti i giorni, feriali o festivi che siano. Certo non sono solito fare l’appello e quindi questo discorso potrebbe valere più per alcuni che per altri, ma in generale è così.
Neanche a dirlo, io di vivere in questo modo, non ho la minima idea.
Per quel che mi riguarda gli interessi importanti sono tutti all’esterno dell’ambiente di lavoro e sono già fin troppi rispetto al tempo che avrei a disposizione facendo le mie classiche otto ore al giorno.
La cosa triste è che, scrivendo tutto questo, mi sento in dovere di giustificarmi come se avessi scritto che “non voglio lavorare”. Sono arrivato al punto di sentirmi colpevolizzato nel dire che non vorrei lavorare più di quel che è necessario. Cazzo, è ridicolo. Chi mi conosce sa bene che non sono certo il tipo che parte con il conto alla rovescia delle ore quando inizia al mattino. Faccio quel che devo nel tempo che ci metto e se capita di metterci di più di otto ore, beh, mi fermo e finisco.
Io però non programmo in partenza la mia giornata su dodici ore nè la mia settimana su sette giorni, come vedo fare a tantissimi qui.
Se una cosa posso farla Lunedì non la programmo per Sabato ed uso il week end per lavorare solo se è estremamente necessario. Non mi pare di dire nulla di insensato, eppure posso garantire che qui nessuno la vede così.
Il problema è che con questo contorno è un attimo passare per quello che cazzeggia, visto che la mole di quanto produco io con le mie tempistiche normali non sarà mai pari a quella prodotta da chi, ridendo e scherzando, lavora il 50% del tempo in più.
Riflettendoci mi seccherebbe dover mollare un lavoro che mi piace solo perchè non ho intenzione di dedicargli TUTTA la mia vita, almeno fino a che qualcuno mi dimostrerà che ne avrò altre a disposizione da dedicare al resto dei miei interessi.
Discorso analogo vale per la facilità che ha questa gente nel saltare da un posto all’altro. Per quello che mi riguarda quest’anno sarà un’esperienza da mettere a curriculum ed un esperienza di vita, non lo standard da qui ai prossimi trent’anni. Non sono disposto a continuare a ricostruirmi una vita ogni tre, quattro anni saltando di laboratorio in laboratorio per ottenere una carriera sfavillante da cui, a conti fatti, già ora sento non trarrò nulla se non rimpianti su quanto mi è costata.
Io ho degli amici, delle persone con cui mi piace stare con cui ho condiviso tanto e spero di condividere ancora di più. Non ci penso nemmeno a passare un’esistenza fatta di conoscenze che vanno e vengono, per quanto simpatiche possano essere. Idem per quel che riguarda i miei genitori. Se fare carriera nella scienza vuol dire rinunciare a tutto questo, senza nemmeno pensarci su rispondo: “No, grazie” e vado a fare altro.
Io lavoro per vivere, non vivo per lavorare.
Magari tutte queste riflessioni sono solo frutto di una prima, erronea impressione, ma non credo. Inizio a pensare che quest’anno sarà l’ultimo in cui potrò fare questo lavoro se non vorrò scendere a questi compromessi.
Vabbè, ora vado a finire l’esperimento che sto facendo.
Sì ho scritto dal lavoro.
Sì forse sono un fancazzista.
Oggi, ieri e Venerdì qui però è stata festa nazionale.
Ed io sono stato in laboratorio.

Precisazione d’obbligo: nessuno mi ha detto che non lavoro e non sono stato licenziato. Almeno per il momento. Trattasi di riflessioni.

Il 2009 di Manq

Fine anno, tempo di classifiche.
Come di consueto cercherò di prodigarmi nel tentativo vano di selezionare il meglio ed il peggio che quest’anno che sta per chiudersi ha offerto, circoscrivendo la cosa a quei due o tre ambiti che mi preme e soprattutto che posso permettermi di trattare.
Va detto che mai ho avuto tante difficoltà nell’assegnare le posizioni, sia per la presenza di molte opere meritevoli, sia per il fatto che negli ultimi dodici mesi ho veramente visto/sentito/letto molte cose.
Quello che si avvia alla conclusione è stato anche un anno notevole a livello personale, ricco di avvenimenti che in un modo o nell’altro segneranno per sempre la mia vita, ma come al solito riassumere quanto ho vissuto in una pagina del mio diario, che ciò che vivo lo racconta “in diretta”, è un’operazione che ai miei occhi non spicca per utilità. Ecco perchè non lo farò.
Partirò subito con le classifiche invece, che per la prima volta saranno seguite da una breve “spiega” volta a motivare le mie scelte.

Miglior disco
1° Thrice – Beggars
2° Biffy Clyro – Only revolutions
3° Minnie’s – L’esercizio delle distanze
spiega: premio “Beggars” perchè è il disco che non ti aspetti e quindi che apprezzi ancora di più. Questo non toglie che sia anche un capolavoro, ma a mio avviso lo è pure il nuovo Biffy Clyro, quindi per il primato serviva qualcosa in più. Più o meno per le stesse ragioni sego i Brend New, perchè mi aspettavo un capolavoro che non è arrivato. In onestà “Daisy” sarebbe probabilmente nella mia top 3 se fosse stato scritto da altri. Al posto suo ci finiscono i Minnie’s che, semplicemente, una volta ascoltati non ho più tolto dall’auto. Era Maggio. E se dopo aver ascoltato “Milano è peggio” qualcuno avesse ancora da ridire, beh, s’inculi.

Peggior disco
1° Nofx – Coaster
2° 30 Seconds to Mars – This is war
3° Taking Back Sunday – New Again
spiega: primo posto indiscusso per i Nofx che commento citando le pagelle di Giorgio Terruzzi ai tempi di Grand Prix: “Un campione del mondo non si comporta così”. Il disco dei 30StM è ovviamente gran peggio di “Coaster”, tuttavia non ero nemmeno certo di volerlo inserire in classifica. Non avrei proprio dovuto ascoltarlo, inutile lamentarsi dopo. Preciso che, nonostante i fiumi di parole ingiuriose da me spesi su questo blog, “Artwork” dei The Used non è tra i peggiori dischi perchè, pur essendo una maxi cagata, io lo adoro. Letteralmente.

Miglior concerto
1° Biffy Clyro @ Tunnel (Milano)
2° The Get Up Kids @ Estragon (Bologna)
3° All-American Rejects @ Musicdrome (Milano)
spiega: le prime due posizioni hanno una duplice spiegazione. La prima è che i GuK non potevano sperare di vincere non suonando “Forgive & Forget” dopo che mi sono sparato 200km per sentirla. La seconda è che mi sentivo di aver già parzialmente derubato i Biffy Clyro nella sezione dischi. Però anche solo il fatto di essere tornato al Tunnel dopo secoli vale la scelta. Ho segato il set dei Thursday di Bologna perchè, pur essendo ancora convinto abbiano fatto il live perfetto, rivisti a Milano mesi dopo non hanno ripetuto l’opera, anzi, hanno deluso. Se i GuK nonostante lo smacco sono finiti in classifica, non mostro alcuna pietà per Kris Roe. Invece di “Broken Promise Ring” hai suonato “Boys of Summer”. Vergongati!

Peggior concerto
1° Alkaline Trio @ Rolling Stone (Milano)
2° Green Day @ Datch Forum (Milano)
3° Escape the fate @ Estragon (Bologna)
spiega: la prima posizione va da se, trattandosi di una band incapace di suonare dal vivo. Per quel che riguarda i Green Day il giudizio è sulla prova on stage, perchè non si discute sia stata una delle serate più belle e divertenti di questo 2009. In merito agli Escape the Fate dico solo che sono stati in ballottaggio con i Lost e che hanno vinto perchè: 1- i Lost li ho mollati dopo tre canzoni 2- gli EtF se la menavano di più.

Miglior film
1° Inglorious basterds
2° Gran Torino
3° Watchmen
spiega: onestamente credo ci sia poco da spiegare. Watchmen appartiene ad una categoria di film che solitamente non apprezzo e, oltretutto, è lento da morire. Però non premiare una pellicola con una colonna sonora del genere, con una trama del genere ed una realizzazione del genere secondo me sarebbe stato a dir poco ingiusto.

Peggior film
1° New moon
2° Transformer 2
3° Outlander – L’ultimo vichingo
spiega: in condizioni normali District 9 avrebbe vinto a mani basse, ma di fronte ai fuoriclasse bisogna saper chinare il capo.

Miglior Libro
1° Il Mercante in Fiera – L. Scarpetta
2° Herry Potter (saga) – J.K. Rowling
3° L’assassino che è in me – J. Thompson
spiega: sento di dover precisare solo l’inserimento della saga del maghetto di Hogwarts in classifica perchè sui sette libri sono più le pagine discutibili di quelle buone. Molte di più. Però alla fine mi è piaciuto parecchio e quindi chi se ne incula. Ora sto leggendo “Il Potere del Cane” di D. Winslow e non avendolo ancora finito ho dovuto estrometterlo dalla classifica. Al momento però, con 500 pagine lette su 700, caga in testa a tutti e tre i premiati. La spiega più grezza dedicata al capitolo letteratura mi riempie di orgoglio.

Peggior libro
1° Uomini che odiano le donne – S. Larsson
2° La mano sinistra di Dio – J. Lindsay
3° La solitudine dei numeri primi – P. Giordano
spiega: il primo è un polpettone infinito privo del benchè minimo mordente. Il secondo è una cagata colossale da cui, inspiegabilmente, hanno tratto un telefilm favoloso. Il terzo è il libro con i personaggi più odiosi della storia. Direi che ho motivato a sufficienza.

Miglior serie TV
Scrubs – VIII serie
spiega: decisione ultrasofferta. Quest’anno infatti ho scoperto Boris e Californication, per fare due nomi che potrebbero ampiamente meritare il premio. Ho votato col cuore.

Peggior serie TV
Dexter – II serie
spiega: sottotitolo del Manq al cofanetto: “Come gettare in merda una roba figa.”

Mixtape (2000-2009)

Sono un modaiolo e questa è la principale motivazione che mi spinge a scrivere il post che segue. In attesa dell’immancabile classifica di fine anno ho infatti deciso di cimentarmi in un’operazione simile a quella vista in molti altri blog sotto le più svariate forme: l’analisi degli anni zero, ovviamente da un punto di vista musicale. Come dicevo, molti blog hanno già affrontato l’impresa.
Bastonate ha scelto di celebrare il decennio utilizzando le copertine degli album. Idea molto figa. Tra i commenti al post linkato qui sopra c’è anche la mia selezione, non ho saputo reistere.
Dietnam ha stilato la classifica dei migliori 20 album del decennio. Anche in questo caso avrei voluto fare la stessa cosa, ma mi sono reso conto che più che gli album più belli, in senso “assoluto”, avrei voluto premiare quelli che io ho ascoltato di più. Ok, so che dire che un disco è “bello” è sempre qualcosa di soggettivo, però secondo me ci sono dischi che sono “oggettivamente” belli ed altri che lo sono per me pur riconoscendo io stesso abbiano non poche carenze.
Non credo sia chiaro quanto intendo, ma chissenefrega. Alla fine tanto ho abbandonato l’idea di fare una classifica.
Trovo invece carina e più intima la scelta di autodedicarmi una bella mixtape.
Ah, per chi se lo chiedesse, ignoro volutamente l’argomento neve a Milano.
E poi la selection sottostante renderebbe le tre ore che ho impiegato ieri a percorrere 10 km pura poesia.

Manq mixtape ’00/’09
01 – Underøath – Breathin in a new mentality – Lost in the sound of separation (2008)
02 – Taking back sunday – Ghost man on third – Tell all your friend (2002)
03 – Rufio – Above me – Perhaps, I suppose… (2001)
04 – Bad astronaut – Linoleum – Unreleased (2008)
05 – Glassjaw – Siberian kiss – Everything you ever wanted to know about silence (2000)
06 – Brand new – Me vs. Maradona vs. Elvis – Deja entendu (2003)
07 – No use for a name – International you day – Hard rock bottom (2002)
08 – Biffy Clyro – Machines – Puzzle (2007)
09 – The used – Poetic tragedy – The used (2002)
10 – Funeral for a friend – Bend your arms to look like wings – Casually dressed and deep in conversation (2003)
11 – The ataris – Fast times at dropout hight – End is forever (2001)
12 – Boxcar racer – Watch the world – Boxcar racers (2002)
13 – All-american rejects – Paper heart – All-american rejects (2002)
14 – Britney Spears – If U seek Amy – Circus (2008)
15 – Finch – Letters to you – What it is to burn (2002)
16 – Mae – The Sun and the Moon – The Everglow (2005)

Trova l’intruso

Per giocare basta clikkare qui.
Un indizio: non sono i Nirvana.

Grazie a Uazza per la segnalazione.
Aggiungo un’annotazione: inizia a darmi sui nervi vedere su tutti i blog che giro la copertina di Rolling Stone di Dicembre.

Applausi a scena aperta

Non credo esista un’altra band capace di far sembrare bello il pezzo del video qui sotto.
Ma bello bello, non semplicemente migliore.
Il 7 Dicembre si va a vedere Biffy Clyro.
Punto.
E adesso sale l’attesa per il nuovo disco.

Quando scrivo di musica sono prolisso. E sticazzi.

Dischi.
Si era detto che mi sarei preso un post per scrivere di un po’ di dischi che sto ascoltando e che sono usciti più o meno tutti relativamente di recente.
Sono 7.
Quantitativamente parlando è tanta roba, qualitativamente non poi così tanta, ma in ogni caso sono tutti o quasi dischi che ero curioso di ascoltare e che di conseguenza mi va di raccontare.
Via.

Brand New – Daisy
Brand New - Daisy Questo per il sottoscritto era sicuramente il disco più atteso dell’anno e quindi è quasi d’obbligo partire da qui. Ed è quantomai difficile farlo perchè Daisy è un disco che, al primo ascolto, mi ha “sconvolto”. Anzi, mi ha aggredito senza lasciarmi il tempo di riprendermi fino alla sua conclusione, quando ho spento il lettore e mi sono chiesto se avessi realmente sentito quello che avevo sentito. Che i Brand New ogni volta siano capaci di dare una svolta al loro suono è indiscutibile ed ormai non fa più notizia, ma questo non impedisce di rimanere ogni santa volta che si ascolta un nuovo capitolo della storia, a bocca aperta. Il disco si apre con Vices, introdotta da un’alquanto suggestivo “old church hymn” (leggo in internet) ed è letteralmente un pugno in faccia. Dissonanze, suoni cupi e ruvidi e urla che nessuno mai avrebbe pensato di accostare ai Jesse Lacey e soci. Attenzione, non si parla delle urla posticce e postprodotte che tanto vanno di moda adesso, sia chiaro, ma di vere e proprie grida capaci di raschiare l’animo dell’ascoltatore e, nel mio caso, quasi di infastidirlo. Dopo un impatto del genere però sale la curiosità di capire dove sia diretto questo disco e così ci si ferma ad ascoltarlo con attenzione, nel tentativo di comprendere. Ascolto dopo ascolto si ritrovano la malinconia, l’intimità e l’emotività caratteristiche dei Brand New, ben identificabili in alcuni pezzi più vicini al precedente lavoro, ma continua ad essere chiaro che tutto è stato rielaborato e sfogato con una violenza mai usata prima. Alla fine non saprei come valutare questo disco, perchè è troppo ostico per poterlo fare così presto. Di sicuro è più lontano dai miei gusti rispetto a “Deja Entendu”, ma anche “The Devil and God are raging inside me” lo era eppure oggi lo trovo uno dei dischi più belli che ho in casa. Tuttavia, come ho letto su Alternative Press, “it’s entirely possible that the band simply wrote a good album this time around, not a great one.”.

The Used – Artwork
The Used - Artwork Lo so, ho già scritto molto di questo disco. Troppo. Però in realtà non l’ho mai fatto come si dovrebbe, ovvero lasciando da parte i miei pregiudizi e le mie valutazioni impulsive. Così mi ci sono dedicato con attenzione, l’ho ascoltato e riascoltato e l’ho paragonato ai predecessori. Con somma sorpresa mi sono reso conto che questo nuovo capitolo è semplicemente il meglio prodotto dalla band dopo l’inarrivabile esordio. Attenzione, non sto dicendo che sia un bel disco, almeno non senza chiarire cosa si intende con “bello”. Innanzi tutto non si può decontestualizzare il prodotto dal genere in cui rientra. Questo è un disco di fake-emocore posticcio di quello che va tanto di moda oggi. Assodato questo, lo si deve valutare in quell’ambito e, secondo me, all’interno del genere è un buon disco: melodie facilone che si stampano in testa al primo ascolto, superproduzione, finzione sempre in primo piano (dalle urlettine di sottofondo ai riffoni pseudo-metal) e cliches a chili. Rispetto agli ultimi due album oltretutto ci sono molti meno momenti “strappamutande” per ragazzine e questo non può che essere un bene. Insomma, all’interno di un genere che può non piacere e che di sicuro ormai sovrabbonda di letame, gli Used riescono a fare meno peggio di tanti altri, basti solo pensare all’ultimo lavoro dei Silverstein per esempio. Poi è chiaro che molte band che hanno iniziato con questa roba se la sono ampiamente lasciata alle spalle provando a non perdere totalmente la dignità, ma quelle sono scelte che, per quanto apprezzabili, esulano dalla valutazione di un disco.

Thrice – Beggars
Thrice - BeggarsAccennavo giusto poco fa a quelle band che, pur partite da certe sonorità (ai tempi ancora genuine e degne di rispetto), hanno deciso di rispondere alla prostituzione cui la scena andava in pasto e probabilmente ad esigenze artistiche altre rispetto al soldo facile, evolvendo il loro suono in qualcosa di decisamente più maturo e meno teenage friendly. Oltretutto, nella fattispecie, i Thrice sono un’altra band che da sempre ha sviluppato un percorso fatto di crescita e ricerca della propria strada, partendo dal metalcore più melodico degli esordi, passando per il nu-emocore, il post-hc ed arrivando a questo disco che, a mio avviso, tratta di puro e semplice post rock. Personalmente non avevo mai ascoltato il precedente lavoro e quindi il salto tra “Vehissu” e “Beggars” per me è stato decisamente ampio, di quelli che mio nonno da giovane faceva per saltare i fossi per il lungo, eppure l’atterraggio è stato più composto di quanto mi aspettassi. Il motivo è semplice: “Beggars” potrebbe benissimo essere il disco che, quest’anno, mi aspettavo dai Brand New. A mio avviso infatti c’è veramente tanto della band di Long Island in questo lavoro, come tuttavia c’è tanto degli At the Drive In. Con queste premesse direi che c’è poco altro da aggiungere e rimane solo da mettersi belli comodi ed ascoltarselo perchè, sempre a mio avviso, questo potrebbe benissimo rivelarsi il disco dell’anno. Evidentemente sto crescendo.

Saosin – In search of solid ground
Saosin - In search of solid groundLi avevo lasciati nel 2006 con l’album di esordio e li ritrovo nello stesso punto oggi, con questa seconda uscita. Non si sono mossi di una virgola i ragazzi, sfornando quello che non si può che definire un disco fotocopia. Stessi suoni, stessi pezzi, stesso tutto. Ecco, metterci tre anni a fare una roba del genere non è giustificabile ne tantomeno degno di applausi. Allora mi avevano colpito perchè in un panorama dove per suonare questo tipo di musica era quasi necessario infilare grida da tutte le parti, loro sfoggiavano un cantato pulito pulito e dai toni altissimi. Musicalmente parlando non sono mai stati particolarmente innovativi, però avevano tutto quello che serviva al posto giusto, con l’aggiunta di un batterista coi controfiocchi che anche su disco sapeva inserire piccole perle qua e la. Oggi, come dicevo, sono ancora così con la differenza che, a quel che mi è parso dai primi ascolti, anche le linee di batteria si siano appiattite un po’. I pezzi non sono brutti, si ascoltano volentieri anche più di una volta, ma non lasciano molto. Un disco da mettere in macchina e sentire in sottofondo quando c’è altra gente a bordo, per capirci, una cosa che non colpisce e che non infastidisce. Una roba per cultori della band, insomma.

Mae – (M)orning
Mae - (M)orningDovrebbe essere un EP questo dei Mae, il primo di una trilogia che dopo “(m)orning” dovrebbe dare alla luce “(a)fternoon” e “(e)vening”, ma 37 minuti di musica divisi in 8 pezzi lo rendono di diritto un vero e proprio disco. Il progetto che sta dietro alla trilogia mi è tutt’ora un po’ oscuro, nonostante io abbia provato a documentarmi in internet, ma se non ho capito male i nostri eroi hanno deciso di raggruppare le canzoni scritte nei mesi scorsi e vendute in internet per beneficienza, senza appoggiarsi ad alcuna casa discografica. Se ho capito giusto, l’iniziativa è sicuramente lodevole, ma adesso è il caso che io valuti i contenuti e devo dire che il disco mi piace. Si tratta di pop-rock pulito e solare, ma ben curato e non troppo timoroso di uscire da certi schemi (un esempio sono le due tracce sopra i 7 minuti, cosa che in quest’ambito non è certo usuale). Il tema è quello del mattino, dell’alba, e l’atmosfera è trasferita benissimo dalle orecchie alla mente rendendo l’esperienza simile ad un viaggio. I Mae da questo punto di vista hanno una certa tradizione, se si considera “The Everglow”, che secondo me resta il loro capolavoro. Brani lunghi quindi, ben articolati, ma anche pezzi più classici, sempre caratterizzati dalla voce leggera e dai suoni armoniosi. La chicca è forse il pezzo strumentale, “Two birds”, dove pianoforte e flauto si rincorrono come fossero il canto mattutino di due uccellini appostati sul davanzale della camera da letto. Dopo il flop di “Singularity” secondo me i Mae sono tornati ad ottimi livelli.

Darkest Hour – The eternal return
Darkest Hour - The eternal returnNon ho molto da dire riguardo questo disco e potrei seriamente recensirlo in una frase: i Darkest Hour mi hanno rotto il cazzo. Questa però non sarebbe una buona recensione (non che le altre debbano esserlo, però almeno ci provano) e quindi proverò ad articolare il concetto. Io non sono mai stato un metallaro, credo si sappia, e di conseguenza alla lunga ci sta che il trash/death proposto dalla band mi vada in noia, anzi, ci sarebbe da chiedersi come mai ci sia voluto addirittura un terzo disco. Forse perchè tra “Undoing Ruin” e “Deliver Us” c’era stato un’ulteriore salto in avanti per quanto riguarda la tamarria dei suoni e dei riffoni di chitarra, tale da spingermi comunque ad apprezzare il prodotto. Con questo nuovo album invece si torna un po’ indietro, addirittura in qualcosa si ripesca al metalcore iniziale ed in me subentra una certa noia. Per certi versi questo disco è una sorta di “Undoing Ruin” meno accattivante, con riff meno coinvolgenti e una struttura più ripetitiva, sempre che sia possibile non trovare ripetitivo questo genere di musica.

Poison the well – The tropic rot
Poison the well - The tropic rotChiudo questa interminabile carrellata di dischi e commenti con i Poison the Well e il loro ultimo album. Mi spiace dirlo, ma si tratta di una cocente delusione. Ad essere sincero già “Versions” non mi aveva certo entusiasmato nel suo tentativo di elevare l’HC a qualcosa di più razionale ed intimistico. Ecco, con quest’ultimo lavoro i ragazzi della Florida continuano su quella strada che forse apprezzerò tra qualche tempo, dopo ulteriori ascolti, ma che adesso mi lascia solo tanta nostalgia per i tempi di “Tear from the red” e “You come before you”.
Speriamo che vederli dal vivo mi tolga un po’ di questa nostalgia.

Ce l’ho fatta, ho finito.
Sono le 3 di notte.
Vado a letto.

Something to write on blog about (plagio inconsapevole).

La mia nuova avventura di giornalista musicale al momento mi sta dando alcune soddisfazioni.
In settimana è infatti uscito su Groovebox il mio report sul live dei Get Up Kids @ Estragon.
Scrivere per una webzine tuttavia sta un po’ togliendo spazio a questo blog, perchè stendere due volte un pezzo che parla dello stesso evento è decisamente poco motivante. In un report scritto perchè qualcuno lo legga e non allo scopo di immortalare dei ricordi personali non trovo però giusto lasciare troppo spazio alle mie percezioni e quindi tento di attenermi al dovere di cronaca.
Il dilemma di conseguenza è che se scrivessi qui sopra del concerto, con tutta probabilità non ne uscirebbe una pagina come quella linkata in alto. Su questa pagina ci sarebbe ampio spazio per la bella sensazione provata nell’andare a Bologna finalmente in compagnia. Ci sarebbero delle menzioni d’onore a Marco e Carlo che si sono sparati insieme a me la trasferta, ma anche al BU e a Dietnam incontrati sul posto. Ci sarebbe un ampia cronaca della cena argentina fatta prima del live approfittando dei vari stand multietnici della Festa dell’Unità bolognese (che, per inciso, è veramente figa). Parlerei a lungo di come non ci abbiano serviti per quaranta minuti abbondanti, per poi mettersi una mano sul cuore una volta saputo che saremmo dovuti andare ad un concerto che iniziava circa 20 minuti dopo facendoci ingurgitare paella e grigliata mista di carne praticamente con l’imbuto.
Menzionerei la delusione nel non aver trovato una maglietta decente al banchetto, cosa a cui tenevo parecchio perchè i Get Up Kids live sono un evento che merita un cimelio.
Parlerei più o meno nello stesso modo dei The Briggs, ma sicuramente aggiungerei molto della diatriba animata avuta col bell’uomo sul loro essere simili o dissimili ai Dropkick Murphys.
E poi scriverei della performance dei ragazzi del Kansas, ma senza dedicare troppe righe alle scalette o alla risposta del pubblico. Parlerei soprattutto della mia risposta, la risposta di uno che la speranza di vederli dal vivo l’aveva abbandonata tanto tempo fa.
La risposta di uno che li adora per “Something to write home about” e che del resto si è sempre curato poco.
Uno che su “Action & Action” ha perso probabilmente la voce.
Uno che si è commosso su “Valentine” e “Out of Reach”.
Insomma, uno come me.
Avrei scritto della voce incredibile di Matt Pryor e dello stile ipnotizzante di Ryan Pope alla batteria, ma quello forse l’ho scritto anche nel report.
Una cosa che però anche in un pezzo di cronaca sicuramente non mi sono sentito di omettere è stato il fantastico e al contempo tremendo salto negli anni novanta cui questo concerto mi ha sottoposto. E’ stato bello, per una volta, vedere gente della mia età sotto il palco e gente più vecchia di me sul palco. E’ stato bello essere contenti e fieri, a nostro modo, dell’essere parte di un’altra generazione. Perchè i Get Up Kids, a differenza di tutti i gruppi che continuo a seguire dai gloriosi anni novanta, sono rimasti fermi a dieci anni fa. Basta dischi (the guilt show non l’ho credo mai sentito), basta concerti, nessun tentativo di continuare a restare attuali. Ogni due anni vedo i Nofx su un palco e sembra che il tempo non sia trascorso. Loro sono si convincono e ci convincono di essere gli stessi e va bene così, perchè anche noi trentenni con gli shorts un po’ vogliamo credere di essere rimasti al liceo. E’ una sorta di tacito accordo che sta bene ad entrambe le parti.
Con i Get Up Kids però quest’illusione scompare di fronte ad una band visibilmente invecchiata, ad un audience visibilmente invecchiata e per nulla reinfoltita dalle nuove leve e ad una scaletta che, che tu lo voglia o meno, è lì per ricordarti che una decina d’anni fa eri giovane.
Forse anche per questo non mi sono sbattuto più di tanto nel tentativo di andare a vedere gli Offspring Mercoledì scorso.
Sarebbe stato troppo presto, troppo traumatico.
Alla fine è bello saper trovare la voglia ed il tempo per scrivere qualcosa di più di una semplice cronaca di un live.
Oltretutto pagine più intime mi permettono di sfogare il mio innato talento per i titoli osceni.

[NdM: ho realizzato solo ora che il BU ha intitolato un post sul suo blog praticamente nello stesso modo. In quel post oltretutto linka un terzo post in cui si gioca con lo stesso tema. Questo lascia spazio ad una considerazione: noi ex giovani abbiamo poca fantasia e tanto cattivo gusto. Ad ogni modo la correzione al titolo è dovuta a questo. Se penso che all’inizio avevo intitolato il post “I’m a journalist, Dottie. A reporter”…]

Parole ed opere

Si, vabbè, non sono noto per mantenere gli impegni presi.
Però ci provo.
Ad esempio sto provando in tutti i modi a mantener fede al mio proposito di iniziare a scrivere di musica non solo sulle pagine del mio blog. Non trovando molto spazio in giro come “recensore” e non avento reperito nemmeno mezza persona intenzionata a dar vita ad un progetto, ho deciso di darmi alle interviste.
Su questo fronte, ho ottenuto il primo risultato.
La mia intervista ai My Own Private Alaska è uscita in questi giorni su Groovebox e devo ringraziare Tempo per lo spazio che mi ha dato e per quello che, spero, mi darà in futuro.
Sono abbastanza soddisfatto del prodotto e quindi lo linko qui per chiunque volesse dargli una letta.
Il mio tentativo di dedicarmi con impegno ad una delle mie passioni però continua e così ho provato a richiedere un’intervista ad altre band. Al momento ho puntato Underøath, Brand New e Finch. Dai primi due, ovviamente, nessuna risposta mentre i terzi mi hanno chiesto di inviar loro le domande, cosa che ho fatto Venerdì.
Vedremo cosa ne uscirà.
Devo dire che scrivere domande per una band che amo molto è stato più facile.
Mi piacerebbe anche provare a contattare i Glassjaw, ma ad oggi mi è risultato impossibile riuscire a reperire un contatto che non sia il myspace.
Odio myspace.
In un futuro, se le interviste dovessero continuare, penso che aprirò una sezione su questo blog dove poterle leggere anche in lingua originale.
In realtà credo l’aprirò per bullarmene un po’.
Lo so, non è che sia poi nulla di cui vantarsi fare domande via email a dei gruppi musicali, però ai miei occhi è una cosa figa.
La sezione interviste non è la “nuova sezione” del sito di cui parlo da un po’ e che ad oggi non è ancora comparsa.
La realizzazione di quella sezione “misteriosa” sta ancora procedendo e, purtoppo, non senza qualche intoppo.
Credo che Settembre sarà il mese decisivo per la sua pubblicazione, ma essendo un mio proposito tutto lascia intendere che non sarà così.
Credo di stare apprendendo troppo bene e mio malgrado l’arte di disattendere attese e promesse fatte da quel maestro che è George R. R. Martin.
Potrei chiudere qui, ma non sarebbe giusto farlo senza citare l’inizio del campionato italiano di calcio.
Quest’anno non crdevo avrei fatto l’abbonamento a Mediaset Premium, fondamentalmente per due motivi:
1- Posso ufficializzare che dall’inverno mi trasferirò in Germania, precisamente a Colonia. Di conseguenza da Gennaio seguirò con tutta la passione di cui sono capace le sorti del Bochum ed il suo cammino in Bundesliga.
2- Continuo a serbare profondo risentimento verso la società A.C. Milan per la cessione di Kaka e per il mercato estivo a dir poco offensivo.
Eppure ieri sera ero ai blocchi di partenza con tesseria e decoder nuovo di zecca, pronto per le partite in HD.
Ora, sorvolando sul fatto che il canale HD da me non si prenda e di conseguenza sorvoliando sull’ammontare delle Madonne che ho cacciato ieri sera, restano due cose da dire.
La prima è che Leonardo è l’allenatore più bello ed elegante della serie A ed è un piacere vederlo e sentirlo parlare.
La seconda è che ancora una volta ho dimostrato di non essere abile nel portare a termine i miei propositi.

Artwork in presa diretta.

Voglio tentare un esperimento.
Commenterò il nuovo disco degli Used mentre lo ascolto per la prima volta.
Canzone per canzone.
E pubblicherò il post via via ogni traccia che passa.
Vediamo cosa ne esce.
Ok, inziamo.
01 – Blood on my hands
Ok, è il singolo del video che ho già commentato. Il pezzo non è certo il massimo, ma si stampa abbastanza in testa. andiamo oltre.
02 – Empty with you
Pezzo bruttino, questo. Anzi brutto forte. Il feeling sul disco, a questo punto, peggiora. Mah, vedremo…
03 – Born to quit
Si continua maluccio. Sulla strofa cadono un bel po’ le palle e il ritornello suona vecchissimo già al primo ascolto.
04 – Kissing you goodbye
Dio mio. Non c’è limite al peggio. Ballatona piano e voce così, dopo tre pezzi molli che più molli non si può, è oggettivamente troppo. Vado avanti giusto per dovere di cronaca. C’è pure un’assolo che ricorda i peggiori G’n’R e qui parte la nomination a peggior disco dell’anno. Ma che fine hanno fatto gli Used di “Pieces Mended” e “Poetic Tragedy”?
05 – Sold my soul
Intro degno dei peggiori AVA. E’ il pezzo del promo che ho pubblicato nei giorni scorsi. Niente di trascendentale, per carità, però almeno sveglia fuori un po’. Il ritornello è l’emblema della mouriniana “prostituction intelectuale”, ma ribadisco che al momento è forse il miglior pezzo del disco. Carina la chiusa di piano.
06 – Watered down
Oh cazzo. Ma è il nuovo disco Used o il nuovo Jonas Brothers? Dio santissimo che merda… Quasi quasi do forfait e mi ascolto il nuovo “Death before dishonor”. Ma non finisce più sto pezzo?
07 – On the cross
L’inizio mi lascia un po’ interdetto. Il ritornello spazza via i dubbi. Spazzatura. La speranza di aver scaricato un fake cade sulla voce inconfondibile di Berth, temo non ci siano scusanti. In confronto “Lies for the liars” è un capolavoro della musica.
08 – Come undone
Mezze grida fintissime, ma quasi le apprezzo sul piattume precedente. Credo questo debba essere il pezzo “cattivo” del disco, ma a me pare solo noioso oltre ogni previsione.
09 – Meant to die
Questo, quantomeno, sembra un pezzo degli Used. Un pezzo brutto, ma almeno un pezzo loro. A questo punto, con sole due tracce ancora da sentire, direi che la debacle è totale. Cos’è st’intermezzo pseudoelettronico con le grida in sottofondo? Dio, pare una seconda versione, decisamente più brutta, di “Hospital”. E io che volevo comprare il disco al buio. Fortuna che la copertina mi faceva cagare ed ho desistito…
10 – Best of me
L’intro è d’ambiente, il pezzo attacca forte, ma all’ingresso della voce tutto si ammoscia di nuovo. Buone premesse però, crediamoci ad un pezzo decente. Ok, siamo alla caricatura del genere, però è quel trash che a me piace anche. Sta traccia quasi quasi la salvo. Roba da “In love and death” comunque, nulla più.

Ok, mancherebbe una traccia, ma è arrivato Aui. Continuo dopo.
Stay tuned!
[…]

Bene, dopo una sana partita a PES eccomi pronto a continuare.
Sono le 0.55 e mi manca un’unica traccia.
Andiamo di play e finiamo fuori sto lavoro.
11 – Men are all the same
Nu Metal? Ma di quello pacco forte, però. Tipo i peggiori Linkin Park. Lento, moscio, con anche le mani che battono che tanto vanno di moda oggigiorno. Sì, questo è un disco che potrebbe essere stato scritto dai Linkin Park. Che peccato però, a me piacevano gli Used. E nell’incrocio di voci finale si sente ancora qualcosa di quel che mi piaceva. Di quelle melodie struggenti che nel primo disco mi avevano tanto emozionato.

Vabbè, l’ascolto è finito e, come forse sarà trapelato, non mi ha per nulla soddisfatto.
Di dischi quest’anno ne sono venuti fuori un bel po’ e devo ammettere di aver provato a star dietro alle uscite. Mi manca ancora qualche recupero, ma in generale non sono molto soddisfatto di come butta l’annata.
Mi sa che per qualcosa di buono bisogna aspettare il 22 Settembre.