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Sport

Civil War

Ieri sera si giocava il derby di Milano. Non un “normalissimo” derby, ma una sfida che avrebbe potuto consegnare all’Inter lo scudetto 23/24 e la seconda stella sulla maglia.
Piuttosto che assistere ad uno scempio del genere mi sarei fatto volentieri cavare gli occhi, quindi quale miglior modo per evitare qualsiasi contatto con la tragedia, se non rinchiudersi in una sala cinematografica?
Sono così andato a vedere Civil War, un film che mi interessava molto vedere, ma che potrei inconsciamente aver selezionato sulla base di aspettative mal riposte negli 11 rossoneri che sarebbero scesi in campo di lì a poco.
E’ andata come è andata, Inter merda sempre, ma posso comunque dire due o tre robine veloci sul film.
Prima, però, il trailer:

Civil War racconta gli ultimi giorni di una ipotetica guerra civile US seguendo la storia di un gruppo di reporter decisi a coprire gli eventi militari che dovrebbero portare alla conclusione del conflitto, ovvero la caduta della Casa Bianca. Il gruppo è composto da una reporter scafata e anaffettiva (Kirsten Dunst), un giornalista d’assalto drogato di adrenalina (Pablo Escobar), un anziano reporter a caccia dell’ultimo colpo (Stephen McKinley Henderson) e una ragazzina intraprendente che prova ad iniziare una carriera da fotografa di guerra (Cailee Spaeny). La caratterizzazione dei personaggi non va oltre queste due righe, esplicitate per altro nei primi 10 minuti di film, ma non è necessario ci vada. Non c’è altro da sapere perchè il film non vuole parlare di loro, vuole solo usarli per mostrare la guerra civile nei suoi dettagli più crudi e violenti. Aspetti non solamente correlati alla brutalità delle battaglie e delle torture, mostrate senza nessun tipo di filtro, ma anche e soprattutto legati ad un sottotesto psicologico pesantissimo: per tutto il film nessuno dà l’impressione di aver presente per cosa stia combattendo e contro chi lo stia facendo. Il film non bada minimamente a contestualizzare il conflitto, come a dire che le ragioni di una guerra sono sempre e comunque marginali, e restituisce uno scenario in cui ci si spara addosso per sopravvivere, ma non senza un certo godimento.
Questo è.
Un’ora e 49 minuti di rappresentazione della guerra per quel che è nei fatti, ma senza il paracadute dato dal fatto che quel che stiamo vedendo succeda in qualche luogo esotico che l’americano medio non saprebbe posizionare sul mappamondo. No. Vediamo la guerra a New York, a Washington, nelle campagne della West Virginia… e sono immagini potentissime, rese ancora più forti da una fotografia, per quel che mi riguarda, strepitosa.

Piccolo paragrafetto degli [SPOILER].
Non ho particolarmente apprezzato la scelta del finale, con il sacrificio della Dunst un po’ troppo appeso in aria per avere l’impatto che avrebbe dovuto. Di fatto, come dicevo, non c’è particolare spazio per dare spessore ai personaggi durante il film e quindi quel gesto si contrappone unicamente ad una frase detta dalla stessa ad inizio film. Un “Non mi sacrificherò per te, quando sarà il momento” che non abbiamo modo di comprendere quanto sia in personaggio rispetto alla scelta effettivamente compiuta. Poi capisco sia utile per fare da contraltare all’evoluzione diametralmente opposta fatta dal personaggio della Spaeny nella medesima situazione, ma diciamo che senza la potenza delle immagini che ci hanno portato fino a lì mi avrebbe fatto girare abbastanza i coglioni, come chiusura.
[/SPOILER]

Di fatto Civil War è un altro film pesantuccio che però vale molto la pena vedere al cinema, a mio avviso. Per le immagini, per le scelte sonore, ma anche per dare un po’ di sacralità all’argomento, volendo. Attori tutti molto in parte e perfettamente credibili, cosa che aiuta a tenere su personaggi che non hanno altro su cui poggiare, buon ritmo e una durata consona al contenuto. Sono uscito dalla sala senza la sicurezza di poter dire che mi fosse piaciuto, ma a freddo direi che è davvero un bel film.
Adesso però ho bisogno di andare al cinema a vedere una mega cazzata, che tra questo e La Zona di Interesse ho fatto il pieno.
Due note di colore, a chiudere:
1) Il personaggio di Moura durante tutto il film mette solo 2 t-shirt. Essere me è passare una quantità di tempo illogica, durante la visione, cercando di capire se fossero magliette di gruppi musicali.
2) Nel film ci sono alcune scene in cui salta all’occhio la presenza di polvere/vernice colorata (tipo quella usata nella color run). Mi sembra messa in punti precisi, con uno scopo preciso, ma non ho minimamente idea di cosa volesse dire o rappresentare. Se qualcuno ha una spiegazione in merito, sono qui.


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NBA All-Star Game 2024

Quest’anno sto seguendo pochissimo l’NBA.
Credo dipenda tanto dall’aver mollato Dunkest, che vuoi o non vuoi mi costringeva a provare a stare al passo con i record delle squadre, gli stati di forma dei giocatori e, soprattutto, le statistiche individuali. Senza quella leva e senza più tanta voglia di guardare le partite di regular season, il mio è il voto dell’utente disinformato, che segue quelle due o tre pagine di basket sui social e si fa un’idea in merito ai post che legge, agli highlight delle giocate e ad una base di simpatia e preconcetto che da sempre pesa sulle mie scelte.
Fatta questa dovuta precisazione, ecco le mie selezioni per l’All-Star Game 2024.

Quest’anno, come intuibile, la spiega sarà più facile del previsto.
WEST:
Ho votato in blocco tutto il quintetto di OKC, compreso quello che va con le ragazzine, perchè tifo durissimo per loro. Sono giovanissimi, cazzutissimi e con dei margini di miglioramento e crescita spaventosi. E poi hanno Shai, che è un giocatore meraviglioso e quasi unico nel panorama dell’NBA attuale. Ultra curioso di vederli quando la palla inizia a farsi pesante, ma per il momento sono la cosa che mi piace di più dell’NBA e quindi ce li porto tutti. Tra i rimpianti per questa scelta su tutti forse Fox è il più grosso, anche più di Edwards.
EAST:
Qui la situazione è più complessa perchè mi tocca fare delle scelte e, soprattutto, giustificare delle esclusioni. I Celtics mi stanno sulle palle, tutti, tranne Porzingis e White. Visto che era lecito pensare che Porzingis fosse ormai un ex giocatore, porto volentieri lui. Inoltre, non esiste che io possa votare quello del “Non esiste fallimento nello sport”. Quindi come si va avanti? Non potendo andare con 4 guardie più Porzingis, che sarebbe stata la mia scelta ideale, ho dovuto pescare qualche ala che prendesse il posto della guardia che avrei scelto. Con Phila è stato facile, perchè Embiid merita un posto e quindi portare lui al posto di Maxey ci sta. Con NY è più complesso lasciare giù Brunson per Randle, ma neanche così scandaloso. A questo punto le tre pedine del froncourt le ho, quindi devo solo scegliere una guardia da affiancare ad Haliburton, che per la precisione secondo me quest’anno dovrebbe andarci senza neanche far votare le persone, con un posto assegnato di diritto. E allora via di doppio playmaker e butto dentro LaMelo, un po’ per la quota Hornets e un po’ per la solita questione di portare al circo il principe dei giocolieri.


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Chi perde, spiega

E quindi eccoci qui.
Durante la semifinale di andata sono stato coinvolto in un meeting aziendale, quindi l’ho vissuta un po’ come Fantozzi quando, nei primi dieci minuti di partita, arrivavano via whatsapp notizie incredibili di doppio vantaggio nerazzurro e infortunio di Bennacer. Solo che, purtroppo, era tutto vero. 
Ieri è stato pure peggio, perchè mi è toccato seguirla. Ho dovuto sedermi davanti alla tv per constatare al minuto 3 di avere più voglia io di chi stava in campo. E non è questione di crederci, perchè non c’era nessuna ragione per crederci. E’ più quell’orgoglio misto disperazione che dovrebbe portare a giocare una partita come quella di ieri con il sangue agli occhi. Una di quelle partite in cui la frustrazione ad una certa affiora e così, quando finisce in rissa, da casa devi soffocare l’istinto becero che ti porta a sperare di menare un avversario che non sei riuscito a battere.
Se ieri fosse finita in rissa invece, onestamente, le sberle avrei voluto che i nostri le prendessero, più che darle.
Siamo scesi in campo con l’atteggiamento di chi punta prima di tutto a limitare i danni, a non prendere imbarcate, con l’unico obbiettivo di poter andare in conferenza stampa alla fine e sproloquiare di testa alta. Solo che non esiste limitare i danni in un derby semifinale di Champions League. Esiste vincere o perdere. Sarebbe potuta finire 0-0 come 3-0 e oggi i discorsi da fare sarebbero stati gli stessi, perchè l’inter ci è stata superiore in tutto e torniamo a casa senza nemmeno la possibilità di rimuginare sulla sfiga o l’arbitraggio. Solo con l’immagine del giro palla finale e i loro olè di merda nelle orecchie. 
Una bruttissima pagina di Milan con cui dovremo convivere.

L’idea adesso è provare a capire come ci siamo arrivati, mentre ci lecchiamo ferite su cui, simultaneamente, stiamo gettando del sale.
Ho passato un anno a sentire minchiate relative ad uno scudetto “fortunato” o “regalato” relativamente ad una stagione dove, senza dietrologia o complottismi, il Milan ha chiuso con meno punti di quanti avrebbe dovuto avere a differenza di chi inseguiva. Il Milan ha vinto MERITATAMENTE lo scudetto.
Diverso sarebbe sostenere che il Milan 21-22 avesse la rosa più forte della serie A. Non è così. Avevamo una rosa compatta, ma cortissima, che uscendo da tutte le competizioni praticamente subito ha potuto focalizzarsi sul campionato e tenere botta in una stagione dove le avversarie, ognuna a suo modo, avevano lasciato spazio e punti per strada. Cosa che quest’anno il Napoli invece non ha fatto. Ad ogni modo, ci siamo ritrovati a maggio con la rosa compatta e vincente e un pezzo importante, ma non così fondamentale come piace raccontare, in uscita. 
Non ero nella stanza dei bottoni, ma secondo me il ragionamento societario è stato questo: “Lo scudetto non cambia la priorità, che è continuare a giocare la CL arrivando nei primi 4. Quel che si può fare, concretamente, è aggiungerci un cammino più lungo in coppa continuando a lavorare programmaticamente sul futuro.”
In quest’ottica, il tanto vituperato mercato estivo io tendo quasi a salvarlo. Perchè per quell’obbiettivo, ragionevolmente, allungare la panchina con dei rincalzi e investire su un giovane di prospettiva per il ruolo più scoperto negli 11 titolari (quello di Kessie/Krunic) era un’idea valida. Ovviamente qualcosa di diverso andava fatto, non sono qui a nascondermi. Oltre a tante giovani scommesse qualche giocatore sicuramente pronto andava inserito, se l’obbiettivo era portare a casa qualche partita di campionato in più con le seconde linee senza accendere ceri alla madonna, ma di massima hanno preso un vice Giroud (Origi), hanno rimpolpato il centrocampo con Adli, Pobega e Vranckx e puntellato in difesa con Thiaw e Dest in aggiunta al rientro a regime di Kjaer. E poi sono andati all-in per l’unico che sarebbe dovuto diventare titolare: Charles De Ketelaere.
Cosa è successo, allora?
Non è facile dirlo, però quello che è arrivato a me che le guardavo dal divano è che nessuno di questi nomi si sia rivelato in grado di giocare a pallone in Serie A, restituendoci a questo punto una rosa ancora più corta di quella dell’anno prima, costretta ad affrontare tutti gli impegni di una stagione lunghissima e con la grande variabile del Mondiale in mezzo. E’ successo che per il secondo anno di fila il tuo portiere si è fatto male senza che tu avessi provveduto ad un rimpiazzo presentabile (sfiga) e che due dei tuoi giocatori chiave, dopo essere stati spremuti da te, si sono anche dovuti sparare un cammino mondiale impegnativissimo conclusosi con la botta psicologica della finale persa. A fine Dicembre tutto questo era evidente e sotto gli occhi di tutti ed è qui che c’è stato il vero, gigantesco errore: non fare nulla. Per tutto Gennaio, col mercato aperto e la squadra che prendeva 3 gol nei primi 20′ contro letteralmente chiunque, la società non ha mosso un dito per tentare di aggiustare una situazione che, se anche figlia di decisioni giustificabili e ponderate, di fatto urlava per la necessità di interventi.
Lì è andato tutto, come si suol dire, affanculo.
Corti, stanchi e (si vocifera) non più compatti come l’anno precedente: quella che anche sulla carta sarebbe stata una salita è diventata una parete da arrampicata. Col senno del Poi sembra facile dirlo, ma se una tra il Tottenham in crisi ed il Napoli sbruffone avesse fatto il favore di eliminarci, oggi saremmo probabilmente messi meglio in campionato e parleremmo di questa stagione con toni decisamente diversi. Non è andata così, ma non è detto sia necessariamente un male.

Quindi, adesso, che si fa?
Questo terzo paragrafo ci porta obbligatoriamente ad interrogarci sul futuro e, secondo me, il vero nodo da chiarire è quello relativo all’allenatore. Io vorrò sempre bene a Stefano Pioli e resto convinto che nessun coach al mondo, nessuno, con questo Milan avrebbe fatto meglio di quel che Pioli ha fatto tra il 2020 e il 2022. Fino a prima di questo derby tremendo la mia posizione quindi era che, senza i dovuti investimenti sulla rosa, nessun allenatore sarebbe potuto arrivare a portare un valore aggiunto. Oggi la penso diversamente. La mia sensazione è che un cambio in panchina sia necessario perchè qualcosa, nello spogliatoio, si è rotto e di solito queste rotture non si possono aggiustare. Chi arriva ha il compito di (ri)portarci a vincere con Cremonese e Spezia e cementare la nostra presenza di diritto tra le prime quattro teste di serie del campionato italiano. La stessa condizione del 2022, ma senza la forza di essere Campioni e senza la stabilità di un gruppo vincente.
Evitando di entrare nei meandri dei discorsi economici e di bilancio che mi danno il voltastomaco e di cui parlano ormai tutti i tifosi, la scelta di cambiare allenatore porta con se un bivio:
1) Prendere un allenatore “più forte” e alzare l’asticella delle ambizioni.
2) Prendere un allenatore “scommessa” e, implicitamente, ridimensionarci.
Contro intuitivamente partiamo dall’opzione 2. Forse è il mio essere tifoso a farmela sembrare meno percorribile di quanto sia in realtà, ma non ci credo. Certo, permetterebbe di continuare senza stravolgere la rosa o investire massivamente e oggi, con il quarto posto a fortissimo rischio, sono variabili non di poco conto. Un nuovo allenatore con aspettative modeste potrebbe magari recuperare qualcuno dei cento ragazzini smarriti di Milanello e, col supporto della dirigenza, traghettarci ad una stagione 24/25 più profondi e competitivi di oggi. Il rischio di fallimento però è davvero altissimo e non credo il Milan abbia un altro anno bonus per riprovarci. 
L’opzione 1 è certamente suggestiva, ma porta con sé una certa mole di implicazioni poco probabili. Un allenatore di grido chiama investimenti, per lui e per la rosa. Potendo fare il fantamercato dei sogni ci sono tanti ruoli in cui il Milan ha bisogno di innesti, troppi per credere si possa davvero fare senza smantellare l’ossatura attuale, che vuol dire vendere qualche pezzo dei pochi che hanno un mercato. Uno su tutti: Leao. Io non sono per forza di cose contrario a cedere il portoghese, ora che il rinnovo ci porta a poter fissare noi la cifra, ma non ho garanzia alcuna questo produca automaticamente l’irrobustimento della rosa auspicato. Tocca avere fiducia in chi tira i fili, ma il passato recentissimo un po’ di scetticismo addosso me lo ha buttato.
Tocca navigare a vista in un futuro con più nebbia di quanto fosse legittimo aspettarsi 12 mesi fa.

Forza Milan.


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NBA All-Star Game 2023

Lo so, quest’anno arrivo quasi fuori tempo massimo, ma paradossalmente il problema è stato l’aver votato troppo in anticipo e non aver più avuto voglia e tempo di scrivere il post. Ora, però, rimedio.
Come sempre vi metto lo screen della votazione e poi spiego le scelte, premettendo che tutte le assenze importanti che vi sembra di vedere non sono legate ad infortuni o altro, è proprio spudoratissimo tifo contro.

Iniziamo dal quintetto di sinistra.
WEST
MA COME NON C’E’ DONCIC???!??!? No, non c’è. So di essere ormai scollinato nell’hating con lui, però per quel poco che seguo si è infilato nel ruolo del classico giocatore che mi infastidisce vedere in campo, al netto dell’indiscutibile supremazia tecnica che mostra in ogni partita. Non mi piace il suo gioco, non mi piace il suo atteggiamento e sono convinto che se non cambierà registro vincerà molto meno di quello che uno col suo talento dovrebbe e potrebbe portare a casa. Quindi niente voto, sorry. Al suo posto ci metto il mio giocatore preferito oggi, Morant, non solo perchè è fortissimo, ma anche perchè dovrebbe essere il primo nome che viene in mente a chiunque pensando al contesto da circo della partita delle stelle. Con lui, un giocatore draftato dagli Hornets, ma scambiato per uno che al momento è al gabbio per violenza domestica. Gilgeous-Alexander, uno dei giocatori che sta venendo fuori meglio in quel ruolo e che sarebbe bello vedere in un OKC più competitiva, per testare anche quel tipo di parametro. Ho idea che ci sarà modo, però, neanche troppo in là col tempo.
Passiamo ai lunghi, dove quest’anno ho deciso di sfoggiare un frontcourt total white. In ala piccola mettiamo Markkanen, giocatore che un po’ tutti (e io in primis) davano ormai per bruciato e che invece a Utah ha continuato a far vedere le meraviglie già messe in mostra all’europeo. Mezza stagione non basta, ma la speranza è che questo nuovo inizio lo porti a diventare una solida realtà. A fare il 4 metto Sabonis, altro giocatore che forse non ha i numeri (non in senso meramente statistico) per stare con quel ruolo e quello spazio in una contender propriamente detta, ma che sta rendendo i Kings una contender non propriamente detta e se questo non vale l’ASG allora non so cosa lo valga. Tra le ali onestamente fino a che ha giocato un posto se lo sarebbe meritato anche Davis, ma sono un po’ stufo di vederlo giocare si e no 30 partite all’anno. Che sia fortissimo non si discute, ma anche basta.
A fare il centro l’unica scelta possibile, il giocatore più forte della Regular Season nonché idolo a 360°, Nikola Jokic.

EST
Anche qui diciamo scelte abbastanza piccanti. Come visto ad ovest, ho una particolare simpatia per i candidati MIP quindi a fare il play ci metto Haliburton, altro giocatore che mi piace parecchio. Il contesto in cui naviga è quello che è, ma direi che il suo lo sta facendo più che egregiamente e penso che prima o poi anche lui avrà modo di giocare in situazioni meno avvilenti. Lo aspetteremo. A completare il backcourt non può che esserci Spida Mitchell, che al momento della mia scelta non aveva ancora piazzato la partita da 71 punti. Cleveland squadra simpatia ad est senza mezzi termini e lui sta facendo una stagione che, personalmente, non mi sarei aspettato per maturità e senso di responsabilità, non dopo com’era andata a Utah. Bravo Donovan.
Per le ali mi è stato impossibile escludere Tatum, nonostante io non abbia particolare simpatia verso Boston (eufemismo). Al momento per me è il giocatore con più fame e consapevolezza nel mazzo e ho idea che se tornerà a giocarsi le finals anche quest’anno, sarà una storia molto diversa. In posizione 4 vuoto pneumatico. Non avevo un candidato che mi piacesse e allora ho deciso di premiare Banchero che, da prima scelta semi-inaspettata, a Orlando sta quantomeno giustificando la pick in maniera robusta. Se riuscissimo anche a finirla con la pantomima della nazionale, sarebbe il top. 
Last, but not least, Joelone Embiid a fare il centro. Gli si può dire quel che si vuole, ma è onestamente fortissimo e il fatto che non abbia mai avuto una chance di giocarsela è meno responsabilità sua di quanto tanti dicano.

I mondiali di Calcio in Qatar

In questa settimana ho avuto (e ho tutt’ora) il COVID. Di conseguenza sono bloccato in casa, al confino da familiari e relazioni, e mi ritrovo con porzioni ampie di giornata senza nulla da fare.
Eppure non ho ancora visto un singolo secondo di questi Mondiali.
L’idea da qui in poi è ragionare sul perché, senza (spero) scadere in paternalismi o volermi dare pose da attivista di questo e quell’altro cazzo.

In primo luogo tocca dire che se l’Italia si fosse qualificata, io i mondiali li starei guardando eccome.
Non sono un tifoso sfegatato di calcio. Seguo il Milan volentieri, ma di massima non organizzo il weekend in base a quando c’è la partita. Mi capita di farlo giusto col derby o le sfide di cartello, ma perché quelle se riesco le guardo con qualche amico e diventa soprattutto una scusa per bere una roba insieme. Coinvolgimento moderato, diciamo, e soprattutto molto correlato ai risultati. Se il Milan compete mi piace star dietro alla corsa e tifare perché ce la faccia, se non compete chissenefrega.
Con la Nazionale però è molto diverso. La Nazionale la seguo sempre con tantissimo trasporto e le sue vittorie sono probabilmente le gioie calcistiche più grandi ed esplosive della mia vita. Niente come il mondiale 2006, neanche la Champions vinta contro Inter e Juve. Nel bene e nel male eh, quindi anche niente come la finale degli Europei 2000 persa al golden gol, per me. Neppure Isanbul.
Mio figlio stesso ha iniziato a “seguire il calcio” con gli Europei 2021, non credo sia un caso.
Questa passione viscerale per la Nazionale ce l’ho sempre avuta e credo nasca dal fatto che fin da piccolo ho visto gente (fortunatamente fuori casa) litigare per il pallone, trovandolo stupido. Di conseguenza, per me era bello che la Nazionale ci mettesse tutti dalla stessa parte, a bestemmiare e/o gioire compatti.
Devo però anche dire che la cosa si è radicalizzata con l’esperienza di vita all’estero, in Germania (non un estero qualsiasi, calcisticamente parlando), e i successivi anni spesi a lavorare a stretto contatto con stranieri. Leggo sempre in giro che gli stereotipi sulle nazionalità siano falsi miti da superare, spesso dentro una retorica da “siamo tutti uguali” che ha certamente un fine positivo, ma che per me è indigeribile.
Non lo siamo.
Che i francesi siano arroganti o che i tedeschi siano rigidi non è falso. Sono estremizzazioni (forse) di differenze culturali reali e tangibili. Diventano un problema solo se pensiamo 1) di non avere difetti a nostra volta e 2) di essere gli unici legittimati ad avercela coi difetti altrui. Senza allargare ulteriormente il tiro di ‘sto post già abbastanza a maglie larghe, lo sport Nazionale, che sia il calcio o le Olimpiadi, per me è una bella valvola di sfogo per convogliare un certo senso di rivalsa e orgoglio Nazionale.
Che vivo e sento perché, ci crediate o meno, negli ambienti sociali ad alta istruzione (quindi elitari) che frequento io, essere italiani porta con sé un pregiudizio di inferiorità che tocca smantellare e che, purtroppo, lascia delle scorie che depurare col tifo è il meglio che possiamo chiedere.
Tutto questo per dire che con l’Italia io il mondiale lo avrei seguito e, quindi, che non ha molto senso parlare di boicottaggio quando non si partecipa a qualcosa che non ci interessa, senza una vera rinuncia di principio dietro.
Certo, potrei comunque guardare le altre partite, ma credo si evinca per me il calcio non sia uno sport particolarmente godibile senza la componente emotiva. Posso apprezzare una bella partita anche se non gioca una squadra che mi interessa, ovviamente, ma per il mio concetto di “bella partita” direi che si tratta di casi molto sporadici.
Però.

Però è indubbio che questo mondiale in Qatar porti alla luce il peggio di tutto quello che ruota attorno al calcio, che poi è quello che ruota attorno anche a tutto il resto: i soldi.
In una società guidata dai soldi, in ogni ambito, ci capita di avere queste epifanie in cui realizziamo che il principio non collima con i valori dello sport. Oppure, che se le istituzioni a cui guardiamo e da cui ci facciamo rappresentare non mettono dei paletti, ci sarà sempre qualcuno pronto a portare la legge dei soldi oltre i nostri limiti etici e morali, senza che noi ci si possa fare poi molto se non pretendere di più dalle istituzioni di cui sopra.
Andando al punto (finalmente, se dio vuole) in Qatar ci sono due aspetti.
Uno è quello relativo alla parte gestionale, la costruzione degli stadi tramite schiavitù (perché quello è) con annessa caterva di morti che si è portata appresso. Questa è una cosa che la FIFA aveva il dovere di osteggiare, in sede organizzativa, chiedendo garanzie diverse e mettendo vincoli. Vigilando. Possiamo dirci: “Eh, a nessuno è fregato nulla fino a ieri!”, ma non è che tutti abbiano il dovere di avere sul radar la questione. Quel dovere ce l’aveva la FIFA e non ha fatto niente.
Il secondo aspetto è quello dei diritti umani e civili, legato alla situazione politica e religiosa del Qatar.
Secondo me portare un evento mondiale in un Paese con quel tipo di gestione è positivo, perché solo mettendoli più in contatto con il resto del mondo potranno vedere cosa c’è fuori, fare dei bilanci, ed eventualmente prendere coscienza dei problemi che hanno.
L’inclusione è sempre l’unica via, perché spinge al confronto e dal confronto si impara tutti (a lungo andare).
Quindi, se lo chiedete a me, chi davvero ha a cuore mettere sul radar dell’opinione pubblica i problemi che derivano da un governo che non rispetta diritti umani e civili e ha la possibilità di prendere parte a questo carrozzone dovrebbe farlo e trovare il modo di mandare un segnale. Quale che sia. Perchè quel segnale arriverà anche a chi il problema lo ignora o non lo vede. Tirandosi fuori invece il messaggio lo si manda a chi è già consapevole ed è una cosa che ho sempre l’impressione si faccia più per se stessi che per la causa.
Aggiungo però che chi ci va, ai miei occhi, ha il dovere di porsi in merito alla questione e se decide di non farlo sta assumendo comunque una posizione politica chiara, legittima e, proprio per questo, ingiustificabile.
In tal senso chiudo citando l’editoriale di apertura di Rai Sport.

Al netto del testo, sicuramente perfettibile, mi è sembrata la posizione giusta da tenere da parte del Servizio Pubblico, che ha il dovere di esserci e di raccontare un evento di questo tipo, ma senza nascondersi e, anzi, mettendo i problemi sul radar di chi questo mondiale lo sta seguendo nonostante tutto. Un audience probabilmente meno incline a riflettere sul peso di certe problematiche e che quindi dovrebbe essere la prima a cui puntare se si ritiene che, invece, queste problematiche debbano essere nella testa di tutti.
Attivismo, secondo me, vuol dire questo.


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Ball don’t lie

Un sacco di papà cercano di infondere ai figli la propria fede calcistica, ci tengono proprio, invece a me non è mai interessato.
Giorgio ha due nonni gobbissimi e uno zio interista sfegatato, che su quel versante hanno lavorato molto più di me per sette anni. Ho sempre lasciato correre, un po’ perchè pensavo che non fosse questione di prima importanza, un po’ perchè, a voler essere onesti, in questi anni non pensavo sarebbe stato fargli poi questo gran favore, crescerlo milanista.
Ho smesso di essere un tifoso vero da ben prima che il Milan smettesse di vincere e credo sia pesato tanto veder andar via Sheva e Kakà. Se sei cresciuto negli anni del Presidente Berlusconi è un cambiamento radicale diventare la squadra che non può tenere i propri eroi. C’è chi pensa che i giocatori vanno ed il Milan resta, ma io sono sempre stato tra quelli che accende la TV più per guardare i giocatori che per guardare la sua squadra. Perchè, di massima, il calcio da guardare è uno sport orrendo, se gli togli il tifo o l’aspettativa per “la giocata”.
Giorgio però negli anni cresceva e voleva sapere come mai fossi milanista e non juventino, ad esempio, visto che “la Juve vince e ha Ronaldo”. Così ho cercato di spiegarglielo, di dirgli che vincere non è l’unica cosa che conta e lui ha iniziato a dire di essere anche un po’ milanista, per farmi contento. 
E’ grazie a mio figlio se ho ripreso a seguire il Milan con assiduità, a guardare le partite, a tifare.
Mio figlio, che ieri mattina dai nonni ha disegnato “Giroud che fa gol”, che ieri sera a cena ha chiamato l’applauso per Theo durante la passerella, ma che non ha voluto vedere la partita con me per “lasciarmi tranquillo”, è il motivo per cui questo scudetto è uno dei più belli.
Me lo ha regalato lui, di fatto.

Il video qui sopra l’hanno fatto quelli di ComunqueMilan, una pagina che in questi anni di disaffezione è stata il mio principale (spesso unico) contatto con i rossoneri. Anche quando non guardavo le partite, leggevo loro e credo il video qui sopra spieghi cos’abbiano di speciale.
Nell’ultimo anno poi non nego di aver avuto addirittura il guilty pleasure del canale youtube di Suma. Una narrazione da istituto luce capace però di riportarmi all’ovile della tifoseria, che non deve essere imparziale nè onesta, basa solo esserne consapevoli. Suma mi ha messo sul carro e mi ci ha tenuto su, devo ringraziare anche lui per questo godimento.
E poi ci sono gli interisti, di tutte le specie.
Da quelli beceri per cui si gode sinceramente nel vederli schiumare, a quelli a cui si vuole tutto sommato bene e con cui è divertente prendersi per il culo. Sempre, ma soprattutto oggi.
E’ a loro che dedico il titolo di questo post.
<3

NBA All-Star Game 2022

Questo 2022 non è che sia iniziato benissimo.
Un po’ forse non sto apprezzando abbastanza che la terribile infezione intestinale che mi ha portato in ospedale sabato scorso e che mi costringe a letto fatto di antidolorifici ancora tre giorni dopo non sia COVID, un po’ credo sia per la difficoltà oggettiva nello scegliere i 10 candidati da mandare all’Allstar Game NBA in questo 2022.*
Votare è un casino quest’anno.
Forzare la scelta a 2 guardie e 3 ali già è discutibile, ma funziona se poi non metti un sacco di ali piccole come guardie. Il punto chiave però è che simpatia e antipatia vincolano molto le mie scelte e bisogna farle quadrare dentro il quadro generale restituito dalle statistiche dei singoli e dal rendimento delle franchigie, in una specie di equilibrio molto precario. 
La selezione forse bizzarra e forse no della foto qui sotto nasce da tutto questo. Oltre l’immagine parte la spiega.

WEST
Iniziamo con le scuse a Chris Paul. Mi spiace Chris. Fino a che calcherai il parquet sarai sempre il mio MVP, quindi perdonami se non finisci nella selezione. Toccava fare spazio. Come avrei potuto fare a non votare Curry, per esempio? GS si gioca il miglior record a ovest (ok, contro di te, hai ragione) con un roster partito a dir poco zoppo e ha appena infranto il record di triple ogni epoca. Impossibile non votarlo. Di fianco ci mettiamo Morant perchè, te lo dico, sarà colui che viene dopo di te, possibilmente vincendo qualcosina in più. Memphis è quarta a ovest con un record solido e Ja sta giocando ad un livello pazzesco, oltre ad essere una specie di effetto speciale in carne ed ossa. Scusa Chris, ma non ho altri posti.
Se mi ero ripromesso una cosa quest’anno era di non chiamare LeBron tra i lunghi, ma come si fa? Ok che i lakers stanno giocando malissimo e sono stati costruiti malissimo (da lui), ma se non hanno ancora buttato all’aria la stagione è solo perchè LBJ si è messo a giocare da 5 facendo numeri che, per me, sono inspiegabili. Quindi niente, tocca tenerlo dentro. Poi portiamo Jokic, mancherebbe altro, e Ayton per quel fatto che i Suns sono primi ad Ovest e il poveraccio, dopo aver contribuito largamente a portarli in finale lo scorso anno, si sia visto rifiutare un contratto che forse non era esattamente al suo livello attuale, ma che vista la combo di risultati ed età tutto sommato avrebbe anche meritato di firmare.
E’ stato difficile? Sì, ma più semplice che scegliere per quelli ad est.

EST
Lo so, manca LaMelo, che è assurdo in assoluto, ma che diventa tipo escludere Ronaldinho da una partita di beneficienza dove da fermi e senza difesa la sua fantasia diventa un fattore di spettacolo unico: una bestemmia, in pratica. Avessi potuto mettere DeRozan ala piccola lo avrei portato di sicuro, ma non si può. E non si può neanche lasciare a casa questo DeRozan, direi, capitano coraggioso di questi Bulls per cui è difficile non fare il tifo. Avrei potuto portare Ball al posto di Vanvleet, certo, ma qualcuno avrebbe dovuto spiegarmi cosa ci fanno i Raptors in corsa playoff con un roster da dopolavoro o poco più. Manco mi piace Vanvleet, causa Dunkest mi sta pure un po’ sul cazzo, ma oh, i fatti lo cosano (cit.).
Reparto lunghi quindi lo apriamo con Miles “Mille Cuori di Manq” Bridges, il giocatore degli Hornets che mi sta più simpatico in assoluto. La stagione sta andando altalenante, come da aspettative, e onestamente a questo punto mi aspettavo di essere messo un filo meglio come record ad est, soprattutto alla luce del fatto che non abbiamo avuto troppe defezioni, ma tocca sempre ricordarsi che 3/5 del quintetto titolare sono Rozier, Oubre e Plumlee. Però dai, Bridges ha fatto un salto di qualità pazzesco, se non si merita il MIP, si merita questa chiamata. Insieme a Miles chiamo Allen dei cavs. Magari avessimo noi un Allen, invece di Plumlee, forse faremmo noi la stagione super sorprendente che sta facendo Cleveland. Fine, no? Manca qualcuno?
Ah sì. Porto anche Durant. Ti odio KD, sei il giocatore che mi sta più sul cazzo di tutta la lega e spero tu non vinca mai più niente. Però oh, sei bravino.


* se queste due cose per voi non sono sufficienti per definire “non benissimo” questo inizio di 2022 vi faccio presente che è l’11 gennaio.

Non si dovrebbe toccare il fondo

Ultimamente sto facendo delle cose.
Viste da fuori sembrano le manovre di un Peter Pan wannabe che pensa di poter restare un ragazzino per sempre, uno di quelli che “l’importante è essere giovani dentro”. Nulla contro le categorie, sia quella di chi si comporta in quel modo, che quella che mi ritiene uno di loro, facessero e pensassero un po’ quello che gli pare.
La realtà dei fatti però è che io sono proprio dalla parte opposta della situazione, ho smesso di sentirmi sufficientemente giovane ben prima di smettere di esserlo e mi son… sentite VAFFANCULO.
Ci manca solo stare qui a dare giustificazioni non necessarie e manco richieste come un complessato qualsiasi.
Stiamo sui fatti.
Ho sempre avuto il desiderio di cimentarmi con le immersioni per due ragioni semplicissime. La prima è che il paesaggio sottomarino è meraviglioso ed affascinante, la seconda è che ho una paura pazzesca delle profondità e del mare aperto. Questa dualità ha fatto sì che prendermi il brevetto PADI Open Water Diver (quello per neofiti/principianti) sia stato per anni tra i desideri senza che abbia mai davvero fatto un passo in là nel tentativo di concretizzarlo.
Ci ha dovuto pensare mia moglie, che a Natale 2019 mi ha regalato l’iscrizione al corso.
Da allora sono successe un certo numero di situazioni che hanno rallentato il processo (non so se ne abbiate sentito parlare), ma alla fine sono riuscito a chiudere il tutto e prendermi questo benedetto brevetto.
A prescindere da quanto e se lo userò in futuro (spero proprio di sì), sono piuttosto felice di avercela fatta ed aver sconfitto una delle mie settemila paure irrazionali.
E basta, non c’è proprio niente altro da dire.

Il mio MVP

Questo post non vuole togliere nulla alla grandissima prestazione di Giannis e dei Bucks, il loro è un titolo ultra meritato coronato da una prestazione dominante del greco.
Niente da dire, bravi.
Per una stagione però io ho visto il mio giocatore preferito di sempre inserirsi per l’ennesima volta nel contesto in cui lo hanno messo, senza un piagnisteo. L’ho visto prendere un gruppo promettente e farne una squadra vera, portandola fino a 2 vittorie dall’anello che insegue da tutta la carriera. L’ho visto giocare un basket pazzesco contro la sua età e contro il suo fisico.
Purtroppo l’ho anche visto perdere.
Qualcuno dice che il gruppo è giovane e che possono riprovarci il prossimo anno, ma secondo me quello appena perso è un treno che passa una volta sola. 
Ci sono tantissimi se nella carriera di Chris Paul, ma credo ce ne siano altrettanti nelle carriere degli altri e trovo quasi offensivo nei suoi confronti fermarsi lì. Il fatto che non sia il titolo a definire un campione spesso è retorica da perdenti, ma per quel che vale per me sarebbe stato impossibile amarlo più di quanto lo ami già, anche avesse vinto l’anello.
Solo cuori per te, Chris.
Ricordo le nottate della primavera 2008. Vivevo da solo da pochi mesi e passavo le notti sveglio a cercare siti pirata per vederti giocare quei playoff senza senso, quelli in cui hai portato i maledetti Spurs a gara 7. Da allora, ogni volta che stai sul parquet, per me è la stessa cosa e nella testa c’è un solo grido: “MVP! MVP!”