It’s hard to say
Eccomi qui in laboratorio, appena rientrato da Malpensa.
Tra un paio d’ore i miei amici si imbarcheranno su un Boeing 767 con destinazione Los Angeles per compiere uno di quei viaggi che si ricordano per tutta la vita.
Il ruolo di spettatore in tutto questo mi va abbastanza stretto.
E’ come aver perso una di quelle occasioni che, nella vita, non bisogna assolutamente lasciarsi scappare.
Probabilmente avrò nuovamente occasione visitare quei posti, ma non sarà a 25 anni e con gli amici di sempre.
Sarà un’altra cosa.
Non migliore, non peggiore.
Diversa.
Poco importa se tutto questo sia dovuto solamente ad una serie abbastanza lunga di tristi coincidenze, in primis la scelta dei miei soci di fare il viaggio super proprio nell’unico (spero) anno in cui partire non mi è possibile e poco importa anche l’essere consci di quanto sia inutile stare a piangere sul latte versato.
In questo momento fa un po’ male.
Forse anche per questo ho aderito all’idea folle della veglia continuata fino alla loro partenza ed ho poi scelto di accompagnarli in aereoporto, solo per sentirmi un po’ meno “outsider”.
Faccio abbastanza cagare.
Leggere a video quanto so essere stupidamente emotivo rende il tutto ancora più reale, come mi impedisse di mandare giù con indifferenza questo boccone decisamente amaro.
Quello che realmente mi preme fare adesso è augurare ai quattro una bellissima vacanza e ringraziarli per aver provato a tirarmi in mezzo sempre e comunque, facendo di questo mio senso di non appartenenza una tara personale.
Resta solo una cosa da dire: Anubi.