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Concerti

Modern Baseball

Non lo so bene quando è cominciata.
E’ una roba successa negli ultimi vent’anni, lentamente ed inesorabilmente, e ora sono al punto in cui quando mi metto a pensare ai concerti l’associazione mentale è lo sbattimento. La dichiarazione ufficiale ad uso stampa solitamente è un mischiotto di parole tipo famiglia, impegni e vecchiaia, ma come ogni dichiarazione ufficiale basterebbe una minima di fact checking per trovare crepe nel ragionamento.
E’ il 2011, vivo al quarto piano di un palazzo in centro a Colonia. Una sera suonano i Get Up Kids nel locale quattro piani sotto casa mia. Torno dal lavoro e vedo la coda fuori dal posto. Fa freddo. Salgo in casa pensando che al massimo posso scendere più tardi. Entro, tolgo la giacca, forse faccio la doccia e sicuramente mangio qualcosa. Guardo fuori: il buio, il freddo. Guardo l’orologio, mancano tipo due ore all’inizio del concerto. La Polly mi propone di guardare un episodio di qualche serie TV. Mi siedo sul divano, forse sul letto. Mollo il colpo.
Per lo stesso gruppo due anni prima avevo guidato 400 km.
Non dico sia per tutti così, ma per me lo è. Leggo di un concerto interessante in zona e penso immediatamente al doverci andare da solo, al parcheggio, agli orari*. Quando proprio voglio esagerare ci metto anche il carico della disponibilità biglietti, con conseguente idiosincrasia per la prevendita e Ticket One. Questa palude di fastidi in cui mi impantano ha col tempo minato qualsiasi euforia associabile al discorso concerti, riducendoli ad eventi che scrivo in agenda nella remota possibilità in cui, quando il fatidico giorno arriva, io sia nel mood di farmi, appunto, lo sbattimento.

Ieri sera sono andato a vedere i Modern Baseball ed è stato così:

Una cazzo di festa.
Che poi non è nulla più di ciò che dovrebbe essere un concerto: gente che sta insieme e si diverte insieme. Facile, semplice e bellissimo, come tutte le cose facili e semplici. E no, per una volta non era pronosticabile perchè le pessime premesse ‘sto giro non riguardavano solo me e il mio atteggiamento da orso, ma anche (anzi, soprattutto) la band.
Il 25 gennaio Brendan (il tizio che canta nel video qui sopra) scrive sulla pagina del gruppo:

I have some unexpected news. I will not be joining Modern Baseball on the upcoming Europe / UK tour. I am okay — but I need this time at home to focus on my mental and physical health. The band will continue on with the tour thanks to help from mega friends Thins Lips, Superweaks and all the MOBO crew. This was an incredibly hard decision for me, and it was even harder confronting myself and the band about how I am feeling. Still, I know this is what I need right now. I can never thank MOBO and our crew enough for taking on the roles they have to support me.
I love y’all very much.
Mental illness is very serious and should never be taken lightly. It’s a long journey to understanding and coping with your illness but I have so much faith in y’all, and myself. If you or a friend ever feels lonely, depressed, sad, confused, whatever here are some crisis hotlines you can call. Again, I love y’all very much — talk soon <3

Non proprio una cosina da ridere, insomma.
L’impatto principale di questa brutta storia sul tour è che un tizio del loro staff deve sopperire alla mancanza sul palco, suonando la chitarra. Si è imparato un po’ di pezzi, ma non tutti, quindi lo show viene diviso in tre atti: il primo, full band, in cui James canta i suoi pezzi, il secondo con James in acustico per le canzoni che il sostituto ancora non ha imparato a suonare, ed un terzo di nuovo full band per i pezzi di Brenden. Che però non c’è.
La decisione della band è di far cantare al posto suo chiunque ne abbia voglia, tra gente del pubblico e ragazzi dei gruppi che girano con loro in tour**. Siccome è una festa, oltre al karaoke sul palco iniziano anche a passarsi gli strumenti e ogni pezzo alla fine viene suonato da persone diverse. E’ una cosa bella.
Non nuova, al più inconsueta ai concerti a cui vado io ultimamente, non strana.
Bella.
Di solito sono i gruppi con cui siamo cresciuti a riportarci indietro. Vai a vedere gente di quaranta e passa anni che suona roba da dischi che potrebbero fare la patente e bere negli Stati Uniti e grossomodo firmi una sorta di tregua col tempo che passa per quei sessanta minuti di show. Tu fai finta di non vedere capelli bianchi della band, la band fa finta di non averli e ci si crogiola tutti insieme in quella sorta di bolla, al più ripensando a quanto era bello.
E’ difficile avere questo tipo di feeling quando a suonare è gente schifosamente giovane tipo i Modern Baseball.
C’è uno rospo gigante da buttare giù nell’accettare che il tuo passato sia il loro presente, che non stiano suonando per ricordarti e ricordarsi quanto fosse figo il 1998, ma per celebrare quanto sia figo il 2017.
Cristo, è una roba che a scriverla qui sopra mi fa l’effetto delle coltellate.
A fine concerto sono andato al banchetto e gli ho comprato una maglietta. Avrei potuto prendere i dischi, pagandoli tipo 1/3 di quanto li pagherò oggi su Amazon, ma avevo in tasca giusto 20 euro e la maglietta per me è la cartina tornasole di quanto un concerto è figo.
Tempo fa mi chiedevo da quanto non mi finisse in mano una band “nuova” capace di spaccarmi il cuore con un disco. Non ricordo quale sia stata l’ultima, certamente non i Modern Baseball.
Di loro mi sono innamorato giusto ieri sera vedendoli suonare di fronte a cento persone in condizioni molto precarie.

* La pagina Facebook dell’evento di ieri indicava l’inizio alle ore 22:00 (EDIT: la pagina facebook ovviamente era una pagina sbagliata, ma a mia discolpa è la prima che esce se si usa il search di facebook. Ticket One riportava comunque 22:00 come inizio.). Io sono arrivato alle 22:03 e mi son sentito il primo pezzo del set dalla biglietteria. Errore mio, ma forse sarebbe ora di allinearsi ad una politica e mantenere quella per tutti gli eventi. Invece è impossibile sapere prima se arrivando giusti si rischi di aspettare ore o di perdere l’inizio del concerto. Non c’è una logica e questa gigante rottura di cazzo non aiuta ad invertire la tendenza di cui scrivo ad inizio post. Manco per il cazzo, direi. A voler scegliere, comunque, firmerei per concerti come quello di ieri che finiscono alle 23:00. Basta saperlo prima.

** non ho avuto il piacere di sentirli, perchè a quanto pare l’ora di inizio evento ieri indicava l’ora di inizio del set della band principale, con buona pace del supporting cast che si è trovato sul palco prima dell’inizio effettivo del concerto. Magari mi sarebbero piaciuti. Chi può saperlo?

Io non sono come Mendez

Entriamo nel locale sul presto.
Non si capisce mai quando i concerti inizino davvero nei locali milanesi. Ogni tanto arrivi che i gruppi stanno ancora facendo il check mentre altre volte entri che son già a metà set.
Per non rischiare, questa volta siamo arrivati presto. Sul palco c’è un tizio che non ho mai visto. Strimpella due note in croce col basso prima di dire al fonico che è ok e passare al setup del suo microfono. Un calvario. E’ troppo alto, troppo basso, c’è troppo eco, va alzato in spia, no meglio riabbassarlo, così fischia, togli l’eco, era meglio prima. Il fonico impazzisce a stargli appresso per almeno dieci/quindici minuti, ma alla fine il tutto sembra soddisfare il tizio sul palco, che da il suo ok e mette fine al check.
Il locale si riempie, io e i miei amici ci beviamo una birretta e si fa l’ora dell’inizio del concerto.
Il gruppo sale sul palco ed il tizio del check imbraccia di nuovo il basso. Attaccano il primo pezzo e quello che si rivela essere il bassista tira immediatamente il microfono, con tutta l’asta, sul pubblico. Glielo recupererà a fatica uno dello staff, ma per tutta la restante parte del concerto il tipo lo userà solo ed esclusivamente tra un pezzo e l’altro per insultare i presenti.
Il locale è il Rainbow club di Milano, il gruppo sono i Derozer e il bassista in questione si chiama Mendez. L’anno è probabilmente il 1998 o giù di lì.
Via all’RVM.

Venerdì sera al Live di Trezzo son tornati i Derozer per la prima data di un nuovo reunion tour. Ci sono andato. Mendez invece è stato a casa sua perchè a questa reunion non ha intenzione di partecipare, almeno stando a quello che ha scritto sulla sua pagina facebook:

Ciao a tutti,
in questi giorni mi hanno contattato molte persone per avere notizie sul ritorno dei Derozer.
Ci tengo a precisare che per quanto mi riguarda NON PARTECIPERO’ a questo “Reunion Tour”.
Il gruppo non esiste più già da molto tempo e purtroppo non ho voglia di condividere NULLA con personaggi con cui non ho più NIENTE in comune.
Buona fortuna!!!

Il comunicato è nello stile del personaggio, quindi la situazione potrebbe essere molto meno compromessa di come viene fuori, ma non necessariamente. A sostituirlo l’altra sera c’era Paletta, per il resto del tour ci penserà il bassista dei Duracel. Seby a fine concerto ha comunicato che Mendez non ci sarà per sua scelta, che nessuno lo ha cacciato e che se vorrà potrà tornare quando e come vuole perchè loro “hanno ritirato la maglia come ha fatto il Milan con Baresi”. Il comunicato citato qui sopra però non mi pare altrettanto possibilista.
La domanda ora é: come sono i Derozer senza Mendez?
Boh.
Come ho già detto altre volte, per me ci sono canzoni che ha sempre e comunque senso andare a sentire dal vivo e almeno un paio di queste sono dei Derozer. Cantarle a un metro dal palco col dito alzato vale il rientrare alle due e mezza consci di doversi alzare alle sette, vale lo stare circondato di ragazzini puzzolenti a torso nudo, vale farsi schiacciare i piedi e farsi piantare i gomiti nel costato a quasi 35 anni, vale bere una birra di merda e vale pure sorbirsi playlist di sottofondo con gli Ska-p. Vale grossomodo tutto e quindi, io, mi sono divertito. E’ però innegabile che non sentire nessuno gridare alla folla “Diskotecari di merda” o “Astemi” ad ogni pausa, in costante rissa verbale col pubblico di fronte, lima e non di poco la portata della cosa. Un concerto dei Derozer senza Mendez quindi è davvero un’altra roba, al netto dei pezzi. La sua è stata una presenza iconica per cui fatico a trovare un corrispettivo in termini di impatto sul pubblico / peso specifico nel suono del gruppo. Non c’è nulla di diverso in come suonano, ma li vai a vedere e sono un’altra band.
Cosa si sia incrinato (se si è incrinato davvero qualcosa) non è dato saperlo e conta il giusto. Uno come me, che ha sempre cantato convinto “Alla nostra età” senza averci mai avuto troppo a che fare, prima anagraficamente e poi concettualmente, fatica un po’ a comprendere un certo tipo di coerenza, quella che fa dire “basta” o “no” ad operazioni della risma di questo secondo reunion tour. Di mio quando sento Seby dire: “Avevamo voglia di andare in giro a suonare questi pezzi e ci sembrava giusto farlo, senza obbligare nessuno e senza farci condizionare da nessuno”, boh, lo capisco. E si trattasse solo di alzare qualche euro lo capirei lo stesso anche se, non so perché, credo nel caso specifico questo possa essere magari uno dei fattori, ma non quello portante.
Di conseguenza si va avanti, ognuno con la propria strada. La prossima volta che suoneranno in zona probabilmente andrò meno volentieri di Venerdì scorso, o forse passeranno ancora quattro anni e avrà comunque senso presenziare per sentire quel paio di pezzi che avranno sempre il potere di trascinarmi fuori casa o farmi pentire di non averlo fatto.
Già che ci sono uno di questi lo butto qui sotto, perché parla tutto quello che ho provato a scrivere io in questo post, ma lo fa meglio di quanto abbia fatto io.

Il non ventennale di un non disco.

La prima volta che ho visto suonare le GAMBEdiBURRO dev’essere stata nel 1998. Ho delle immagini in testa di quella sera: un oratorio, delle bancarelle, delle finestre, un seminterrato, mio padre che mi ci porta e io che scendo dalla macchina vestito come un coglione. No, davvero, ci ripenso oggi e sento crescere dentro un imbarazzo che associo a pochissime altre situazioni. Doveva essere primavera, o autunno, perchè avevo addosso dei pantaloni corti che mia moglie oggi fatica ad accettare usi in casa come pigiama estivo, ma al contempo non doveva fare proprio caldo perchè ci avevo abbinato una giacchetta violacea comprata usata in un mercatino di Monza noto ai più come “le vecchie”. Dio mio.
Ricordo anche che Robi Burro aveva il cappellino e una maglietta a righe, che con me c’era Orifizio e che lui conosceva Raffaele. Hanno attaccato con “Irene” e io ho avuto immediatamente la sensazione fossero il gruppo più importante e imprescindibile di sempre.
Questi ricordi potrebbero non essere del tutto reali. Col tempo potrei aver fuso insieme immagini da situazioni diverse, riassemblato le mie memorie all’interno di un quadro che mi risulta coerente, ma che potrebbe non esserlo per niente. Forse non era nemmeno il 1998. Che rimasi folgorato invece è un fatto.

Il primo demo delle GAMBEdiBURRO è uscito in cassetta nel 1997. La mia copia in origine era di Gerry, un tipo di Monza che girava col Wrangler della Jeep, saltando via le rotonde e uscendo dai parcheggi scavalcando i marciapiedi. A me però l’aveva regalata Azzurra. Avevo conosciuto entrambi in vacanza con l’oratorio, nel periodo in cui realizzavo la mia parrocchia fosse un avamposto CLino e iniziavo a prenderne le distanze più per le persone di cui era composta che non per un reale problema nei confronti di Dio. Gerry e Azzurra erano a posto peró. Lui era più grande di me, lei più piccola. Una di quelle ragazze che quando ci uscivi insieme speravi di incontrare amici e parenti per darti un tono, cosa che probabilmente sarebbe stato più furbo dirle nel ’97 piuttosto che scriverlo qui sopra oggi.
Non saprei dire che fine abbiano fatto, nessuno dei due,  ma resta il fatto che circondato di piccoli apprendisti del punk-rock nella quotidianità scolastica, il demo delle GAMBEdiBURRO a me è arrivato in mano da una fighetta, amica di un tamarro, sul finire della mia militanza passiva tra le schiere di Don Giussani. Fact, again.

Il demo si intitola BABBAZBABBAZBABBAZ e inizia con “La maglietta dei los Ramones”. No. Inizia con un estratto da un qualche B movie italiano feat. Bombolo che non saprei neanche collocare. Io quella roba non l’ho mai guardata, né quando funzionava nel giro del punk-rock monzese, né quando ha iniziato a funzionare in generale sulla scia di rivalutazioni tarantiniane prese un po’ alla buona.
Mentre scrivo non mi ricordo con precisione chirurgica l’ordine delle tracce nel demo e forse potrei anche sbagliare qualche titolo. Per esempio il secondo pezzo potrebbe essere “Diplomato ritardato” oppure “Marziano”, che a sua volta potrebbe in realtà intitolarsi “Ho un marziano per amico”. Di certo il pezzo numero 3 è “La ragazza che io amo”, che è anche il mio preferito di tutto il demo.
“Oggi appena sveglio ho chiuso nel
Cassetto un altro di quei sogni che
Io faccio sempre assieme a lei che
È UN CHIODO FISSO NEL MIO CUORE”

E via di ritornello, come da titolo del pezzo. Io non ce l’avevo manco per sbaglio, ai tempi, una “ragazza che io amo”, ma era bello pensare che le cose sarebbero cambiate e avrei presto potuto gridarle in faccia quelle strofe, alzando il dito come facevo sotto il palco ogni volta che andavo a sentire le Gambe. Un’adolescenza costruita su pochi capisaldi tra cui troneggiava l’idea di morosa, un concept in continua evoluzione, ma sempre ben chiaro in testa. Su questa cosa anni dopo le stesse GAMBEdiBURRO avrebbero scritto uno dei loro pezzi più fighi e l’avrei trovato divertente e molto calzante con la mia teen-age. Nel 1997 però non c’era proprio niente da riderci su.
Su BABBAZBABBAZBABBAZ c’é anche “Astronave” con il suo perentorio onetwothreefourfivesixseveneight. Un pezzo che parla di emarginazione, disagio giovanile, critica alla società in cui viviamo e voglia di riscatto. O forse solo di un tipo che vuole tornare sul suo pianeta (oh yeah). Non credo il messaggio debba essere per forza di cose la chiave di lettura di un disco. Eppure giravano storie sui testi di questo demo. Ricordo che qualcuno, probabilmente Orifizio, mi raccontò che dietro “Diplomato ritardato” c’era il fatto che uno dei quattro membri fosse stato riformato a militare sulla base del test psicoattitudinale. Non credo sia vero, ma mi piace pensare di sì.
Nel 1997 io e i miei amici morivamo dal ridere ogni volta che sentivamo “Iena”. Ogni volta. Quel “Sei simpatico sai” ci ammazzava. E poi era un altro pezzo che non potevi non cantare, sempre gridando, sempre puntando il dito. Se mi fermo a pensarci non ricordo se la suonassero ai concerti. Magari non negli ultimi, ma forse sul principio si. Di sicuro noi la cantavamo in ogni possibile contesto: in macchina, in casa, alle grigliate, in vacanza. Ogni volta che ci si trovava e si ascoltava musica insieme.
“Lui adesso non può più
Mangiare la marmellata
Alle ciliege perché…”

E poi l’attacco. I salti. Il casino. Ci si divertiva un tot, ai tempi, con queste cose. Non che ora meno, si è solo più composti o forse meno propensi ad esternarlo.
Ricordi legati a questo demo ne ho davvero una camionata. “Sarah cialda croccante” è un capodanno surreale, Bazzu, dei mandaranci e una tipa di Besana. “GODSIGMA” è il liceo, le elezioni per i rappresentanti di istituto, l’autogestione. E potrei continuare, tra le prime vacanze con gli amici, l’Arengario e le serate all’Arci di Arcore. Tutte storie connesse in qualche modo a BABBAZBABBAZBABBAZ.

Oggi le GAMBEdiBURRO non esistono più. Da un lato la cosa è comprensibile, dall’altro non lo è per niente. A quanto mi risulta ognuno dei membri ancora suona in un qualche gruppo punk-rock, nella maggior parte dei casi roba che non ho praticamente mai sentito. Ho questa convinzione non sia più la mia cosa. Una sorta di blocco psicologico. Dopo il demo le GAMBEdiBURRO hanno pubblicato un 7 pollici intitolato “SUPERBABBAZ” e un disco vero, “Senza via di scampo”. Tutti capolavori, anche se il miglior pezzo di sempre l’hanno registrato (male) per una qualche compilation di fine millennio scorso di cui non ricordo il titolo. L’ultima volta che li ho visti suonare fu per la reunion del 2007 al Bloom, ad oggi nella mia personale top 3 dei concerti della vita. Ci ho preso una maglietta bianca con scritto GAMBEdiBURRO che metto ancora regolarmente, mentre la t-shirt che avevano stampato nel ’99 mi si era letteralmente sciolta addosso una sera d’estate mentre giocavo a calcetto nel parcheggio davanti casa con alcuni amici. La cassetta di BABBAZBABBAZBABBAZ ce l’ho ancora, come più o meno tutti i demo di cui mi ero riempito la camera in quegli anni. Senza una motivazione precisa l’altro giorno ci sono rifinito sotto pesantemente. La misura di questo blog sta nel fatto che, nel pieno delle celebrazioni ai ventennali dei dischi, io scrivo di un demo che ha diciotto anni e mezzo.

Ho visto i Mineral al Bloom. Nel 2015.

Probabilmente c’è un modo giusto per scrivere del live di questa sera. Io, però, non credo di conoscerlo. Mi piacerebbe evitare di scivolare nella malinconia spinta. Il piano è non scrivere un post che sostanzialmente celebri un’epoca che non c’è più, pieno di riferimenti faciloni che creino empatia con eventuali altri ex-giovani che si trovassero a leggerlo. Riuscirci parlando di un concerto dei Mineral al Bloom non è proprio immediato però, perchè tutto effettivamente riporterebbe lì. A me quel genere di post tendenzialmente piace anche, tanto, e nonostante pensi sia il modo più facile per raccontare quello che ho fatto sta sera credo anche sia un modo sbagliato. Sarebbe come dire che un concerto dei Mineral nel gennaio 2015 ha un suo senso unicamente per via di quanto è accaduto 10 o 15 anni fa. Ecco, no.
Un’altra cosa che vorrei evitare è scrivere il post che avrei potuto scrivere senza bisogno di andare al concerto. Il biglietto di questa sera l’ho comprato a luglio dello scorso anno, indice di una certa carica d’aspettativa. C’è chi sostiene, probabilmente a ragione, che non esistano concerti belli a priori. Per me non è così. Ci sono gruppi che hanno scritto cose troppo importanti per me perchè io possa affrontarle con oggettività. Quando e se mi ci ritrovo di fronte sono completamente disarmato, mi faccio puntualmente ribaltare come un calzino, e ne esco innamorato. Non credo ci sia un’altra parola. Di funzionare in questo modo io ne sono conscio ed è per quello che se mi mettessi seduto a dire: “Adesso vi racconto con oggettività, imparzialità e distacco come hanno suonato”, mentirei. E io non voglio mentire. Certo, poi ci sono quegli eventi che sanno andare oltre e regalarti ancora più di quanto fosse lecito aspettarsi, ma passano una volta ogni tanto. Le prime tre tracce di questa sera sono state “Five, Eight and Ten”, “Gloria” e “Slower”. Quindici minuti sufficienti a prendere l’evento in questione e inchiodarlo in cima alla classifica dei concerti del 2015 prima ancora che si concludesse il set, data 31 gennaio, senza timore di eventuali ripensamenti futuri. Io di norma non mi guardo le scalette dei concerti prima di andarci, così come difficilmente leggo recensioni di film prima di averli visti, ma che avrebbero suonato quei tre pezzi lo davo per certo, così come ritenevo scontato che sarebbero ampiamente bastati a comprarmi. La mia filosofia è abbastanza semplice: ci sono una manciata di canzoni, forse più, che nell’arco della mia esistenza hanno voluto dire qualcosa. Per sentirle non ci saranno mai un momento, un contesto o dei presupposti sbagliati.
Non so più dove cazzo sto andando a parare con questo post. Giuro. Ero partito anche bene, ma ho iniziato a ribaltarlo ed ora sono il primo ad aver perso il filo. Probabilmente sentire dentro la profonda necessità di scrivere una pagina che avesse senso mi sta schiacciando.
Peccato.
Ci sono comunque una paio di altre cose in merito al concerto che chi legge potrebbe trovare interessanti.
Il cantante dei Mineral è completamente stonato. Sul serio. Viene già fuori abbastanza chiaramente su disco questa cosa, ma dal vivo è una roba che se non la senti non ci puoi credere.
A conti fatti, “The Power of failing” non è il disco preferito della band o quantomeno quest’ultima non lo ritiene più rilevante di “End Serenading”. Con i pezzi di TPOF ci hanno aperto e chiuso il set, cosa che ha un suo certo peso specifico, ma andando a contare le tracce ne hanno suonate solo cinque, mentre dal secondo hanno pescato qualcosa in più. “Take the picture now” non l’hanno suonata e per quanto mi riguarda è un gran peccato.
Il vantaggio di avere assistito a più di metà scaletta presa da un disco che non venero è che posso dire qualcosa di vagamente credibile su come suonano i Mineral dal vivo. Suonano bene. Ho incontrato un po’ di persone sul posto e parlandoci nessuno se lo aspettava. La carica emotiva non è mai stata in discussione, ma la padronanza strumentale era un’incognita. Bei suoni, bei volumi, buon affiatamento e gran tiro. Li senti e non pensi mai al fatto che fossero fermi da 17 (DICIASSETTE) anni.
E basta.
A fine serata ho preso il telefono, aperto twitter e l’unica cosa che sono riuscito a scrivere è stata questa:

Probabilmente è anche l’unica che abbia un senso.

Brand New

A circa due terzi del set in scaletta c’è “Limousine”.
Jesse si allontana dal microfono, sale su un monitor, ed inizia a gridare alla folla.

We’ll never have to buy adjacent plots of earth…
… We’ll never have to rot together underneath dirt…

La voce all’inizio è morbida, poi si graffia e diventa via via più ruvida. Fino a rompersi. Nel locale cala chiaramente il silenzio. Jesse scende dalla spia e inizia a caracollare per il palco, continuando a cantare a squarciagola. Passa affianco ai microfoni e l’effetto è strano, perché per un attimo soltanto il lamento esce anche dalle casse.

I’ll never have to lose my baby in the crowd…
… I should be laughing right now

A fine pezzo, Jesse è distrutto e in lacrime. C’è una pausa. Vinnie gli si accosta un secondo, sono entrambi di spalle e io non sto capendo cosa cazzo è successo. Immagino di aver avuto un’espressione attonita, conscio di aver appena visto la roba più emozionante, intensa e coinvolgente mai capitatami ad un concerto. Sono pochi secondi in cui penso che forse la vuol finire qui, invece si gira.
E attacca Jesus.

Lo so, tendo ai sensazionalismi quando parlo delle cose che mi piacciono, ma per quel che vale non è questo il caso. Il concerto dei Brand New di Domenica scorsa è uno di quelli che resteranno a lungo impressi nella mia mente. Certo, l’episodio di cui sopra ha caricato il tutto di non poca epicità, ma a prescindere da quello (come si potesse PRESCINDERE da una cosa così. Non avete una cazzo di idea.) il set è stato una vera e propria mina. La scaletta era divisa in blocchi: Daisy per il primo atto, Deja Entendu per il secondo e Devil&God a chiudere. Da Your Favorite Weapon avremo solo due assaggi, ma a questo ci arrivo tra un secondo.
Dicevamo, primo atto per Daisy, il disco che mi piace meno. Apprezzo la scelta perchè sono ideologicamente per i crescendo, tuttavia riconosco che l’impatto dei pezzi nuovi (#AhAhAhCheRidere) dal vivo è notevole. “Vices” non mi piace proprio, ma come attacco e impatto sonoro mi da una bella pettinata. Suoni un po’ confusi, ma ci sta. La voce invece viene fuori benissimo da subito e Jesse non si risparmia. Quando mai. A “Gasoline” sono ancora tiepidino, altro pezzo che non amo tanto, quindi per me il concerto vero inizia con “At the Bottom” e “You Stole” che dal vivo è notevolissima. Sorpresona. Dopo quattro pezzi i preliminari sono finiti.
Secondo atto, Deja Entendu. C’è un salto emotivo e di risposta GIGANTE, quando parte “Sic transit gloria… glory fades”. Non solo per me, ma proprio per tutti i presenti. Il coinvolgimento diventa totale in mezzo giro di basso. In quel momento ci arriva addosso un treno che non lascia scampo nè tregua, in cui vengono suonate “Guernica”, “Ok I believe you…”, “…Spin Light” e “Seventy times 7” giusto per alzare ulteriormente il tiro prima di “The quiet things…”. Senza. Una. Pausa. Sono letteralmente in balia dei quattro sul palco. Giusto il tempo per ricordare l’unica altra data italiana loro nel 2007 (C’ero. E’ stato fighissimo pure quella volta.), fare i classici ringraziamenti e lanciarsi in una battuta molto divertente del tipo: “Scusateci se non siamo venuti spesso da ste parti, ma siamo di NY e la pizza è buona anche lì” e siamo alla volata finale.
Il terzo atto. Apre “Sowing Season” e il singalong è ormai fuori controllo. Il disco da cui si attinge in questa parte finale è il più bel disco che ho in casa e quindi la vivo di conseguenza. Dopo la opening suonano “The Archers Bows Have Broken ” e “Milestone”. Poi è il momento di “Limousine” e di tutto quel che ho scritto al principio, seguita da una “Jesus” che, anche in virtù di quel che avevamo appena vissuto, ci ha rivoltati come calzini. “Degausser”. “You won’t know”. Sono talmente preso bene che manco ci penso ai pezzi che volevo sentire e non hanno suonato. Non ho idea di cosa possa mancare all’appello fino a che parte “Soco Amaretto Lime” e bon, è la fine. Del concerto e della mia voce. Sono completamente dentro la situazione. Non vedo i contorni, è una globo di persone e suoni fuso insieme.
Finisce così, senza siparietti, senza encore, dopo un’ora e mezza di musica tiratissima.
Saluto le persone che ho incontrato sul posto, vado al banchetto e compro 25 euro di maglietta.
25 euro.
Più del biglietto.
“The things I do for love” direbbe Jaime Lannister.

Concertini

Questa settimana ci sono un paio di concertini che secondo me vale la pena andare a vedere, di conseguenza li segnalo.

Mercoledì 19/03/2014 – Arci Acropolis (Vimercate, MI)
Mercoledì i The singer is dead presentano il loro primo EP all’Acropolis. Il disco lo si può sentire in streaming su bandcamp e secondo me è un bel disco. Segue lista di motivazioni a supporto della precedente affermazione: 1) non annoia 2) è suonato bene 3) le linee di batteria sono pulite e precise, senza strafare, ma senza tirarsi indietro 4) il basso suona come piace a me 5) le chitarre fanno bruttissimo 6) le melodie sono fantastiche 7) anche uno come me non ci sente la mancanza delle voci (RIP) 8) è ben prodotto e ben mixato 9) i pezzi non durano ore 10) l’ultima traccia è una bomba atomica che sembra presa di peso da un disco degli Envy. In sintesi.
Non è un disco perfetto per i seguenti motivi: 1) la prima traccia mi suona ripetitiva 2) in rari casi avrei scelto altri suoni per le chitarre (es: un passaggio in distorsione proprio nella prima traccia). E basta.
A fronte di tutto questo, io a sentirli ci vado e vediamo se riesco a rivalutare la musica strumentale anche in sede live.
E poi c’è la birra a tre euro.

Sabato 22/03/2014 – Ligera (Milano, MI)
Sabato invece suonano i Lantern al Ligera. Il disco dei Lantern, Diavoleria, è il disco che sto ascoltando di più ultimamente perchè secondo me è una roba clamorosa, senza se e senza ma. E’ anche quello in streaming su bandcamp e quindi lo agevolo qui affianco. E’ un disco HC di quelli che a me prendono lo stomaco e lo rivoltano. Non è la roba più violenta che abbia mai sentito, manco un po’ in effetti, ma è travolgente nelle melodie, nei suoni, nelle atmosfere, nelle urla, nel parlato e nei testi. I Lantern poco tempo fa hanno anche buttato fuori una cover di Shorty dei Get Up Kids che ha fatto cagare tutti e che invece a me piace un botto. Insomma, un gruppo HC che coverizza i GUK è quello che basta dire per inquadrare tutta la questione. Rileggo tutta la storia. Tutte le colpe. Tutti gli errori. Ripeto tutto a memoria.

Di spalla ai Lantern suonano i Winter Dust, che poi sono il gruppo di almeno uno dei tizi de il Fragolone. Io siccome nella community di twitter ci credo a bomba, li supporto duro anche se sono un po’ una persona di merda perchè gli ho scaricato il disco mettendo ZERO su name your price. Il fatto che sia ideologicamente contrario a pagare per dei file audio non toglie nulla al mio essere brutta persona, quindi se hanno il disco formato CD sabato, sia loro che i Lanter, direi che glielo prendo.
In caso stampino solo vinili, penso convivrò a lungo con il mio senso di colpa.
Due concerti in una settimana.
Non mi capitava da, tipo, anni.

Manq’s awards 2013

E anche quest’anno siamo giunti al momento delle classifiche finali, che su questo sito investono solitamente una moltitudine di argomenti e risaltano il meglio ed il peggio dell’anno solare a mio insindacabile giudizio.
Come la mia logorrea esige, dopo ogni classifica ci sarà la classica spiega.

Migliori dischi:
Biffy Clyro – Opposites
Dargen D’amico – Vivere aiuta a non morire
Cabrera – Nessun rimorso
Moving Mountains – S/T
Defeater – Letters home
Spiega: primi metto i Biffy perchè il disco è uscito a gennaio e quindi se lo sono dimenticato tutti nelle classifiche finali, invece è bello. Forse non così bello da stare al primo posto, ma decisamente bello abbastanza perchè non mi si rompa il cazzo per avercelo messo. Secondo Dargen D’Amico perchè credo sia il disco che ho ascoltato di più quest’anno e perchè c’è dentro LA canzone del 2013. Terzi i Cabrera perchè hanno fatto un EP stupendo che avrei messo primo se non avessi la paura di passare per quello che se la mena e mette un EP semi sconosciuto al primo posto solo per darsi un tono. Quarti ci vanno i MovMou perchè il disco che non piace a nessuno a me piace sempre di più. Quinti finiscono i Defeater perchè Letters Home è un disco bellissimo e anche se i pezzi sono meno belli di quelli del disco 2013 dei Touché Amoré, Letters home non l’ha mixato un idiota e quindi merita di stare più in alto.

Peggiori dischi:
Minnie’s – Ortografia
Jimmy Eat World – Damage
Face to Face – Three chords and a half truth
Spiega: mi spiace mettere i Minnie’s nella classifica dei dischi brutti, ma mi aspettavo tanto e questo disco non mi è piaciuto. La stima nei loro confronti resta immutata. Secondi ci metto i Jimmy Eat World perchè il disco è una merda clamorosa e inappellabile. Primi i Face to Face per le stesse motivazioni dei Jimmy, ma con l’aggravante di averlo fatto uscire il giorno del mio compleanno.

Miglior concerto:
Pentimento + Less Than Jake @ Circus Line (NYC)
Spiega: suonavano su una barca impegnata a circumnavigare Manhattan al tramonto. Enough said.

Peggior concerto:
Ataris + Cancer @ Li-Fi (MI)
Spiega: Kris, per l’amore di Dio, smettila.

Migliori film:
Gravity
Rush
Don Jon
Pain&Gain
Django Unchained
Spiega: Gravity è il film che da un senso all’andare al cinema. Rush mi ha tenuto incollato alla sedia, complice anche la mia ignoranza rispetto ai fatti narrati. Don Joe mi ha spaccato dal ridere. Pain & Gain è uno dei migliori film di Bay. Django è chiaramente bellissimo, ma l’ho apprezzato di più alla seconda visione. Restano fuori classifica un sacco di film belli, quindi da questo punto di vista il 2013 è stato figo.

Peggiori film:
Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
Only God forgives
A good day to Die Hard
Spiega: La prima parte de Lo Hobbit mi ha spaccato il cazzo oltre ogni preventivabile misura. Il nuovo film di Refn non è un film. Bruce, per l’amore di Dio, smettila.

Migliori serie TV:
Breaking Bad season finale
Fringe season finale
Spartacus War of the Damned
True Blood season 6
Black Mirror season 2
Spiega: la stagione finale di Breaking Bad è inarrivabile, pure per Fringe che comunque mi ha preso tantissimo. Al terzo posto finisce Spartacus perchè anche in quel caso il coinvolgimento emotivo è stato a livelli folli. Poi ci sono l’immancabile True Blood, che resta una delle cose migliori e più intelligenti in circolazione, e quel gioiellino disturbante di Black Mirror.

Peggiori serie TV:
Homeland season 3
Dexter season finale
The Following season 1
Spiega: la terza stagione di Homeland l’ho mollata al quarto episodio e un motivo ci deve pure essere. La stagione finale di Dexter è LAMMERDA. La prima stagione di The Following è peggio.

Migliori libri:
1° Open – Andre Agassi
2° World War Z – Max Brooks
3° La ragazza dei cocktail – James M. Cain
Spiega: la biografia di Agassi è scritta così bene da risultare bellissima a uno che non ha mai seguito il tennis come il sottoscritto. World War Z mi è piaciuto molto più di quello che mi aspettassi. La ragazza dei cocktail è un noir coi contro coglioni.

Peggior libro:
Inferno – Dan Brown
Spiega: Dan, per l’amore di Dio, smettila.

Tema: il mio primo concerto. Svolgimento:

Il mio primo concerto è stato nel 1997. Era primavera, ma la data non la ricordo. Il fatto che una sommaria ricerca su google non abbia saputo aiutarmi contestualizza il periodo molto meglio di mille parole, anche se ho come l’idea che quelle mille parole da qui a qualche riga verranno comunque fuori.
In quel tempo (cit.) facevo la seconda liceo e da qualche mese avevo rivoluzionato i miei gusti musicali passando da Molella al punk-rock. Il mio primo concerto furono gli Offspring al forum di Assago.
E qui tutti si aspetterebbero alcuni secondi di silenzio imbarazzato. Ecco, no. Ma proprio neanche per il cazzo. Nella primavera del 1997 gli Offspring erano in giro a presentare “Ixnay on the hombre”, disco che io avevo già comprato originale dal mio negozio di fiducia e che era una bomba colossale senza se e senza ma. Dopo circa un anno speso ad ascoltare “Smash” a ripetizione, Ixnay l’avevo accolto tipo Parola del Signore.
Era Smash con delle canzoni nuove dentro.
Era perfetto.
Onestamente fatico tantissimo a ricordare come venni a sapere che gli Offspring avrebbero suonato a Milano. Forse me lo disse qualcuno a scuola, quasi certamente un metallaro perché i metallari erano sul pezzo. Può essere avessi già internet, ma certamente non lo sapevo usare. Quindi boh, non lo so, non ricordo e chissenefrega. Fatto sta che si decise immediatamente di andare. Il team, oltre al sottoscritto, annoverava altri tre iscritti. Il primo era Ciccio, il mio compagno di banco nonché fautore del mio indottrinamento al punk-rock. La seconda era la Laura E*, a sua volta responsabile dell’indottrinamento di Ciccio. Si narra che la fonte della cascata punk cui ci abbeverammo in massa in quegli anni fosse proprio la sorella di Laura, che la leggenda vuole anche fosse una figa stellare. Fatico a ricordarle entrambe, ma non faccio testo. Ultimo elemento era Orifizio, t.a.f.k.a. Fabrizio Orsini, della cui formazione musicale amo invece prendermi ampi meriti io.
Chiarite le adesioni fu il momento di comprare i biglietti, presi in prevendita alla Ricordi di Monza e pagati nell’intorno delle trentamila lire. Il biglietto era bellissimo, rosso e nero, stampato su una carta tipo lucida a costine. L’ho guardato giorni e lo tenevo sempre nel portafoglio, piegato dentro la carta d’identità. Un po’ per non perderlo (portarlo in giro per non perderlo era logica ferrea, per il me di allora), un po’ per sfoggiarlo in qualunque circostanza possibile. Allora pensavo che avrei tenuto tutti i biglietti dei concerti e che un giorno li avrei incorniciati tutti e affissi in camera.
Non mi ricordo il mio abbigliamento per l’occasione. Non avevo certamente addosso nessuna maglietta di un gruppo, perché semplicemente la mia prima maglietta di un gruppo la presi lì a fine concerto. Chiaramente la comprai al banchetto del merch ufficiale, perché per me prenderla fuori era l’equivalente di prenderla tarocca e non volevo essere attaccabile quando l’avrei mostrata orgoglioso. L’ho ovviamente conservata e non fosse per i buchi, le fisse di mia moglie e l’essere degli Offspring probabilmente la metterei ancora. Ricordo invece che avevo messo i Cat, quegli stivali da tabbozzo che andavano quando facevo le medie. Li avevo messi perché una delle regole dei concerti era “mettere scarpe alte e ben allacciate che se no nel pogo le perdi” e io, da neofita, mi ci ero attenuto. I Cat erano le uniche scarpe alte che avevo in casa.
Sul posto ci aveva portato mio padre, che s’era anche offerto di venirci a prendere. O forse non s’era offerto per niente, ma tant’è. Se nella primavera del 1997 io mi apprestavo a vedere il mio primo concerto, gran parte della responsabilità era di mio padre. Da bambino credo di avergli chiesto un sacco di volte di portarmi a vedere Vasco e lui mi aveva sempre risposto che a vedere Vasco non ci sarebbe venuto. Che al massimo saremmo potuti andare a vedere Springsteen. Ecco, mi pare un buon momento per dirgli grazie, anche se, oggi come allora, Springsteen mi fa cagare.
All’interno del Forum c’erano millemila persone. La cosa bella è che a quei tempi non c’era un cazzo di divisione tra tribune e parterre e ci si poteva muovere a piacimento tra le diverse aree. Ricordo le band a supporto, ma non ricordo l’ordine in cui suonarono. Certamente le Lunachicks mi fecero cagare tantissimo, mentre i Vandals anche, ma solo fino alla cover del pezzo di Grease che mi piacque una cifra e me li rese simpaticissimi. Ho qualche flash di gente nuda sul palco che si arrampica e fa robe turpi con il microfono, ma sono immagini frammentarie. La sensazione regina di tutto il momento supporting cast però fu la paura cieca del pogo. Vedevamo questo assembramento innaturale di corpi a sbattere gli uni sugli altri con violenza e pensavamo che, qualunque cosa sarebbe successa, l’imperativo era non finirci in mezzo.
Stimammo una sorta di posizione di confine, tra il pogo e la gente normale, e decidemmo di posizionarci lì e non oltre per assistere al concerto. Che vederlo dalle tribune ci sembrava comunque una cosa triste. Quello più a rischio dei quattro era Orifizio, caduto pochi giorni prima portando fuori il cane (true story) e dotato di maxicerottone sul cranio a protezione dei punti di sutura ricevuti. A detta sua era tutto molto punk.
Allo spegnersi delle luci l’adrenalina era altissima e l’attacco di Bad Habit fu una cosa che anche adesso, se ci ripenso, mi mette i brividi. Dexter Holland si presentò sul palco con una giacca verde fluo e dei pantaloni neri completamente pieni di cerniere lampo. Il mio conflitto con l’outfit punk iniziò lì, al primo live.
E poi ci sono ricordi davvero sparsi e frammentati, tipo che a metà del primo pezzo finimmo diritti sotto il palco. Il pogo si rivelò in realtà una cosa fighissima e alienante e catartica e mille altri aggettivi di cui fatico a capire il senso oggi, figuriamoci allora quando l’indomani cercai di spiegarlo a mia madre. Di alcuni momenti ho chiaramente il ricordo di essere stato in compagnia, ad esempio io e Ciccio che gridiamo “I hate Pellizza” durante Cool to hate (NdM: we still hate you.). Di altri invece ricordo la solitudine, come quando durante Genocide ho spiccato i salti più alti di tutta la mia vita senza curarmi di chi o cosa avessi intorno. Che pezzo clamoroso Genocide, porco il cazzo. Le tracce da Ignition non le conoscevo perché il disco non l’avevo mai sentito e forse manco sapevo esistesse, però mi ricordo che uscii deciso a procurarmi quella canzone che cominciava con tutti quei FUCK. Non dimenticherò mai quando partì la base di Intermission e tutti capimmo immediatamente che dopo ci sarebbe stata All I want e che sarebbe stato un delirio totale. E nemmeno il pronosticato delirio quando scoppiò davvero.
Insomma, il mio primo concerto furono gli Offspring al Forum di Assago nel 1997.
E fu fighissimo.

Questo pezzo è nato da la solita bella iniziativa di BASTONATE. Manq endorsa pesantemente BASTONATE ai Macchia Nera Internet Awards 2013 essenzialmente per tre motivi:
1) Oltre a partecipare sempre volentieri ad iniziative tipo quella di questo post, durante quella che fu “la settimana grindcore di BASTONATE” ci avevo pubblicato una cosa. Quindi in caso di vittoria sentirei il premio tremendamente mio.
2) Mi piacerebbe poter dire “Leggevo BASTONATE prima che fosse mainstream”
3) Se leggeste BASTONATE sapreste che i motivi sono sempre tre.
Quindi votate, grazie.

Best gig location EVAH

Quando rientrerò farò, credo, un resoconto completo ed esaustivo del viaggione in corso.
Sta sera mi prendo quindi giusto due minuti per commentare a caldissimo un’esperienza veramente fantastica. Sono andato a sentire i Less Than Jake.
Ok, non proprio la band della vita, MA:
1- Di spalla suonavano i Pentimento.
2- Il concerto si è svolto “on a fucking boat” impegnata a circumnavigare Manhattan.
Il tutto è stato quindi clamoroso per diversi aspetti. Non mi metto a fare un report serio, ho sonno, ma alcune cose vorrei dirle (per farlo farei anche un elenco a punti, ma in sto post me lo sono giocato due righe fa e non posso ripetermi).
Inizio quindi col dire che i Pentimento dal vivo son bravi bravi. Ottima scena, ottimo suono, ottima scaletta, tiro assurdo. Ma roba veramente grossa, che magari da dei ragazzini (perchè son giovani) non ti aspetteresti. Dopo il live sono riuscito anche a comprare il fantomatico disco, che per diverse peripezie non ha avuto una facile distribuzione. Quindi obbiettivo principale della serata portato agilmente a casa.
La bomba vera però è stata la location, che per ovvi motivi si piazza al volo in cima alla lista dei posti più suggestivi in cui io abbia mai visto un concerto. La barca è partita al tramonto e ci ha proposto una visione spettacolare dello skyline di NY nel momento migliore della giornata, passando anche vicinissima alla Statua della Libertà che in questi giorni non è altrimenti accessibile. Veramente una roba da urlo. Poi il ponte era decisamente piccolo, il palco non c’era, i suoni erano buoni e quindi anche le performance musicali aggiuntive son state godibilissime. Menzione particolare ai Less Than Jake che han suonato tipo cinque pezzi dall’unico disco loro che mi sia mai capitato di sentire e che quindi mi hanno reso più accessibile il set. Questo potrebbe aprire a domande sul fatto che una band suoni gran parte dei pezzi di un disco del ’98 (circa, sto sparando) nel 2013, ma chissene. Per me scelta ottima.
Chiudo con un video che ho fatto durante il live. Non sono un pro del filmare/fotografare col cellulare durante i concerti. Anzi, è una roba che non sopporto, ma le circostanze lo richiedevano. Peccato anzi non aver immortalato Lady Liberty e, soprattutto, il finalissimo “circle pit on circus line” che ha chiuso il tutto col botto.