Vai al contenuto

Musica

Google Hit List [Luglio 2009]

So che solitamente la classifica delle googleate si ritrova in post a sè stanti e su di lei incentrati, ma le tradizioni sono belle perchè possono essere, talvolta, infrante.
Io al momento sono in mood “attesa per il nuovo disco Used” e quindi di questo voglio parlare.
Come detto, il video del singolo (visibile nel post precedente) è uno dei video più brutti della storia.
Fino a ieri avrei detto che anche la canzone fa abbastanza cagare, eppure non mi esce dalla testa.
Credo che come al solito i ragazzi abbiano sfornato uno di quei dischi mignotta che consumi di ascolti per un mese, prima di dimenticarti quasi per sempre.
Il precedente era stato un disco del genere.
A pensarci bene, gli Used riescono ad essere uno dei miei ruppi preferiti avendo sfornato un unico disco bello, il primo.
Ok, trattasi a mio avviso di piccolo capolavoro, però poi da lì in avanti sono diventati imbarazzanti e non si spiega la mia ferrea affezione.
In ogni caso, tornando al nuovo CD, mi preme dire che anche l’artwork di “Artwork” (non è colpa mia il gioco di parole) fa a dir poco ribrezzo.
Una cosa fighissima però c’è.
Il promo.
Eccolo.

Ok, direi che è il caso di dare spazio alla classifica del mese.
La prima classificata è geniale.

1 – sig direttore mi sono rotto il cazzo ppt
2 – frasi spiritose per le macchine in divieto
3 – io,tu e la sveglia
4 – studio ergonomia costruzioni lego
5 – desmet da fa il ciula
6 – l’epecoso
7 – accoppiamenti cravatte
8 – com’è fatto internamente il forum d’assago concerti
9 – posso rompermi il setto nasale a casa
10 – esco dal cancello e mi fermo e subisco un sinistro

Nota: aggiornata la sezione “musica”

Casina

Pur essendo rientrato ieri mattina in italia, solo oggi riprendo pieno possesso della mia casina.
Caldo, ma tutto sommato ok.
I miei quindici giorni negli States sono stati piuttosto strani e ricchi di sorprese.
La più eclatante è che non sono riuscito a trovare dei CD, cosa che non mi aspettavo.
Oltretutto ho avuto milioni di problemi con le carte di credito, cosa altrettanto inattesa per una gita nel paese che sulle carte di credito si fonda.
Per il resto però, le cose sono andate bene.
E’ stato il classico viaggio “on the road”, per chi sa apprezzare il tanto tempo in auto e le prospettive che questo comporta. Potrei parlare ore dell’assurdo metodo di guida americano, del cruise control inserito all’uscita del parcheggio e rimosso solo all’ingresso del parcheggio successivo, della gente che viaggia su tre corsie alla stessa velocità tagliandosi però la strada senza nessuna ragione apparente, delle interminabili superstrade e dei limiti di velocità surreali. Come detto però, sono stati una parte del viaggio che ho apprezzato quindi lamentarsene sarebbe irrispettoso.
Il tentativo compiuto e portato a termine è stato quello di vivere la Florida, più che visitarla, e direi che ci siamo riusciti.
Ovviamente senza farci mancare perle da turisti come il Magic Kingdom e il JFK Space Center, ma inserendole in un contesto di vita quotidiana ben congeniato, capace di portarci ad esempio al cinema a vedere Ice Age 3 (che, tra parentesi, è spettacolare) o ad ordinare in motel la pizza extra cheese con peperoni e salsiccia tipica dei film e telefilm made in USA.
Bei posti, bella gente quasi ovunque e bella vita, quindi.
A modo suo anche bel mare, se non fosse che prima di partire avevo letto delle Keys come di “isole caraibiche” ed essendo stato a Cuba lo scorso anno ci avevo riposto molte aspettative che poi sono state disattese. Non che siano brutte, per carità, però caraibi per me è un’altra cosa.
La cosa più agghiacciante di questa vacanza è stato lo scontro frontale coi veri segni della crisi.
Ora, è vero che anche qui da noi il problema c’è, ma non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che ho visto lì.
Ho visto le tendopoli.
Ho visto ospedali, grossi ospedali, in vendita. Ma non per dire, proprio con il cartello “for sale” appeso sul cancello.
E ho visto le pubblicità per il pagamento di consulenze atte all’aiuto nella gestione dei debiti domestici.
Cose assurde, insomma.
Cose tipicamente americane che riescono sempre nell’intento di far sembrare l’Italia, con tutti i suoi problemi, un posto decente.
E forse lo è, tutto sommato, e io sono solo troppo critico.
In sostanza quindi è stato un bel viaggio.
Ora che sono a casa, tuttavia, mi godrò qualche altro giorno di ferie prima del rientro al lavoro.
Giorni in cui cercherò di dedicarmi alle mie attività extralavorative, al relax e alla ripresa dei ritmi e dei contatti quotidiani.
Ho già iniziato, in realtà, quest’opera.
Mi sono guardato l’anteprima del nuovo video degli Used, “Blood on my hands”, dall’album “Artwork” di prossima uscita.
Credo sia il video più brutto della storia.
Eccolo.

Comunicare

Quella di questa sera è stata una serata indubbiamente particolare.
Sarei dovuto andare a sentire i Seventy Times Seven a Vimercate ed invece, per varie ragioni, mi sono ritrovato a sentire i Lost a Carugate.
Sì, i Lost.
Ok, non ero lì per loro. Ero lì per i Minnie’s e perchè Bazzu mi ha chiesto di accompagnarlo a sentirli.
Bazzu, a dirla tutta, era convinto che i Lost suonassero di spalla ai Minnie’s e questo mix di genuinità e buonsenso mi ha subito conquistato. Ero curioso di rivedere i Minnie’s dopo il live semi-acustico di spalla a Kris Roe ed ero curioso di vederli con i pedalini accesi e i suoni distorti di conseguenza. Avrei voluto comprar loro il CD di “Un’estate al freddo”, ma ho scoperto che è andato esaurito. In compenso, dopo lo show, mi sono comprato il nuovo “Esercizio delle Distanze”. Questo perchè dopo averli brevemente conosciuti mi sono risultati simpatici e, soprattutto, perchè il loro set mi è piaciuto. Ora me lo sto ascoltando, mentre scrivo, e lo sto apprezzando. Di solito quando scrivo con un CD mai sentito in sottofondo, mi distraggo dall’ascolto e mi concentro sullo scrivere. In questo caso mi sta accadendo l’esatto opposto, segno sicuramente che il cantato in italiano coinvolge molto e che, soprattutto, il disco mi piace.
Dopo il set dei Minnie’s e l’acquisto del CD, io e Bazzu ci siamo concessi qualche pezzo dei Lost.
Abbastanza per dire che sono imbarazzanti.
Non che avessi dubbi, per carità, però vederli dal vivo è proprio rendersi conto che, parafrasando Bazzu, sono vuoti. Privi di qualsivoglia concetto da comunicare, oltre che della benchè minima voglia/capacità di suonare qualcosa di decoroso.
Penosi.
E penose le ragazzine che strillano. Non tanto perchè strillano ad una band, perchè quello è doveroso che le ragazzine lo facciano, ma perchè sono riusciti a far loro credere di essere diverse da quelle che strillano per Marco Carta.
E’ brutto quando ti privano di personalità convincendoti che nel farlo, in realtà, te ne stiano dando una.
Stop alle digressioni.
Stando a quanto ho scritto fino ad ora però, non c’è motivo perchè io definisca “particolare” questa serata.
Invece alla rotonda dell’Euromercato, tornando a casa, ci imbattiamo nel bassista dei Minnie’s che fa l’autostop.
Ovviamente lo raccattiamo.
Era incazzato.
Nel discutere del perchè lo fosse mi ha dato, personalmente, un grandissimo spunto di riflessione.
Era arrabbiato perchè la sua band, a suo dire, non aveva colto l’occasione di dire qualcosa alle ragazzine presenti, di far passare un messaggio. Il suo punto era che se decidi di suonare davanti a bambine che non sono lì per te, ma che sono il prodotto di una certa omologazione, E’ TUO DOVERE far passare un messaggio. Non farle contente, per quello ci sarà tempo quando arriverà la loro band del cuore, ma comunicare qualcosa. Questo perchè se anche solo poche di quelle ragazzine recepiscono ciò che stai dicendo, hai già cambiato un po’ le cose. Sempre parafrasando, secondo lui è facile far passare certi messaggi al Conchetta o al Leonkavallo, ma lì si sta solo facendo il proprio compitino, senza in realtà essere utili. Chi ti ascolta in quei contesti il tuo pensiero l’ha già recepito. E’ di fronte ad un pubblico come quello di sta sera, invece, che è importante far capire ciò che si è e ciò per cui si suona.
L’idea, ciò che differenzia una band che per suonare a Carugate prende 300 euro da una che ne prende 6000.
Altrimenti, tanto vale mettersi a suonare per i soldi.
Io non so bene cosa avrebbero potuto fare o dire di diverso, questa sera, per perseguire meglio questo proposito.
Ma, cazzo, questo ragionamento mi ha profondamente colpito.
E lo condivido al 1000%.
Ok, il CD è finito ed anche questo post.
Sicuramente i Minnie’s saranno sul mio “CD delle vacanze”.
Resta da decidere con che traccia.

Aggiornamento

In Luglio non ho ancora scritto nulla su questo diario.
E’ una vergogna, effettivamente.
Di robe di cui parlare ce ne sarebbero anche tante, ma nessuna di queste al momento è riuscita a distogliermi dagli altri interessi che sto coltivando.
Di che interessi parlo?
Nulla di trascendentale, ad essere onesti, però tante piccole cose che occupano una marea di tempo.
Devo leggere altre 450 pagine di “Harry Potter e l’Ordine della Fenice” prima di partire per la Florida, dove dovrò leggere “HP e il Principe Mezzosangue” in modo da giungere preparato al cinema al mio rientro in Italia. Ce la farò? Al momento l’impresa appare titanica, ma non ho ancora smesso di crederci del tutto.
Oltre a questo, sto realmente dedicando del tempo alla costruzione di una nuova sezione per questo sito.
E’ una cosa a cui pensavo da tempo e che solo recentemente ho deciso di fare per davvero, sobbarcandomi di una certa qual mole di lavoro di programmazione, disciplina in cui ero abbastanza arrugginito. Nel fare questa cosa mi sono per altro reso conto che la grafica di questo blog inizia a stancarmi. Cambiarla, tuttavia, risulta un impresa titanica che non credo affronterò mai.
Come ultimo impegno, infine, cito la mia “nuova” e brillante idea di trasformarmi in giornalista musicale. Per questo ho deciso di riprovare ad intervistare una band via e-mail, dopo il fallimentare tentativo ottenuto anni fa coi Relient-k. Allora avevo richiesto l’intervista (per altro commissionatami, non avendo io particolare stima per i suddetti) e mi era stata concessa, ma alle domande non era mai pervenuta risposta. Questa volta ho quantomeno scelto io la band, optando per i meno famosi e per questo spero più disponibili My Own Private Alaska. Il risultato però ,al momento è il medesimo: intervista concessa, domande inviate e risposta mai pervenuta. Non è passato molto tempo in ogni caso, quindi non ho ancora del tutto perso le speranze.
Oltre a tutte queste iniziative, poi, ci sarebbero state un sacco di altre cose da raccontare.
Il matrimonio di Robi, a cui vanno i miei migliori auguri.
L’exploit canora di Salvini che meriterebbe ampia riflessione (accenno: ma possibile che quest’uomo dica una marea di stronzate razziste da anni e ci si debba scandalizzare per l’unica volta in cui, ubriaco, probabilmente stava solo facendo il pirla con gli amici senza pensare di essere parlamentare?).
Il mirabolante calciomercato del Milan.
La visione in semi anteprima del film “Outlander – L’ultimo vikingo” e conseguente disturbo della digestione.
Insomma, ci sarebbero come sempre moltissime cose di cui scrivere.
Io però, devo tornare a leggere Harry Potter.

Ascolti

Come al solito, quando è un po’ che non scrivo, per riprendere non trovo argomento migliore della musica.
In questi giorni sto ascoltando un po’ di CD “nuovi”, alcuni appena usciti e altri nuovi solo alle mie orecchie.
Iniziamo subito con quello che ho ascoltato per ultimo, così, per stravolgere gli schemi.
Enter Shikari, “Common Dreads”.Enter Shikari - Common Dreads
Non lo nego, mi aspettavo di più. Anzi, me lo aspettavo diverso. Il primo disco secondo me aveva due difetti: troppo poco spazio alla trance “dura e pura” e aggregazione un po’ confusa delle idee che portava a pezzi poco omogenei nel tentativo di far stare in 17 canzoni tutti i riff e le situazioni che la band aveva a disposizione. La mia speranza era che mettessero a posto le cose con il secondo album, ma così non è stato. Si è presa proprio un’altra strada, a mio avviso, nel tentativo di dare al mix di HC e elettronica un aspetto più compatto, cercando forse di creare un suono etichettabile non solo come commistione di generi diversi. La trance c’è ed è tamarra come nel precedente lavoro, ma è meno a sè stante e più integrata nei pezzi che tuttavia sono meno danzerecci e più “rock”, con le dovute virgolette. Detta così sembrerebbe non avere alcun senso, ed invece secondo me è proprio così che suona questo disco. Con le dovute eccezioni, sia chiaro. “Solidarity” è un pezzo che potrebbe benissimo essere inserito nel disco scorso (forse e soprattutto per le autocitazioni in esso presenti [un gruppo che al secondo disco già si autocita va solo amato]), “The Jester” ha un riff che potrebbe essere benissimo stato scritto dagli Stunned Guys e “Gap in the Fence” è forse una delle canzoni più vergognosamente tamarre della storia, ma anche in questo caso si parte da una sorta di ballata acustica per poi sfociare in cori da Duplè dei bei(?) tempi, cori che si rivedono anche in “Halcyon”. Dovrò ascoltarlo ancora un po per poterlo valutare al meglio, però senza dubbio rispetto al precedente disco non ci sono tracce accattivanti da subito e questo, che potrebbe sembrare un difetto, magari donerà a “Common Dreads” maggiore longevità nella mia autoradio. Una cosa è sicura, gli Enter Shikari sono una band da ascoltare soprattutto dal vivo, contesto in cui trovano difficilmente eguali.
Cambio.
Fightstar, “Being Human”.Fightstar - Being Human
Secondo me “Grand Unification” è un disco della madonna. Quello uscito dopo non l’ho mai sentito per intero, a causa credo del periodo di stanca che avevo allora per quel tipo di suono. O forse perchè mi era parso indegno senza bisogno di ascoltarlo tutto. In ogni caso mi sono avvicinato a questo nuovo CD con una certa curiosità e devo dire che lo sto ascoltando ormai da qualche giorno. Al primo impatto ho pensato fosse un disco arrogante. Credo sia stato per via dell’orchestra inserita in gran parte dei brani. O forse dei cori gregoriani. Sta di fatto che l’impatto epic/symphonic metal che mi ha dato il primo ascolto non è stato proprio un bel biglietto da visita. Non sono uno che gradisce i Nightwish, per far chiarezza. Andando avanti con gli ascolti però devo riconoscere che questo “Being human” non è poi così male. Sempre tentando di mettermi nella testa dell’autore, credo l’intenzione fosse cercare di sviluppare un po’ un certo genere di suono che ha detto più o meno tutto quel che aveva da dire. Se l’intento era effettivamente questo, credo che l’obbiettivo sia stato raggiunto visto che non ho cestinato il disco al grido di: “la solita roba”, ma ho continuato ad ascoltarlo. Continuo a ritenere il tutto un po’ troppo pomposo (l’inizio di “Chemical Blood” è agghiacciante), ma inizio a farci l’orecchio. Il grosso problema del disco, invece, è che in molti pezzi il tentativo di rinnovare il sound sfocia in scelte troppo discordanti, rendendo alcune tracce, come ad esempio “Colours Bleed to Red”, un’accozzaglia di parti sconnesse forzatamente legate assieme. Non tutti, fortunatamente, e così si trovano pezzi come “Give me the Sky” capaci realmente di emozionare il sottoscritto, anche grazie ad un suono che spesso, anche nella voce, sembra “rubato” ai Mae dei bei tempi. Il risultato finale nel complesso è accettabile e fa dei Fightstar una delle poche band capaci di continuare a battere la strada del nu-emocore senza ridursi ridicole.
Un’esempio di chi non ce la fa?
Silverstein, “A Shipwreck in the Sand”.Silverstein - A Shipwreck in the Sand
I Silverstein sono l’unica band che seguo ad aver fatto 4 dischi identici in tutto e per tutto. L’artwork, ad esempio, secondo me è sempre splendido e questo quarto full-lenght non mi smentisce. Stiamo però parlando di musica e, nella fattispecie, credo dell’unica band capace di fare un brutto disco anche facendosi produrre dal genio di Mark Trombino. Insomma, a modo loro, sicuramente unici. Il disco in questione non parte nemmeno troppo male, poichè la open track pur essendo l’emblema del clichè ha un buon tiro e riesce anche a farsi apprezzare. Andando avanti però la situazione non decolla, anzi, all’incipit di “American Dream” uno avrebbe già ampiamente voglia di smetterla. Io non l’ho fatto, ho insistito, e alla fine ho portato a casa un paio di ascolti completi del CD, ma giusto per dovere. Questo disco è noioso, non c’è molto da farci o da dire. La nota divertente è che proprio in settimana Uazza mi ha regalato “18 candeles: the early years”, una raccolta dei primi demo proprio dei Silverstein. La cosa bizzarra è che sentendo i primi cinque pezzi di questa raccolta pare di sentire un’altra band. All’inizio i nostri eroi suonavano come una copia dei Mineral, senza la volontà di distaccarsi troppo dall’originale, ma senza nemmeno apparire troppo scontati. Forse, se avessero continuato su quella strada ora oltre a delle belle copertine i loro dischi avrebbero anche delle belle canzoni.
Ok, volevo parlare di un altro disco che ultimamente sto ascoltando molto, ma non ho più tempo.
Il disco è “Blood Coloured Skies” dei Daylight Seven Times.
Dico solo che secondo me è un gran bel disco e che “Revelation” è un capolavoro.
Ora vado.
Mi piacerebbe chiudere dicendo che ultimamente non sto aggiornando perchè impegnato nella costruzione di una nuova parte di questo sito, ma non è così. O meglio, è in costruzione una nuova parte del sito, ma non sto facendo nemmeno quello.
Viva l’onestà.

Sotto il dito

Ho un problema.
In internet non trovo una webzine decente che recensisca dischi e mi sproni ad ascoltare musica, a documentarmi su una certa band o a confrontarmi col giudizio altrui riguardo un disco.
Una volta leggevo “Munnezza”, da tempo nota come “Dedication“.
Ad essere sincero la leggo ancora, ma non mi piace più.
Il motivo è abbastanza semplice: trovo le recensioni arroganti. Non ho mai avuto nulla contro l’arroganza, per carità, io sono il primo a ritenerla una virtù, però quando voglio documentarmi riguardo ad un disco vorrei che mi si dicesse solo se è bello o meno, non sentirmi giudicato dall’autore per il fatto che io possa o meno ascoltare il disco in questione.
Oltretutto il taglio dato alla webzine da ormai qualche anno è decisamente diverso da quello che era un tempo, probabilmente a causa del cambiamento dei gusti dell’ormai credo unico redattore. Questo fa si che vengano recensiti un sacco di dischi di cui al momento non mi interessa e non vengano quasi mai segnalati quelli su cui vorrei un parere. Questo non è chiaramente un “difetto” della webzine, ma la rende inutile o poco più ad una persona come me.
Tempo fa bazzicavo anche le pagine di “Emotional Breakdown“. Non la trovavo malaccio e avevo anche provato a collaborarci (senza grande successo in realtà) prima che chiudesse. Ora ha riaperto sotto forma di blog e non la leggo da molto. Faccio fatica a trovare quello che cerco, così evito a priori.
Recentemente infine ho provato a dare un’occhiata a “Groovebox“, più che altro perchè ho visto che Uazza ci scriveva sopra e volevo vedere come fosse.
Senza offesa, ma non mi piace proprio.
A costo di fare l’errore imputato poc’anzi a Dedication, mi pare che la recensione dei dischi che conosco non sia decisamente fatta come si deve. Posso sbagliarmi, ma mi pare che l’approccio sia leggere al volo in internet cosa si dice della band in questione e copiaincollare qualche news insieme, più che ascoltare il disco e dire come lo si è trovato. Ripeto, io ho valutato solo le poche recensioni fatte a dischi che posso conoscere anche io, e le ho trovate decisamente poco funzionanti. Magari sulle robe più “metal/nu-metal” vanno forte. Però paragonare gli Used agli Evanescence, per fare un esempio, è proprio indice di non avere un minimo di bagaglio culturale in merito alla questone.
Indipendentemente dai gusti.
Io, per esempio, non mi metterei mai a recensire dischi di un genere che non ascolto. Non ne sarei capace e ne uscirebbero prodotti poco utili a chi cerca una recensione.
Perchè dico cosa farei io? Perchè mi è scivolata in testa l’idea di provare a farmela da me, la webzine che cerco.
Per farlo però, ho evidente bisogno di aiuto e da qui arriva il titolo del post.
Forse per la prima volta da che ho un diario on-line mi rivolgo ai possibili lettori dicendo semplicemente: “chi ci sta, metta sotto il dito”.
Serve una redazione. Possibilmente una redazione variegata, non troppo ampia, capace di dare spazio a diversi tipi di musica senza la pretesa di volerli valutare tutti. Tra le persone che so leggere questo blog e quelle che potrebbero leggerlo senza che io le conosca c’è sicuramente gente che di musica ne ascolta tanta. Si tratterebbe solo di dire quel che si pensa in merito, nè più nè meno di quel che si fa quando ci si vede di fronte ad una birra.
Se qualcuno decidesse di appoggiare l’idea, io sono qui.
Anche solo per parlarne, per stabilire assieme come si potrebbe fare una cosa del genere.
Poi oh, se non dovesse dirsi disponibile nessuno, questo resterà uno dei miei tanti progetti incompiuti ed io continuerò a scrivere dei dischi che ascolto sul mio diario.
E a cercare una webzine decente in rete.

Si parla pur sempre di geni

Ieri, in piscina, mi sono ascoltato “Coaster”.
No, non frequento una piscina particolarmente punk, ma Polly mi ha regalato l’mp3 subbaqquo e quindi ora in vasca trovo il tempo per ascoltarmi i CD.
Invenzione suprema.
Anyway, “Coaster” è il nuovo disco dei Nofx.
I Nofx sono stati per lungo tempo qualcosa più del mio gruppo preferito. Erano i gloriosi anni novanta ed io ero un glorioso teenager che cercava la sua strada per uscire dal seminato. Da anni tuttavia ho semsso di seguirli con l’ardore che avevo in gioventù. Si cresce, ci si evolve, i gusti non è che cambino, però per una persona che ascolta tanta tanta musica è normale sentire il bisogno di rinnovare il tipo di ascolti, perchè per forza di cose dopo un po’ un certo suono inizia a risultare ripetitivo.
Dopo “The Decline” (1999) ho pian piano preso le distanze dai miei idoli, aiutato anche da un disco, “Pump up the Valuum” (2000), che reputo ancora oggi uno dei loro peggiori prodotti. Così devo ammettere di aver concesso ben pochi ascolti a “The War on Errorism” (2003) e ancora meno a “Wolves in Wolves’ Clothing” (2006), giunti entrambi in un momento in cui l’HC melodico era stato da me rinchiuso per gran parte in un cassetto.
Oggi le mie orecchie sono state ampiamente detossificate da quel tipo di suono e sulla scia di un certo revival che ultimamente la fa da padrone nei miei ascolti ho deciso di approcciare “Coaster” con la voglia di sentire un disco Nofx con l’attenzione che gli avrei dedicato anni ed anni fa.
“Coaster” è veramente un disco osceno.
Cerchiamo di capirci: il previa citato “Pump up the Valuum” è un brutto disco per i Nofx degli anni novanta, per il gruppo che in tre anni ha prodotto tre caploavori come “Punk in Drublic”, “Heavy Petting Zoo” e “So long… and Thanks for all the Shoes”.
“Coaster” è un brutto disco e basta.
A mio avviso gli mancano più o meno tutti i marchi di fabbrica che hanno da sempre scandito le opere di Fat Mike e soci. Dodici tracce che stancano, suonano vecchie al primo ascolto e, soprattutto, risultano prive del benchè minimo mordente. E’ vero che, come dice il BU, la musica non la si dovrebbe valutare col metronomo, però cazzo, questo disco proprio non “tira”. Ascoltandolo ho avuto come unico momento di piacere l’analisi del testo di “Blasphemy (The Victimless Crime)”. Mi sono tornati in mente tutti i CLlini che quando ero giovane ascoltavano i Nofx perchè faceva figo, perchè come predica Facchinetti il punk è radicato in CL. Mi piace immaginarli così, mentre mi guardano con sdegno per un moccolo scivolatomi di bocca e si allontanano fischiettando “Blasphemy, want some more? Mother Mary, the virgin whore…”. D’altra parte la coerenza non è mai stata a casa loro.
Il post potrebbe anche essere concluso qui, ma così non è.
Già perchè a me la voglia di ascoltare i Nofx dopo anni è rimasta anche più alta di prima alla fine di “Coaster” e quindi ho rispolverato il mai ascoltato “Wolves in Wolves’ Clothing” per cercare di placare questo mio istinto.
Avrei dovuto immaginarlo.
I Nofx non sono band da toppare completamente due dischi di fila ed infatti il mai considerato disco in questione da subito mi riporta alla mente i fasti del passato.
“60%” è una open track fighissima, “USA-Hole” è tutto quello che chiedo ad una canzone dei Nofx e “Seeing Double at the Triple Rock” è un’autocitazione troppo raffinata per non essere colta da un fan di vecchia data. E poi via con le tracce seguenti, tutte esattamente come dovrebbero essere, o almeno come io vorrei che fossero.
In conclusione, per quel che mi riguarda l’ultimo disco dei Nofx ha la copertina gialla e suona dannatamente anni ’90.
Pare che anche quest’anno di avere buoni dischi in uscita non se ne parli.
Al momento le due canzoni appena uscite che più mi hanno colpito sono “If U Seek Amy” di Britney Spears e “Per Dimenticare” degli Zero Assoluto.
Oh, gran pezzi secondo me, però cazzo…

Nights, where post happens

Zapping.
Guardo un video su MTV, a quest’ora c’è Brand New. Il video è figo, parecchio, il pezzo non male.
Alla fine scopro che sono i Floggin Molly e penso: “Cazzo, se il BU scopre che mi piace sono finito.”
Forse è il caso di cambiare canale, ma Orlando-Philadelphia non è ancora iniziata e sullo stesso canale parte il video dei Kings of Leon. Questo è un gran pezzo, quindi aspetto.
“Use Somebody” è il genere di canzone che, in momenti come questo, amplifica le emozioni.
Non ho sonno, anzi ne ho parecchio, ma non voglio andare a letto.
Domani non lavoro, sono ospite ad un matrimonio, e spero di poter usare la mattina per pulire casa.
Casamia attualmente fa schifo.
Finisce anche il pezzo dei Kings of Leon, partono i Prodigy e cambio canale.
Non c’è veramente un cazzo in tele. Non ci sono più neanche le pubblicità zozze, quindi piuttosto che porta a porta, matrix o ancor peggio the club, mi guardo coming soon che è sicuramente il programma migliore del palinsesto.
Oggi ho ufficializzato il mio futuro. Chiunque mi conosce sa di cosa parlo e chi non mi conosce credo vivrà bene anche senza ulteriori precisazioni. Scelta più o meno obbligata, ma pesante ripercussione emotiva già dall’arrivo a casa.
La mia casa.
Alla fine, le tue cose ti possiedono.
Questi sono stati anche i giorni in cui ho piazzato una delle mie classiche uscite, una di quelle che creano scompiglio, malumeore, risentimento, ma intanto risolvono problemi che, altrimenti, sarebbero restati tali per chissà quanto tempo.
Sono abbastanza soddisfatto di come ho gestito la cosa, anche se forse qualche ulteriore precisazione andrebbe fatta di persona a chi di dovere. Se capiterà l’occasione lo farò, ma se ho capito come vanno le cose da queste parti in 28 anni, penso che con tutta probabilità nessuno dirà nulla e si andrà avanti come niente fosse successo.
As usual.
E’ iniziata la partita e dai primi giochi Orlando mi sembra imbarazzante. Al momento è sotto di sei in casa con i 76ers, in una serie che sulla carta avrebbe dovuto dominare. Vediamo come evolverà.
Orlando vs. Philadelphia.
Se tutto va come spero le vedrò entrambe tra qualche mese, ma anche da questo punto di vista non è che arrivino tutte ste buone notizie quindi meglio chiudere qui la parentesi per evitare malumori.
La regione Lombardia oggi ha approvato la legge anti kebab.
Io amo il kebab.
Non mi soffermerò sulla ridicolaggine della cosa, perchè è una legge targata Lega e questo dice già tutto.
Le cose che mi fanno riflettere sono due: la prima è che questa legge fa parte di un pacchetto “sicurezza”, la seconda è che alla lega gli immigrati probabilmente danno in culo sia se non lavorano, sia se lavorano tanto.
E poi rompono il cazzo a me se, guardando una partita, mi accanisco con la madre di Balotelli.
Per carità, non è elegante agurarsi saltellando la morte di un giocatore di pallone, per quanto irritante, ma credo che in quanto a razzismo io abbia ancora veramente tanto da imparare da chi mi governa.
Orlando è sopra di tre.
Vado a guardarmi la partita.
Chissà se questa notte i miei Hornets espugneranno Denver…

Il suono della linfa

Il suono della linfaCome promesso agli autori, mi appresto a scrivere qualche riga riguardo a “Il suono della linfa”, primo lavoro su lunga distanza dei Seventy Times Seven, o 70t7, che dir si voglia.
Per prima cosa devo ammettere che l’oggettino in se è veramente ben fatto. Ok, la copertina è un po’ troppo “tool” per i miei gusti e forse anche per il contenuto musicale del disco, però le grafiche interne mi piacciono: pulite, lineari e con dei bei colori. Molto figa anche l’idea di inserirmi nei ringraziamenti, se devo essere onesto.
Dopo averlo guardato per benino è però giunto il momento dell’ascolto. Degli ascolti, anzi, prima in macchina e poi a casa. Sentire il disco di una band che hai sempre visto dal vivo è strano. L’impatto coi pezzi ti lascia spiazzato perchè il tutto sembra troppo pulito e quindi meno “carico”, ma è solo una prima impressione. Al secondo ascolto la qualità del lavoro fatto in fase di registrazione e mixaggio viene fuori tutta e quindi il disco prende la forma di ciò che è e non di ciò che si è già sentito ai concerti. La parola che mi viene in mente ascoltando “Il suono della linfa” è cura. Cura nei particolari di tutti i suoni. Ogni accordo, ogni riff, ogni coro è esattamente dove deve stare ed ha un perfetto senso nel contesto. Bello. Anche quando le scelte non coincidono con il mio gusto, con i suoni a cui sono più familiare. Capita, ascoltando i dischi, di sentire passaggi e pensare “io qui avrei usato suoni diversi”. Se si ascolta un disco rock con il mio orecchio, abituato da sempre alla sporcizia sonora, è normale trovare questi dieci pezzi troppo poco ruvidi. E’ tuttavia unicamente un problema di abitudine e si risolve con gli ascolti, cosa a cui sto già provvedendo. Tra l’altro, rispetto all’EP uscito un paio d’anni fa, mi pare siano stati fatti in questa direzione dei passi giganteschi poichè l’aggressività, quando serve, questi pezzi ce l’hanno e la tirano fuori bene. Una pecca, a voler essere pignolo, sono i volumi delle voci che a volte rimangono troppo imprigionate nella musica e non risaltano a sufficienza. Sempre personalmente parlando, s’intende. In sostanza a me il disco piace parecchio. Dieci tracce tra cui non saprei ancora scegliere una preferita, nè indicarne una che non mi piaccia. “Asfalto Bagnato” è un bel singolone e si fa cantare sempre, “Time to explode” e “All inside my head” suonano decisamente bene ad alto volume, “Scivolo piano” credo sia il pezzo più rappresentativo del disco e pur non avendola mai sentita prima già mi piace un bel po’, così come “Piove su di te”. “Dance of the shadow” è un pezzo che non può non piacermi, con archi e tastiere a manetta e “Cenere e anima” ha un minuto finale da pelle d’oca. Restano da commentare “Il suono della tua linfa” e “Too much paranoid” per cui credo di necessitare di qualche ascolto in più e “Burning again” che è ormai una certezza, pur essendo il pezzo che più soffre la trasposizione palco/stereo.
Il mio giudizio quindi è decisamente positivo: il disco mi piace, non mi stanca e continua a regalarmi qualcosina ad ogni nuovo replay.
Ecco, questo è il mio parere in merito.
Ah, ascoltato in cuffia è un’atra cosa, rispetto alla macchina.