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Musica

Una cosa bella che non c’è più

C’è un album che, ogni volta che mi chiedono di dire i 10 dischi della mia vita, metto sempre dentro. Ce ne saranno forse altri due o tre con lui, più di metà della lista varia a seconda del giorno, dell’anno o di come sto in quel momento. A differenza di tutti gli altri però, inamovibili o meno, di questo non ho mai scritto. Non lo so perchè.
Non mi ricordo come mi fosse passato per le mani, ma lo avevo acquistato appena uscito ed infatti ho la prima ristampa, che è poco più di un demo avvolto in un cartoncino.
La copertina è così bella che ce l’ho appesa in casa a mo’ di quadro.
Il disco si chiama Pneuma ed è il primo lavoro dei Moving Mountains.
Ce n’è un secondo, che ho atteso con un’impazienza incalcolabile e che mi ha ovviamente deluso a mille, tanto da non farmelo ascoltare praticamente mai negli anni successivi, e poi ce n’è un terzo che non è piaciuto praticamente a nessuno e che invece per me è stupendo, tanto che basterebbe da solo a mettere i Moving Mountains tra i miei gruppi preferiti di sempre.
Sono riuscito anche a sentirli suonare al Lo-Fi di Milano e c’erano forse 30 persone. Io avevo l’accredito, di conseguenza dubito qualcuno avesse pagato per esserci. Non fu un concerto indimenticabile, i suoni facevano schifo. Comprai comunque la maglietta, probabilmente perchè mi sentivo in colpa per non aver pagato il biglietto di un evento semideserto, ma la presi troppo grande. Per qualche anno è stata un pigiama, poi non è stata più.

Dei Moving Mountains non è uscito nulla per un lasso di tempo che a scriverlo adesso, facendoci caso, è enorme, ma che prima di ora non percepivo tale. Quasi otto anni. In cuor mio avevo smesso di credere esistessero ancora, ma in qualche modo forse covavo la speranza di venire sorpreso un giorno da un disco nuovo.
Su twitter ho scritto che ormai erano come la nonna malata da tanto tempo. Tu sai che è malata, ma ormai la malattia è diventata una condizione che per te andrà avanti per sempre, immutabile, e se anche non credi sul serio un giorno possa guarire come per magia, non sei mai davvero preparato al momento in cui andrai a trovarla e scoprirai che non c’è più.

Circa un’ora fa, non so bene perchè, sono andato sul sito dei Moving Mountians e ci ho trovato un blog con sette post a tema Herpes (?), prova che probabilmente nonna ci ha lasciati per non tornare e in questo momento sto decisamente peggio di come stavo prima di scoprirlo.
Qui sotto metto la playlist della sessione live che avevano registrato per presentare l’ultimo disco, perchè mi piacerebbe qualcuno riascoltasse quei pezzi oggi e provasse a dirmi in faccia che non sono meravigliosi.
Avrei potuto mettere Pneuma, ma avrei dovuto scriverne e probabilmente non è una cosa che voglio fare.
Penso di sapere perchè non ne ho mai scritto: non credo di esserne capace.

The Great Dismal

Ieri ho pubblicato la classifica dei dischi del 2020 e, come ovvio accadesse, dopo undici mesi e tre quarti a non trovare niente di rilevante in quello che ascoltavo, oggi mi è saltato fuori questo disco qui su FB.
Mentre scrivo sono immerso nel primo ascolto e mi sembra un disco superlativo, quindi ho deciso di farci sopra un minipost perchè, oltretutto, aggiungendo questo disco alla mia Top 5 porto in equilibrio simbolico i dischi con le chitarre e quelli senza, che è una roba importante.
Un disco shoegaze sul mio blog, 2020 at its finest.

I dischi del 2020

Il 2020 é stato un anno orrendo, non lo ribadiremo mai abbastanza, musicalmente poteva forse redimersi?
Magari sì eh, solo non per chi scrive.
Un fatto insindacabile è che quest’anno ho avuto zero tempo per sentirla, la musica. Forse lo scrivevo qui sopra tempo fa, forse no (non ho cazzi di controllare), ma non sono il tipo che mette su la musica quando c’è altra gente intorno. Crescere ascoltando roba che non piace mai a nessuno che frequenti ha scolpito in me un certo pudore e ho sempre l’impressione, che poi impressione non è, di rompere i coglioni.
Anche in casa se devo mettere un disco deve essere roba che piace ai bambini o che piace a mia moglie, il che chiude il cerchio ad una decina di dischi e un paio di playlist censurabili.
La musica io me la ascolto in cuffia la notte o in macchina da solo e ‘sto lockdown ha eliminato la seconda e ben più sfruttata circostanza, creandomi un bel collo di bottiglia.
Sarebbe facile quindi dire: “Annata di merda perché non ho ascoltato dischi”, ma di fatto ho comunque ascoltato abbastanza roba per fare una Top 10, solo che non sono riuscito a tirarci fuori più di cinque lavori che mi sembri sensato citare. Tipo: il nuovo dei Touché Amoré è un brutto disco? No, a tratti addirittura “Cazzo, no!“, eppure mentirei se dicessi che lo reputo un disco rilevante. Biffy Clyro? Sentito una volta, mai provato l’esigenza di rimetterlo su una seconda. Magari lo faccio adesso, ma di metterlo in classifica non se ne parla, direi.
Cazzo tengo fuori pure l’ultimo Envy, che voglio dire è comunque una roba con molte cosine al posto giusto, eppure non credo possa mai capitarmi di dire a qualcuno “Dovresti ascoltarti ‘sto disco” e questa mi pare davvero una conditio sine qua non per accedere alla classifica dei migliori dischi dell’anno.
La verità è che 2/3 piuttosto che far partire uno di questi dischi mettevo qualcosa di vecchio. Non vecchio nel senso di qualcosa che sta tra i miei ascolti routinari, categoria con cui è sempre ingiusto fare paragoni, ma semplicemente qualcosa a cui mi approcciavo per la prima volta nonostante fosse uscita tempo prima.
Ci sono poi tutti quei dischi di cui si chiacchiera tantissimo e che si leggono ovunque in classifiche di questo tipo, ma che io lascio volentieri ascoltare ad altri, non per alternativismo, ma proprio perché non sono la mia cosa. Tre nomi per tutti: Idles, Fountains DC e Phoebe Bridgers.
Quindi?
Quindi i cinque dischi che per me vale la pena segnalare di questo dannatissimo 2020 sono questi:

L’ordine è casuale, son tutti belli per motivi diversi e nessuno è davvero in grado di staccarsi dagli altri, in positivo o in negativo.
Dargen ha fatto un disco molto disomogeneo, con episodi che mi irritano come mai prima (Jacopo, per dire) e picchi che stanno probabilmente ai vertici della sua produzione. I secondi sono più dei primi, quindi posto in classifica meritato.
Gli Elephant Brain li ho approcciati perché conosco uno dei ragazzi che ci suona, ma è forse il disco a cui ho dato più ascolti nel 2020. Ne ho già scritto, non ripeto.
Nella mia vita credo di aver ascoltato fino alla fine un numero di dischi di Hip Hop USA che si conta sulle dita della mano di una tartaruga ninja, uno di questi è RTJ4, che è riuscito addirittura a diventare un ascolto ricorrente e qualcosa vorrà pur dire. Un disco clamoroso uscito mentre da quelle parti, letteralmente, si sparava per strada e questo vuol sicuramente dire qualcosa.
Melee dei Dogleg è il disco con le chitarre di questo 2020 (demmerda), quello che più di tutti avrei voluto veder suonare live. Non è un disco con chissà cosa dentro, a parte i pezzi, ma sono ancora uno di quelli per cui i pezzi contano e quindi eccolo lì.
L’ultimo è il disco di Speranza, che ho ascoltato unicamente perché leggevo solo cose bellissime in merito e volevo verificare come facessero a sbagliarsi in così tanti. Invece, SPOILER, ero prevenuto io. Rap Italiano + Caserta me la immaginavo combo ideale per il classico omaggio a Gomorra che non è mai dato sapere quanto sia fake e quanto in malafede (no, non ho sbagliato a scrivere), invece mi ha ribaltato. In primis perché il ragazzo ha un tiro pazzesco, ma poi perché riesce a raccontare la sua realtà con appartenenza, ma senza venderla per forza come una figata o un mondo a cui tendere. È proprio una roba onesta e cruda, che va controcorrente rispetto alla scena in cui si inserisce e che anche quando spinge pesa sui problemi del proprio contesto lo fa come punto di partenza per sviluppare argomenti, non come punto di arrivo su cui parlarsi addosso. Boh, disco pazzesco senza troppi cazzi questo qui, inutile che mi ci metta io a spiegarlo.

Niente, questo è quanto. Leggendo in giro ci sono un botto di classifiche più complete o prestigiose della mia, fate affidamento su quelle senza pensarci un secondo. Oggi però guardavo ad esempio quella di Kerrang! e pensavo che se non è stato un anno terribile per la musica, deve esserlo stato quantomeno per la redazione di Kerrang.

Niente di speciale

La retorica dell’essere speciali ha rotto il cazzo.
Non vuol dire niente, a pensarci. Ognuno di noi è speciale a suo modo e per qualcuno, cosa che rende l’essere speciali tremendamente normale. Se poi parliamo di dischi, il discorso diventa se possibile ancor meno rilevante. Cosa dovrebbe poter rendere un disco “speciale” in senso assoluto?
Niente, appunto.
Adesso vi racconto un disco che hanno scritto dei ragazzi di Perugia che si fan chiamare Elephant Brain. L’ultima traccia, che dà il titolo a tutto il lavoro, chiude così:

Non pensare male
Se tu
Se io
Se noi
Non siamo niente di speciale

Ne parlo perchè non sarà certo un disco speciale, ma è un disco bello. Uno di quei dischi che mi mette la voglia di aprire il blog e buttarmi a sproloquiare opinioni non richieste con l’unica scusa di risentirmelo una volta in più. Come ce ne fosse bisogno.
Dovendo scegliere da dove partire per raccontare queste nove tracce, inizierei dai dettagli più o meno nascosti dentro ognuna, quelle piccole cosine che in questo lavoro sono tutte al posto giusto. Alcune le becchi al volo al primo ascolto, altre magari le noti dopo un po’. Alcune a me sono scoppiate in testa dopo tantissimi ascolti, all’improvviso, magari mentre avevo il pezzo in sottofondo e lo stavo ascoltando distrattamente, un po’ come quando becchi i typo di quel che scrivi non ad una rilettura attenta, ma a cazzo due giorni dopo mentre scrolli la pagina.
Prendi le chitarre di Weekend per esempio. Che belle sono le chitarre di Weekend?
C’è un lavoro minuzioso e certosino dentro questo disco, costruito di dettagli che messi in fila fanno la differenza, sia a livello compositivo, che di produzione e suoni che per una volta son davvero cuciti sulle canzoni con una precisione chirurgica (nota polemica, che se no non sono io: leggo che l’ha prodotto Jacopo Gigliotti, ma mettere sti suoni nell’ultimo disco dei FASK no??).
Anche la parte ritmica mi fa abbastanza volare, perchè ancora una volta non fa nulla di speciale, ma trova sempre il modo più azzeccato per rifinire ogni traccia. Prendi la batteria di Soffocare, per esempio. Che bella è la batteria di Soffocare? Anzi, che bella è Soffocare in toto, con quella sua strizzatina d’occhio ai Touché Amoré che non credo possa essere involontaria neanche se vengono qui a giurarmelo di persona.
Ecco, un’altra cosa bella di questo disco è che coi riferimenti pesca in roba meno immediatamente associabile al genere che spinge. E’ facile infatti associarlo proprio ai sopracitati Fast Animals and Slow Kids, come macroarea: alt-rock in italiano con un buon tiro e di derivazione più punk che indie, volendo ipersemplificare. A differenza dei primi però, gli EB sporcano tutti i posti giusti con tonnellate di sfumature emoeggianti, sia di stampo più mid-west come gli arpeggini di Scappare Sempre e Restiamo quando ve ne andate, sia di tradizione più nostrana come i cori grassi e caciaroni che ci sono sempre in Restiamo quando ve ne andate o in L’unica cosa che conta davvero per me
Che bella è L’unica cosa che conta davvero per me?
Alla fine del disco, Niente di Speciale sfuma in un ticchettio di chitarra che è lo stesso con cui si apre Quando finirà, dando quel senso di ciclicità che, personalmente, mi soddisfa sempre parecchio e che poi altro non è che una scusa per ricominciare da capo e sentire tutto una volta in più. Come se ce ne fosse bisogno.

Niente di Speciale degli Elephant Brain sta su Spotify da qualche tempo e anche su bandcamp. Io l’ho comprato proprio su bandcamp, dove ci sono dei bellissimi bundle per voi nostalgici del vinile. Io che invece sono fissato coi CD la maglietta me la sono presa a parte. Ho comprato tutto esattamente il giorno prima del bandcamp friday, come un boomer qualsiasi.
Lo metto in streaming qui sotto, così almeno vi fate un’idea visto che di quel che ho scritto io probabilmente non si capisce nulla.

The Sadist Nation

One Nation under the gun
Where forward thinking is shunned
A morbid tradition
Of archaic value systems
Where violence justified
Is just another pride
Under the surface lies
A holy plastic empire
With guarded golden fences
Where misfortune
Shelters decisions
A pain wrought from blood flowing green
The myth of protection
Is a sick fascination
A culture of violence is what you are feeding
Fear is an heirloom
And hate is contagious
A Nation of sadists is what you are breeding
It’s everywhere
It’s everywhere that you see
But who decides
If you watch or turn the other cheek
And only in your mind
Is it your given right to be armed to the teeth
It’s a common disease
The only immunity is to disarm
This holy plastic empire disease

Burzum

Non so bene perchè, ma ad una certa Burzum è diventato un fenomeno pop, credo in maniera piuttosto analoga a quanto è successo al logo dei Black Flag, anche se nel caso di Burzum non mi risultano ruoli attivi da parte di Fergie.
Burzum, che di nome fa Varg Vikernes, è stato uno dei musicisti cardine del movimento black metal scandinavo, oltre ad uno con come minimo qualche problema di testa e di sicuro qualche problema con la giustizia. Non mi ha mai interessato più di tanto approfondire il personaggio, la sua storia, e tracciare limiti più definiti tra le cose che ha fatto, quelle che si dice abbia fatto e quelle che lui sostiene di aver fatto. Potrebbero tranquillamente essere tre insiemi privi di intersezioni, per quanto ne so. In fin dei conti parliamo di uno che fa musica che ho speso larga parte della mia vita a disprezzare ed osteggiare.
Perchè ne parlo, allora?
Facile, perchè oggi il tizio se n’è uscito con questo tweet:

In pratica Burzum se ne sta a fare quello che immagino faccia di solito, ovvero dissertare di supremazia, elitarismo e cultura della razza, solo che si trova al cospetto di tanti, a suo giudizio troppi, nazisti della domenica che non hanno capito nulla della questione. Capitelo: parliamo di un misantropo sociopatico che sta bene a suo agio unicamente nei boschi che si trova costantemente assediato da situazionisti impuri che pensano di essere dalla sua parte quando è evidente non solo che non ci dovrebbero stare, ma che lui non ce li vuole.
E’ normale inizi a mettere i puntini sulle svastiche.
Prima facendo notare come l’italiano tipo, che Burzum ha identificato in Aranzulla probabilmente dopo un crosscheck tra numero di follower e info su wikipedia*, non abbia connotati prettamente europei, poi gettando il cuore oltre l’ostacolo e tirando in mezzo addirittura Salvini, trovandolo effettivamente poco credibile nella sua veste sovranista.
I risvolti poetici di tutta questa faccenda mi sembrano evidenti, ma si può ridere ancora di più andando a leggere tutti i vari tweet collegati alla vicenda, tra cui il mio preferito in assoluto è probabilmente questo:

So che non sarebbe il caso di ridere di gente del genere, ma io resto convinto che quello di Burzum sia un grandissimo messaggio: “smettetela di fare i suprematisti, inferiori di merda.”
Per qualcuno questa roba non dovrebbe stare su twitter e forse ha anche ragione, però da persona adulta a me fa sempre piacere quando i nazisti lo sono apertamente e dichiaratamente, tipo sti due idioti. Mi fanno molta più paura (e trovo molto più pericolosi) quelli che non lo danno a vedere.
Un saggio diceva che non dovremmo permettere ai nazisti di togliersi l’uniforme e fingere di non esserlo.
Onestamente non mi sento di dargli torto.

* gag.

Punk Rawk Show

Io avevo un blog, vero?
Mi pare di ricordare di sì, un posto dove scrivevo robe poco interessanti sulla mia vita e su quel che mi dice la testa. E musica, scrivevo anche di musica che mi piace.
Per esempio: questa mattina mi è finito in home su youtube un live del 2015 degli MxPx e me lo sono visto tutto.

Non so se è per tutti così, ma a me sembrano passati mille anni dall’inizio di sto delirio globale legato al COVID e fatico a ricordare i dettagli della mia vita precedente. Com’era andare fisicamente al lavoro tutti i giorni? Com’era avere i weekend pieni di incombenze e cose da fare? Davvero a pensarci mi sembra tutto avvolto dalla nebbia.
Però c’è una cosa che mi ricordo bene ed è quanto fosse figo andare a vedere la gente che suona, cantare sotto al palco stando tutti vicini vicini e passare un’oretta con la testa in un posto diverso da quella realtà che ora non ricordo nei dettagli, ma sono sicuro fosse anche composta di un numero eccessivo di rotture di coglioni.
E niente, quella roba lì mi manca un sacco e vorrei riprendesse domani. Tipo quando attaccano pezzi come quello che c’è a 30:40 e ti viene l’istinto di correre avanti anche se sei seduto alla scrivania. Nel senso, a me viene, anche se poi quando mi ci ritrovo in mezzo non lo faccio più da almeno dieci anni.
Credo di averlo sicuramente già detto molte volte, probabilmente anche qui sopra, ma tra la roba che ascolto c’è n’è per tutti i mood: per quando sei preso bene, per quando sei preso male, per quando hai voglia di sfogarti e per quando vuoi deprimerti di proposito. Se dovessi scegliere un concerto con cui ripartire però, vorrei che fosse di gente che vuole viversela come fosse una festa, perchè in fondo è quello di cui abbiamo bisogno. Non solo per tutto quel che abbiamo vissuto e stiamo vivendo in relazione al COVID, ma anche perchè se è sbagliato fingere che i problemi che non esistano fino a che stiamo bene noi, lo è anche non distogliere mai lo sguardo e staccare la spina.
Questa mattina stavo riflettendo su quanto dica della nostra Società il fatto che le peggio nefandezze si annidino in posti che dovrebbero essere riservati alle persone migliori che la compongono e che invece sono diventati rifugio per le peggiori monnezze umane. Perchè che ci siano persone orribili è un problema irrisolvibile, ma forse una Società non andrebbe valutata in misura di quello, ma di quanto provi almeno a limitarne l’accesso ai ruoli chiave che ne dovrebbero garantire la salvaguardia e, perchè no, il modello etico a cui ambire. Cosa in cui abbiamo evidentemente fallito da tempo e che mi è difficile da digerire.
Quindi ogni tanto vedere qualcuno che mi dice:

Today didn’t have to be this way
Tomorrow is another day

non è poi così male.
Aiuta.
Ah, ultima cosa: nel video qui sopra a 22:20 c’è la dimostrazione che quando una canzone è buona ci puoi pure mettere le fottute trombe, resta stupenda.

Sanremo 2020: le canzoni in gara

Non sto seguendo Sanremo.
Non perchè abbia di meglio da fare o perchè ritenga importante boicottare il festival, semplicemente preso come spettacolo di intrattenimento non mi interessa per nulla e, anzi, soffrirei terribilmente se provassi a guardarlo.
Discorso diverso sono le canzoni in gara, che per qualche motivo ogni anno solleticano la mia curiosità pur sapendo a priori siano tutte ultra lontane dal poter finire anche per sbaglio nello spettro dei miei ascolti.
Questa mattina quindi ho approfittato della playlist che Spotify ha creato ad hoc e mi sono sentito tutti i pezzi, commentandoli di getto e al primo ascolto su twitter.
Qualcuno mi ha detto che poteva essere più intelligente, avendo un blog, racchiudere tutti i tweet in un unico post(o) ed in effetti ha senso, quindi li riporto di seguito esattamente come mi sono usciti.
Una sorta di mini guida a questa edizione del Festival della Canzone Italiana.

  1. Musica (E il resto scompare) di Elettra Lamborghini.
    Boh dai, poi rompevate il cazzo per Despacito.
  2. Me ne frego di Achille Lauro
    Funziona, per me pure più di Rolls Royce. Il personaggio mi resta comunque indigeribile.
  3. Eden di Rancore/Dardust
    Questi han puntato sull’impegno politico perchè gli mancava la canzone. Dubito paghi.
  4. Andromeda di Elodie
    Nel 2020 credo ci stia e lei è brava. A me il pezzo fa cagare.
  5. Tikibombom di Levante
    Fino ad ora il pezzo migliore e lei non è che mi faccia impazzire.
  6. Rosso di Rabbia di Anastasio
    Premio “ritornello dimmerda”. Non è l’unico problema eh.
  7. Fai Rumore di Diodato
    La prima Canzone di Sanremo™ che sento in questa playlist. Per molti è un bene, chi sono io per?
  8. Ringo Starr di Pinguini Tattici Nucleari
    Not my cup of tea, ma il testo è carino e tutto sommato se la sentissi in radio probabilmente non spegnerei
  9. NO GRAZIE di JUNIOR CALLY
    Ma perchè il caps lock? Perchè? Cmq un pezzo rap anonimo e cerchiobottista di cui aveva bisogno solo chi la musica non dovrebbe ascoltarla.
  10. Viceversa di Francesco Gabbani
    Dovrei chiedere a mio figlio, che è il target. La paura è che il ritornello potrebbe anche piacergli, ma con quella strofa la probabilità che ci arrivi è bassina. Brutta non direi, però.
  11. Come mia madre di Giordana Angi
    Sorvoliamo sul “questa chi è?” perchè non è l’unica che non conosco in playlist e l’ignoranza è al portatore come i libretti postali. La voce mi piace ed è la seconda Canzone di Sanremo™ , la SNAI manco quota che me la dimentichi subito.
  12. Baciami Adesso di Enrico Nigiotti
    Sono entrato nel blocco Canzone di Sanremo™? Possibile, cmq non credo ci fosse bisogno di un altro Biagio Antonacci.
  13. Dov’è di Le Vibrazioni
    Sono nel blocco, senti che sensazione di comfort. Però oh, questa tra le Canzoni di Sanremo™ al momento è la meglio per ampio distacco.
  14. Il confronto di Marco Masini
    Perchè Marco? Perchè?
    (Canzoni di Sanremo™ in rimontissima si portano a 6/14)
  15. Carioca di Raphael Gualazzi
    Se skippo è tipo barare, vero?
    Ad un certo punto, prima che diventi triste come un party di capodanno su Canale 5, c’è una linea di piano che per me ha fottuto da qualche parte.
  16. Sincero di Bugo/Morgan
    Non so, mi pare indiscutibile giochi un altro sport rispetto al resto pur trasudando sforzo di non risultare fuori contesto.
    Leggevo che sono ultimi, difficile stupirsi.
  17. Finalmente io di Irene Grandi
    Finalmente?
  18. Voglio parlarti adesso di Paolo Jannacci
    Se vedete due robe che rotolano in terra me le rispedite?
    Non che mi servano eh, è più una questione affettiva.
    (Canzoni di Sanremo™ report: 7/18)
  19. Il Sole ad Est di Alberto Urso
    Mi dite se almeno è cieco? Se no non si spiega.
    (Non rompetemi il cazzo, ho tanti amici ciechi. Canzone di Sanremo™, così anche nel 2020 la quota tenore è salva)
  20. Lo sappiamo entrambi di RIKI
    A questo punto la domanda è lecita: perchè 32 artisti di cui metà inutili? Per finire alle due di notte lo spettacolo? Boh.
    Nona Canzone di Sanremo™ su venti pezzi totali. Inizio ad essere preoccupato, le proiezioni a 2/3 dello spoglio le danno sotto.
  21. Gigante di Piero Pelù
    AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH
  22. Nell’estasi o nel fango di Michele Zarrillo
    Ho perso le parole o forse sono loro che perdono me (cit.)
  23. Niente (Resilienza 74) di Rita Pavone
    Solo cuori.
    E NON VOGLIO SENTIRE REPLICHE.
  24. Ho amato tutto di Tosca
    Ultime speranze per una rimonta impossibile della Canzone di Sanremo™ affidate a sta lagna. Butta male. 
  25. Per sentirmi vivo di Fasma/GG
    Qui è dove mi piglio gli insulti, ma io la salvo nonostante TUTTO. E vi dico di più, la conto come Canzone di Sanremo™.
  26. Tsunami di Eugenio in via di Gioia
    “Siamo figli di Steve Jobs e del T9”
    Salta traccia.
  27. Va bene così di Leo Gassmann
    Non so, Leo. Non sono convinto vada davvero bene così. Direi l’opposto, anzi. (Canzone di Sanremo™ +1)
  28. 8 Marzo di Tecla
    Tecla è un bel nome, non mi spingerei oltre. Poi oh, in confronto al monologo della Leotta questo pezzo è un trattato femminista.
  29. Due Noi di Fadi
    Stiamo chiudendo il recinto coi buoi ormai scappati. Canzone di Sanremo™ matematicamente sconfitta da questa edizione del Festival. A nulla serve questo colpo di reni di Fadi, che quindi potevamo pure evitarci.
  30. Il gigante d’acciaio di Gabriella Martinelli/Lula
    Dignitosissima fino al ritornello, poi va beh, è pur sempre una roba da cantare sul palco dell’Ariston.
  31. Billy blu di MARCO SENTIERI
    Ma perchè il caps lock? Ad ogni modo, le canzoni di denuncia fino a qui erano effettivamente poche, c’era da aspettarsela. Vorrei strapparmi le orecchie.
  32. Nel bene e nel male di Matteo Faustini
    La Canzone di Sanremo™ chiude a 14/32, una debacle pazzesca, ma in fondo “è solo un bene che ci faccia così male”.

Where’s your anger? Where’s your fucking rage?

“Io capisco se in scaletta ci mettono dopo i Pennywise, ma i BoySetsFire?
Chi cazzo sono i BoySetsFire?”

Non so se esistesse davvero una scena punk-rock in Italia tra fine anni ’90 e primi anni ’00, quello che so è che in quegli anni io ed alcuni amici seguivamo alcune band in giro per la Lombardia come fosse un lavoro. Se suonavano da qualche parte ci si andava, che tanto non c’era comunque di meglio da fare.
Una di queste band erano i Persiana Jones.
Erano i primi anni della comunicazione digitale, internet che passava da posto dove cercare le cose a posto dove incontrare le persone. ICQ, MSN, le message board, i forum. Non ricordo bene tramite quale canale successe, ma ad un certo punto a furia di stare dietro ai Persiana Jones avevamo conosciuto Sara, che era una figura all’interno del loro team (non ho idea del ruolo, ricordo che sul telefono avevo il suo numero sotto “Sara Persiana Jones”) e con cui ci si sentiva prima di andare ai concerti, così da passare un po’ di tempo coi ragazzi prima e dopo lo show. Non che fosse necessario avere agganci per fare una roba del genere, l’evento tipo di cui stiamo parlando era una qualsiasi Festa Campagnola di Biassono e i PJ non erano propriamente gli Oasis, però avere una sorta di aggancio per noi era una roba carina.
Ho questo ricordo: fa abbastanza caldo e siamo in un qualche campo brianzolo in cui la giunta comunale ha allestito il classico tendone bianco con i tavoli e la fila per prendere le salamelle, due o tre cessi chimici ed un palco evidentemente sovradimensionato per le band che ci suoneranno sopra. Stiamo bevendoci una birra e a qualcuno di noi viene in mente di dire che andremo anche a Bologna a vederli in un festival grosso, che potrebbe essere il Deconstruction o l’Independent. E’ lì che Silvio un po’ si incazza e tira fuori la frase con cui ho aperto il pezzo. Dice che loro hanno suonato di spalla a tante band e che hanno rispetto per tutti, ma che in Italia muovono parecchie persone e non è giusto che li facciano suonare prima di gruppi americani che non si incula nessuno.
A quel festival ci vado abbastanza prevenuto.
Come si permettono ‘sti BoySetsFire di fare i prepotenti e togliere spazio ai Persiana Jones? Per protesta, me li guardo dalla montagnetta che sta in fondo all’Area Parco Nord. Poi succede che arriva il loro turno, effettivamente piuttosto alto in scaletta, salgono sul palco e attaccano a suonare prendendo a sberle grossomodo tutta la folla presente che, in larga parte, non aveva idea di chi fossero.
A fine set io sono seriamente impressionato, Carlo scende al merch e gli compra tutti i dischi (l’ultimo, in quel momento, era Tomorrow come Today). Qualche tempo dopo me li faccio prestare e li ascolto. Altro tempo dopo li compro pure io. Ancora dopo, diciamo ieri, stavo su twitter a rimpiangere il fatto che di dischi come quelli non ne escano più e che, magari sbaglio, di band come i BoySetsFire non ne esistono più.

Il discorso qui sopra è importante per quel che voglio dire.
Io credo che in questi anni la voglia di dire delle cose, di prendere delle posizioni nette, manchi più delle chitarre distorte nel panorama musicale che ci circonda.
Non tutta la musica deve portare un messaggio, non tutti i messaggi che la musica porta devono essere condivisibili, ma ad oggi mi piacerebbe veder suonare gente che crede nei propri valori quanto ci hanno sempre creduto i BoySetsFire e magari sono io, magari il mio giudizio è viziato dai sentimenti, ma quel fuoco vivo dentro gli occhi prima che dentro ai testi io non l’ho mai visto uguale in nessun altra band.

L’ultima volta che ho visto suonare i BoySetsFire è stato al Transilvania Live nel 2006 (a naso quindi li ho visti solo due volte).
Ricordo che hanno suonato per cinquanta persone mal contate, in un locale che sembrava se possibile ancora più vuoto di quanto fosse. Saliti sul palco ci buttarono lo stesso livello di energia, impegno e attitudine di tre anni prima, per poi saltare giù dal palco e venire direttamente al bancone per passare un po’ di tempo con tutti i ragazzi che ne avessero voglia. 
Dopo quel concerto li ho seguiti ancora per un po’, dal brutto incidente capitato a Josh fino a quando decisero di prendersi una pausa. Lì una pausa me la sono presa anche io e per quanto fossi felice di sapere della reunion nel 2010, non sono più tornato ad interessarmi di quel che facessero o di dove suonassero. E’ possibile io abbia recensito il disco post reunion, While a Nation sleeps, non lo ricordo nemmeno brutto, ma è più onesto dire che non lo ricordo proprio.

Come dicevo poco più su, da ieri sono tornato abbastanza in fissa con i loro tre dischi cardine, After the Eulogy, Tomorrow come Today e The Misery Index
Son tre ottimi dischi, sebbene io mi dimentichi quasi sempre di citarli tra i miei preferiti. Probabilmente è perchè quando penso ai BoySetsFire penso al mio gruppo preferito non per tanto per la musica che ha scritto, ma per le persone che mi hanno sempre dato l’idea di essere.
Anche se, diciamocelo chiaro, hanno scritto una manciata grossa di canzoni incredibili.

Il 2019 di Manq

Fine anno, classico momento per tirare due somme. Oltretutto a questo giro finisce anche un decennio, quindi le somme da tirare sono anche più di due.
Dal 2010 ad oggi di cose, a voler guardare bene, ne ho combinate. Sono rientrato in Italia, ho preso un dottorato di ricerca, mi sono sposato, mi son trovato un lavoro a tempo indeterminato che tutto sommato mi piace, ho comprato casa, ho perso quasi quindici chili e ho messo al mondo due figli meravigliosi (ok, questo potrei non averlo fatto fisicamente io, ma ci siamo capiti). Un decennio decisamente positivo, nulla da dire. Un decennio in cui sono stato prevalentemente bene.
Eppure questo 2019 è stato l’anno in cui mi sono imbruttito.
Me ne rendo conto.
La spiegazione che mi sono dato è che… aspetta. Quel che segue è probabilmente un post di quelli che scrivevo nel decennio precedente, pieni di autoanalisi da quattro soldi e presa male gratis, quindi evitatelo. Davvero. Non è scritto per te.
La spiegazione, dicevo, che mi sono dato è che i due figli stupendi di cui sopra assorbano grandissima parte della mia pazienza. Il poco che rimane lo investo nel tentativo di non uccidere nessuno al lavoro e nei compromessi necessari alla vita di coppia. La cosa bella è che ho una moglie fantastica che 1) non usufruisce che di una porzione infinitesima della mia pazienza e 2) capisce quando non ne ho più e mi vuole bene anche se ogni tanto sbrocco.
Tutto ciò che sta fuori da questi tre ambiti, purtroppo, si becca un Manq a tolleranza zero e non è una bella cosa. Non lo è per chi mi sta intorno, ma non lo è nemmeno per me che di stare in mezzo alle persone inizio ad avere sempre meno voglia. Anche perchè vivo un quotidiano in cui tutte le interazioni si sono esasperate, estremizzate, e in ogni situazione c’è sempre qualcuno pronto a dirti quanto sei un coglione o ad insegnarti come si sta al mondo. 
Una volta abbozzavo. Serenamente. Magari mi spingevo nella discussione (senza il magari, son pur sempre quello che adora le discussioni), ma capivo piuttosto bene quando fermarmi e quando smussare. E lo facevo, di nuovo, serenamente. Oggi no.
Oggi mi trovo spessissimo a pensare “Ma perchè cazzo dovrei desistere dal mandare ‘sto tizio affanculo?” e l’unica risposta che ne esce è “per educazione” oppure, peggio, “per non incrinare il rapporto”. E sarò certamente io in un momento davvero passivo aggressivo della mia vita, ma ho l’impressione che a parti inverse nessuno si sia mai fatto questi scrupoli con me, quindi la vivo un po’ come essere in credito di 38 anni di diplomazia che nessuno sembra intenzionato a darmi indietro.
In più, come dicevo all’inizio, questo decennio è stato quello dei trent’anni che non è probabilmente il più divertente della vita, ma penso sia quello della realizzazione personale. Per me lo è stato.
E’ difficile guardare ai prossimi dieci anni con lo stesso senso di sfida o con la stessa fame di risultati. Anzi, è ovvio che prima o poi la vita inizi a chiedere conto anche delle rotture di coglioni che ci sono per tutti e che io, unicamente per fortuna, fino ad oggi sono riuscito a schivare. 
L’ho detto, mi sto imbruttendo.

Quest’anno ho ascoltato un po’ di dischi, qualcuno anche molto bello.
Li ho riassunti in una playlist di 12 canzoni, scegliendo per ogni mese quella più rappresentativa della fissa che avevo in quel momento.
Non è malissimo, la metto qui sotto.
Buon anno.