Vai al contenuto

Politica

Nonostante tutto, oggi indosso una maglietta rossa.

Sto trascurando il blog.
Lo so.
La causa di questa latitanza, paradossalmente, è il blog stesso, ma questa non può e non vuole essere una giustificazione.
Per questo oggi mi ero già messo nell’ottica di scrivere due righe.
Dopo un’attenta analisi mi ero convinto della necessità, anche solo personale, di dare maggiore risalto alla questione Birmana e quindi avrei scritto volentieri di quello. Sarebbe stato un post abbastanza banale, ricco di domande tipo: “Come mai se non c’è di mezzo il petrolio o comunque una qualche possibilità di lucro, diventa così di scarso interesse esportare la democrazia?”, tutta roba che, per quanto vera e saccrosanta, è decisamente poco stimolante da scrivere, leggere ed eventualmente commentare.
Mi fa male sapere che nel mondo ci siano situazioni così tragiche, mi fa stare ancora peggio sapere che nessuno è intenzionato ad alzare un dito a riguardo e addirittura rabbrividisco all’idea che nonostante il continuare incessante dei morti in loco, la notizia slitterà pian piano dalla prima, alla terza, alla quinta, ad un trafiletto in ultima pagina.
Come pensavo, ho scritto una serie di ovvietà ed il fatto che siano tali non mi fa certo stare meglio, visto che nulla sembra in procinto di cambiare.
Meglio parlare d’altro e ad aiutarmi nella scelta di un nuovo argomento è intervenuta questa mattina “La Repubblica”.
Oggi il quotidiano riportava un’inchiesta di Curzio Maltese sui costi del Vaticano per i cittadini italiani. A differenza della questione Birmana, questo problema secondo me è un po’ meno scontato da affrontare, per diversi motivi:
1 – E’ una questione più vicina a chi mi legge e quindi probabilmente più interessante (altra triste ovvietà).
2 – E’ un problema di cui non si parla molto in giro.
3 – E’ qualcosa su cui forse è possibile intervenire.
Riporto l’articolo per intero, così da non attuare anche involontarie interpretazioni erronee.
Buona lettura.

L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro

I conti della Chiesa
ecco quanto ci costa

“Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati”. Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel “ventennio Ruini”, segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI.
Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama “otto per mille”. Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.

Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il “prezzo della casta” è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. “Una mezza finanziaria” per “far mangiare il ceto politico”. “L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno”.

Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.

Per la par condicio bisognerebbe adottare al “costo della Chiesa” la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.

Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione (“Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire”, nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”. L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime “non di mercato” dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.

La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il “costo della democrazia”, magari con migliori risultati.

Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca “di sinistra” come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce “otto per mille” ma grazie al 35 per cento che indica “Chiesa cattolica” fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.

Ma pur considerando il meccanismo “facilitante” dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio “ritorno sociale”. Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma “quanto” veri?

Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come “esigenze di culto”, “spese di catechesi”, attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al “voto” dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.

Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul “come” le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille “per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa”. Una delle testimonianze migliori è il pamphlet “Chiesa padrona” di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo “L’altra faccia dell’otto per mille”, Beretta osserva: “Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici”. Continua: “Quale vescovo per esempio – sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale – alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?”. “E infatti – conclude l’autore – i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere…”.

A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di “Chiesa padrona”, rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al “dirigismo” e all’uso “ideologico” dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i “vescovi in pensione”, da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: “I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici… Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato”. Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte “il dirigismo”, “il centralismo” e “lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa”. Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: “Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono”.

La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di “scoprire” l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ‘ndrangheta.
Dopo vent’anni di “cura Ruini” la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.

Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica “visibilità uguale consenso”, come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: “La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo”. Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.

(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

Attenzione: post a sfondo politico

Nel giorno in cui blogger celebra il suo compleanno, ho installato wordpress sul mio host. L’idea di costruirmi un blog in php tutto da solo si è infatti rivelata inattuabile, indi ho optato per il tentativo di forgiarne uno utilizzando qualcosa di già esistente, ma che comunque mi permetta di avere un mio DB in cui racchiudere tutti i post. Il fatto che questo sia avvenuto nel giorno in cui blogger, che tanto mi ha dato in questi anni, compie gli anni è del tutto casuale e, come tutte le coincidenze, non manca di affascinarmi.
Non è però di questo che voglio scrivere.
Da diversi giorni medito di stendere qualche riga riguardo il paese in cui vivo. Domenica sera avevo anche scritto un interminabile post, ma poi ho deciso di eliminarlo perchè giunto in fondo risultavo in disaccordo con me stesso. Problema annoso, quello di essere del mio stesso parere.
Una parte di quello che avevo scritto però la condivido ed è da lì che voglio ripartire oggi.
Il mio paese mi fa abbastanza schifo.
E’ oggettivamente vero che sarei potuto nascere in tanti altri posti in cui le mie condizioni sarebbero potute essere molto peggiori ed è matematicamente corretto pensare che la probabilità che questo potesse avvenire era immensamente più alta che non quella di nascere in un posto migliore. In fin dei conti la mia famiglia non se l’è mai cavata male: entrambi i miei genitori lavoravano, i miei nonni non sono mai stati un peso, abbiamo una casa nostra e ,addirittura, un monolocale mio, io ho potuto studiare e scegliere di peggiorare la mia condizione economica e sociale senza che mi venisse imposto dall’alto, insomma tutto questo per l’80% (sparo, ma non credo di andarci molto lontano) della popolazione mondiale sarebbe un gran lusso ed io non manco di riconoscerlo.
Sono però stufo di autocensurare il disprezzo che covo nei confronti della mia nazione solo in virtù del fatto che sarebbe potuta andarmi peggio.
Oggi, quindi, mi lamento.
Ci sono tantissime cose che potrei dire riguardo a quanto poco il bel paese tenga fede al suo soprannome, ma tutte in fin dei conti riportano allo scenario politico e quindi credo di poter riassumere pagine e pagine di lamentele semplicemente andando al nucleo della questione.
Questo week-end, tra l’altro, mi è stato anche fornito un bel pretesto per tirare fuori l’argomento e, non fosse per l’outing iniziale, questo post potrebbe benissimo passare per una reazione a quanto accaduto: il V-day.
Ho smesso di stimare Grillo anni fa, quando sputava sulle televisioni e prendeva soldi da Striscia la Notizia. Oltre a questa incongruenza di fondo da cui è scaturito il mio disappunto e su cui ammetto di non essermi mai voluto informare realmente, ho deciso di dare al “comico” genovese più credito dopo un discorso tenuto con Lale, Ivan e Theo al ritorno dall’avventura in rafting. Il loro punto di vista sul personaggio non era quello di chi idolatra, ma anzi più simile ad un pensiero del tipo: “capisco che ciò che fa lo fa per i suoi interessi, ma almeno ogni tanto fa qualcosa di buono e quando questo accade, viste le condizioni in cui versiamo, c’è da essere contenti”.
Effettiavamente il discorso ha una sua logica.
Tuttavia io sono un inguaribile romantico e mi piacerebbe che chi dice di muoversi nell’interesse della comunità lo faccesse realmente con quell’obbiettivo e non è certo questo il caso. Oltretutto non riesco mai ad apprezzare chi si schiera dietro a facili populismi nel tentativo di raccogliere consenso. Io, Manq, posso dire cose ovvie e scontate “sicuro” di raccogliere consensi perchè sono privo di potere mediatico o risalto sociale. Per questo posso affermare: “i politici italiani danno il voltastomaco” senza dovermi preoccupare troppo. Se invece volessi pormi alle masse e raccogliere fiducia come una sorta di leader, a quella frase dovrei far seguire un progetto in grado di cambiare le cose. Solo così a mio avviso meriterei di essere ascoltato. Grillo questo non l’ha mai fatto e perfino in quest’ultima trovata, che potrebbe indurre a pensare il contrario, mancano idee reali e concrete. Quello che penso del V-Day infatti è quanto ha scritto in merito Daniele Luttazzi sul suo blog, con una sola aggiunta: non aderirei a priori ad una manifestazione che si chiama “vaffanculo-day” perchè, sebbene non sia contrario all’utilizzo delle volgarità, a mio parere un nome del genere priva immediatamente di credibilità qualunque progetto.
Ciò che nonostante tutto colpisce di questa faccenda è l’esigenza della gente di dare retta a qualcuno che non sia parte della classe politica di oggi. Questo secondo me è un segnale da non sottovalutare.
Analiziamo la situazione. Io ho ventisei anni e credo di potermi definire “di sinistra” nella concezione più tradizionale del termine. Non vivo nell’anacronismo che caratterizza i “comunisti” del nostro paese, ma non sono nemmeno moderato al punto di poter avere qualcosa da spartire con Rutelli (o Mastella, o Follini, o… oh mio Dio!). Sono idealista e per quanto so che quello che ritengo giusto sia inattuabile, non smetto di crederci, perchè a renderlo utopico è la società in cui vivo ed in cuor mio penso ancora che la società si possa cambiare. Sono laico e convinto che anche lo Stato debba esserlo, senza tuttavia sentire la necessità di fare guerra a chi è religioso se non attacca lui per primo (d’altra parte “porgi l’altra guancia” è il loro motto, non il mio). Amo la libertà conscio del male che questa, se parziale, possa fare all’uomo che capisce di non averne pieno accesso.
Non penso che in Italia siano molti a pensarla come me, eppure credo che qualcuno ci sia. Per tanti o pochi che siamo il quesito è semplice: chi ci rappresenta?
Già faticavo ad individuare nel panorama politico del mio paese una realtà in cui potermi identificare alle ultime elezioni, ma sono sempre andato convinto che almeno far perdere Berlusconi potesse essere un’ottima ragione per votare dall’altra parte. Con la nascita del Partito Democratico però, l’altra parte diventa insostenibile. Un conto è votare DS conscio che dovranno governare alleandosi con entità di dubbio gusto quali Margherita, Udeur e sti cazzi. Un conto è votare per un conglomerato di cui Udeur, Margherita e sti cazzi fanno parte integrante. Sarebbe come votare per loro.
E’ votare per loro.
Io per loro non voterò mai.
E allora cosa faccio? Credo nell’andare a votare e non sarò mai quello che diserta dall’esercitare il suo diritto/dovere. Non accetto nemmeno l’idea che il mio voto venga dato a qualcuno “d’ufficio” e quindi non potrei mai votare scheda bianca.
Attualmente credo annullerei la scheda, ma spero di non dover prendere questa decisione.
Spero che qualcuno prenda coscienza del fatto che la gente è stufa di non contare nulla e si getti al seguito del demagogo di turno, capace di raccogliere le forze in piazza, instaurare una sana e duratura dittatura ed imporsi sulle genti.
Ci vorrebbe uno come il Duce, magari con amici migliori.
Quantomeno potei lamentarmene dalla mattina alla sera conscio di non averlo mandato io al potere e quindi senza sentirmi responsabile.
Forse no, non potrei lamentarmene dalla mattina alla sera senza subire spiacevoli conseguenze.
Effettivamente serve qualcuno diverso dal Duce.
E diverso da Grillo.
E diverso da Bossi, da Veltroni o dal Silvio.
Serve uno diverso da tutti.
Forse è meglio che inizi a cercare un modo creativo per annullare la scheda.

Questa non è una barzelletta

Oggi ero in laboratorio, come ogni giorno.
All’improvviso la tranquillità lavorativa è stata turbata da alcune grida, inizialmente indistinte. Ci è voluto qualche secondo per capire che si trattasse di slogan.
Incuriositi, abbiamo deciso di guardare fuori dalla finestra.
Si trattava di un gruppetto di animalisti in azione di protesta nei confronti dell’utilizzo degli animali nella ricerca scientifica.
All’inizio ci siamo un po’ allarmati, ma dopo pochi secondi siamo tutti scoppiati a ridere.
Non ce l’avevano con noi, ma con la banca sull’altro lato della strada, rea di aver finanziato la ricerca.
Incredibile.
Sarebbe come andare a cantare cori contro l’inter in via Durini, non indirizzandoli però alla sede della società, ma al barista simpatizzante nerazzurro che lavora lì di fronte.
Gli animalisti spesso sono talmente ridicoli da fare tenerezza.
Ciò non toglie che io li detesti.

Caso politico

Sebbene in questi giorni sulla bocca di tutti non ci sia spazio per altro fuorchè lo scandalo dei preti pedofili e dell’incriminazione del papa, io voglio parlare d’altro. Non che non abbia nulla da dire riguardo a quella faccenda, sia chiaro, ma perchè credo sia superfluo scrivere quanto penso in merito.
Oggi voglio parlare di una donna che ha iniziato volendo rivoluzionare la scena politica Belga (e fino a qui non è che sia un’impresa ciclopica) ed è finita col dare un segnale a tutto il mondo.
Parlo di Tanya Derveaux.
Una donna che per andare al governo ha deciso di attuare la tattica più andica del mondo, in modo radicalmente nuovo e oggettivamente più funzionale.
L’interrogativo è: come è nata questa trovata geniale?
Io mi sono fatto un’ipotesi.
Nella mia testa l’idea le è venuta guardando Ballarò ed analizzando personaggi come Michela Brambilla o Daniela Santachè. Nell’osservarle deve aver pensato: “Certo che per arrivare a quei livelli senza la benchè minima capacità intellettiva dovranno averne fatti di pompini. Potrei fare lo stesso io. Se però faccio come loro e li faccio al Berlusconi belga mi ritrovo ad essere una marionetta nelle sue mani. A loro questo può anche andare bene, ma io che sono sveglia voglio di più. Idea! Io li faccio agli elettori, i pompini, così con lo stesso sacrificio almeno poi non devo sottostare ai comandi di nessuno.”
Un’eroina.
Pronto a sostenere la causa di una ragazza tanto sveglia ed autoironica, ho clikkato il tasto “Blow me” presente sul sito e mi sono iscritto.
Con immensa sorpresa oggi ho ricevuto la risposta e, se prima adoravo questa donna, ora la vorrei a capo del mondo.
La mail infatti conteneva questo filmato:

Consiglio veramente a tutti di seguirlo dall’inizio alla fine perchè è GENIALE, soprattutto nel finale.
Con una campagna elettorale del genere, non può che vincere.
Questa è ovviamente una provocazione, tuttavia mi fa riflettere sul concetto delle “quote rosa”. Qualcuno mi spiega perchè dovrebbe mai esserci un numero minimo di donne al governo o in parlamento? Non sarebbe più sensato mandarci tutte quelle che sono realmente in gamba e se lo meritano? Magari sono pure di più della soglia che vogliono stabilire. Certo non deve essere semplice fare una cosa così in Italia, paese dove il leader di una delle due coalizioni sostiene che il posto della donna è a casa coi bambini e che le uniche donne che mette in posti di rilievo hanno il solo scopo di sollazzare i maschi dominanti del gruppo e fare immagine in TV.
Si arriverà mai alla meritocrazia in questo paese?
Sto discorso mi ha avvilito, forse era meglio parlare dei preti pedofili.
No, forse no.

I wanna pull and shoot the N.R.A.

Diventa difficile lasciar passare inosservato, o meglio incommentato, il tragico evento accaduto negli Stati Uniti d’America. Mi riferisco all’ennesima strage avvenuta all’interno di un college per mano di uno studente armato fino ai denti ed intenzionato a farsi finalmente notare dagli altri.
Risulta tuttavia parimenti complicato commentare la dichiarazione dell’NRA (National Rifle Association) secondo cui la tragedia poteva essere evitata se il campus non fosse stato “gun-free”, perchè gli studenti sarebbero potuti essere sufficientemente armati da fermare il loro collega prima che questi uccidesse 33 di loro.
Un quadretto da puro far west, come sottolineava la mia collega Paola oggi.
Non c’è molto da stupirsi, visto che l’associazione di cui sopra è stata presieduta per anni da Charlton Heston.
Certo che sentire in televisione Ferrara appoggiare la tesi dei pistoleri fa riflettere non poco sulla televisione italiana, sul giornalismo italiano, su Ferrara e su tante cose riguardo alle quali riflettevo già a sufficienza senza che mi venisse dato questo ulteriore motivo per farlo.
Probabilmente cercare di limitare l’accesso alle armi da fuoco non è una strategia sufficientemente intelligente per essere presa in considerazione.
Molto più furbo aumentarne la distribuzione in modo da arrivare ad armare ogni singolo cittadino ed autorizzarlo a freddare chiunque intorno a lui abbia intenzioni ostili, comportamenti sospetti, ideologie sovversive, aspetto non conforme agli standard o si ostini a palesare differenze di qualunque tipo con i modelli autorizzati in voga al momento.
Probabilmente solo così si potrà arrivare ad una società perfetta.
Certo potrebbero servire diversi anni ed innumerevoli vittime, ma nessuno pretende di ottenere risultati senza sacrifici.
Tornando al massacro della Virginia Tech, mi stupisce che ancora non siano stati messi sotto accusa i gusti musicali del killer, le sue abitudini ludiche, i suoi gusti sessuali o la sua religione. Sia mai che per una volta un ragazzo che impazisce e trucida diversi suoi coetanei possa essere etero, cristiano, non avezzo ai GdR e fan, chessò, di Robbie Williams. Non credo si saprà mai, tutto ciò che ci è dato sapere di lui è che era di origine coreana.
Meglio ripeterlo.
Era coreano, non americano.
Devo ammettere che dopo essere stato a New York fatico a comprendere come delle persone così gentili possano sopportare una politica tanto rivoltante.
Certo che se ti abbattono sotto il naso due palazzi di dimensioni letteralmente inimmaginabili (io non riuscivo a figurarmi le torri gemelle arrivato in Ground Zero, lì è tutto talmente enorme che immaginare qualcosa di ancora più grande è impossibile) e cominciano a farti avere paura di qualunque cosa ti stia attorno è facile che inizi a perdere il senno.
Indubbiamente gli U.S.A. hanno perso la guerra contro il terrorismo e nessuna bomba sganciata su nessun paese medio orientale potrà lenire la paura che serpeggia in quella nazione.
Se andiamo a guardare a chi questa situazione fa più comodo poi, non servo certo io per dire che è tutta gente senza barba nè turbante che vive ben lontana dalle grotte afghane.
Sto divagando, quindi non è il caso di continuare a scrivere.
Non voglio sembrare uno di quei vecchi che partono per la tangente ogni volta che tentano di affrontare un discorso serio.
Chiudo precisando che il titolo del post è una [dotta] citazione.

Torniamo alla vita di tutti i giorni

Questa volta voglio essere frivolo e parlare di stupidate.
Prima però voglio dare l’ennesimo esempio di quanto sostengo da tempo.
Elencherò i fatti senza dare giudizi.
Non serve.
Prosperini è un assessore milanese di AN.
Prosperini si definisce cattolico ed anzi si erige a tutela dei valori cattolici in Italia.
Prosperini oggi ha dichiarato di voler “Garrottare tutti i gay”.
Garrottare vuol dire uccidere per soffocamento tramite corde di cuoio bagnato.
La chiesa non ha mai preso le distanze da Prosperini.
Ok, dicevo di voler discutere di cose meno impegnative e così farò.
Ieri analizzavo con una mia collega la nostra generazione. Di solito quando si fanno queste operazioni, il risultato porta costantemente a sottolineare come la propria generazione sia migliore dell’attuale. Nel caso specifico credo che però questo verdetto sia oggettivo. L’esempio da cui tutto è scaturito è il romanzo generazionale.
Mi spiego meglio.
“Jack frusciante è uscito dal gruppo” vs “Tre metri sopra il cielo”.
Cazzo, non c’è proprio competizione.
Volete mettere il mito del giovane bello e ribelle che rimorchia facile le bambine della società bene in sella alla sua sfavillante moto, contro lo sfigato emarginato per i suoi gusti musicali, che si sposta unicamente in bicicletta e che fila per 300 pagine una che poi non gliela da?
Insomma dai, non c’è proprio pargone.
Anche a livello cinematografico. Lasciando stare il confronto Scamarcio/Accorsi che è assolutamente marginale, volgiamo parlare dell’abisso che c’è tra i Faith no More e le Vibrazioni?
Non c’è dubbio, sono arci contento di essere parte della generazione degli sfigati, di quelli che il “punk” lo dovevano ascoltare lontano dai genitori perchè i Punkreas non erano certo i Finley, di quelli che mettevano le allstar perchè costavano 9.900 lire al Bennet, di quelli che robbosi lo erano tutta la settmana e non solo il Sabato sera, di quelli che per provarci con una dovevano armarsi di coraggio e guardarla in faccia (coraggio che nel 70% dei casi non marcava presenza e nel restante 30% era spesso preludio al fatidico due di picche) e non usare il T9.
Insomma, la mia generazione vince tanto a niente nei confronti delle nuove leve e a loro non resta che dire “mi dispiace, ma ve la siete voluta”.
Chiudo l’escursus con una nota assolutamente generazionale: il 30 Aprile ci sarà un live reunion delle Gambe di Burro al Bloom. Speravo la facessero all’A.R.C.I. di Arcore, ma sarebbe stato addirittura troppo revival. Non mancherò.
Tornando ai giorni nostri, ma continuando a parlare di musica mi piace spendere tre parole riguardo il nuovo CD dei Comeback Kid.
Spacca il culo.
Abbandonate le velleità pseudomelodiche del precedente lavoro, i christian-corers americani piazzano un lavoro violento, corposo, ben strutturato, strabordante attitudine e decisamente completo. I pezzi sono tirati, ma non fanno della velocità e dell’immediatezza il loro punto di battaglia come accadeva in “Wake the Dead”, sono piuttosto complessi e dimostrano come si possa suonare HC senza compromessi anche cercando di staccarsi un po’ dalle linee guida.
Lo consiglio a tutti, ma soprattutto a Federico perchè è giusto non lasciar morire la sua anima accaccì.
Oggi Elena mi ha dato le foto della convencion Telethon di Salsomaggiore e dell’aperitivo che abbiamo fatto per festeggiare la mia laurea.
Sono carine.
Eccone una*.
Lab. Rugarli
* da sinistra: Andrea, Paola1, Paola2, Monica, io ed Elena.

Potevo forse esimermi?

E’ abbastanza curioso come tutti gli imput che mi arrivino per scrivere qualcosa qui sopra ultimamente riguardino soprattutto la politica in tutte le sue forme.
In realtà mi piacerebbe scrivere anche di altro, ma sono sincero se dico di non avere molto di interessante da comunicare.
Forse una cosa di cui scrivere prima di darmi alla “res publica” c’è.
Da Lunedì a Mercoledì sarò a Salsomaggiore Terme per una convencion Telethon. Dovrò presentare un poster con i miei dati insieme ad Elena. La stesura del manifesto è stata compiuta un po’ di corsa, ma il risultato finale a mio parere è buono nonostante qualche leggero inestetismo. Speriamo vada bene, sono un po’ agitato all’idea di spiegare il mio lavoro alla comunità scientifica, mi rilassa unicamente sapere che il mio poster probabilmente non se lo filerà nessuno.
La cosa più bella è però poter dire la frase “dal 12 al 14 sono via per lavoro”.
Tra poco arriverà la Bri ed insieme andremo al Magnolia di Milano per il “Nerd Party” quindi è bene non perdere altro tempo e andare al cuore del motivo per cui, uscito dalla doccia, mi sono messo a scrivere sul blog.
Oggi, in giro per la rete, ho visto molti diari tra quelli che sono solito leggere linkare o copiare le “10 ragioni per dire NO al matrimonio omosessuale”. La fonte originale è Craigslist, ma il documento è stato tradotto in italiano da Queerblog. Le ho trovate drammaticamente divertenti, un po’ come il filmatino in Flash che ho linkato Lunedì scorso.
E pensare che l’omofobia nella sua scempiaggine non è nemmeno la peggiore delle nefandezze con cui mi tocca quotidianamente convivere, se vogliamo è addirittura una di quelle che meno mi tange.

  1. Essere gay non è naturale. I veri italiani rifiutano ciò che è innaturale, come gli occhiali, le scarpe, il poliestere e l’aria condizionata.

  2. Il matrimonio gay spingerà le persone a essere gay, allo stesso modo in cui far andare in giro persone alte vi fa diventare alti.

  3. Legalizzare il matrimonio gay aprirà la strada a ogni tipo di stile di vita folle. Le persone vorranno sposare i propri animali domestici, perché ovviamente un cane ha una personalità giuridica e i diritti civili per sposarsi.

  4. Il matrimonio eterosessuale esiste da moltissimo tempo e non è mai cambiato minimamente; le donne sono ancora una proprietà del marito, le nozze sono decise dai genitori, il padre ha diritto di vita e di morte sui figli, i neri non posso sposare i bianchi e il divorzio non esiste.

  5. Il matrimonio eterosessuale perderà valore se sarà permesso anche ai gay di sposarsi. La santità dei sette matrimoni di Liz Taylor verrebbe distrutta.

  6. I matrimoni eterosessuali sono validi perché sono fertili e producono figli. Le coppie gay, quelle sterili e le persone anziane non devono potersi sposare, perché i nostri orfanotrofi sono vuoti e il mondo ha bisogno di più bambini.

  7. Ovviamente i genitori gay tirerebbero su figli gay, proprio come da genitori eterosessuali nascono soltanto figli eterosessuali.

  8. Il matrimonio gay è vietato dalla religione. Dunque in una teocrazia come la nostra i valori di una religione devono essere imposti all’intera nazione. Ecco perché in Italia c’è una sola religione e tutti i bambini devono essere battezzati alla nascita.

  9. I bambini non saranno mai sereni ed equilibrati senza un modello maschile uno femminile a casa. Per questo nella nostra società quando un genitore è da solo, o perché è vedovo o perché è stato lasciato, gli vengono tolti anche i figli.

  10. Il matrimonio gay cambierà i fondamenti della nostra società e noi non potremmo mai adattarci alle nuove norme sociali. Proprio come non ci siamo mai adattati alle automobili, al lavoro in fabbrica e all’allungamento della vita media.

Un fine settimana preciso

A volte capita di passare un week-end preciso, in cui tutto fila come avrebbe dovuto ed alla fine si va a letto soddisfatti, pronti per una nuova settimana di lavoro.
Lo scorso fine settimana per me è andato esattamente così e quindi ho deciso di scrivere un post per ripercorrerne le tappe.
Venerdì sera sono andato a “La Casa 139”, circolo A.R.C.I. di Milano. Ci sono andato con la Bri seguendo questo nuovo trend per cui almeno una sera a settimana cerco di fare qualcosa di diverso. Suonava un tipo Venerdì, tal Fabrizio Coppola. Non sapevamo nemmeno che suonasse, siamo andati lì perchè abbiamo fatto la tessera A.R.C.I. e stiamo cercando di sfruttarla. Il sopracitato cantante stava tenendo un set acustico in cui proponeva in chiave “unplugged” pezzi presi dai suoi due album pubblicati nonchè dal terzo in uscita per Ottobre. Lo show mi è piaciuto talmente tanto che alla fine ho acquistato il primo dei suoi dischi e mi sono ripromesso di andare alla seconda data milanese del suo minitur acustico. Mi piacerebbe proporre ad Aui di venire con me e la Bri a sentirlo, credo che gradirebbe tanto la musica quanto la compagnia.
Sabato mattina mi sono svegliato di buon’ora con diverse commissioni da fare. Il primo punto del programma prevedeva andare in biblioteca a prenotare un libro da leggere dopo Crypto di Dan Brown. L’operazione è perfettamente riuscita perchè ho prenotato “Un nome senza volto” di Ludlum e “Il trono di Spade” di R.R. Martin. A questo punto mi sento in dovere di spendere due parole su Crypto: una merda. Forse due parole sono un po’ pochine, quindi è il caso di argomentare. In sostanza è il classico ed ormai scontato libro di Dan Brown in cui però la tesi cospirativa non appassiona come nelle precedenti circostanze ed in più la trama risulta piuttosto scontata ed incapace di sorprendere. Direi che, visti gli unici intenti che l’autore si pone per i suoi manoscritti, è facile definire il libro come un fallimento.
Seconda tappa della mattinata è stata la questura di Monza, per il ritiro del passaporto della Bri in vista dell’ormai prossima partenza per NY. Tutto ok, documento ritirato e una seccatura in meno a cui badare.
La terza tappa mi ha visto rientrare al liceo “P. Frisi” dopo diverso tempo. L’idea era di dare una copia della tesi alla mia prof. di scienze dell’epoca, ma ho appreso che la totalità dei miei professori è ormai in pensione o in via di pensionamento quest’anno.
Mi sono sentito vecchio.
Sarà perchè sono vecchio.
In tutto questo però sono riuscito a salutare Antonio il bibliotecario e Diario, imperatore del “Mantega”.
Uscito dal mio vecchio liceo con un velo di tristezza mi sono appropinquato all’ultima tappa della mattinata: il Colors Tattoo Studio.
Alle 13.00 di Sabato ho inciso per la terza volta la mia pelle.
Direi che il risultato mi soddisfa decisamente, frocio quanto basta.
La serata di sabato è invece stata all’insegna dello sport: prima spazio alle gesta di Ronaldo sul prato di S.Siro e poi qualche partita a biliardo tra incapaci in un Tatanka inaspettatamente sovrapopolato.
A metà del mio fine settimana ero già ampiamente soddisfatto, ma la situazione è riuscita a migliorare Domenica pomeriggio, quando dopo circa 6 anni di speranze ho potuto assistere alla reunion dei Murder, We Wrote. Cinque pezzi suonati alla festa delle scuole di Cassano d’Adda possono sembrare pochi, ma per i fan che attendevano questo momento da un’eternità, è stato semplicemente magico.
“Falling Down”, cazzo, ho risentito “Falling Down”.
Emozione.
Questo bel week end si è concluso con un aperitivo censurabile al Route 66 e con una visita a casa della Bri.
Ci siamo visti “Lady Vendetta”, un film asiatico che mi aspettavo pesante ed invece si è rivelato bello. Abbiamo anche chiacchierato un bel po’.
Ora chiudo con una chicca scovata Sabato sera su Qoob, il canale pseudo indie di MTV sul digitale.
Mi ha spezzato.

Not a happy ending

Questo vuole essere un saluto ad un uomo che ha sofferto molto e, purtoppo, senza che questo suo sacrificio sia stato utile alla causa che perorava.
Piergiorgio Welby se n’è andato nella notte, alleviato dalla tortura di doversi svegliare nuovamente.
Se n’è andato senza che il diritto di smetterla di soffrire gli fosse concesso.
Addio, Piergiorgio.
Quanta sofferenza
* hai vinto, anche se non nella maniera che avresti voluto.

Caro Prodi, corri a pagina 153

E’ un po’ di giorni che per radio e televisione continuo a sentire parlare di questa iniziativa della LAV e questo mi da modo di tratare un argomento che già da molto tempo avrei voluto affrontare.
Premetto fin da ora di non essere mai stato e di non essere tutt’ora animalista/vegano/sXe/verde o quant’altro. Da un anno a questa parte tuttavia vivo in un laboratorio di ricerca che lavora anche su modelli animali e questo mi ha permesso di vivere più strettamente a contatto con la problematica di cui voglio andare a parlare, almeno per quanto riguarda la parte inerente a cavie e ricerca scientifica. Non ho idea di cosa il programma elettorale dell’Unione abbia promesso in merito, nella fatidica pagina 153, tuttavia credo che un problema etico morale in questo ambito ci sia. Prima di iniziare il mio progetto di tesi, durante i vari colloqui, ho sempre risposto che non avrei avuto problemi a lavorare con gli animali. La mia inesperienza faceva sì che basassi la mia risposta prettamente sul pensare di non avere problemi alla vista del sangue o delle interiora di un topo.
Adesso, alla stessa domanda, risponderei “sarebbe meglio di no”.
Il cambio di posizione in merito tuttavia non è dettato dall’aver scoperto che non sopporto la vista delle operazioni sugli animali, anzi sono molto “affascinato” quando mi capita di osservare alcuni colleghi che operano i topi, li dissezionano o li perfondono (NdM: trattasi di un operazione piuttosto complessa in cui al topo anestetizzato ed incosciente, viene aperto il torace e mandata in circolo Paraformaldeide al 4% tramite iniezione diretta nel cuore. La “para” è un fissativo che, raggiunti i tessuti, li rende sezionabili ed analizzabili per microscopia. Il topo deve essere vivo al momento della perfusione, perchè viene sfruttata l’azione del muscolo cardiaco per la messa in circolo della “para” stessa, tuttavia è inutile sottolineare che l’animale non sopravvive al trattamento.) perchè le operazioni chirurgiche richiedono una cura ed un abilità notevole. La maggior parte di queste pratiche avvengono su cavie assolutamente anestetizzate, oppure già uccise tramite metodi stabiliti e volti ad annullare la sofferenza sull’animale, come ad esempio la decapitazione o la dislocazione, e quindi a mio avviso il problema etico in questi frangenti non sussiste.
Ben diversa è la questione sulla creazione di modelli animali volti ad esempio a riprodurre la patologia in esame nella cavia. Prendiamo ad esempio animali K.O. in cui il gene responsabile della malattia che si sta cercando di studiare viene tolto dal patrimonio genetico della cavia, portando alla nascita di bestie malate nel tentativo di caratterizzarne il fenotipo (in sostanza gli effetti visibili della malattia) e magari di individuare possibili trattamenti di cura. In questo caso vengono messe al mondo creature anche molto menomate e con gravi disfunzioni che spesso muoiono precocemente e dopo aver passato un’esistenza di sicuro poco piacevole. Assodato che questo tipo di ricerca sugli animali è lecita e di conseguenza ritenuta eticamente valida, a me resta il dubbio di quanto in realtà il tutto mi sembri piuttosto crudele. E’ chiaro che se sul piatto della bilancia viene messa la possibilità di alleviare le sofferenze di tante persone tramite le sofferenze di un topo/coniglio/cane/quant’altro, risulta difficile non essere favorevoli alla cosa. In fin dei conti, cinicamente parlando, è un sacrificio che mi sento pronto a compiere. Però vedere questi piccoli topini (perchè da noi fortunatamente teniamo solo topi) che nascono incapaci di muovere le zampe e che passano la loro breve vita in preda a chissà quali sofferenze non perchè la sfortuna li abbia voluti gambizzare dalla nascita, ma perchè un uomo ha scelto di proposito di farli nascere così è abbastanza brutto.
Anzi no, è proprio orribile.
Purtoppo non ci sono moltissime alternative all’utilizzo degli animali per quanto riguarda la ricerca e quindi non credo si potrà poi fare molto, a meno di decidere di precludere alla scienza la possibilità di salvare delle vite in virtù della certezza della sofferenza delle cavie. Per quanto ci sia pieno in giro di gente che si sciacqua la bocca con frasi fatte sulla tutela degli animali, difficilmente l’uomo, se costretto a scegliere tra la sua vita e quella di un topo, opterà per quella del topo. Forse è anche giusto che sia così, tuttavia mi chiedo come si possa generare un cataclisma su diritti di qualcosa che “non è un essere vivente” ed ignorare invece chi vivente e sofferente lo è davvero.
Forse a Dio non piacciono gli animali.
Più probabilmente risultano solo indifferenti al Vaticano.