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Me lo ha chiesto internet

Ieri su twitter è successo questo:

Ora, chi sono io per oppormi al volere della rete nell’epoca in cui perfino le alleanze di governo devono sottostarvi?
Nessuno.
Quindi, nonostante tutti i miei buoni propositi e le promesse, mi trovo costretto a rivedere i miei piani e recensire NINE, l’ultimo disco dei Blink 182.
Se questa cosa ha un lato positivo è che quantomeno questa sarà l’unica recensione che abbia senso leggere in merito al disco in questione.

Nine è il secondo disco dei Blink 182 con Matt Skiba al posto di Tom DeLonge e se sembra diverso da quello prima è essenzialmente per due motivi: Matt ha ricevuto un minimo spazio in fase compositiva e hanno prodotto i pezzi come fosse un disco dei 30 Seconds to Mars.
MH ha un repertorio che non arriva a cinque linee melodiche e credo si sia accorto che riciclarle ulteriormente (Pin the granade) sia ridicolo. Il problema è che quando prova a tirar fuori qualcosa di diverso, finisce col fare il verso ai Police (Hungover you) e il risultato è anche peggio. Spazio quindi a Matt, che a conti fatti canzoni ne ha sempre sapute scrivere. In Nine quindi finiscono pezzi degli Alkaline Trio (Black Rain), che hanno il pregio di risultare freschi alla fanbase, ma un po’ meno a chi ‘sta roba ce l’ha in cuffia da vent’anni. Il giorno in cui in casa Blink capiranno che invece di spartirsi i pezzi sarebbe meglio lavorarci insieme e mescolare gli igredienti forse non ne uscirà il White Album, ma di certo qualcosa di più interessante. In ogni caso, come direbbe Syrio Forel, “Not today”.
Altra chiave di innovazione su cui si punta sono appunto i suoni alla 30 Seconds to Mars (No heart to speak of) la cui efficacia, nel 2019, è tutta da dimostrare nonostante, questo va detto, un disco come questo Jared Leto non lo metterebbe insieme nemmeno se ci lavorasse da oggi alla fine dei suoi giorni.
Il resto è grossomodo quel che c’era in California (Ransom è sostanzialmente Cynical), sgrossato dal peso di dover fare le canzoncine divertenti e voler parlare solo a gente che non ha più di sedici anni. Due ottimi passi avanti, concettualmente, che però certo non bastano a farmi alzare dalla sedia.
Di contro, in tre giorni avrò ascoltato Nine dieci volte e potrei ascoltarlo altrettante nelle prossime ore senza problemi, fischiettando anche qualche pezzo. Non credo esistano altre band di quel giro ancora capaci di farmelo fare, quindi se vogliamo dire che è un disco superfluo e dimenticabile ok, ma brutto in senso assoluto no, specie per il target di riferimento.
Chiudo su Travis con una notizia buona ed una cattiva: la buona è che riesce ad essere inopportuno e fastidioso solo in un’occasione, la cattiva è che in quell’occasione devasta la traccia migliore di tutto il disco (Remember to forget me).

Mi prendo l’ultima riga per ringraziare Andrea per la pietà mostrata nei miei confronti e tutti i regaz che gli/mi hanno datto corda in questa pantomima.
Cuori grossi.

I 10 dischi del decennio

Tempo fa ho fatto la classifica dei miei 10 film del decennio.
Ora è il turno di quella dei dischi. A differenza della prima è stato molto più semplice perchè non ho lasciato fuori nulla di cui sia pentito.
L’ordine non è casuale, ma cambierebbe dieci volte se la rifacessi dieci volte.
1) Envy – Atheist’s cornea
2) Minnie’s – L’esercizio delle distanze
3) Brand New – Science Fiction
4) Modern Baseball – You’re gonna miss it all…
5) Moving Mountains – S/T
6) Sorority Noise – You’re not as _____ as you think
7) Touché Amoré – Parting the sea between brightness and me
8) Dargen D’Amico – Vivere aiuta a non morire
9) Thrice – Major/Minor
10) Defeater – Empty days & sleepless nights

To tweet or not to tweet

Poco fa su twitter una delle persone che seguo ha condiviso il video di una TED Conference a tema social shaming. E’ un intervento molto bello, che credo sia giusto condividere, ma che mi dà anche occasione di buttar giù una riflessione sul mio rapporto con twitter, che nell’ultimo periodo non è proprio rose e fiori.
Prima però metto il video dell’intervento, che è la parte interessante del post. A chi non volesse sorbirsi anche il resto basta evitare di leggere quel che c’è scritto dopo.

Fortunatamente, i problemi che sto avendo io con twitter non sono quelli riportati nel video. Potrebbero esserlo? Non lo so, da un lato credo di no, non è un rischio che correrei volentieri, ma dall’altro è evidente io non abbia una percezione reale di come il mio modo di esprimermi su twitter arrivi a chi legge.
La persona che ha condiviso questo video qualche ora prima mi diceva, dopo avermi dato del troll, che mi esprimo su twitter “come fossi su un forum nel 2003”. Credo sia un commento molto centrato, quindi partirò da lì.

Io non mi sono mai posto più di tanto il problema di come si sta su un social network, quale che sia. Li ho sempre approcciati in modo molto egoistico ed egocentrico: usarli per il mio scopo alle mie regole, non curandomi più di tanto di venire compreso. Non lo dico con l’arroganza di chi crede sia l’approccio corretto, però è una cosa di cui sono consapevole e che non ho mai pensato di cambiare. Vale a tutti i livelli, ovviamente. Su Instragram, ad esempio, non metto quasi mai foto di paesaggi nè uso hashtag per catalizzare visite. Il motivo è che l’ho sempre inteso come un album di ricordi personali da condividere, che debbano parlare di me e non di quanto sia bello o interessante quel che mi sta intorno.
Lo stesso discorso vale per twitter. Ci sono entrato perchè lo trovo un bel modo per stare aggiornato su quel che succede intorno a me e perchè mi dà la possibilità di dialogare con persone che non sono magari accessibili per un’interazione diretta. Non necessariamente persone con cui sono sempre d’accordo, spesso con persone di cui stimo l’opinione anche quando è molto distante dalla mia. Nel video qui sopra si parla di twitter come di “Mutual approval machine” (10:42) ed è una cosa che penso molto vera, ma che personalmente non faccio. Mi piace discutere con persone che la pensano in modo diverso da me perchè mi aiuta a pensare. A volte mi permette di mettermi in discussione, altre volte rafforza il mio punto di vista in virtù dell’aver avuto una visione più completa delle altre possibilità. Puntualmente però, quando mi capita uno scambio di punti di vista con qualcuno che la vede molto diversamente da me, i like sono sempre piuttosto schierati: i follower dell’interlocutore cuorano i tweet dello stesso. Se si tratta di uno che ha “i numeri” di solito le sue risposte ricevono un’approvazione solida e massiccia. Raramente qualcuno della curva opposta trova condivisibile la mia visione ed è una cosa che mi è sempre sembrata “strana”, a livello statistico. Probabilmente parte della spiegazione sta in questo fenomeno di “bolla di approvazione” all’interno di cui ci si muove.

Un’altra parte della spiegazione potrebbe stare nel fatto che non sono capace di comunicare online. Io ho “imparato” a relazionarmi con persone sconosciute usando una tastiera proprio sui forum, per quello prima dicevo che quella descrizione appiccicatami ‘sta mattina è probabilmente molto vera. Non ho cambiato modo di pormi rispetto a quelle dinamiche lì e se c’è una differenza comunicativa tra i due mezzi, io non solo non la applico, ma non la conosco proprio. Oltretutto quel tipo di approccio è piuttosto comune anche nelle chat whatsapp che ho con gli amici, con la grossa differenza che in quel caso sono persone che conosco e a cui è più semplice “contestualizzare” un mio messaggio sulla base della persona che sono, identificandone magari il tono o lo scopo. 
Non è che cerchi di essere criptico quando scrivo, di solito ci provo davvero duro a farmi capire, eppure il messaggio spesso non passa  o non attecchisce. Non sono così insicuro da pensare di non saper scrivere frasi di senso compiuto, ma il numero di persone che hanno a che fare con me online e che non capisce quanto gli dico è diventato “sospetto”, perchè siano unicamente loro la causa del problema. In più sono abbastanza permaloso, quindi per quanto cerchi di non farlo mai per primo, non ho particolari inibizioni nel portarmi a livello di chi si pone in maniera passivo aggressiva o mi tratta evidentemente da scemo e questo, incredibilmente, non aiuta a chiarire eventuali incomprensioni.
Tutto sommato che la cosa fosse in questi termini mi è sempre andato piuttosto bene. Il rate di situazioni in cui uscivo dalla discussione con il nervoso era accettabile e pensavo di avere le spalle sufficientemente larghe per sopportare che una manciata di sconosciuti potesse pensare di me che sono un demente.
Nell’ultimo periodo però mi pare di raccogliere dal mio intorno digitale sempre più merda in faccia ed inizio ad averne un po’ abbastanza. Sono un tizio con 333 follower che nei massimi episodi di consenso online raccatta due o tre dozzine di like. Non ho ancora smesso di chiedermi come mai certe cose che dico non arrivino, soprattutto quando si tratta di gag o battute, ma mi sono rassegnato all’evidenza dei fatti. Sono sempre stato così, però. Quindi o mi prendevo troppo pochi vaffanculo prima (possibile) o qualcosa è cambiato anche nel modo in cui le altre persone stanno sui social. Probabilmente, anche in questo caso, la verità sta in mezzo. 
Il video qui sopra mi ha portato a riflettere sul fatto che le mie spalle potrebbero non essere davvero larghe abbastanza. Ed è una cosa che fa paura.

Da qualche giorno sto pensando seriamente di staccare un po’ la spina a Twitter.
Se non l’ho fatto è perchè credo davvero sia un buon modo per rimanere aggiornati su quanto succede nel mondo: su twitter le notizie arrivano prima e in maniera meno filtrata, lasciandomi un giusto spazio per approfondire. Non è una cosa a cui mi sento di rinunciare.
La soluzione quindi potrebbe essere continuare a starci, ma senza parlare con nessuno. Leggere quel che scrivono gli altri e magari scrivere quel che mi va di dire a mia volta, ma smettere di interagire. Conoscendomi potrebbe essere una delle sfide più difficili per me perchè il mio stare sui social deriva da un grande bisogno di parlare con persone di cose di cui non ho modo di discutere altrove. Al momento la vedo come una rinuncia gigantesca, forse però sovrastimo il mio reale bisogno di stare attaccato a questa macchina.
C’è quel famoso detto: “E’ meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.”.
Ecco io ritengo sia una mega cazzata.
O meglio, se per quel che penso e dico ti sembro stupido è giusto correre il rischio e fare in modo che il tuo giudizio emerga. In un modo o nell’altro, è una cosa che alla fine farà bene ad entrambi. Andando per logica però, potrebbe tranquillamente essere un altro ambito in cui il mio punto di vista si riveli non condiviso.

EDIT: La mia forza di volontà ha resistito sette giorni. Dio, se sono inaffidabile.

 

Dick pics: una chiacchierata con Mara

Ad inizio giugno ho iniziato una conversazione via email con Mara, autrice ed editrice prima di Serialmente e ora di playermagazine, nonché persona particolarmente attiva nella lotta per i diritti delle donne e per la parità di genere. Mi capita spesso di litigare confrontarmi con lei su twitter, ma in questa occasione cercavo un dialogo libero da limiti di caratteri e lei è stata molto disponibile nel prestarsi a questa chiacchierata, cosa per cui la ringrazio molto.
Io sono quello che scrive in corsivo, che non può capire in quanto uomo ed il cui pensiero è irrilevante.
Lei è quella che scrive in grassetto e che parte per la tangente.
Ne è uscita una sorta di intervista certamente più lunga del previsto, ma a mio avviso interessante.
Ah sì, l’argomento è: le foto del cazzo in chat.

Il punto di partenza per me è questo: la pratica del mandare una foto del proprio cazzo in chat come “door opener” di relazioni che nascono online è diffusa. Tutti sanno che è qualcosa che succede, nel mio intorno digitale se ne parla spesso e anche nella mia vita reale, dove frequento persone che non hanno la mia stessa presenza online, l’argomento è sdoganato. Come a dire: esiste un fenomeno di costume che prevede l’iniziare una conversazione mandando all’interlocutrice la foto del cazzo. Se siamo arrivati a questo livello di diffusione del concetto significa che è davvero qualcosa di molto comune nella vita quotidiana delle persone. La mia logica ha quindi tirato due somme: se tutti conoscono il fenomeno vuol dire che ha attecchito, se ha attecchito vuol dire che funziona. Perché, prova a pensarci, lo scopo finale di questa cosa è scopare, giusto? Non ha altre implicazioni. Non c’è alcun ritorno per chi invia la foto se non il portarsi a casa una scopata. Lo fai una volta perché tuo cugino ti ha detto che è una strategia sicura, magari, ma se dopo tre tentativi non hai risultati o sei davvero orgoglioso oltre misura dell’aspetto del tuo uccello e valuti che continuare a spammarlo in giro valga il non scopare, oppure passi ad altro. Credo. Non so dirti il rate di successo, è probabile sia influenzato da mille variabili, ma di certo se nessuno avesse mai scopato grazie alla foto del cazzo in chat, Manq, utente social maschio che non è tendenzialmente bersaglio di questo tipo di messaggi, non ne saprebbe niente.
La prima domanda quindi, se vuoi anche per metterti a tuo agio, è: hai mai ricevuto cazzi in chat? SCHERZO. Non è una cosa che voglio sapere. 
Per iniziare vorrei chiederti se hai la mia stessa percezione, ovvero di un fenomeno reale e diffuso, o se credi che sia legato 80% ad una certa narrazione maschile che per qualche ragione si bulla di azioni che poi in realtà non compie e 20% a reali disagiati che mandano la foto del cazzo anche se non porta da nessuna parte. Immagino che per una donna lo scenario possa anche essere molto diverso, quindi prima definiamo il campo da gioco se ti va. 

Ecco, nel tweet parlavi di “statistiche” e di un “rate di successo” evidentemente incoraggiante al reitero della pratica, ma a conti fatti non stiamo parlando di numeri rilevati statisticamente ma della tua percezione all’interno della tua bolla che – naturalmente – è ben diversa dalla mia che infatti smentisce la tua di realtà. Prima di addentrarmi nella questione vera e propria, però, anch’io vorrei farti una domanda e chiederti se nella tua esperienza, diretta o indiretta, per un uomo l’arrivo non richiesto di foto esplicite è motivo di orgoglio ed entusiasmo, oppure è causa di disagio: ti è mai capitato di discutere con o di uomini che si sono sentiti offesi, mortificati, o infastiditi dall’arrivo non richiesto di particolari anatomici femminili? E se sei incappato in questa situazione la risposta circostante, soprattutto maschile, è stata di comprensione o dileggio?
Prevedo che per gli uomini non solo non sia un problema ricevere foto hot, seppure non richieste, ma anche motivo di vanto e purtroppo l’universo maschile è portato a prendere sé stesso e le proprie reazioni quale metro di misurazione da applicarsi a chiunque altr*.
Il fatto che esista tutto un mondo di donne che stigmatizza come inopportuno, mortificante, fin anche allarmante, il ritrovarsi email e dm con soggetti non richiesti dovrebbe far capire che è molto più comune che la destinataria blocchi il tipo che invia, piuttosto che gli accordi un appuntamento. Anche ammettendo che ci sia qualcuno a cui sia andata effettivamente bene (il “
success rate” di cui parli) non dice nulla di quante volte la pratica debba essere reiterata per produrre frutti: è verosimile che all’invio delle tue pudenda, prima ancora di un ciao, ci sia subito una risposta positiva? Direi proprio di no, così come avviene per un qualsiasi altro tipo di approccio dal complimento al bar, a quello per strada, alla battuta a una festa [rassegnatevi: non esiste una tecnica infallibile]. Prima di arrivare al punto in cui la domanda si incontra con un’offerta bisogna tentare, quindi un tipo che verosimilmente ti dice di aver avuto di recente tre incontri con questa modalità ha probabilmente inviato un centinaio di foto a un centinaio di donne che in prevalenza si saranno offese, risentite, infastidite, ma in questi casi conta il risultato da esibire e tre donne a cui è andata bene questa modalità di incontro diventano facilmente lo standard a scapito di 97 a cui è stata rovinata la giornata.
Poi, sostenere che se l’invio della dick pick continua a essere pratica diffusa – numeri? – è perché funziona, significa anche dimenticare di quanto e come gli uomini siano abituati a fare quello che vogliono, o peggio continuino nel prodursi in quello che ritengono un esercizio di un loro diritto, nonostante venga loro spiegato che no, non è così. Vedi banalmente l’apprezzamento per strada, da anni viene detto che la catcall è offensiva e irritante ma pare che gli uomini continuino come fosse un loro diritto inalienabile. Ti prevengo: sì ci sono alcune donne a cui l’apprezzamento per strada aumenta l’autostima, questo perché il maschilismo non è genetico ma un costrutto sociale che non risparmia le stesse donne.

Hai messo un bel po’ di carne al fuoco, vediamo se riesco a commentare tutto con un minimo di ordine e senza perdermi nulla.
Dici che la mia realtà è diversa dalla tua, ma poi dici che effettivamente le dick pic sono una cosa reale, che effettivamente arriva, quindi settiamoci su questo dato: non parliamo di una leggenda metropolitana, ma di un fenomeno esistente. Che è la stessa realtà che vivo io, l’ipotesi su cui si fonda il ragionamento. Quel che per te è diversa è la percezione che io (uomo) e tu (donna) abbiamo del fenomeno, ma anche qui mi stai facendo più che altro un processo alle intenzioni. Chiarisco: la mia opinione sulla foto del cazzo come primo step comunicativo è che sia una roba completamente senza senso. Lo sarebbe anche a parti inverse, ovviamente. Se una tipa come prima cosa mi spedisse la foto delle tette la bollerei come una matta. E’ vero, probabilmente io non mi sentirei offeso o molestato dalla cosa perché parto da una posizione sociale ben diversa, ma penso che parte del problema sia proprio lì. Ci arrivo dopo, spero.
Quello che non mi torna è la tua certezza assoluta sul fatto che la maggior parte delle donne blocchi il tipo che gli manda il cazzo in chat e che il rapporto stia effettivamente di 97 cazzi mandati a vuoto contro 3 cazzi a bersaglio. Per me è un discorso illogico: così fosse non credo davvero ne staremmo parlando. E’ più probabile la verità stia in mezzo: quel tipo di approccio paga, in qualche modo, ma è difficile stimare quanto perché:
– una donna non può permettersi di dire “sì guarda, io se ricevo un cazzo in chat sono incuriosita” per evidenti problemi derivati, quelli sì, da secoli di cultura maschilista e repressiva (quindi cattolica).
– è ampiamente possibile il fenomeno sia partito da un portale dedicato a scopare (che so, Tinder) e che lì avesse magari un certo “success rate” che ha convinto i minus habens a sdoganarlo in ogni altro contesto. Perché un cazzo in chat su Tinder non è un cazzo in chat su LinkedIn. E non sto dicendo che su Tinder vada bene, attenzione, sto dicendo che capirei se su Tinder in qualche modo pagasse.
In queste discussioni tendenzialmente finisco a prendermi del maschilista (beh, lo sei, starai pensando. In realtà non credo, ma non sono qui per convincere nessuno.), forse è perché trovo superfluo dover precisare che nessuno dovrebbe sentirsi oggetto di attenzioni manifestate in modi che mettano a disagio. So che non è per niente scontato rendersi conto di quanto la realtà sia diversa da questo presupposto, però penso sempre di non dovermi far carico di tutti i malcostumi del mondo maschile semplicemente perché sono nato uomo. Quindi quando dici che ricevere la foto di un cazzo può mettere a disagio una ragazza io lo capisco, quando dici che gli uomini si arrogano il diritto di tenere atteggiamenti fastidiosi impunemente pure. Il fatto ci possa essere qualche donna, poche o tante non conta, che da quegli atteggiamenti non è turbata non giustifica l’estenderli a tutte? Agree.
Spero sia quindi chiaro che la mia qui non è una sorta di apologia del cazzo in chat, non cerco un contraddittorio di questo tipo. Io voglio capire come ci si possa essere arrivati. Prendo il tuo parallelismo perché me lo ha fatto anche un’altra ragazza su twitter: la catcall. Per me i due fenomeni non sono per nulla accomunabili. 
Fischiare o fare commenti ad una ragazza per strada non è una tecnica di rimorchio. E’ una manifestazione di machismo che l’uomo usa per fare mostra di sé, spesso con altri uomini. E’ questione di branco o comunque di autodeterminazione. Nessun uomo fischia per strada sperando di ingraziarsi la vittima.
Il cazzo in chat è tutto un altro sport. E’ una questione privata, non c’è ritorno. Se stai cercando di scopare, fai le mosse che pensi ti portino a scopare. Se hai 100 donne e mandando il cazzo sai che te ne bruci 97, il cazzo non lo mandi.
Tu credi che oggi una ragazza possa dire: “A me piace ricevere cazzi in chat”?

Cito:
“La mia logica ha quindi tirato due somme” […] Non so dirti il rate di successo […] ma di certo se nessuno avesse mai scopato grazie alla foto del cazzo in chat, Manq, utente social maschio che non è tendenzialmente bersaglio di questo tipo di messaggi, non ne saprebbe niente.”
Ripartiamo da qui. La tua percezione, la tua bolla, la tua realtà di maschio etero. Vedi bene che alla tua base di partenza “io Manq utente medio non se saprei nulla se non fosse vero” potrebbe corrispondere un “Io Mara utente media non ne ho mai sentito parlare come di tecnica efficace” e le due percezioni si annullerebbero senza  numeri, statistiche, ricerche a suffragare la percezione dell’una o l’altra bolla. Dal tuo tweet iniziale dicendo “statisticamente” ti avevo preso alla lettera, pensavo che effettivamente avessi letto di qualche ricerca sull’argomento ma qui siamo nel campo di “la mia esperienza”.
Ma, prima di proseguire, metto prima i puntini sulle i. Sì, sei maschilista e no, non lo dico come offesa, pregiudizio o preveggenza: semplicemente lo siamo tutti, donne incluse, perché siamo stati educati e cresciuti in una cultura maschilista e sessista per liberarsi della quale serve fatica, impegno,  un’attenzione costante e una rinuncia, da parte degli uomini, a privilegi che non sono altro che soprusi socialmente accettati, e mi riferisco anche agli atteggiamenti più banali e scontati. Precisazione non necessariamente rivolta a te: rispettare le donne, riconoscere i loro diritti, essere per il consenso, essere contro la violenza ed essere a favore di un trattamento economico equo, è l’ABC della convivenza civile, nessuna medaglia al valore se credi in tutto questo. Un po’ come un genitore che dice “provvedo ai miei figli e non li picchio mai”: ci mancherebbe altro, è il minimo sindacale per essere genitori.
Quando scrivi “però penso sempre di non dovermi far carico di tutti i malcostumi del mondo maschile semplicemente perché sono nato uomo” confondi la colpa con la responsabilità: non è colpa tua se la situazione è quella che è, ma diventa una tua responsabilità continuare o meno a mettere in atto comportamenti che perpetuino lo status quo perché, come dicevo più su, essere contro la violenza, a favore del consenso ecc, non è sufficiente, bisogna che gli uomini rinuncino a quello che credono sia loro dovuto e cambino sistema di pensiero.
E qui mi ricollego al discorso principale.
Con l’esempio della catcall non ho voluto equiparare una presunta tecnica di rimorchio, l’invio della dick pic, ai fischi e lazzi per strada, ma mi è servito per sottolineare quanto poco agli uomini importi della reazione delle donne: da anni, ormai, agli uomini viene detto e ribadito che quella è una pratica indesiderata, ma loro continuano perché non ci vedono nulla di sbagliato, e se va bene a loro questo è tutto quello che vogliono sapere, e anzi sono convinti che alle donne piaccia anche se fanno finta di no.
Quindi sì, non ho mai negato che ci sia una diffusa pratica di invio di quel tipo di foto ma nego che possa essere una pratica che porta i propri frutti su una scala tale da far diventare il fatto una tecnica efficace per racimolare una serata di sesso. Chiarisco ulteriormente, non sto parlando di due che si messaggiano, si “
piacciono” e da lì si passa al sexting: quando c’è reciprocità non esiste discussione.
Ma visto che parliamo anche di strutture di pensiero diverse e spesso opposte, prova a condurre un piccolo sondaggio tra gli uomini che cercano di portare a casa un paio d’ore di sesso e chiedi loro: se inviando a 100 sconosciute una foto del tuo pene, 97 si risentono, ma 3 sono a colpo sicuro, ti lanceresti? E vedi cosa ti rispondono. Malignamente, per me, per molti la risposta sarebbe “Sono carine queste tre?”. Seppure.
Ma ora parliamo di un po’ di numeri.
L’invio delle dp presuppone che l’uomo in questione sappia cos’è il consenso, e sappia distinguere una molestia da un comportamento considerato sessualmente eccitante. E non è proprio così. Se questa pratica fosse davvero conosciuta e sdoganata questi numeri direbbero qualcos’altro. (Link)

“Women also say they are not asking for these pictures. Only 11 percent of women overall say they have asked to be sent a dick pic. That number increases to 23 percent among millennial women. However, of the 53 percent of millennial women who have received a dick pick, more than three in four (78 percent) say those pictures were unsolicited.”
Ma la parte interessante è questa, la percezione di cui parlavamo prima e di cosa gli uomini pensano che una donna pensi:
“This miscommunication about nude photos also extends to the ways women perceive those pictures and how men think women perceive them. When given a range of adjective most millennial women picked the words “gross” (49 percent), “stupid” (48 percent), and “sad” (24 percent). When millennial men were asked how they think women would describe dick pics, the number one answer was “gross” at 32 percent. However, the second highest adjective chosen was “sexy” at 30 percent. Only 17 percent of millennial women described dick pics as “sexy.” The same was true for just 9 percent of women overall”
Infine:
“Previous research has found young men are less aware about what constitutes sexual assault. A survey by the National Sexual Violence Resource Center found that young men are less likely than women to view things like non-consensual voyeurism, sexual coercion, and verbal harassment as forms of sexual assault. This is especially troubling given the number of young men who are sending dick pics and the even greater number of women who are not asking for them.”
Quindi gli uomini non solo tendono a non sapere cosa è molestia e cosa no, ma pensano che alle donne piaccia e – aggiungo io – semplicemente perché piace a loro.
Quindi in questo contesto desolante mi pare inverosimile che ci siano frotte di ragazzi o uomini che con l’invio del proprio pene rimedino una serata a colpo sicuro.

Temo ci sia tra noi un gap comunicativo, ma forse non ha tanto senso insistere oltre su quel che è percezione e quel che è assodato perché se non sono riuscito a spiegarmi fino ad ora, non credo di poter migliorare.
Mi piace la parte sui dati e ci vorrei tornare sopra, partendo però da quanto scrivi nel paragrafo prima relativo al nostro essere maschilisti come società, cosa su cui hai assolutamente ragione. Il punto che vale la pena forse analizzare è che la società maschilista è composta tanto da uomini, quanto da donne. Togliamo per un secondo l’uomo dall’equazione e concentriamoci sulle donne.
Vivere in una società radicalmente maschilista porta le donne a vivere male aspetti della sessualità che non andrebbero vissuti così. E lo capisco, perché non è facile smarcarsi da un giudizio costante e ossessivo che parte dall’aspetto e arriva agli atteggiamenti. Se me lo chiedi siamo in un momento brutto della storia in cui non vedo muovere grandi passi verso una reale emancipazione della donna, ma proviamo a dimostrare che così non è con battaglie che puntano molto più sul punire l’uomo che non sul mettere la donna nelle condizioni di non essere più vittima. Questa stortura, a mio avviso, genera mostri. Se non lavoriamo per togliere dalla testa delle donne 2000 anni di cultura cattolica in cui il sesso è peccato, vergogna o, nel migliore dei casi, qualcosa di bello SE fatto al momento giusto e con la persona giusta (ad insindacabile parere di terzi) non risolveremo mai il problema, ipoteticamente anche cancellando 2000 anni di cultura machista dalla testa degli uomini. 

Sarò io che over semplifico, ma il mio mondo ideale non è quello dove nessuno manda foto di cazzi, ma quello in cui la foto di un cazzo non è che un selfie. Una parte anatomica che accomuna metà della popolazione del globo, magari non esteticamente splendida, ma certamente nulla che possa turbare, sconvolgere o far sentire una donna molestata. Cerca di capirmi qui, perché è importante: non voglio cambiare le donne per “scagionare” o “depenalizzare” certi atteggiamenti maschili. Credo tuttavia che in un mondo in cui tutti vivessimo con serenità e senza tabù la sessualità, metà degli atteggiamenti che oggi sono molestie (e lo sono, insindacabilmente, perché arrecano danno) non lo sarebbero più. Ripeto: non sto dicendo che mandare la foto del cazzo sia una cosa innocua di cui le donne fanno ingiustamente un problema, sto dicendo che è un problema e come tale va affrontato, ma che lo è anche a causa di un bias culturale che non riguarda chi manda la foto, ma chi la riceve. Spero sia chiaro il punto. La domanda, ora.
E’ possibile che i dati che citi, come l’esperienza diretta che hai parlando con altre donne, siano “fallati” dal fatto che, in merito a certi argomenti, semplicemente le donne non siano nella condizione di essere sincere? Non voglio ridurre tutto alla regola del 3 di American Pie, ma è un buon punto di partenza. Aggiungo, ritornando al discorso culturale, come ti poni rispetto al ragionamento che ho tentato di fare sul peso che una certa cultura ha sulla donna e sul concetto di molestia?

Quando dici “ma proviamo a dimostrare che così non è con battaglie che puntano molto più sul punire l’uomo che non sul mettere la donna nelle condizioni di non essere più vittima” incorri nel primo errore, quello di dividere il problema in due parti separate e caricare la donna dell’onere della prova: non funziona così. Il rapporto tra i generi è strutturato e solidificato in quello che è un rapporto tra oppresso e oppressore, ti sembrerà una esagerazione, ma è esattamente così. Appena fino al 1996 lo stupro in Italia, non nella Repubblica Centroafricana, era un reato contro la morale pubblica: culturalmente siamo andati poco più avanti.
Tutto il mondo è fatto a immagine e somiglianza del maschio bianco etero, incluse le più piccole faccende che riguardano le donne sono pensate e concepite in funzione dell’uomo. In queste condizioni è impossibile che le donne da sole decidano che “il sesso ci piace e non ce ne vergogniamo e vogliamo anche tatuarcelo e portarci a casa ogni sera uno diverso” e tutto è bene quel che finisce bene, perché dall’altra parte deve esserci una maturazione della cultura del consenso, di educazione sessuale che deve innanzi tutto essere educazione all’intimità, e un cambiamento radicale, profondo, epocale della cultura maschile altrimenti il tuo discorso si riduce esattamente a un mero tornaconto, avere una facilità di fare sesso sempre e ovunque e senza che l’uomo si metta in discussione.
Ma l’errore più comune e grave che commetti, tu come tanti altri, è considerare le problematiche femminili a compartimenti stagno: non funziona così, e la liberazione sessuale delle donne è inestricabile da quella economica: finché le donne non avranno diritto a pari trattamento salariale, trattamento equo sul lavoro e durante il lavoro, tutele in caso di maternità, finché le donne non potranno fare carriera in ogni singolo settore, sfondare il famigerato tetto di cristallo, guadagnare quanto gli uomini e avere le stesse identiche opportunità, la liberazione sessuale sarà impossibile perché sesso&potere sono indivisibili. Vuoi le donne sessualmente libere? Rinuncia ai tuoi privilegi, rinuncia alla tua posizione predominante all’interno della società. Altrimenti troppo comodo avere sesso facile e a portata di mano ma con gli uomini ancora in vantaggio anni luce in economia e lavoro. Esemplifico con il commento di un utente maschio trovato su Quora, il titolo di discussione è “Why aren’t women turned on by dick pics?“, intervengono sia uomini che donne e, stringendo, anche per un paio di donne che dicono di gradire, il punto è sempre lo stesso: consenso e contesto. Ma, a proposito di potere
Men are generally much bigger and stronger than women and often have a lot more social power. (…) Consequently, if a woman sends an unsolicited pussy pic to a guy, he doesn’t feel threatened because he knows he can easily dismiss her if he doesn’t want her. When a man sends an unsolicited dick pic to a woman, though, there’s a whole different power dynamic. The woman may feel threatened because she knows this man who keeps violating her by sending her pictures she doesn’t want could easily go a step further and have his way with her against her will if he wants to. (link)
Auspichi le donne libere che possano postare e ricevere allegramente nudi e dick pik senza lo stigma dell’essere una facile? Sii un alleato per le battaglie femministe sul lavoro, non puoi avere l’una senza l’altro. Desideri che tua figlia da grande possa vestirsi come le pare, tornare all’ora che preferisce, potersi scambiare selfie e foto scherzose delle mutandine con i draghi con compagni/e di classe senza essere bullizzata, poter prendere i mezzi pubblici senza che qualcuno le metta le mani addosso, avere 13 anni senza che i 40enni la guardino in spiaggia o all’uscita da scuola pensando “è già una donna…”, ecco battiti affinché da grande abbia le stesse identiche opportunità di lavoro, carriera e salario degli uomini senza che nessuno la faccia sentire in dovere di aderire a un modello estetico, o la giudichi da meno perché le donne sono inadeguate a ricoprire posizioni di comando, sono problematiche, emotive, fanno figli…
Ma tornando alla questione principale. Io ho inteso la tua posizione, tu dici “
se gli uomini continuano a inviare dick pic vuol dire che il riscontro è positivo perché altrimenti non lo farebbero, converrebbe loro più non farlo che farlo“. Il fatto è che, al di fuori di un discorso di percezioni, Io non trovo alcun riscontro alla tua ipotesi, piuttosto articoli che puntano nella direzione opposta.
Ne linko uno in cui la giornalista che si è resa disponibile all’invio di dick pic, successivamente ha intervistato diversi uomini proprio per sapere se l’invio del loro pene sia mai stato determinante per concludere: la risposta è no, funziona solo se è già in atto una “
conoscenza“. La giornalista conclude:
And another thing: of all the people I interviewed, not one had actually slept with a woman after sending an unsolicited dick pic. So there could be something in that for all you straight white men thinking about sending a dick pic. Maybe just don’t.(link)
L’articolo è però datato agosto 2017, due anni sono una piccola era su internet, magari qualcosa è cambiato.
Ho trovato altro materiale, ma tutto quello che c’è a proposito della dick pic come tecnica di rimorchio rimanda a molestie e consenso. Non ho trovato nulla che evidenzi un trend per il quale l’invio dei propri genitali faciliti in prima battuta un uomo. Ci sta che una donna non si senta di ammettere “
sì, mi piace che mi si inviino nudi“, ma a questa donna che non si esprime corrisponde la mitomania da bar degli uomini che da sempre millantano conquiste solo immaginarie.
Per chiudere, una riflessione: facciamo conto che sia vero, inviare una dick pic è un approccio vincente, come concili questa pratica con il fatto che solo due mesi fa è stato votato l’emendamento di Boldrini a tutela delle donne vittime di cyberbullismo (e voglio vedere all’atto pratico se farà differenza)? Come possono tante donne gradire un comportamento dal quale allo stesso tempo non hanno i mezzi per difendersi quando non è richiesto?

E’ probabilmente vero che il comportamento e l’educazione femminile non può essere analizzata a compartimenti stagni e che sulla libertà sessuale pesa, in primo luogo, la mancata emancipazione economica della donna. Nella prima parte del tuo commento però fatico un po’ a seguirti, non perchè quel che dici sia sbagliato o non condivisibile, ma perchè mi sembra tu voglia un po’ troppo aprire il campo da gioco e non lo faccia sempre in modo “attinente“.
Commento la seconda parte quindi, provando a rispondere alla tua riflessione. Premessa: hai citato degli articoli che in pratica sostengono mandare dick pics sia inutile, ai fini di cui discutevamo. Per me la cosa non ha senso, ma non ha senso nemmeno mandare dick pics, quindi ecco, ci sta il mio presupposto fosse basato sul un metro di giudizio che evidentemente non è largamente condiviso nel mondo maschile (etero?). Siamo venuti a capo della domanda principale, quantomeno. 
Ora, come possono le donne gradire qualcosa da cui però non possono difendersi? Qui per me torniamo al problema centrale: perchè dovrebbero “difendersi” dalla foto di un cazzo? Nell’articolo che citavi si dice:
“The woman may feel threatened because she knows this man who keeps violating her by sending her pictures she doesn’t want could easily go a step further”.
Io capisco il ragionamento e non mi permetto di dire sia infondato, ma ci sono dei dati a supporto di questa “
paura“? Una correlazione tra foto di cazzi non gradite e effettivi “step further“? Perchè quel che cerco di dire dal principio (probabilmente male) è che una narrazione che sovraccarica comportamenti che abbiamo assodato essere fastidiosi e irrispettosi, di implicazioni violente a mio avviso non fa bene alla causa. E’ sacrosanto diritto della donna non ricevere foto non gradite di cazzi, ma non penso faccia bene averne paura. Non se non c’è un reale motivo per averne. 
In altre parole, estremizzando giusto un po’ per darti l’appiglio a non seguire il discorso e partire per la tangente (
I’m joking), non credi il tuo discorso sugli uomini come macro categoria assomigli ad un certo tipo di discorsi fatti sugli immigrati o i rom, come macro categorie? 

Io vorrei essere stringata e rimanere sul punto della domanda, il problema è che è impossibile, ma non per le mie scarse doti di sintesi, semplicemente perché hai preso in esame un argomento che è interconnesso con un problema risultante da una cultura sociale, politica ed economica che dalla notte dei tempi opprime la donna: il patriarcato.
Tu dici:

“[..]comportamenti che abbiamo assodato essere fastidiosi e irrispettosi, di implicazioni violente a mio avviso non fa bene alla causa. E’ sacrosanto diritto della donna non ricevere foto non gradite di cazzi, ma non penso faccia bene averne paura.”
Ecco, quello che pensi tu è irrilevante, e quello che davvero non fa bene alla causa è che tanti uomini pensino di essere in diritto di avere un’opinione sul cosa e come una donna dovrebbe sentirsi in una posizione disagiata in cui è stata messa. La persona del commento di cui sopra ha intuito giusto: la donna atavicamente è stata delegittimata e privata di potere e nel momento in cui è oggetto di una molestia, oltre alla sgradevolezza dell’atto, c’è anche l’impotenza che deriva proprio dal sapere di non avere alcun potere, e di non avere i mezzi per rispondere adeguatamente, per esempio con una denuncia, se ritiene il caso. Se una donna sente la propria incolumità in pericolo, non conosco la sua storia, le sue esperienze, la sua situazione, e quindi di sicuro non mi sento di derubricare una paura a esagerazione: penso non dovrebbe farlo nessuno.
Ma se vuoi l’estrema sintesi: la liberazione sessuale delle donne è inscindibile dal potere economico, finché la donna non avrà pari opportunità di guadagnare, fare carriera, ricoprire incarichi di potere tanto quanto gli uomini, gli uomini vedranno sempre nelle donne un oggetto sessuale a disposizione, in ogni caso, una persona di rango inferiore.

“Non credi il tuo discorso sugli uomini come macro categoria assomigli ad un certo tipo di discorsi fatti sugli immigrati o i rom, come macro categorie?”
Non saprei, tu ritieni forse che gli afroamericani quando parlano di razzismo trattino i bianchi come macro categoria tipo i discorsi sugli immigrati o i rom? Bisognerebbe essere un afroamericano per saperlo.
Chiudo con un consiglio: Nanette di Hannah Gadsby, disponibile su Netflix, illuminante per la questione femminile.

 

I 10 film del decennio

Sui social sta girando questo giochino di fare la classifica dei migliori 10 film del decennio che si sta concludendo.
Come sempre in questi casi, ecco la mia versione.
Premetto che:
1) potrei aver dimenticato cose.
2) volevo tenermi uno spazio per il nuovo Tarantino su cui punto tantissimo.
3) mi è girato il cazzo non poter inserire cose meritevolissime tipo Gravity, Nice Guys, il primo Avengers, Perfetti Sconosciuti (per dire una roba Italiana), Ex Machina, Arrival, Rush e via dicendo.

Marchetta

Non è vero, quella che segue non è una marchetta. Nessuno mi pagherebbe per scrivere roba, a nessun livello, e credo mi stia molto bene così.
È successo però che Rob mi chiedesse se mi andasse di scrivere due righe sul disco/EP del suo gruppo. Rob l’ho conosciuto su twitter, ci accomuna una certa passione per un certo tipo di musica. Di norma non mi piace scrivere male di roba fatta da gente che conosco, ma ovviamente non mi va nemmeno di scrivere cose che non penso, quindi ho questa “regola” per cui se il disco mi fa cagare glisso, se invece posso parlarne bene non vedo perché no.

Il disco si chiama “You’re not the places you live in“, loro sono i Morningviews e la mia opinione sta sotto il player, così se non vi interessa vi sentite il disco e basta.

La cosa bella di non scrivere più di dischi fuori da questo mio spazio è che non sento più la pressione ad azzeccare i riferimenti che uso per dare un’idea del prodotto. Prima ci passavo un tot di tempo a definire coordinate che fossero precise e tanto più si usciva dallo spettro dei miei ascolti canonici, tanto più sentivo il peso di non sbagliare. Era un casino. Qui invece me ne batto i coglioni e il risultato è che se dovessi descrivere questo disco di getto direi che è un disco dei Deftones suonato dai Mineral. Pesantina eh?
Meglio argomentare.
È un discorso di sensazioni. È un disco che fonda su quegli arpeggini che sfociano in muri di chitarre, tipici di un certo emo primi anni 2000, però usati per disegnare melodie che più che suscitare malinconia mettono a disagio. Presente no, le linee melodiche dei Deftones? Ecco.
Poi ovviamente il disco è molto più di questo. Anzi, se vogliamo una critica è che per soli cinque pezzi ci hanno infilato un po’ troppi riferimenti e diventa difficile orientarsi e dargli un’identità. Dopo tre tracce decisamente più vicine a certe atmosfere alt-rock, addirittura post-metal se vogliamo (e se il termine esiste), ti ritrovi in cuffia Dye, ovvero i Moving Mountains di Pneuma impegnati a farci sapere di aver compreso la cifra stilistica dei Brand New. È un bel salto.
L’abbondanza di riferimenti viene fuori anche nelle parti vocali: abbiamo le linee pulite, abbiamo gli scream e pure alcuni passaggi parlati/recitati. C’è n’è davvero per tutti i gusti e questo credo sarà un bel vantaggio quando le tracce da mettere in fila saranno dieci o dodici: troppe idee non sono mai un problema. Se ci pensate capita spesso di pensare che un disco abbia qualche traccia di troppo, ma non altrettanto spesso di pensare ne abbia meno del necessario.
Arriviamo all’ultima spinosa questione: è un disco derivativo? Parecchio, ma non credo che loro negherebbero questa cosa. Io ho 38 anni e magari ho ascoltato meno dischi dei ragazzi(ni) che oggi recensicono roba online, però quelli che ho ascoltato li ho ascoltati per il doppio degli anni. Ce li ho tatuati nelle sinapsi ormai, quindi quando ci si avvicina a quelle cose non posso non accorgermene. Non ho mai pensato questo fosse un problema, peró. Alcuni dei miei dischi preferiti sono tremendamente derivativi, solo che sono anche più fighi della roba a cui si rifanno, quindi dove starebbe il difetto? Oltretutto, come detto, qui i riferimenti sono tantissimi, di conseguenza tutto suona inevitabilmente meno ridondante. Son ragazzi che hanno studiato e capito le basi, anche meglio di altri, questa cosa paga ora e pagherà ancora di più andando avanti.
I miei momenti preferiti del disco sono On Uranus e Needle in a Haystack, che chiude tutto dalle parti di un certo post-rock.
L’unica curiosità che avrei, forse anche figlia di una certa fissa che vivo ultimamente, è sentirli con testi in italiano. Non per una qualche deriva sovranista (che proprio stocazzo), ma perché se c’è una roba che in questo disco non troverete sono troppi punti di contatto con la scena italiana di oggi, da cui il fatto che con pezzi in italiano forse arricchirebbero un panorama nostrano non proprio sfaccettato.
Se la parola che stai pensando è “esticazzi?” hai ragione tu.

W Satana!

Sono finito sotto a questo pezzo qui.

Ok, partiamo dal principio.
Il modo in cui fruisco la musica in questo periodo storico è molto diverso da quello a cui sono stato abituato per larga parte della mia vita, a partire del decidere cosa ascoltare fino al quando e al come. E’ tutto diverso.
La mia educazione musicale si è sempre basata sul passaparola, prima con gli amici, poi con gente a caso conosciuta online in vari forum o siti web. Il passare degli anni però ha voluto che questo meccanismo andasse pian piano svanendo: una volta intorno a me online vedevo parlare quasi solo di musica, ora sempre e solo d’altro. Quelli che ancora parlano di dischi o gruppi di solito o fanno operazioni nostalgia poco utili allo scopo di ampliare i miei ascolti, oppure aprono a robe che puntualmente avrei preferito continuare ad ignorare.
Fortunatamente, quella che sarebbe potuta essere una lenta deriva al silenzio e alla monotonia è stata dapprima mitigata e poi sovvertita dalla crescita esponenziale di servizi online che evitano di dover parlare con delle altre creature viventi e ti permettono di accedere a musica nuova che in qualche modo possa piacerti. Gli ALGORITMI, entità cibernetiche a cavallo tra i cartoni animati giapponesi e l’immaginario di Roberto Camerini, hanno preso il controllo dell’internet e, con livelli diversi di invadenza, bussano alla mia porta proponendomi di ascoltare questo o quel disco. La cosa figa è che, quando toppano clamorosamente la proposta, non devi nemmeno stare lì a giustificarti del perchè non ti sia piaciuta. All’algoritmo non gliene frega un cazzo, grazie al cielo.
Come dicevo, ogni servizio ha il suo algoritmo più o meno pressante e anche in base a quello ho selezionato in youtube il mio attuale metodo preferito per l’ascolto della musica. Youtube non mi dice “simile a” e non mi dà delle playlist preconfezionate chiamate, che ne so, CLASSIC EMO in cui dentro ci sono i Panic! at the disco. Youtube, per come la uso io, mi mette di fianco al video una colonna con altri video di cui leggo un titolo e posso vedere un frame. Nel mio personalissimo e discutibilissimo approccio alla musica, in cui l’estetica non è mai ininfluente nello stabilire un possibile legame con quel che sto ascoltando, questa possibilità di farmi incuriosire da un fotogramma e partire magari vedendo dei ragazzi suonare live piuttosto che approcciare come prima cosa la loro “fredda” o se vogliamo “neutra” espressione su disco, fa tutta la differenza del mondo.
Se trovo qualcosa che mi piace poi compro il disco e ascolto su Spotify, che è mille volte più comodo e mobile friendly, ma per “navigare la musica” oggi non ho posto migliore di youtube, sia quando vago tra roba nuova, sia quando voglio starmene tra le mie cose.

Saltando tra video di gruppi di gente offensivamente giovane che al momento suona in Italia qualcosa che possa rientrare nel mio concetto di “scena”, mi sono imbattuto in questi Endrigo. Credo che il primo loro video che mi sia passato davanti sia stato “Spara” e non mi era piaciuto manco un po’. Forse la melodia, forse la voce decisamente fuori dallo spettro dei miei ascolti soliti.
Per quel vecchio adagio secondo cui una seconda opportunità non si debba negare a nessuno, da quel video sono passato a “Meglio Prima” e da lì è stato amore vero.
Il loro primo disco non l’ho mai sentito, ma il secondo, Giovani Leoni, me lo sto davvero consumando in attesa del terzo, le cui registrazioni credo si siano da poco concluse. Vorrei riuscire a beccarli anche dal vivo, magari il 30 Luglio nella caldazza bergamasca, anche per evitare di comprare il CD su Amazon.
C’è una scena in Italia fatta di tanti gruppi che finalmente provano un po’ a smarcarsi da quel che a me, da fuori, iniziava a sembrare una serie paradigmi inviolabili per fare emo in italiano. O forse è solo gente che suona quel che ha voglia di suonare conscia che smarcarsi dalle cose è un concetto che vive nella testa degli anziani. Perchè, alla fine dei conti, “la migliore band death metal mai esistita in tutta Brescia sopravviverà alle vostre nostre cazzate.”

Stand-up comedy

Ultimamente sono abbastanza in fissa per sto tipo che si chiama Giorgio Montanini e fa stand-up comedy satirica.
La stand-up è un tipo di comicità molto diffusa nei paesi anglosassoni, che qui da noi è confinata ai margini del panorama comico. Per darvi un paio di riferimenti veloci: Louis CK fa tournè mondiali (viene a fare uno spettacolo a luglio a Milano, in inglese, e i biglietti sono esauriti in poche ore) e Ricky Gervais presenta spesso i Golden Globe.
In Italia abbiamo un altro concetto di comicità, completamente disallineato da questi modelli, ma qualcuno prova comunque a farla anche da noi. Su youtube si trovano video di diversi comici stand-up nostrani e nell’ultimo periodo ne sto vedendo più di qualcuno. Uno di cui si trovano diversi spezzoni è Daniele Fabbri ed è piuttosto divertente. Uno che invece ha pochissimi video su youtube, ma che a me in quelli ha fatto ridere parecchio è Luca Ravenna.
Quello però che mi ha proprio ribaltato è appunto Giorgio Montanini, con questo video qui.

L’ho rivisto ora, mi ha steso di nuovo.
La cosa bella di internet è che se trovi qualcosa che ti appassiona diventa abbastanza immediato approfondire la questione e così nelle ultime settimane ho investito parecchio tempo prima guardando spezzoni di suoi monologhi e poi estendendo ad interviste extra spettacolo.
Ho così scoperto che Montanini non solo è stato uno dei pionieri di questo genere comico in Italia, ma che è addirittura riuscito a portarlo in contesti generalisti. In TV. Quindi probabilmente sono l’unico ad averlo scoperto solo ora.
Ha avuto per due anni uno spettacolo su Rai Tre chiamato “Nemico Pubblico”, per esempio, che però è stato chiuso. Da lì lo hanno chiamato per fare le copertine comiche a Ballarò, dove è durato tre puntate, fino ad una collaborazione con le Iene per lo spazio di “Pregiudizio Universale”, anche quello chiuso prematuramente.
La cosa che reputo interessante è che quando nelle interviste gli hanno chiesto ragione di questa censura, lui ha prima precisato che non è censura, ma legittima scelta editoriale, e poi ha detto che il problema non è tanto suo, ma di chi non ha la forza di portare avanti l’idea di farlo esibire in TV e si trova a dover far marcia indietro subito perchè non abbastanza sicuro o spallato per insistere su un percorso che in origine pensava funzionasse.
Boh, niente, mi sembra un’analisi intelligente.

Metto qui sotto uno dei monologhi fatti per le Iene, prima che li chiudessero. A vederlo non mi risulta incomprensibile la decisione di staccare la spina, ma è evidente il problema non sia nè Montanini, nè l’editore. 
Il problema è il pubblico.

PS: Non è che qualcuno ha un paio di biglietti in più per Louis CK a Milano?

5CONTRO5: The Get Up Kids

Vi ricordate quando dicevo che questa rubrica non avrebbe mai avuto un seguito? Ecco, mentivo.
Non di proposito, solo non pensavo avrei trovato altra occasione di mettere insieme cinque persone per un gruppo, eppure eccoci qui. Il movente arriva dal fatto che i Get Up Kids suoneranno da queste parti e mentre scrivo ho una discreta paura di ascoltare il disco nuovo (NdM: perchè sono uno scemo, è stupendo), così ho pensato di fare una playlist da ascoltare subito dopo per lenire l’eventuale dolore. Siccome poi uno dei motivi per andare al concerto sarebbe beccare persone che non vedo mai, ho chiesto alle stesse di fare altre playlist.
Le regole del giochino sono quelle della volta scorsa, ma le ripeto: metti insieme cinque persone che hanno tutte una certa fissa per un gruppo e fai fare ad ognuna di loro una playlist “ascoltabile”, ovvero tra i 10 e i 14 pezzi. Alla fine le confronti e tiri le somme di quanto ognuno se la viva in modo diverso. In pratica la scoperta dell’acqua calda, ma con un giochino divertente. Una delle cinque persone potrei essere io.

Le solite due statistiche due. Anche a questo giro, nessun pezzo fa l’ein plein. Avrei detto potesse farcela Holiday (3/5), ma qualche matto se l’è dimenticata, mentre ci sono andate vicino Action & Action (4/5) e I’m a loner Dottie, a Rebel (4/5). Tra i dischi super scontatissimo plebiscito per Something to write home about che doppia tutti gli altri in termini di preferenze (20/55), il secondo è Four Minutes Mile (9/55). Personalmente avrei visto più distacco tra On a Wire (8/55) e Guilt Show (7/55) in favore del primo, ma mi sbagliavo di grosso perchè a conti fatti dal secondo viene pescato un numero maggiore di pezzi diversi (4 contro 5), ad indicazione del fatto che nel complesso ha più canzoni che piacciono.
Solo a me piace sto gioco?

Ecco le playlist, grazie i cuore a chi ha partecipato.

Betta
Se penso ai get up kids mi rivedo stesa sul letto con le cuffie nelle orecchie e il libretto dei testi in mano. Era il 2001, Something to write home about era uscito già da un paio di anni ma ha rappresentato senza dubbio il punto di svolta nel mio rapporto con la musica.
Questi sono, a mio avviso, i 10 pezzi più belli dei get up kids; ci sono alcuni grandi esclusi ma ho privilegiato i ricordi che inevitabilmente mi legano a questi pezzi.

Dietnam
Manq mi ha chiesto di preparare questa playlist e normalmente gli avrei risposto “vecio, impossibile, dai”. Fortunatamente me l’avevano già chiesta altri qualche giorno prima e quindi l’ho riciclata :D Che dire? Mi sembra già un successo non aver messo dieci canzoni di Something to Write Home About.

Vespertime
Coi Get Up Kids fu amore a prima vista, da quando un amico nel vecchio internet mi passò il video di Action & Action nel lontano ’99. Da li la mia storia d’amore col gruppo non è mai finita, per cui capite la mia difficoltà del dover stilare una lista di preferiti in una discografia fatta di preferiti. Non che sia così importante, tanto a loro bastano poche note per scaldarti il cuore.

Marco Piazza
The Get Up Kids, per il sottoscritto, hanno riempito un vuoto musicale enorme, che va dal 1999 al 2004. Durante quel periodo i Green Day facevano schifo (ma sempre meno schifo dei Blink182 al massimo della forma [NdM: ma ammazzati.]), il punk anni ’90 era finito e chi provava a re-inventarsi su sonorità reggae, pop, hardcore, era stranamente poco ispirato. Gli stessi NOFX facevano uscire il loro album più anonimo (Pump up the valuum).
Ed ecco che le sonorità da garage del Kansas, unite a delle perle di melodia e di riff di chitarra aprivano e chiudevano la storia del vero genere Emo – che verrà successivamente erroneamente identificato con dei coglioni coi ciuffi lunghi e la propensione a voler morire.
The Get Up Kids parlavano di emozioni, semplici, ma reali e mi hanno accompagnato attraverso le prime tappe della vita post teenage.
La mia playlist:
Don’t hate me manifesto emo. Intro di chitarra unico.
I’m a loner dottie, a rebel pianti e consapevolezza. La più famosa, un plebiscito.
Your pretty pretty things una perla recente in un disco indecente.
Action and action nerd lifestyle alla massima potenza (vedi video).
Shorty altro manifesto emo, ma più emo ancora.
Stay gone una delle mie top 5 di tutti i tempi. Arpeggi di chitarra afrodisiaci.
Ten minutes storie complicate d’amore, o presunto tale.
The one you want commerciale, ma non meno bella delle altre. Video da travelgum.
Alec Eiffel rispetto all’originale 10 volte meglio.
Coming clean siamo stati pur sempre punk… anche nel 2000.

Manq
Fare una playlist dei Get Up Kids è complicato perchè sai in partenza che non può venire fuori meglio della versione di Something To Write Home About con Forgive & Forget come traccia bonus. Forse avrei dovuto proprio fare così, mettere tutto il disco coi robot e aggiungerci F&F alla fine. Ciao e tanti saluti. Però dai, come facevo a non mettere neanche un pezzo da Four Minutes Mile? Non si può. Alla fine quindi mi sono sforzato, ho limato via troppe alcune canzoni che pensavo imprescindibili per fare spazio anche a On a Wire e Guilt Show, anche se per quest’ultimo è stato più che altro senso di completezza. Non ci ho comunque messo There are Rules, che scopro fare così cagare da non essere manco su Spotify. Magari non esiste, è stato solo un brutto sogno. Ciliegina, ci ho messo ben due pezzi dall’ultimo disco, uscito praticamente mentre scrivo, perchè avevo zero aspettative e invece è bello bello.
Tutto sommato playlist mi sembra funzioni bene, spero il concerto sia figo. Prima ho scritto alla loro pagina FB chiedendo di mettere in scaletta F&F, mi hanno risposto “faremo il possibile”. Se poi non la fanno è l’ultima volta che vado. Forse. Lo dico tutte le volte.

5CONTRO5: Brand New

Evviva, una nuova rubrica che molto probabilmente non avrà mai seguito! Quanti altri blog offrono un servizio così, eh? EH?
Ecco di cosa si tratta. Metti insieme cinque persone che hanno tutte una certa fissa per un gruppo e fai fare ad ognuna di loro una playlist “ascoltabile”, ovvero tra i 10 e i 14 pezzi. Alla fine le confronti e tiri le somme di quanto ognuno se la viva in modo diverso. In pratica la scoperta dell’acqua calda, ma con un giochino divertente. Una delle cinque persone potrei essere io.
Per la prima edizione del gioco ho proposto i Brand New, che forse sono una delle band più adatte ad un esperimento simile: discografia se vogliamo breve, ma piuttosto eterogenea e che quindi mette in risalto le differenze di approccio tra i diversi ascoltatori. Cosa ne è uscito?
Beh, un po’ di cose interessanti.
Se The Devil & God are raging inside me stravince in maniera ampiamente pronosticabile come album più citato (19 pezzi su 64 totali) e Your Favorite Weapon ne esce, ovviamente, bistrattato (6 pezzi), personalmente non mi sarei aspettato che Science Fiction e Daisy godessero dello stesso credito (9 pezzi).
Solo il 28% dei pezzi (18 su 64) si ripete in più di una playlist e questo per me è davvero significativo. Il pezzo più citato è Sowing Season (4/5) e ci può stare, ma non lo avrei pronosticato mai nella vita, come mai avrei pensato ad un’unica citazione per The quiet things that no one ever knows (chissà di chi). Ne ha di più Daisy, per dirne una che ho messo io e non sollevare polemiche coi miei colleghi di merende (però raga, dai. DAI.).
Nessun pezzo ha fatto 5/5, non lo avrei detto. Però se avessi dovuto dire quale avrebbe potuto, avrei forse scelto Jesus Christ che ha chiuso con un misero 2/5. Non sono uno particolarmente propenso ad azzeccare giudizi, in sostanza.
Bel giochino.

Qui sotto riporto le cinque playlist, con una breve presentazione scritta da ciascun giocatore, che ovviamente ringrazio per la disponibilità.

Roberto Duca
Novembre è un mese crudele. Uno di quei periodi dell’anno in cui quello che vedi dalla comodità di casa tua è ingannevole, nel senso che magari il vetro mostra una giornata quasi estiva e invece no, esci fuori e c’è il gelo. Tutto va più lento, a Novembre. Quello del 2017 è stato un novembre terribile: ero in piedi da un po’, mentre lavoravo in uno stand di qualche compagnia telefonica per alzare due soldi che poi, tolte le spese, non avrei davvero alzato. Sapevo però che la settimana dopo avrei visto una band fondamentale per me, sarebbe stata la prima e ultima volta, in una città in cui non ero mai stato. Questo prima di aver aperto Reddit. A Londra ci sono stato lo stesso, con in borsa qualche vestito e due libri che parlavano, curiosamente, della Teoria dell’Etichettamento. Un anno e mezzo dopo, penso che potesse solo finire così: una fine per certi versi tragica, ma che rafforza quello che è il messaggio della carriera dei Brand New.

Marco Vezzaro
Nel grande gioco dell’emo, ho sempre fatto fatica a infilarci i Brand New, come quando appallottoli una maglietta e nell’armadio e chiudi l’anta velocemente prima che il casino che c’è dentro la risputi fuori. È probabile che sia perché Your Favorite Weapon per me semplicemente non è esistito, e Deja Entendu ha sconvolto le vite di tante persone, ma non la mia, che ero impegnato a farmela sconvolgere da altro.
Perciò il mio primo contatto con la band, nel parcheggio di un club storico di Padova che oggi non esiste più, dove si tenevano le serate di Emergenza Festival che per noi che suonavamo era tipo il campionato, era ogni anno, e lo vinceva sempre una merdosa band indie che scimmiottava gli Oasis ma si vestiva come gli Strokes, il mio primo contatto dicevo fu una voce che sofferta faceva ammenda e ammetteva “I was losing all my friends”.
The Devil and God are raging inside me fu un disco talmente compatto, granitico, complesso, che scoprirlo in un arco di tempo lunghissimo fu l’unico modo per evitare di rigettarlo, o risputarlo fuori come per quella maglietta dell’armadio. Nella mia vita esiste un prima e un dopo quel disco, e come per tutti gli eventi che hanno questa portata nella tua vita ti ricordi dove ti trovavi, cosa stavi facendo, perché lo stavi facendo, nel momento in cui è piovuto sulla tua testa. La mia top 10 delle canzoni dei Brand New è per metà dominata da The Devil and God are raging inside me, per esattezza con le prime cinque canzoni della tracklist. Poi fu Daisy, senza mezzi termini un disco sbagliato, poi Science Fiction, senza mezzi termini un disco giusto nel momento sbagliato, un’illusione fuori dal tempo, fuori dal secolo, fuori dalla realtà. Ho scelto le canzoni che in qualche modo restituiscono la complessità dei Brand New; non le più importanti, o le più rappresentative, ma quelle che per come si incastrano liriche, strutture, significanti e significati, avrebbero potuto

Davide Bolzonella
Con la prima stesura di questo copy ero andato totalmente fuori tema, dilungandomi sul concetto di nostalgia statica, qualunque cosa voglia dire. Il problema alla base di quell’errore era figlio di una connessione automatica che la mia mente produce quando si concentra a scrivere qualcosa di music-related su un blog. É un modo di consumare la musica che non mi appartiene più, e ne usciva un pezzo in contraddizione con la playlist – che invece ho prodotto volentieri – e con la mia partecipazione a questa iniziativa. Vivere in modo fandom i Brand New -ma direi certa musica in generale- e macinare parole su una pagina di wordpress non è più la mia cosa. Non so neanche se sia stato un bene ai tempi, ma l’ingenuità, lo spleen, il dover sentire le cose più vicine lo rendevano una pratica naturale. Adesso ascolto i Brand New molto meno, un po’ anche perché le accuse contro Jesse Lacey mi hanno fatto allontanare dai loro dischi, ma restano pezzi di me. È stata una buona occasione per concentrarmi su canzoni che amo dopo tanto tempo che non lo facevo.

Andrea Orio
1) Millstone
La prima canzone a cui penso se penso ai Brand New. Non dico sia necessariamente la mia preferita (forse si) ma è quella più “saliente” in termini cognitivi. Brano su cui ho fondato la dialettica tra identità e alterità, l’ambivalenze tra me e il resto del mondo. Primo nickname usato in un blog per parlare di musica. Il testo è più attuale oggi di quando avevo 17 anni.
2) Luca
Spesso ho trovato canzoni bellissime, magnifiche , capolavori, etc. Ma solo una volta ho pensato “questa canzone non appartiene a questo mondo”.
3) Guernica
Mi piace pensare che la mia vita sia cambiata nel momento in cui sentii “is this the way a toy feels when its batteris run dry?”
4) Sowing Season
Poche cose sono certe nella vita: la morte, la scena lesbo di Mullholand Drive, l’attacco iniziale del mio disco preferito di sempre.
5) Handcuffs
Perchè è difficile. Difficile davvero.
6) The No Seatbelt Song
Perchè se non metto un brano dal primo disco poi Manq dice che sono stronzo. Visto che stronzo lo sono davvero metto il brano più discordante e meno rappresentativo.
7) At The Bottom
Io la amavo, davvero.
Lei mi mandò un brano della sua cantante preferita e io le mandai questa.
Nel mezzo un’infinità di altra roba.
Finì ancora prima di iniziare.
Che vita di merda.
8) 137
Quando ascoltai Science Fiction e non girava la tracklist ero convinto che il brano iniziasse con “We started With Psychodrama”, ma si trattava della conclusione del brano precedente. Ancora oggi ci resto di merda perchè sarebbe stato un attacco devastante per un pezzo del genere.
9) The Boy Who Blocked His Own Shot
In realtà è uno dei brani che ascolto meno. E c’è un motivo: teenage sadness all’ennesima potenza. Non sono bei ricordi; ma sono comunque tracce da cui non si può prescindere. Avrei potuto avere i My Chemical Romance e invece ho avuto i Brand New; questa è stata una grande fortuna.
10) Brother’s Song
Il valore di una band si vede anche nella misura in cui può relegare a b-side brani come questo.
11) Out of Range
O come quest’altro.
12) Daisy
O dal fatto che nel tuo disco peggiore ci siano cose del genere.
13) Limousine
La mia idea di solennità. La parte centrale del nucleo più velenoso (tracce 4 ,5 e 6) di The Devil And God Are Raging Inside Of Me. La direzione che l’emocore avrebbe potuto prendere ma che resta ineguagliata 12 anni dopo.
14) Batter up
[Dopo il primo ascolto di Science Fiction]: “Perchè per i Brand New è finita così; non poteva andare diversamente?”
[Tre mesi dopo]:
“NO, NON ERA QUESTO QUELLO CHE INTENDEVO”.

Manq
La mia playlist dei Brand New è abbastanza semplice da spiegare: ci ho messo i miei 13 pezzi preferiti. Meno semplice è stato sceglierli, perchè non avrei problemi a fare una lista di trenta pezzi preferiti dei Brand New. Siccome in queste cose sono piuttosto cerebrale non concepisco il lasciar fuori un disco (sarebbe stato Daisy) o il non metterci anche le cose uscite fuori dai canonici album, anche e soprattutto perchè coi BN per anni quelle cose sono state ossigeno nei polmoni avvizziti di chi vive, suo malgrado, in apnea. Forse la cosa che mi ha messo più in crisi è stata metterle in ordine in modo che suonassero fluide e ancora adesso ho dubbi importanti sull’esserci riuscito. Resteranno solo miei, ma questo non li rende facili da mandare giù. 
Le ultime due canzoni in lista sono la mia vita.