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Film

Gravity

NOTA: l’articolo sottostante come sempre potrebbe contenere SPOILER. Per una volta, tuttavia, non esiste rivelazione in grado di impattare sulla resa del film stesso. Manco se copiaincollassi qui sotto l’intero script. Io, comunque, allerto.

Gravity è un film con dei personaggi osceni e questo è un fatto. Voglio dire, sono due e non so quale sia scritto peggio. Clooney interpreta un veterano dello spazio che approccia le disavventure (eufemismo) in corso con la carica emotiva di un cyborg, rendendosi a dir poco implausibile. La Bullock, che comunque tira fuori un’interpretazione inaspettata, veste i panni di una scienziata che per carico di sfiga farebbe passare Pollyanna per Gastone. Come se servisse caricare di drammaticità un personaggio che si trova in orbita e con la merda alle orecchie. Sotto questo aspetto, non vedevo un prodotto fatto peggio da tempo immemore.
La cosa figa è che di tutto questo non me n’è fregato un cazzo di niente.
Sono uscito dalla sala Energia dell’Arcadia di Melzo e l’unica cosa che sono riuscito a dire di Gravity è stata: “MADONNA.DI.DIO.”.
Reiteratamente.
C’è troppa potenza visiva in un film come questo per stare a parlare di inezie come il plot o la caratterizzazione dei protagonisti. Qui si sta definendo il concetto alla base del cinema: la forza sta nell’impatto delle immagini su chi le guarda. Un po’ quel che fa “The tree of life”, ma senza dare l’impressione di stare guardando uno screen saver (cit.). Cuaròn, che per me prima di un’ora fa era un perfetto sconosciuto, genera lunghissimi piani sequenza che non possono che lasciare estasiati. Quando non succede nulla si sta a bocca aperta ammaliati dalla bellezza del paesaggio illustrato, che ha oltretutto l’enorme valore aggiunto di essere completamente reale e quindi cento volte più affascinante delle isole volanti dell’Avatar di Cameron. Quando invece scoppiano i casini, trasportano lo spettatore dentro gli avvenimenti, costruendo una tensione così reale da dare l’impressione che l’ossigeno, oltre che nelle tute degli astronauti, si stia esaurendo anche in sala. Io ho visto tutto in 3D, cosa che tendenzialmente non sopporto, ma se esiste un prodotto per cui valga la pena inforcare gli occhialini, questo è proprio Gravity.
E’ un film che parla dell’uomo (e della donna) in balia degli elementi. Tutti gli elementi, mica che il messaggio non arrivi. E parla anche dell’uomo (e della donna) in balia di se stessi. Riducendo la trama all’osso, tutto già visto e già sentito in almeno centomila occasioni. Se uno ci si approccia aspettandosi qualcosa di rivoluzionario sul piano concettuale, rischia di restare deluso.
Io avevo grandissime aspettative e, in sincerità, non le ho trovate disattese.
Per me film dell’anno.
E ha anche una colonna sonora strepitosa.
“Eh, ma i suoni nello spazio non…”
Mavaffanculo.

Fast 6

  • Manq 
  • Film

Non sono una persona molto sicura di se. Mi piace far credere non sia cosi (che poi boh, non son neanche certo di riuscirci), ma sappiate che mento. Questa cosa fa sì che io abbia poche ore per mettere per iscritto quello che penso di Fast&Furious 6, ovvero il tempo che ci separa dalla recensione de i 400 Calci al film. Una volta letta la loro opinione, infatti, in caso di valutazione comune avrei remore a scriverci sopra un post pensando di passare per quello che copia, mentre in caso di dissenso passerei ore a interrogarmi sul perchè io la pensi diversamente, con esito comune per quanto riguarda le sorti di questo post.
La monumentalità di F&F6 la si poteva intuire ben prima di andare al cinema, ma non dal trailer (che comunque è tantissima roba). Lo si poteva intuire dal fatto che fosse il film con le locandine più fighe della storia. Basta guardare qui a sinistra. E’ semplicemente stupenda.
Ora, io potrei scrivere pagine e pagine parlandovi delle scene del trailer. Camion che partoriscono carri armati, aerei che partoriscono macchine elaborate, uomini che saltano da oggetti lanciati a velocità folle, esplosioni, pizze in faccia e via dicendo, ma non lo farò. Son tutte scene grosse e mantengono ogni aspettativa pure che a volte son buie e un po’ confuse. Il bello però non è solo quello. E’ chiaro che un film che si apre con The Rock che infila un tizio dentro al contro soffitto della centrale di polizia allo scopo di interrogarlo mette in chiaro subito quali siano i presupposti, però c’è molto di più.
Una roba che ho notato, ad esempio, è che son tornati gli one-liner e che Dwayne Johnson li padroneggia come non vedevo fare da anni. Perchè è vero che la comicità nel film è relegata ad altri personaggi (e fa ridere, tra l’altro, per una volta), ma è la roccia che ha il compito di mettere lì sentenze granitiche col tono, la sicumera e l’inespressività tipiche del miglior Arnie e, con sommo stupore, porta a casa il risultato tra applausi sentiti.
Altra cosa figa è che in questo film torna il culto dell’automobile. Non è più un film di corse e va bene che sia così, ma l’auto non è solo il mezzo per fare azione. Trapela la cultura e la storia dei personaggi, sotto la trama alla James Bond, e questo, secondo me, da una profondità tremenda al film in chiave soprattutto del brand. Se l’ultimo Die Hard non è un Die Hard, questo è un Fast&Furious al 100% e non tanto per il suo ricongiungere tutti i capitoli della saga in maniera tutto sommato discreta, ma proprio perchè trasuda lo spirito del primo film, pur completamente fuori contesto.
Ed è fighissimo.
Per carità, ci sono anche i difetti eh. Come dicevo sopra, alcune scene action sono buie e confuse, su tutte quella finale all’aeroporto dove non si capisce bene chi picchia chi, da che auto e a quale scopo. Pure le scene con le botte ogni tanto son caricaturali, con gente che viene scagliata tipo gravità zero, ma nel computo totale delle pizze in faccia son più quelle che funzionano di quelle che fanno storcere il naso. E poi ci sono Vin e Dwayne che omaggiano la Legion of Doom quindi lamentarsi dovrebbe essere illegale. C’è pure qualche voragine nel plot giustificata a cazzo di cane, ma davvero, nulla a livello degli ultimi action che ho visto, dal previa citato Die Hard al secondo Expendables. E poi c’è LA SCENA, il MACCOSA più assurdo e out of contest mai visto. Non dico che scena è, perchè a vederlo lo si capisce al volo. Cito solo il commento del tipo al cinema dietro di me: “L’ha anche messa incinta” e chi l’ha visto sa di cosa sto parlando.
Insomma, Fast 6 è un film che da tanta soddisfazione ai fan dell’action, ma soprattutto ai fan della saga. Riesce a dare un senso a Tokyo Drift, per dire, cosa che a chiunque sembrava impossibile. E per farlo non è che si inventa voli pindarici o digressioni, ma 10″ di Statham.
Per il sottoscritto, basta e avanza a farne il film dell’anno.

A bad day for Die Hard

Se molteplici indizi fanno una prova, credo di aver capito dove sta il problema.
Non sanno più scrivere i film d’azione. Il problema è solo quello, a pensarci bene, perchè i mezzi ci sono, gli attori pure e nella maggior parte dei casi c’è anche un certo stile nel costruire le scene fracassone. In questo film, ad esempio, le scene di inseguimento, sparatoria e esplosioniglobbali son fatte più che discretamente. Anzi, son proprio belle. Però a vederle mi viene il forte dubbio che chi ha realizzato questo film si stia prendendo gioco di me e quindi alla fine, pensandoci, tendono a farmi incazzare. E non perchè siano inverosimili, quello non è mai stato un problema, ma perchè danno proprio l’idea di essere quello su cui si fonda il film. L’idea alla base, secondo me, è questa: “Chi viene a vedere Die Hard nel 2013 vuole vedere i botti, quindi diamogli i botti, ma senza prenderci la briga di contestualizzare. Botti di per sè stessi e lo portiamo a casa.”. E invece un cazzo.
[NOTA: da qui potrebbero entrare spoiler come piovesse. Non credo guastino nulla, ma meglio avvisare] Prendiamo la sequenza che in sostanza apre il film, quella dell’inseguimento in piena Mosca. Come sequenza io non credo ci sia nulla da eccepire. Non sono un tecnico, ma secondo me è una roba gigante, con un sacco di botti ed esplosioni e spari e testacoda e altri scontri. E pure che John McClane con una cazzo di jeep fa ribaltare un blindato grosso cinque volte e venti più pesante non c’è problema, già dal passato episodio il buon detective di New York da eroe per caso s’è trasformato in una sorta di Superman e quindi non sta davvero lì la questione. Il problema è che nel centro di mosca, senza sapere cosa sta succedendo, Bruce ruba prima un camion e poi una macchina gettandosi in una mischia di cui non sa nulla. Manca anche una minima idea di base per cui tutto possa succedere senza che il pubblico si chieda: “Ma che cazzo succede?”. Non ci hanno neanche provato a fare un film. A me Die Hard 4 era piaciuto parecchio perchè pure con un poliziotto al limite del pensionabile ferma un’organizzazione criminale addestrata e senza scrupoli praticamente da solo, c’era una storia. Semplice, lineare, di contorno ad elicotteri abbattuti a colpi di utilitarie, ma pur sempre una storia con un capo ed una coda che potesse avere un senso, estrapolata da quello che ci succede dentro, e che tutto sommato aveva anche buoni rimandi ai capitoli precedenti. Il furto mascherato da terrorismo, McClane che ci si trova in mezzo per puro caso, grandi classici del marchio contestualizzati quella minima per dare alle esplosioni quell’alone di verosimiglianza che basta a sospendere l’incredulità. A questo giro invece c’è un Bruce Willis che parte apposta per Mosca con intenzioni dubbie (nel senso che sono probabilmente bellicose, ma non si capiscono perchè gli arrestano il figlio e lui va senza un’idea di che cazzo fare una volta lì. Farlo evadere? Salutarlo? Ucciderlo? Mah.), scende dall’aereo e si trova in mezzo ad un inseguimento e da lì tutto prende il via. Pure il plot twist, se vogliamo definirlo tale, è non solo ovvio, ma pure completamente decontestualizzato e privo di qual si voglia senso. Non entro nei dettagli che non c’è davvero bisogno e, comunque, è difficle spiegare una roba che non sta in piedi, comuqnue il grosso, enorme problema di sto film è che non è un film. E io scrivo sta cosa essenzilamente per dire che me ne sono accorto e che non mi si compra con un dito medio fatto lanciandosi da una finestra mentre un elicottero guidato da una passera in vena kamikaze si schianta dentro il palazzo. E’ una scena che apprezzo, ma non mi ci vendi il film. Perchè non sono un coglione. Anzi, inzio a pensare che chi non capisce sei tu che questo film l’hai scritto convinto di aver centrato l’obbiettivo solo perchè hai messo insieme delle buone sequenze action e del basso fanservice ammiccando a The Last Boyscout in un paio di sequenze.
Vai affanculo, va, che mentre scrivo mi sto proprio incattivendo.
Chiudo dicendo che prima del film ho visto il trailer di Gangster Squad. Quello che ho colto è che han fatto il remake degli Intoccabili.

Django Unchained

  • Manq 
  • Film

Ieri sera sono andato a vedermi il nuovo film di Quentin Tarantino, che si intitola “Django Unchained” e la cui locandina è qui a fianco.
Sono tutt’ora un po’ dubbioso.
Nel senso, il film è un film grosso così e su questo non ci sono dubbi, però boh, sono uscito dalla sala senza la convinzione di aver visto una cosa irripetibile o sconvolgentemente bella. Convinzione che finito “Inglorious Basterds”, ad esempio, era subito lì scolpita sulla mia faccia inebetita. Il motivo è che forse sono troppo ignorante, cinematograficamente parlando, ma per una volta ho visto un film di Tarantino che mi ha dato l’idea di essere “solo” quello che avevo visto. Non so come spiegarmi.
Faccio il parallelo coi Basterds perchè è il concorrente diretto. Lì ho visto un film sui nazisti che però era un metaforone facile e diretto sull’arte del cinema che salva il mondo dalla violenza. E poi era un film sui nazisti che però era un western travestito, con gli scalpi, gli indiani e via dicendo. Insomma, c’era tutto un sottotesto facile facile da cogliere che però dava uno spessore al film che qui, secondo me, manca un po’.
Questo film è esattamente quello che si vede on screen: un film sulla schiavitù degli afroamericani nell’america del far west. O almeno, a me è arrivato così.
Per cui è facilmente il miglior western che io abbia mai visto, però ti resta quella sensazione di “tutto qui?” quando finisci di vederlo che non s’è mai accompagnata ad un film di Tarantino. Non che io ricordi, quantomeno.
Da lì i piccoli dubbi all’uscita della sala.
Però, chiariamolo bene, a me questo film è piaciuto tanto tanto. Ci sono un tot di attori che mettono lì interpretazioni gigantesche, tutti i principali protagonisti in effetti, con punta massima probabilmente in un Di Caprio fenomenale nei suoi denti grigi e sporchi.
Ecco, sta cosa mi si è incollata in testa e non conterà nulla forse, ma io non potevo ogni volta non notare che Di Caprio in questo film ha i denti marci e come lui tutti gli attori. I denti sporchi sono un tocco di classe, secondo me, in un western dove tutti masticano tabacco e/o fumano tabacco.
Ad essere onesti, dopo una prima visione, forse mancano anche un po’ i dialoghi rispetto ai predecessori, ma dovrei rivederlo per esserne sicuro.
Di contro, la scena del KKK è credo il momento in cui ho riso di più all’interno di un cinema nella mia vita, roba da male ai reni.
Insomma, Django è un film di quasi tre ore che si guarda senza il minimo problema e senza dare neanche l’impressione di essere lungo. Succedono cose, tante, e anche quando i tempi e le atmosfere si fanno un po’ rarefatte (credo per volontà d’omaggio allo spaghetti western, ma è un parere da ignorante il mio) non si ha mai la sensazione di stanca. E poi, di solito, appena dopo arriva sempre una sana sparatoria a tirare in pari tutto. E’ un western e ci sono le sparatorie, questo è fuor di dubbio.
Non sto ad entrare nel merito delle polemiche sulla violenza o sul razismo, perchè boh, mi sembrano davvero cose fuori dal mondo. A meno che la questione sia davvero quante volte si dice “negro” indipendentemente dal contesto in cui lo si dice, che è quello di un film sulla schiavitù, ma non voglio davvero credere si possa discutere di una cosa del genere.
Bon, queste le mie impressioni.
Avrei voglia di rivederlo, magari in lingua originale, per vedere se viene fuori qualcosa di più.
Intanto, ho scritto il mio parere, che prima di rileggere ho il forte dubbio sia venuto fuori sconnesso come poche altre volte.

Manq’s Awards 2012

Calma gente, non ho certo intenzione di lasciare che il mondo finisca senza che sappiate le mie valutazioni in merito all’anno che sta per concludersi. Si parla di musica, cinema, libri e televisione e come al solito di dice il meglio ed il peggio.
Chiaramente secondo il mio giudizio personale.
Ad ogni categoria corrisponde poi piccola spiega, ma questo ormai dovreste saperlo. Un anno in cui ho visto più film del solito (intesi come usciti nell’anno in corso), ma ho ascoltato meno musica del solito.
Insomma, questo è quanto.
NOTA: tutti i video li sto scegliendo dall’ufficio, ovvero senza audio. Sapevatelo.
Migliori dischi:
Pentimento – Pentimento
The cold harbour – Homebound
Joie de Vivre – We are all better than this
Spiega: Il primo vince perchè è un disco fighissimo pur non essendo mai diventato ufficialmente un disco. Il secondo è un disco HC come ce ne sono mille, ma più bello degli altri novecentonovantanove. Il terzo è “The power of failing” con le trombe. Fa riflettere che la mia top tre in un anno in cui ho ascoltato pochissimo sia composta unicamente da dischi che derivativi è poco. Rimpianto è non aver ascoltato tutto l’esordio dei Bad Ideas perchè i pezzi sentiti mi son piaciuti un sacco, ma il disco intero non sono mai riuscito a sentirlo.
Peggiori dischi:
3° Lostprophets – Weapons
2° The used – Vulnerable
1° Enter shikari – A flash flood of colours
Spiega: vabbè serve? No. E non sto nemmeno a mettere i link che, davvero, è meglio evitare.
Migliori concerti:
Touché Amoré @ Factory (MI)
MxPx All-star + Cancer @ Magnolia (MI)
Derozer @ Nautilus (VA)
Spiega: i primi sono la mia band “rivelazione” dell’anno. Arrivato tardi sui loro dischi, dal vivo sono superlativi. I secondi non li avevo mai visti e per tanti versi son stati un concerto magnifico, anche e soprattutto per l’atmosfera e la band di spalla. I terzi perchè non cantavo così ad un concerto probabilmente dagli anni novanta.
Peggiori concerti:
Converge @ Factory (MI)
Shandon @ Nautilus (VA)
Offspring @ Carroponte (MI)
Spiega: i Converge, dopo i primi venti minuti ad ammirare quanto sono fighi a suonare, mi hanno spaccato il cazzo. Gli Shandon, oggi, non hanno senso. Gli Offspring come gli Shandon, ma con l’aggravante di non essersi sciolti.
Migliori film:
The Avengers
Quella casa nel bosco
Diaz – Don’t clean up this blood
Spiega: The avengers è un film gigantesco dove tutto si picchia e/o esplode. Se andare al cinema ha ancora un senso è per film come questo. Quella casa nel bosco l’ho guardato solo perchè ne ho sentito parlar benissimo in giro e mi son trovato ad ammettere che ciò che avevo letto era vero. Caro Weadon, una doppietta che neanche la Ferrari. Al terzo posto c’è Diaz perchè è un film che va visto. Punto. Per questo toglie il gradino più basso del podio a “End of watch”, che è sempre un film sugli sbirri, ma forse con un’altra prospettiva.
Peggiori film:
Killer Joe
Le belve
J.Edgar
Spiega: Killer Joe, come Quella casa nel bosco, è stato caldamente suggeritomi dal mio amico internet che però, questo giro, secondo me non ci ha preso. Le belve è l’esempio esatto di come si possa fare un film dimmerda partendo da una sceneggiatura fighissima. A sua ulteriore colpa c’è l’averlo fatto credendo di fare un capolavoro. J. Edgar è la più colossale rottura di cazzo vista dal sottoscritto al cinema dai tempi del memorial di 2001: Odissea nello spazio.
Migliri serie TV:
True Blood stagione 5
Homeland stagione 2
Don’t trust the B**** of Apartment 23 stagione 1
Spiega: la prima vince per ampio distacco. La seconda si piazza in alto nonostante il finale. La terza fa riderissimo.
Peggiori serie TV:
Dexter serie 7
The Big Bang Theory serie 5
Californication serie 5
Spiega: la settima di Dexter aveva riportato il livello generale di scrittura su livelli più alti rispetto al passato (soprattutto recente). Restavano i difetti, ma c’era un miglioramento. Il finale, però, merda rara. La quinta di TBBT non faceva ridere. La quinta di Californication non aveva le tette.
Migliori libri:
A tuo rischio e pericolo – Josh Bazell
Tramonto e polvere – Joe R. Lansdale
Un polpo alla gola – Zerocalcare
Spiega: il primo è un libro geniale e pochi cazzi. Il secondo mi ha fatto scoprire un autore che non conoscevo e che mi piacerà approfondire. Il terzo è bello perchè non fa ridere.
Peggiori libri:
Gibuti – Elmore Leonard
Fahrenheit 451 – Ray Bradbury
A dance with dragons – George R.R. Martin
Spiega: il primo è a tratti geniale, ma a tratti pessimo. Sul secondo lo so già cosa state pensando, ovvero che sono un coglione. Io dico solo che l’ho letto, ne comprendo la portata, ma approcciarlo nel 2012 ha comunque un suo peso. E nel 2012 m’ha rotto il cazzo, anche (o forse soprattutto) per come è scritto. Sul terzo non so che dire. A parte “Martin vai a fare in culo”, intendo.
Ecco, direi che ho riassunto tutto.
Il post è stato scritto in parte dopo il pranzo aziendale, imputato della forma quindi è lo sfusaccio della trattoria. Riguardo la sostanza e le scelte, invece, era tutto stato preparato in precedenza.

Lost in Google & Kubrick

Oggi ero a casa con la febbre e quindi ho diviso la mia giornata tra dormire e guardare serie TV.
Niente da dichiarare riguardo la prima parte, mentre sulla seconda qualcosa da dire ce l’ho.
Navigando in rete ho scoperto questa miniserie di cinque episodi chiamata Lost in Google e me la sono vista tutta.
E’ gran bella.
La si può vedere qui.
Mi spiace solo non averla scoperta in tempo per partecipare attivamente alla cosa, ma anche da semplice spettatore mi sono divertito moltissimo. E’ una serie in crescendo, nel senso che non è velocissima ad ingranare, ma quando poi prende diventa sublime. Straconsigliata.
Da li poi sono arrivato ad una seconda serie, di cui attualmente sono disponibili solo tre episodi. Si chiama “Kubrick – Una storia porno” e la si trova qui. Anche qui ho riso molto e la speranza è che ne vengano fuori altri episodi.
Insomma, grazie al web, oggi la giornata m’è passata.

Oliver Stone, vaffanculo.

ATTENZIONE: questo post è scritto da una persona che pur non sapendo nulla di cinema si appresta a buttare giù una recensione tirando fuori termini inventati di sana pianta. Uno di questi potrebbe essere “overdiretto”, ma anche no. Inoltre c’è la possibilità che la stessa persona ci infili spoiler come non ci fosse un domani, ma proverà comunque a segnalarli per tempo.
Prima di iniziare però, meglio contestualizzare.

Io i libri di Don Winslow li ho letti tutti. O perlomeno, ho letto tutti quelli che sono arrivati in Italia. Quello da cui è tratto questo film si intitola “Le belve” e da noi è uscito a Settembre dello scorso anno. Stando alla mia pagina aNobii io l’ho letto tra il 3 e l’8 Novembre, ben prima di scoprire se ne sarebbe tratto un lungometraggio. Nel leggerlo, anche paragonandolo agli altri romanzi dell’autore, l’impressione era di avere per le mani una sceneggiatura fatta e finita per il cinema. Io non ne ho mai lette, di sceneggiature per il cinema, ma se dovessi scriverne una, stilisticamente e tecnicamente parlando, la imposterei esattamente come Winslow ha messo giù “Savages”. Dovessi ipotizzare, questo libro è nato con l’idea di farne un film.
Il materiale di partenza, quindi, non era di difficilissima trasposizione. In più la storia ed i personaggi sono opera di uno dei miei scrittori preferiti e quindi, per il sottoscritto, roba di prima classe. I personaggi, soprattutto.
Quello che c’era da fare quindi era prendere un insieme di attori che potessero andare bene per la cosa e fargli fare nè più nè meno di quel che c’è scritto su quel dannato libro. Punto. Giri le scene, monti tutto insieme e lo porti a casa. L’avesse girato Renè Ferretti, questo film, forse adesso ne parlerei diversamente. Sicuramente anzi, perchè mi ritroverei 1) senza il rimpianto di veder sprecato tanto buon materiale 2) senza l’impressione di essere stato sottoposto al tentativo insistente di dimostrarmi quanto il regista è un figo e 3) con la consapevolezza o quantomeno la convinzione che lo stupro del finale (ci torno dopo) fosse figlio di un esigenza imposta su un regista che, non essendo nessuno, non può certo opporsi alle dinamiche di produzione.
#einvece, per dirla alla twitter maniera.
Questo “Le Belve”, secondo il modesto giudizio di un ignorante che se l’è visto doppiato in maniera becera, ha un buon cast. A me gli attori son piaciuti grossomodo tutti, ad eccezione forse della biondina sciapa che interpreta O. I personaggi vengono fuori abbastanza bene e sono personaggi fighi. Fighissimo Travolta, gigante Del Toro, credibile la Hayek. Pure i due protagonisti, che non credo d’aver mai visto prima, secondo me mettono lì una prova più che onesta.
La fotografia, sempre da ignorante, m’è piaciuta un bel po’. E mi son piaciute anche le scene con gli spari e i botti, soprattutto quella della rapina.
A farmi completamente cagare, invece, son state tutte quelle scelte di montaggio e post produzione che, a conti fatti, oltre a non servire a un cazzo ti tirano fuori di peso dal film. Da lì, l’idea di usare una parola di fantasia come “overdiretto”. Ci sono diversi modi per costruire una scena, secondo me. Il primo è fartela vedere per com’è, senza cazzeggiare. Il secondo è ricamarci sopra. In questo caso, se poi il messaggio passa con lo stesso impatto, sei un figo. Se lo smorzi, hai toppato. In questo film, Oliver Stone smorza che è una bellezza.
Ma adesso parliamo del finale, quindi [SPOLIER ALERT].
La prima cazzata la mette a segno a 30 secondi netti dall’inizio, con quella frase di cui nessuno sente il bisogno e che recita tipo: “Il fatto che stia raccontando questa storia non vuol dire che io ne sia uscita viva.”. Vaffanculo. Poi ho pensato: “Calma, Manq. E’ l’inizio del film. Tu sai che cosa succederà, ma chi non ha letto il libro no. E’ una di quelle frasi che poi ti dimentichi e che alla fine dici CAZZO, L’AVEVA DETTO ALL’INIZIO, BOMBA!”. Quindi ok, concessa. La seconda cazzata è all’inizio della sequenza finale, quando in maniera del tutto random e demolendo qualsiasi tensione nello spettatore, gliela fai ripetere di nuovo. A sto punto non hai scusanti, sei un coglione. La precisazione è inutile e, in ogni caso, l’avevi già fatta in apertura. Perchè cazzo insisti con sta cosa di rovinarmi il finale? Che cazzo ho fatto di male? Segue concitata serie di eventi girati e montati senza il minimo senso. Spari. Gente ferita. Gente molto ferita. E poi, in un secondo, senza pathos e senza un minimo di atmosfera che possa anche solo marginalmente suscitare empatia o partecipazione al dolore, la decisione finale. Il suicidio. L’abbraccio. Una merda fotonica, pensi. Ma non fai neanche in tempo a finire di incazzarti che una voce fuori campo dice qualcosa come “Così è come pensavo finisse, ma in realtà è andata diversamente”. Tu sgrani gli occhi e passa una serie ancora più agghiacciante di scene stronze che, oltretutto, sai che nel libro non ci sono. Il libro finisce male. Il film finisce in una festa che è una presa per il culo colossale. Dovrei essere contento perchè i tre sono salcazzo dove a fare surf dopo tutto sto casino? Dovrei essere felice perchè il boss del narcotraffico, quella che ordinava ai suoi uomini di decapitare i nemici, invece di morire va in prigione? Dovrei godere per lo sbirro corrotto che diventa un eroe? Cristo, dovrei forse gioire del fatto che il cattivo, se ce n’è uno nel film, invece di crepare male ne esce tanto bene da lasciare lo schermo con un flashforward che lo ritrae con la moglie, felice, mentre guarda il figlio giocare a baseball? Quest’ultima, perdio, mi devi davvero spiegare come t’è venuta in mente, caro il mio Oliver Stone.
Aspetta.
E’ per questo che ogni due per tre fai dire alla protagonista: “Va che alla fine muoio”, perchè poi non muore. Beh, VAFFANCULO. Vaffanculo perchè non devi comunque fargli dire un bel niente e lasciare chi guarda col suo cazzo di fiato sospeso. E, soprattutto, vaffanculo perchè la tipa nella storia muore e non puoi decidere di ribaltare tutto solo perchè non ti va il finale triste. A me il finale triste piaceva. Me ne sbatto i coglioni se te l’hanno imposto, sto stravolgimento. Sei Oliver Stone, mica Gino lo spazzino. Imponiti, cazzo.
E comunque, stravolgimento per stravolgimento, che minchia di decisione è quella di mettere tutti e due i finali? Mettine uno. Vuoi quello paraculo, metti quello paraculo. I Blue Ray esistono per quello. Le Director’s cut pure. Ci montavi un bel contenuto speciale col finalone alternativo (che poi alternativo stocazzo, ma ci siam capiti) ed eravamo tutti comunque incazzati, ma almeno salvavi un po’ la faccia. E, già che c’eri, potevi permetterti di girare il finale tragico con più cura, dandogli lo spessore emotivo ed emozionale richiesto e senza buttarlo lì con la scusa del “tanto non serve a niente”.
Non so se passa il concetto, ma sto film mi ha fatto incazzare un bel po’.
Ora vado a vedere se qualche sito di cinema tra quelli che seguo ne ha scritto, perchè ho bisogno di riscontri.
Per quanto mi riguarda però, vale il titolo del post.

#400tv is a state of mind

I bei tempi in cui questo blog veniva aggiornato di frequente sono finiti, o quantomeno non ci sono attualmente contemporanei. Causa l’impazzare dei social network ed il poco tempo a disposizione ormai qui sopra ci scrivo solo quando c’è qualcosa di veramente GROSSO da dire o raccontare. Ecco, oggi siamo in quelle circostanze lì.
Ieri sera infatti è andata in scena la serata conclusiva della seconda serie della #400tv, quella dedicata al ciclo Nati per Vincere, e per l’occasione il team de “I 400 calci” ha deciso di fare le cose in grande.
Prima di tutto l’evento in questione ha affiancato alla ormai consolidata visione domestica con twittata selvaggia anche la possibilità di trovarsi e vedere il film in compagnia. Le locations sponsorizzate erano due, una a Milano ed una a Roma, e così ho deciso di prendere parte alla “Real Delux Experience” andando ad unirmi al #TemMilano in quel della Santeria. Nota: la Santeria è un localino mica male in zona Milano est che fa un ottimo hamburger con mozzarella di bufala e che, soprattutto, ti omaggia di un piatto di lasagne mentre lo aspetti.
La seconda mossa totale è stata selezionare il più grande capolavoro cinematografico di sempre per la visione collettiva. E non dovrei nemmeno stare a precisare qual è il film di cui si parla (un po’ perchè la locandina qui affianco parla da sola e un po’ perchè non credo possa venirvi in mente altro titolo in seguito alle parole che ho scritto), ma lo faccio solo perchè nell’era Nolan ho imparato che niente deve essere mai lasciato intendere: la pellicola selezionata per la serata finale della #400tv vol.2 è “THE LAST BOYSCOUT”.
Pausa.
Bruce Willis.Tony Scott. Shane Black.
Se cercate on line notizie su questo film potete trovare dei rumors secondo cui Gesù ai tempi decise di ritornare tra noi per prendere parte alla pellicola, ma che poi cambiò idea resosi conto non sarebbe potuta essere in ogni caso migliore di come la conosciamo.
Se cercate on line notizie su questo film sperando di trovare quella che ho scritto qui sopra smettete subito di leggere questo blog, vi prego. O quantomeno non dite a nessuno che lo fate.
Ad ogni modo, tornando a noi, tutto questo insieme di fattori ha reso la serata di ieri una cosa decisamente epica. Più della volta in cui, per vedere lo stesso capolavoro, abbiamo occupato (credo illegalmente, ma non ne ho tutt’oggi la certezza) la sala del cinema di Agrate e ce lo siamo gustati in proiezione privata. Ieri eravamo tantissimi in uno spazio piccolissimo. C’era quella sensazione di umidità e sudore che si riscontra solo in circostanze ad alta carica erotica tipo i video di Britney Spears o la metropolitana in luglio. E poi c’erano le facce. Per me che sono evidentemente anziano (“Ciao, io su twitter sono @tizio92” “92 nel senso che sei del 1992?” “Sì.” “Me lo ripeti?”) le facce hanno ancora una loro certa importanza. Vedere e parlare con le persone nel tentativo, quasi sempre destinato a fallire, di collegarle ai nick con cui di solito chiacchieri on-line è una cosa fighissima. Gente che non avrei mai riconosciuto, gente che immaginavo completamente diversa. Una cosa che mi ha rimandato indietro ai tempi dei forum di GdR. Stesso nerdismo, stesso mix di nick buffi e nick incomprensibili, con l’intersezione dei due insiemi che tende ad infinito.
Tutti belli. Tutti bravi.
E allora la serata funziona a prescindere, anche se dei dieci lettori DVD in sala (credo rubati, non c’è altra spiegazione) non ce ne fosse uno accoppiato ad uno qualsiasi dei venti telecomandi e la visione fosse piombata sul canale audio inglese. Tanto i presenti avrebbero potuto ridoppiarlo interamente lì, sul momento, dalla prima all’ultima scena. Invece s’è preferito commentare, ridere, tifare, applaudire e #berneunpaio che poi, alla fine, credo siano state più di due per grossomodo tutti. Tranne il sottoscritto, che causa arrivo in loco alle 21.00 s’era sparato le sue cartucce ben prima della proiezione.
Chiudo qui, quindi, salutando e ringraziando tutti i presenti per la bella serata in compagnia. Eventuali repliche future non potranno che farmi piacere.
E comunque, #wouldbang Halle Berry.

The dark knight rises

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  • Film

ATTENZIONE. Per quanto immagino che ormai chiunque fosse interessato abbia già visto il film, non essendo io come al solito particolarmente sul pezzo, mi preme chiarire che nel post a seguire potrebbero esserci SPOILER di ogni tipo e modo sul terzo capitolo del Batman di Nolan. Non avendo io ancora scritto il pezzo, non so dire quanti e quanto grossi, ma preferisco tutelarmi a priori.

Nel parlare di questo film, mi piace partire dal titolo.
In lingua originale questo film si chiama “The dark knight rises” e, dopo averlo visto, non posso che sottolineare l’adeguatezza del titolo scelto. Per quasi tre ore infatti si parla del cavaliere oscuro che si rialza, dopo essere stato abbattuto fisicamente o psicologicamente da amici e nemici vari. Il cavaliere oscuro, per chi non lo sapesse, è quel personaggio che di volta in volta interpreta ruoli che vanno dal miliardario egocentrico, al ninja, al super eroe, all’eremita, al filantropo. Bruce Wayne è una delle sue interpretazioni, Batman un’altra, ma contrariamente a quanto si possa pensare, la somma di questi due elementi non ci restituisce il 100% del protagonista. Qui, secondo me, sta uno dei due punti di forza di quest’opera, intesa come trilogia. C’è un percorso umano, tutt’altro che rettilineo, che vuole il nostro cavaliere impegnato nel dare un senso alla sua vita ogni qualvolta le circostanze lo mettano di fronte al fatto che, effettivamente, non tutto gira benissimo. Da qui i continui scivoloni da cui, puntualmente, il nostro eroe si rialza. Intendiamoci, a volte il processo di “rising” è strettamente legato al rimettersi in piedi dopo aver preso talmente tante botte da aver compromesso il fisico, ma le cadute emotive e quelle fisiche si intrecciano così tanto che, nell’allegoria generale, diventano di fatto la stessa cosa. E quindi chissenefotte se il ginocchio marcio non guarisce in otto lunghi anni di nulla in cui ci sarebbero tutto il tempo e i mezzi per farselo fare nuovo, mentre le stesse articolazioni e le vertebre rimescolategli da Bane vanno a posto senza cure in una fossa chissà dove nel mondo in soli tre mesi e con una catastrofe nucleare incombente che mette quella certa pressa. Il film parla di rialzarsi dopo le scoppole e delle motivazioni che portano a farlo. Con la leva giusta ci si può sollevare il mondo. Piaccia o meno, come messaggio, una volta che lo si spalma alla base dell’opera non c’è davvero nulla che fatichi ad incastrarcisi.
Analizzato ciò di cui parla il film, il punto due e vedere come ne parle e secondo il sottoscritto, ne parla bene. La parola parla, in questo caso, andrebbe sottolineata più volte. Il film infatti è un megagigantesco spiegone del concetto di cui sopra, ripetuto in talmente tante salse e circostanze che, davvero, non può non arrivare. Per i più veloci il film può arrivare al ridondante, per i più lenti è comunque chiaro. Dietro al DVD scriveranno “Film per tutti” e vuol dire questo. Infatti ce l’ha in mano uno che non è propriamente noto per lasciar spazio alle interpretazioni, uno che tra un chiarimento in più ed uno in meno sceglie sempre il chiarimento in più.
Prima parlavo dei due grossi meriti di questa trilogia. Uno l’ho spiegato, quindi andiamo al secondo. Non sono uno di quelli che parlerebbe di “realismo” dovendo descrivere questa trilogia. Secondo me c’è solo maggiore spessore nel definire il male. Spessore che viene fuori bene nel primo film, superbamente nel secondo e che segna, secondo me, il vero passo falso di questo terzo round. “Gotham merita un criminale di maggior classe”, direbbe il Joker.
Stringi stringi infatti, qui siamo a livelli infimi di caratterizzazione del villain. La sceneggiatura, parafrasata, sta a livelli di “La figlia di un precedente cattivo vuole vendicarsi di Batman e si fa aiutare da un ex galeotto affetto da pedofilia platonica”. Che. Merda. Insomma, mi infili tutto quel gigantesco sottotesto sul caos, l’indole umana, l’anarchia, il bene attraverso il male, Gotham come unica artefice della salvezza di Gotham e poi brutalizzi tutto con la tipella e il fidanzatino che vogliono vendetta? Ok, io ho capito caro Nolan che qui non volevi togliere spazio e neuroni alla comprensione del cavaliere oscuro che si rialza. La comprendo la necessità di non infilare ulteriori livelli di comprensione che poi, conoscendoti, avresti dovuto passare ore a spiegare. Però dai, esistono le vie di mezzo.
Grande spreco, insomma, delle potenzialità che la Gotham anarchica avrebbe potuto esprimere sullo schermo. Io che settimana scorsa mi son visto il secondo film e che ho ben presenti scene tipo quella dei due traghetti, con sto terzo episodio mi ritrovo in mano pochino.
Ok, queste a grandi linee le mie personalissime letture dell’opera. Ora chiudo con i dettagli.
– Sorpresona Anne Hathaway. Il personaggio viene fuori gran bene, lei mi pare brava brava e per qualche secondo ci si dimentica abbia il sex appeal di un termosifone. Era una delle cose su cui nutrivo più dubbi, direi che se ne esce bene.
– Il discussissimo finale della Firenze smarmellata sponsorizzato Fernet Branca a me non è piaciuto. E non è perchè Batman sopravvive, cosa che stando alla mia lettura sul rialzarsi è unica conclusione possibile, ma per come è messo sullo schermo. Qui secondo me Nolan toppa alla grande. Non passa il messaggio della leggenda che sopravvive all’uomo, dell’importanza del simbolo e della continuità. Questo capitolo doveva essere conclusivo e conclusivo non è, nel momento in cui metà della sala si alza dicendo “mo’ faranno Batman e Robin”. Servivano più palle, serviva una parola FINE scritta grossa così. Quindi ok il bat-segnale ricostruito, ok la statua, ok Robin che scopre la bat-caverna, ok Wayne che sopravvive (ecco, magari omettendo tutta quella parte sul pilota automatico perchè è imbarazzo vero). Tutto giusto. Solo, andava fatto vedere in maniera diversa. Non m’è piaciuto, insomma.
– Ho letto in giro che per molti il film è noioso. Sono due ore e quaranta e a me è passato via facilissimo. Io però non faccio testo, quindi uso il mio solito riferimento: alla Polly non solo è passato di bestia, ma le è pure piaciuto un bel po’. La Polly s’è addormentata durante The Avengers. Quindi no, non credo si possa definire noioso. Poi certo, dura come il secondo e succedono un terzo delle cose, ma questa è un’altra faccenda. Io alla fine mi son chiesto come fossero passate due ore e quaranta visto che succedeva poco e un cazzo, ma durante il film non ho mai pensato, neanche per un minuto, “che palle”.
– Io non so nulla di cinema a livello tecnico, sono semplice fruitore, quindi magari dico ovvietà. Però una delle cose più fighe di questo film è l’uso dei silenzi unito all’assenza di musiche in molte scene in cui, di solito, la musica troneggia. A me l’effetto che ne esce è piaciuto notevolmente.
Ok, questo direi che è quanto ho da dire riguardo a “Il ritorno del cavaliere oscuro”. Altre recensioni belle, che dicono a volte cose diverse ed altre le stesse, ma dette meglio, sono questa, questa e questa. Ah, c’è anche questa.
Per il sottoscritto non il film dell’anno, ma sicuramente una cosa che non fa male vedere.