Vai al contenuto

Riflessioni

Che fatica la vita su twitter nel 2018

Forse è il caldo, forse la noia, ma sento l’esigenza di parlare di una questione fondamentale.
Questa:

La Francia ha vinto i mondiali.
E’ una catastrofe, ma ci possiamo fare poco (avremmo potuto provare ad impedirglielo, che ne so, qualificandoci alle fasi finali, ma non vorrei tornare sul fatto che questa sia l’estate più triste della mia vita.).
Han vinto, dicevamo. Bravi.
Va beh, non hanno incontrato mezza avversaria decente e in finale vincevano 2-1 senza aver mai fatto non dico un tiro, ma un’azione d’attacco, ma OK. VA BENE. Lo accetto.
La Francia è campione del mondo.
E’ giusto festeggino. Solo che il social media manager del Louvre non ha trovato nulla di più francese della Gioconda per celebrare la sua nazione e questo a me pare un bel fail. Senza mi pare, anzi, è un fail clamoroso. Questi chiamano il DNA “ADN” e il computer “ordinateur” per non usare parole altrui e poi per auto incensarsi postano la Gioconda?
Son dei babbi, dai. 
Cosa che, tra l’altro, non scopriamo certo oggi.
Siccome però viviamo dei tempi davvero difficili, da questa cosa è scoppiato fuori un putiferio.
Da una parte sono ovviamente scattati subito tutti quei disagiati social che ultimamente a quanto pare costituiscono l’opinione pubblica italiana. Quelli che si esprimono come Salvini, quelli che “LA GIOCONDA E’ NOSTRA CE LAVETE RUBBATA!1!”. Va beh. Che in Italia ci sia una fetta importante della popolazione con la sabbia nella scatola cranica non credo sia una scoperta sensazionale. Si sono giustamente fatti blastare dallo stesso social media manager di cui sopra e questo fa un po’ da riferimento, avendo noi appena accertato non si parli di una faina.
Dall’altra parte sono invece insorti tutti quelli che ogni scusa è buona per buttare la questione in politica da bar. Non fossero bastati due giorni di dilemma senza senso tra il tifare Croazia “eh, ma così sto con Bargiggia e Casa Pound” o Francia “che però Macron lascia le donne incinte sui treni e ci fa la predica sull’accoglienza”, mettiamoci anche il carico con centinaia di inutili tweet a cavallo tra la storia dell’arte e il social shaming della propria nazione ignorante.
Non so quale delle due posizioni mi dia più i nervi, dovendo scegliere, ma il peggio è che sia impossibile provare a mettersi in mezzo, a definire una posizione diversa.
O stai coi derelitti che usano la gioconda per ricordare che la Francia in realtà è piena di africani, o stai con quelli che vedono nell’odio sportivo verso i transalpini una vena forzatamente legata ad un rigurgito nazionalista e sovranista.
Me lo spiegate come si tira fuori il nazionalismo da una competizione tra squadre nazionali, per la carità del vostro Dio?
E’ ovvio ci sia, ma è un nazionalismo sportivo. E’ sano? Va bene? Non lo so. Forse è un concetto che nel 2018 dovrebbe risultare anacronistico, forse invece è bene che ogni due anni i paesi europei sfoghino le loro rivalità secolari su un campo da calcio invece che invadendosi a vicenda. Però non si parlava di quello, santa madonna.
Si parlava di un tweet sbagliato fatto dal social media manager del Louvre per celebrare il proprio Paese. Non è complicato, basterebbe leggere le argomentazioni e rispondere a quelle, invece di continuare a sfogare la propria convinzione ideologica quale che sia l’interlocutore.
Poi se volete venirmi a dire che quel tweet non fosse un tentativo di innalzare i colori francesi dopo la vittoria mondiale, ma una più o meno velata operazione di perculaggio ai danni di noi italiani gufi e perdenti allora va bene. Non ci credo manco per un minuto, ma posso concedere il beneficio del dubbio (non si fa processo alle intenzioni).
Come presa per il culo è sicuramente efficacissima.
Permettetemi però di dire che se nel momento della massima vittoria il loro primo pensiero è sfottere un avversario che manco era in competizione, beh, è legittimo gli si imputi una mentalità perdente.
E forse è vero che da quel 2006 si devono ancora riprendere.

POOOOO-PO-PO-PO-PO-POOOO-POOOOOOO.

Il calcio è uno sport meraviglioso.

E’ il 115° minuto di Danimarca-Croazia, ottavo di finale mondiale.
Modric inventa una palla clamorosa per Rebic che, solo davanti al portiere, potrebbe fare qualunque cosa. Sceglie di cincischiare saltando il portiere per farsi poi abbattere dal difensore. Jørgensen cerca la palla, quindi  è cartellino giallo, però in questo momento conta solo una cosa.
E’ rigore.
Sul dischetto va proprio Modric. Il fenomeno del Real Madrid. Il capitano.
Calcia in modo orribile. Schmeichel Jr. non solo para, addirittura la trattiene.

Sbagliare un rigore al 115° vuol dire che la devi perdere.
Non ti rialzi da un colpo del genere. 

Si va quindi ai rigori.
La chiamano “lotteria” perchè azzera le differenze tecniche e tattiche, almeno in teoria. Può vincere chiunque. Contano solo tenuta mentale e fortuna, ma su quest’ultima nessun croato sarebbe pronto a scommettere, visto quanto appena successo. 
La Danimarca calcia per prima.
Ci va Eriksen, il più forte dei loro. Sbaglia.
Forse non è finita, forse la sorte ha deciso di pareggiare i conti. La fiammella della speranza agguanta una boccata di ossigeno e rinvigorisce un attimo. Giusto il tempo di vedere Schmeichel Jr. parare il penalty di Badelj, calciato anche peggio di quello di Modric nei regolamentari. La Croazia butta alle ortiche la seconda chance di vittoria in pochi minuti.

Non è cosa.
Gli Dei del calcio si stanno esprimendo chiaramente.
A ribadirlo è il proseguo dei calci di rigore. La Danimarca segna con Kjær, la Croazia impatta con Kramarić, ma Krohn-Dehli riporta ancora una volta avanti i danesi.
Modric ha sul piede la palla pesantissima della disfatta. Di nuovo lui, dopo quella per la gloria di 10 minuti prima.
GOL.
Ancora un rigore brutto, bruttissimo, che passa a pochi centimetri dal piedone di Schmeichel Jr., ma che questa volta si insacca alle sue spalle. I pochi centimetri che dividono tragedia e trionfo.
Parità. Di nuovo.

Solo che ora la sensazione è davvero che la sorte sia girata perchè Subasic, già fondamentale sull’errore di Eriksen, neutralizza Schøne e porta la Croazia al terzo possibile match point. Questa volta nei piedi di Pivarić.
La rincorsa è lunghissima.
Schmeichel Jr. para.
Schmeichel Sr., portierone anni novanta, in tribuna è letteralmente pazzo di suo figlio.
E’ t
ripudio danese sugli spalti.

Devono passare loro. E’ scritto. Come per Italia-Olanda nel 2000. Non ti puoi divorare tre possibilità di passare il turno senza pagare dazio alla fine. Non ai mondiali.
Credevo.
Invece Subasic fa un nuovo miracolo mettendo il piedone sul tiro centrale di un altro Jørgensen. 
Il quinto ed ultimo rigore tocca a Rakitić.
Se segna è vittoria, se sbaglia si va ad oltranza.
Palla da una parte, portiere dall’altra e Croazia ai quarti di finale.

Madonna che bello il calcio.


Questo post è nato su Facebook, ma poi ho pensato che meritasse di stare qui sopra. Che senso ha avere un blog, se le cose che scrivo le metto altrove?

Di Maio ha un problema / Di Maio è un problema.

Il 27 maggio, in seguito all’ormai celebre discorso di Mattarella, Di Maio sbrocca e inizia a vaneggiare di impeachment e traditori della patria prendendosi del buffone perfino da Scanzi.

Il 28 maggio, ignaro o non curante dell’esistenza di quel che i tecnici definiscono “verbali”, Di Maio accusa pubblicamente la prima carica dello Stato di aver mentito sulla proposta di alternative del M5S per l’economia, facendo reiterare l’accusa anche da Di Battista.

Il 30 maggio, Di Maio torna a far visita al Colle per chiedere la possibilità di fare un passo indietro su Savona e provare a mettere finalmente in piedi sto benedetto Governo del Cambiamento®.

Tralasciando per un attimo come in tutto questo bailamme il giornalismo italiano abbia vissuto uno dei momenti più bui della sua storia, tra comizi trasmessi ovunque senza il minimo contraddittorio e fake news, io vorrei proprio parlare di Di Maio.

In questi ultimi tempi si è fatto un gran parlare di “competenza” come chiave per discriminare chi può dirigere il Paese e chi no. Per molti il tutto si è fermato alla questione laurea/non laurea, diventando presto argomento da meme piuttosto che da analisi politiche.
Non starò qui a dire per la milionesima volta che anche per il sottoscritto la mancata laurea di Di Maio abbia un peso, quel che mi preme analizzare adesso è come negli ultimi tre giorni sia emerso il vero nocciolo della questione: fare politica è una cosa difficile e bisogna saperla fare. Bisogna sapere, ad esempio, che non è ambito in cui essere impulsivi e rilasciare la prima dichiarazione che passa per la testa, magari in preda alla rabbia. Oppure bisogna saper comprendere quando gli “alleati” ti stanno mettendo nel taschino e tirando una sola. Se non per evitarlo, per essere pronti a reagire senza fare danni ancora più grossi di quello subito.
Questo intendevamo quando parlavamo di un Di Maio inadeguato, impreparato, non competente. Non si parlava solo della sua formazione, ma delle reali capacità, di cui in questi giorni abbiamo avuto dimostrazione.

Di Maio è un dilettante a capo di un gruppo di dilettanti.
Quanto è successo con Mattarella è grave, ma ancora gestibile. Se davvero si metterà alla guida del Paese non è detto ci sia sempre spazio per recuperare alle cazzate che fa quando si trova suo malgrado in situazioni impreviste o che scoprirà in corsa di non saper gestire.

Per dirla semplice: butta malino.

Una per BASTONATE che chiude

Srivere un blog è una delle tante cose che ho iniziato a fare senza sapere cosa fosse. Era un pomeriggio del 2005 e mi ci sono infilato convintissimo avrei poi mollato entro breve e senza rimpianti. Vai tu a sapere mi avrebbe preso così bene scrivere.
Son passati davvero tanti anni da quel pomeriggio e questa cosa dei blog sta sempre più diventando l’equivalente dei giapponesi nella foresta alla fine della seconda guerra mondiale. Eppure per un certo periodo se internet ha avuto senso è stato per via dei blog.

Ho iniziato a leggere BASTONATE quasi da subito. Non ho idea di come ci fossi arrivato, dovessi metterci due centesimi direi da Junkiepop (rip.), probabilmente per la cosa della classifica delle copertine più fighe dei dischi usciti tra il 2000 e il 2009. Forse addirittura prima, ma conta poco.
Quello che conta è che non me ne sono mai andato. Mi son letto tutti i pezzi, anche quelli scritti dagli autori che non mi piacevano (qualcuno), anche quelli che parlavano di roba che non mi piace (la larga maggioranza). Per Francesco è una roba normale appassionare qualcuno parlandogli di musica che non gli piace, per me non lo è mai stato, eppure ero sempre lì.
In nove anni ho mandato a BASTONATE tre “pezzi”, spinto da quella insana voglia di far parte di qualcosa che ti piace no matter what. Il primo è passato, ma non c’era scritto niente. Era solo il link a un video con un titolo. Uscì senza il titolo.
Il secondo aveva addirittura un contenuto, una micro recensione di tre righe all’album di Natale dei Bad Religion. Uscì esattamente come l’avevo inviato. Anni dopo in un altro pezzo Francesco dimostrò di averlo completamente rimosso dalla memoria, come capita coi traumi.
Il terzo era una roba entusiasta sulla reunion dei Mineral che non solo fu cassato, ma suscitò addirittura un contro-post volto a bastonare la reunion stessa. Va beh, anche BASTONATE ogni tanto cappellava male, chi non?

Oggi BASTONATE chiude i battenti dopo nove anni in cui, tra le tantissime robe fatte, dette e promosse, si son tolti pure la soddisfazione di un paio di premi come miglior sito musicale italiano, in faccia a gente che non era propriamente allo stesso livello in termini di mezzi e “impegno” (leggi: gente che lo fa di mestiere). Credo sia una cosa bella, ma soprattutto giusta, in un mondo dove se si pensa a una penna per dirigere Rolling Stones viene in mente Selvaggia Lucarelli.
A differenza di tanti, troppi blog che ho seguito con passione e che se ne sono andati senza manco salutare, BASTONATE lascia un post di addio a sancire ancora una volta quel gradino di stile che li ha sempre tenuti più in alto degli altri nella mia classifica personale dell’internet (nota anche come la Esticazzi? Chart). La cosa buffa è che nel post citano addirittura una band che mi piace, cosa che in nove anni sarà successa in una manciata scarsa di altre circostanze. Nel senso, mi ha fatto sorridere, cosa che visto il contesto non era pronosticabile.

Tutto questo per dire che, bon, BASTONATE mancherà abbastanza anche se ormai pubblicava pochissimo, perché saperlo lì era un piccolo stimolo ad andare avanti nell’ignorare che i blog hanno rotto il cazzo. Nella foresta di cui sopra inizio a sentire l’eco dei tasti del mio pc mentre scrivo e forse dovrei riflettere su cosa vuol dire.
Forse invece mi sta bene sia cosí, la recente discussione a tema Primo Maggio ha già sancito il mio comfort nel collocarmi tra i vecchi tromboni e credo che non ci sia nulla di male nel vivere le cose del proprio tempo anche oltre la fine della loro rilevanza. Può farlo il vinile, magari capiterà anche ai blog.
Di mio voglio solo ringraziare per tutto Francesco e gli altri. Per celebrare questo avvenimento c’era solo un alternativa a scrivere ste righe ed era sentirsi un disco dei Fugazi, cosa che anche no.
I Fugazi sono quel gruppo che se dici che ti fan cagare prendi scoppole da chiunque, ma mi pare il momento giusto di fare outing. Anche solo per suscitare disappunto e quindi chiudere con una gag che per tutto il post mi sono pregato di evitare.
Il titolo del post vorrebbe essere un omaggio, ma probabilmente è sbagliato.

Andrés Iniesta

La stagione 2017/2018 sarà l’ultima di Iniesta al Barcellona, il che vuol dire l’ultima stagione nella sua squadra di sempre. Forse si ritirerà, forse finirà in qualche campionato assurdo, ma di certo non giocherà più nella Liga, tantomeno in competizioni che potrebbero costringerlo ad affrontare il Barça.
Iniesta è con ogni probabilità il giocatore più forte che io abbia mai visto giocare. Non viene mai fuori nei discorsi “da bar” perchè si pensa sempre a quei giocatori spettacolari o alle macchine da gol, ma pochi di questi sono riusciti ad essere costanti quanto lui, decisivi quanto lui, completi quanto lui o anche solo vincenti quanto lui. 
Negli anni della costante sfida tra Cristiano Ronaldo e Messi per il pallone d’oro, Iniesta ne avrebbe probabilmente meritato più di uno eppure non si è mai gridato allo scandalo, neppure nel 2010 quando vinse i Mondiali con la Spagna. Lo diedero a Messi, che quell’anno non vinse nemmeno la Champions League per quella strana congiuntura astrale che i milanesi brutti chiamano Triplete.
Una vita nel Barcellona, una vita come pilastro di una delle squadre di club e delle nazionali più forti di sempre, che per almeno 5 o 6 anni hanno brutalizzato il calcio mondiale.
Accanto a lui continuavano a passare fenomeni ultrapagati e ultrasponsorizzati: Ronaldinho, Messi, Neimar, Suarez, Eto’o, Ibrahimovic, per dire i primi che mi vengono in mente. Gente che infiammava le pagine di calciomercato ogni estate, giustamente, ma che deve a Iniesta un bel po’ della propria fortuna. Lui e Xavi, il cui percorso è stato simile, sono sempre passati in secondo piano quando in realtà erano il vero diamante in quei contesti. Tra i due, per me, Iniesta un po’ più brillante.
A 34 anni Andés Iniesta chiude dopo aver vinto TUTTO:
1 Mondiale (2010)
2 Europei (2008, 2012)
1 Europeo under 20 (2012)
4 Champions League (2006, 2009, 2011, 2015)
3 Supercoppe Europee (2009, 2011, 2015)
3 Mondiali per Club (2009, 2011, 2015)
9 Campionati Spagnoli (2005, 2006, 2009, 2010, 2011, 2013, 2015, 2016, 2018)
7 Supercoppe di Spagna (2005, 2006, 2009, 2010, 2011, 2013, 2016)
6 Coppe di Spagna (2009, 2012, 2015, 2016, 2017, 2018)
Mai una parola fuori posto, mai un atteggiamento sconveniente, sempre “under the radar”. 

E noi stiamo dietro a Buffon.

La Scena

Ieri sono andato in Santeria alla presentazione del documentario LA SCENA, ovvero la storia del punk-rock italiano anni 90 raccontata dalla viva voce di chi c’era.
A me è piaciuto tanto.
Mi è piaciuto non fosse un documentario a tesi, ma solo una raccolta di testimonianze. Leggi il titolo e pensi sia un’operazione nostalgia che punta a dire quanto fosse figo quel momento lì, invece è un’operazione nostalgia (su questo torno dopo) che prova a capire cosa sia successo in quel momento lì. Senti le testimonianze e non è neanche vero per tutti esistesse, questa benedetta SCENA. 
Si racconta il periodo e ne viene fuori un’immagine abbastanza centrata agli occhi di uno che non c’è mai stato dentro davvero in termini di amicizie e relazioni, ma che ci ha vissuto dentro almeno cinque anni pieni della sua vita.
Ho st’immagine in testa in cui siamo al forum al concerto degli Offspring post Americana, ’99 direi, e al banchetto del merch incrociamo il trombettista rasta biondo degli Shandon, che aprivano il live. Ci guarda e ci fa: “Oh raga, ma anche qui siete venuti?”. Non ci avevamo mai parlato con quel tipo. 
Questo per dare un riferimento di cosa intendo con viverci dentro.

Per il resto sì, è un’operazione nostalgia che gioca molto sul ricordo di un momento preciso fatto di suoni, contesti e persone precise. Non ha la pretesa di essere omnicomprensivo o esaustivo, non credo almeno, ne tanto meno di aggiungere chissà quale profondità di dettaglio storico al racconto. Potremmo stare qui a dirci sia fatto per raccontare a chi non c’era cosa è successo, ma non so quanto sarebbe onesto. Credo che l’interesse per questo bel lavoro arrivi quasi totalmente da dentro e per me va bene sia così. Voglio pensare non esistano nati nel 2000 oggi in fissa coi Punkreas o coi Derozer. Sarebbe triste, in un certo senso.
Alla fine quindi questo documentario è esattamente quello che ti aspetti possa essere prima di vederlo, nella stessa misura in cui sai come suonerà un disco punk-rock prima di ascoltarlo. Proprio come in un disco punk-rock ci sono i pezzi che ti spostano, anche in questo LA SCENA ci sono due o tre perle. Commenti centrati, spunti di riflessione, testimonianze che ti lasciano attaccato qualcosa e che arricchiscono, o magari semplicemente tolgono la polvere a concetti rimasti in angoli reconditi della memoria un po’ troppo tempo.

Tutto quello che ci succede è influenzato da come lo viviamo, dal nostro stato d’animo nel momento. Ieri io compivo 37 anni e stavo vivendo la cosa con l’ormai classico mix di sbattimento e ansia. 
Finire a guardare un documentario su quando ero ragazzino poteva prendermi malissimo, invece è stato bello e credo sia soprattutto merito di come il documentario è stato fatto.
Metto qui sotto il trailer, andate a vederlo.

La mia storia con internet

Oggi ho visto Dietnam raccontare la sua storia con internet all’interno di un’iniziativa di cui non so nulla*, ma che per come l’ho colta mi è sembrata molto carina. Di conseguenza ho deciso di partecipare buttando giù la mia versione.
A pensarci è l’incipit perfetto perchè la mia storia con internet è fatta in larghissima parte di autoinviti ad iniziative che scopro in giro e che trovo carine. Lo faccio grossomodo dal 2005, quando sui blog che seguivo partivano catene in merito ad ipotetiche liste di canzoni da passare agli alieni, per fare il primo esempio che ricordo. A memoria non sono mai stato coinvolto direttamente, nel senso che nessuno mi ha mai chiesto “Ehi, Manq, ti va di partecipare a sta cosa?”, ma un tot di volte mi ci sono infilato di mio e in alcuni casi ne sono uscite robe anche carine. 
Sono tipo il protagonista di Tapparella, ma ho quasi 37 anni.
La cosa se vogliamo strana è che non vivo male questa situazione, per niente. E’ indubbio ci sia una sorta di “giro giusto” da cui mi sarebbe piaciuto ricevere considerazione, ma per me internet è sempre stato soprattutto un modo di gratificare me stesso. Scrivo cose e sono contento di averle scritte, finisce lì. Non ci lavoro**, non ci guadagno, non lo considero la mia fonte primaria di soddisfazione o gratificazione. 
Cosa sia per me internet riassume bene la storia che ho con lui.

In primo luogo internet è stato musica. Soprattutto musica gratis. 
Sono nato in provincia e mi sono costruito un giro di amicizie più legate alla prossimità spaziale che non a reali interessi in comune, di conseguenza per me avere accesso a un posto in cui scoprire musica nuova da ascoltare è stato la svolta. Non parlo solo di poter scaricare roba gratis, ma proprio di sapere ci fosse roba buona da scaricare. Più dei vari napster, emule, winmx per me sono stati vitali siti e webzine. Anche Myspace, tocca ammettere, ma soprattutto i forum.
Ricordo con amore infinito il forum di Monnezza nonostante credo odiassi il 98% degli utenti con cui entravo in contatto. Gente che ora probabilmente frequento online con altri nomi (#grazieaddio), ma che ai tempi avrei preso a sprangate sui denti. Tranne Fat Emo Boy. A Fat Emo Boy volevo bene. Magari è l’unico che se scoprissi oggi chi è mi starebbe sui maroni.
La mia storia con Internet è una storia di seconde possibilità date inconsapevolmente a gente che ha solo cambiato nick.
C’è stato un periodo in cui avrei voluto scrivere di musica per i siti che frequentavo e c’ero pure riuscito con Emotional Breakdown, che aveva accettato un paio di pezzi miei prima di chiudere per sempre. Poi c’è stato un secondo periodo in cui scrivevo di musica per una webzine che trattava prevalentemente metal e nu-metal. Le mie rece erano tipo i servizi senza donne nude di Novella2000.
Mi piaceva, come cosa.
Ogni tanto ci scappava pure qualche accredito per concerti dove davanti al gruppo trovavi massimo 50 persone. Calcolando il mio livello di rilevanza come critico musicale, probabilmente nessuna pagante.

Oltre alla musica, il secondo elemento per importanza della mia storia con internet sono le persone.
Ho conosciuto la mia prima morosa propriamente detta grazie a internet, per quell’assurdo meccanismo per cui serviva ICQ per incontrare una ragazza che abitava a 100m dal mio liceo. Tolto lo scintillante inizio non direi internet sia stato poi questo grande motore alla mia vita sentimentale, piuttosto alla mia vita sociale.
Ho già parlato dei forum e il più importante è certamente quello di GdR che ho frequentato nei primi 2000, attraverso cui ho conosciuto un monte di gente che frequento ancora oggi in real life (a parte Manowar tutti volentieri, tra l’altro).
Morti i forum sono arrivate le sezioni commenti dei siti che frequentavo. Anche lì era bello entrare a far parte di community e conoscere persone con le tue stesse passioni. Scoprire a trent’anni di non essere l’unico al mondo a reputare “The Last Boyscout” il miglior film di sempre è una bella epifania ed è stato possibile solo grazie ad internet.
Lo step ancora successivo di questo fenomeno sono probabilmente i gruppi su Facebook che sfociano in gruppi whatsapp, ma io non ci sono arrivato. Temo di essere sceso dal treno alla stazione prima. La mia vita fuori da internet è diventata troppo densa, con ogni probabilità, o forse non mi è ancora capitata la spinta giusta per poter fare questo ennesimo passo in avanti nel panorama del dialogo virtuale.

E’ bello dialogare su internet.
Fa incazzare, spesso, eppure è l’unico posto in cui puoi trovare interlocutori per qualunque argomento tu abbia voglia di affrontare. La mia storia con internet quindi è anche venata di un certo rammarico perchè nella mia testa sarebbe potuto e dovuto essere un posto molto più utile di quel che è diventato.
Un luogo dove imparare qualcosa, comunicare con tutti, avere accesso ad informazioni, che invece è diventato un ricettacolo di fake news, dove la “satira” ha sostituito l’informazione e dove comunicare ha ormai un significato profondamente distorto.
Non credo sia colpa di internet, però.

Conclusione: io sono Manq e la mia storia su internet è vecchia di vent’anni o quasi in cui mi sono sostanzialmente divertito.

* è probabile che i coinvolti ci guadagnino dei soldi con questa cosa e che io la stia spingendo a gratis unicamente per dare sfogo alla mia voglia di raccontarmi. Anche questo dice qualcosa della mia storia con internet.
** un pochino oggi ci lavoro per forza, perchè sono nell’ufficio marketing di un’azienda ed è impossibile prescinderne ormai. Diciamo che il mio lavoro non dipende dalle mie (non) competenze sul web ecco.

Quella volta che ho creato un account di meme

Se seguite questo blog sapete che ogni tanto faccio meme che non fanno ridere (ref.). Ovviamente intendo che non fanno ridere gli altri. Io mi ci spacco. 
Ad ogni modo, giorni fa uno dei miei contatti twitter se ne esce con l’idea di un meme di Di Maio con una frase presa da un pezzo dei Tiny Moving Part. L’associazione in se non mi aveva spostato più di tanto, però hanno iniziato ad apparirmi in testa immagini di politica con didascalie prese da pezzi emo. E boh, mi sembrava una cosa divertente.

Così ho aperto un account twitter che si chiama @emocrazia e ci ho messo dentro un po’ di queste creazioni. Pensavo sarebbe passato via inosservato… e infatti è passato via inosservato, salvo per un breve momento di gloria che mi ha portato a raccimolare una settantina di follower (#ChiaraFerragniScansati), che amo tutti come fossero figli miei.
L’immagine che ha raccolto maggior successo (e me lo aspettavo) è quella dei Pixies, ma per quel che mi riguarda, la più bella è quella con la Boschi e i Taking Back Sunday che sta in copertina alla gallery qui sotto. 
Non so quanto andrò avanti, sull’onda dell’entusiasmo ne ho creati una decina immediatamente e altrettanti il giorno dopo, postandoli poi via via nella settimana. Ora li ho finiti, magari settimana prossima mi ci rimetto, magari no, ma in ogni caso continuo a trovarla una cosa divertente.

Sovranità popolare

Oggi a Udine è successa una tragedia. Un ragazzo di 31 anni non si è svegliato, lasciando orfana una bimba di due. Il ragazzo si chiama Davide Astori ed era il capitano della Fiorentina.
Le chiamano “morti bianche”, pare non ci siano ragioni mediche chiare alla loro base e sono probabilmente la mia paranoia più grande per distacco. Nel senso che spesso non ci dormo, per sta cosa, o magari ho attacchi di panico, per sta cosa.
Insomma, la classica notizia che lascia scossi.

Navigando mi sono imbattuto in questo tweet:

Chi lo scrive è fiorentino e tifoso viola, oltre ad essere stato sindaco di Firenze.
Ora vi riporto alcune delle risposte che trovate sotto questo tweet, senza indicare gli autori perchè non sono Selvaggia Lucarelli, ma chiarendo che alcuni li ho segnalati. Sono tantissime, ne prendo solo alcune, ma il tono è abbastanza omogeneo.
– La campagna elettorale dovrebbe essere finita!!!
– Non può parlare. Punto. Ma meschino com’è mercanteggia anche sulla morte. Maledetto.
– Non riesci proprio a stare zitto: a urne aperte strumentalizzi pure i morti.Omuncolo senza DIGNITÀ.
– Se dovessi piangere per tutte le famiglie italiane che hai rovinato, dovresti reincarnarti per una ventina di generazioni, e non basterebbe
– Ma non ti vergogni ipocrita? Ad urne aperte approfitti di una tragedia per farti bello! Sei proprio odioso arrogante ed incapace!
– SEI E RESTERAI UN PICCOLO UOMO DI MERDA CON LE URNE APERTE STRUMENTALIZZI UNA MORTE PERCHE NON LO FAI ANCHE PER UNA PERSONA QUALUNQUE SEI SOLO RIDICOLO PEZZO DI M……. IO NON HO NIENTE CONTRO ASTORI ANZI A ME PUO DISPIACERE MA NON ATE MERDA CHE SEI VEDI COME HAI RIDOTTO ITALIA
– Almeno le hai fatte le condoglianze PRIVATE alla famiglia? #viscido
– Le tue lacrime da 🐊 sono in realtà, quelle da Sciacallo.
– Ma vaffanculo non hai pianto per tutto il popolo italiano a cui morivano migliaia. Di figli figuriamoci X un solo uomo, tu oggi da intelligente non dovresti nemmeno intervenire xche questo è anche colpa tua e della tua indifferenza
– Vergognati sciacallo

E avanti così, per lunghissime pagine di commenti.
Oggi in Italia si vota per formare un nuovo Parlamento, espressione della volontà popolare. Che, in parte, è rappresentata qui sopra.
Resta da capire in che percentuale.