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Riflessioni

Quella cosa dell’ad di Tommy spiegata bene

Succede che sto scrollando il feed di Facebook e mi appare questo ad di Tommy Hilfiger che, come credo nell’intenzione di chi l’ha pensato, mi fa bestemmiare.
Così apro wordpress e inizio a mettere insieme i pensieri al fine di argomentare la mia bestemmia, solo che ad una certa penso: “E se, invece, la buttassi in vacca?”. Mi capita spessissimo di pensarlo, ma direi che da qualche anno a questa parte 9 volte su 10 desisto, inseguendo il miraggio del mio quieto vivere. ‘Sta volta no.
Questa volta chiudo wordpress, apro i social e me ne esco con questa cosa qui:

Detesto essere quello che spiega le barzellette, anche quando non fanno ridere, ma tocca provarci: credo sia evidente il patriarcato sia ancora esattamente dov’era quando Tommy nelle pubblicitá ci metteva Gigi Hadid. Non sono peró neanche qui a darmi il tono di quello che “era un esperimento sociale”, “era solo una provocazione” o, peggio, “mi avete frainteso”.
Sono davvero convinto che la scelta di modellǝ distanti dai canoni comuni di bellezza (e, precisiamolo, non é tanto/solo questione di taglia) sia una stupidata e adesso elencheró le mie ragioni per punti.

1) Mi dá profondamente fastidio l’ipocrisia di base. Non dei brand peró, delle persone. Di quelli che se Volkswagen pubblicizza ormai solo modelli ibridi o elettrici é greenwashing, mentre Tommy fuckin’ Hilfiger che piazza una ragazza selezionata appositamente per non risultare bella a nessuno (perché se non é trasversale, la campagna non funziona) sia da applaudire. O cavalcare certe lotte per ritorno commerciale é sbagliato sempre, o non é sbagliato mai. Solo i Sith vivono di assoluti, ma Yoda diceva: “do or do not, there is no try” quindi mollatemi, che anche in questo caso mi pare si stiano usando due pesi e due misure sulla base del tifo.
Dei brand che si appropriano di valori non necessariamente loro per vendere avevo parlato qui tempo fa, quindi non sto a ripetermi e vado avanti.
2) Smantellare i canoni di bellezza é una chimera del cazzo. Mi sembra assurdo doverlo stare a dire, ma in una societá in cui siamo costantemente esposti a dei modelli, chi sceglie questi modelli ci plasma sulla base del costruire in noi delle aspirazioni a cui omologarci, possibilmente acquistando ció che serve. Nel momento in cui ci andiamo tutti meravigliosamente bene cosí come siamo, finisce che non ci serve piú niente e, da dove la sto guardando io (AD 2023) non siamo destinati, come specie, all’assenza di necessitá.
Appurato questo, io credo che il problema non sia mai nel tipo di modello a cui ci chiedono di tendere, ma nella nostra capacitá di accettare il nostro esserne distanti, ma qui andiamo a dove bestemmio piú forte, ovvero il punto
3) L’EDUCAZIONE NON LA FA LA PUBBLICITA’. Non é e non sará mai il suo ruolo e, anzi, sarebbe dannosissimo delegarle quella funzione. Ci servono gli strumenti per comprendere il ruolo della pubblicitá e per costruirci la self confidence necessaria a guardare un poster con Cristiano Ronaldo o Jennifer Lawrence senza sentirci dei falliti. E lo strumento non é convincersi che su quel poster potremmo/dovremmo starci anche noi. Perché?
4) Perché ci saranno sempre ambiti in cui ognuno di noi funziona meglio o peggio. Stare in mutande su un cartellone ha un’unica valenza ed é estetica. Non c’é merito nell’avere quella dote come non c’é merito nell’essere alti due metri o avere una mente piú brillante della media. Sono fortune, che volendo richiedono anche un certo impegno/sacrificio per non essere vanificate, ma che di fatto apriranno alcune porte con piú facilitá. Di nuovo, lo scopo dovrebbe essere avere porte per tutti ed essere capaci di scegliere le proprie, non pretendere di passare tutti dalle stesse.
5) Dovremmo anche smetterla di raccontarci che la bellezza abbia qualcosa a che vedere con il patriarcato. Il patriarcato ha a che vedere solo col potere.
Questa cosa la spiega benissimo il porno, che é (anche giustamente) accusato di essere uno dei fattori che contribuiscono a radicare un certo tipo di mentalitá negli uomini. Nel porno ci sono categorie di ogni tipo, per fantasie di ogni tipo. Il porno é maschilista perché fallocentrico e costruito attorno al piacere maschile, quando lo si accusa perché “alimenta fantasie verso standard di bellezza stereotipati” si manca clamorosamente il bersaglio. Anche fosse, peró…
6) Dovremmo assolutamente smetterla di criminalizzare la fantasia o, peggio, costruire una societá che per evitare delusioni ci forzi a sognare in piccolo. Vaffanculo. La fantasia é un paradiso che esiste davvero, a comando, per compensare qui ed ora un’esistenza non sempre all’altezza di essere l’unica che avremo a disposizione. 

Per questi motivi, quando vedo quel tipo di ad, mi monta il nervoso. Sono tutti punti ampiamente dibattibili e non condivisibili, ci mancherebbe. Senza togliere che l’uscita con cui ho provato a esplicitare il dissenso possa essere considerata “infelice”. La cosa che, come sempre, mi fa un po’ sbarellare é la reazione social a questo tipo di uscite.
Su FB, dove di massima conosco le persone che vedono quel che scrivo, c’é un po’ piú di propensione al dubbio e meno tendenza al giudizio tranchant. In tanti avranno letto quel post pensando “che cazzata”, ma se qualcuno pensa che io sia un coglione non lo pensa (solo) per via di questo post cosí come non sará un post a fargli cambiare idea domani. Conoscendomi, qualcuno di quelli che ha pensato fosse una cazzata si é premurato di dirmelo, anche solo per incasellarla nell’idea che ha di me.
Su twitter la cosa é ovviamente diversa, ma io sono un cretino e penso che non lo sia.
Penso che chi mi segue un po’ mi conosca e che quindi non mi giudichi ogni volta da zero, ad ogni tweet, sfanculandomi alla prima uscita “non conforme all’atteso”, eppure so benissimo che non é cosí che funziona da quelle parti. Mi ostino a cercare in quel posto interazioni/relazioni che non sono nella natura del contesto (salvo eccezioni che peró rientrano nel tipo di persone simili al profilo che ho descritto per FB).
E quindi finisco sempre nello stesso loop, a ragionare di come si possa avere aspettative cosí alte nei confronti di chi ci sta intorno, responsabile di dover dire sempre e solo cose condivisibili.
Boh, io non ce la faccio.


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Chi perde, spiega

E quindi eccoci qui.
Durante la semifinale di andata sono stato coinvolto in un meeting aziendale, quindi l’ho vissuta un po’ come Fantozzi quando, nei primi dieci minuti di partita, arrivavano via whatsapp notizie incredibili di doppio vantaggio nerazzurro e infortunio di Bennacer. Solo che, purtroppo, era tutto vero. 
Ieri è stato pure peggio, perchè mi è toccato seguirla. Ho dovuto sedermi davanti alla tv per constatare al minuto 3 di avere più voglia io di chi stava in campo. E non è questione di crederci, perchè non c’era nessuna ragione per crederci. E’ più quell’orgoglio misto disperazione che dovrebbe portare a giocare una partita come quella di ieri con il sangue agli occhi. Una di quelle partite in cui la frustrazione ad una certa affiora e così, quando finisce in rissa, da casa devi soffocare l’istinto becero che ti porta a sperare di menare un avversario che non sei riuscito a battere.
Se ieri fosse finita in rissa invece, onestamente, le sberle avrei voluto che i nostri le prendessero, più che darle.
Siamo scesi in campo con l’atteggiamento di chi punta prima di tutto a limitare i danni, a non prendere imbarcate, con l’unico obbiettivo di poter andare in conferenza stampa alla fine e sproloquiare di testa alta. Solo che non esiste limitare i danni in un derby semifinale di Champions League. Esiste vincere o perdere. Sarebbe potuta finire 0-0 come 3-0 e oggi i discorsi da fare sarebbero stati gli stessi, perchè l’inter ci è stata superiore in tutto e torniamo a casa senza nemmeno la possibilità di rimuginare sulla sfiga o l’arbitraggio. Solo con l’immagine del giro palla finale e i loro olè di merda nelle orecchie. 
Una bruttissima pagina di Milan con cui dovremo convivere.

L’idea adesso è provare a capire come ci siamo arrivati, mentre ci lecchiamo ferite su cui, simultaneamente, stiamo gettando del sale.
Ho passato un anno a sentire minchiate relative ad uno scudetto “fortunato” o “regalato” relativamente ad una stagione dove, senza dietrologia o complottismi, il Milan ha chiuso con meno punti di quanti avrebbe dovuto avere a differenza di chi inseguiva. Il Milan ha vinto MERITATAMENTE lo scudetto.
Diverso sarebbe sostenere che il Milan 21-22 avesse la rosa più forte della serie A. Non è così. Avevamo una rosa compatta, ma cortissima, che uscendo da tutte le competizioni praticamente subito ha potuto focalizzarsi sul campionato e tenere botta in una stagione dove le avversarie, ognuna a suo modo, avevano lasciato spazio e punti per strada. Cosa che quest’anno il Napoli invece non ha fatto. Ad ogni modo, ci siamo ritrovati a maggio con la rosa compatta e vincente e un pezzo importante, ma non così fondamentale come piace raccontare, in uscita. 
Non ero nella stanza dei bottoni, ma secondo me il ragionamento societario è stato questo: “Lo scudetto non cambia la priorità, che è continuare a giocare la CL arrivando nei primi 4. Quel che si può fare, concretamente, è aggiungerci un cammino più lungo in coppa continuando a lavorare programmaticamente sul futuro.”
In quest’ottica, il tanto vituperato mercato estivo io tendo quasi a salvarlo. Perchè per quell’obbiettivo, ragionevolmente, allungare la panchina con dei rincalzi e investire su un giovane di prospettiva per il ruolo più scoperto negli 11 titolari (quello di Kessie/Krunic) era un’idea valida. Ovviamente qualcosa di diverso andava fatto, non sono qui a nascondermi. Oltre a tante giovani scommesse qualche giocatore sicuramente pronto andava inserito, se l’obbiettivo era portare a casa qualche partita di campionato in più con le seconde linee senza accendere ceri alla madonna, ma di massima hanno preso un vice Giroud (Origi), hanno rimpolpato il centrocampo con Adli, Pobega e Vranckx e puntellato in difesa con Thiaw e Dest in aggiunta al rientro a regime di Kjaer. E poi sono andati all-in per l’unico che sarebbe dovuto diventare titolare: Charles De Ketelaere.
Cosa è successo, allora?
Non è facile dirlo, però quello che è arrivato a me che le guardavo dal divano è che nessuno di questi nomi si sia rivelato in grado di giocare a pallone in Serie A, restituendoci a questo punto una rosa ancora più corta di quella dell’anno prima, costretta ad affrontare tutti gli impegni di una stagione lunghissima e con la grande variabile del Mondiale in mezzo. E’ successo che per il secondo anno di fila il tuo portiere si è fatto male senza che tu avessi provveduto ad un rimpiazzo presentabile (sfiga) e che due dei tuoi giocatori chiave, dopo essere stati spremuti da te, si sono anche dovuti sparare un cammino mondiale impegnativissimo conclusosi con la botta psicologica della finale persa. A fine Dicembre tutto questo era evidente e sotto gli occhi di tutti ed è qui che c’è stato il vero, gigantesco errore: non fare nulla. Per tutto Gennaio, col mercato aperto e la squadra che prendeva 3 gol nei primi 20′ contro letteralmente chiunque, la società non ha mosso un dito per tentare di aggiustare una situazione che, se anche figlia di decisioni giustificabili e ponderate, di fatto urlava per la necessità di interventi.
Lì è andato tutto, come si suol dire, affanculo.
Corti, stanchi e (si vocifera) non più compatti come l’anno precedente: quella che anche sulla carta sarebbe stata una salita è diventata una parete da arrampicata. Col senno del Poi sembra facile dirlo, ma se una tra il Tottenham in crisi ed il Napoli sbruffone avesse fatto il favore di eliminarci, oggi saremmo probabilmente messi meglio in campionato e parleremmo di questa stagione con toni decisamente diversi. Non è andata così, ma non è detto sia necessariamente un male.

Quindi, adesso, che si fa?
Questo terzo paragrafo ci porta obbligatoriamente ad interrogarci sul futuro e, secondo me, il vero nodo da chiarire è quello relativo all’allenatore. Io vorrò sempre bene a Stefano Pioli e resto convinto che nessun coach al mondo, nessuno, con questo Milan avrebbe fatto meglio di quel che Pioli ha fatto tra il 2020 e il 2022. Fino a prima di questo derby tremendo la mia posizione quindi era che, senza i dovuti investimenti sulla rosa, nessun allenatore sarebbe potuto arrivare a portare un valore aggiunto. Oggi la penso diversamente. La mia sensazione è che un cambio in panchina sia necessario perchè qualcosa, nello spogliatoio, si è rotto e di solito queste rotture non si possono aggiustare. Chi arriva ha il compito di (ri)portarci a vincere con Cremonese e Spezia e cementare la nostra presenza di diritto tra le prime quattro teste di serie del campionato italiano. La stessa condizione del 2022, ma senza la forza di essere Campioni e senza la stabilità di un gruppo vincente.
Evitando di entrare nei meandri dei discorsi economici e di bilancio che mi danno il voltastomaco e di cui parlano ormai tutti i tifosi, la scelta di cambiare allenatore porta con se un bivio:
1) Prendere un allenatore “più forte” e alzare l’asticella delle ambizioni.
2) Prendere un allenatore “scommessa” e, implicitamente, ridimensionarci.
Contro intuitivamente partiamo dall’opzione 2. Forse è il mio essere tifoso a farmela sembrare meno percorribile di quanto sia in realtà, ma non ci credo. Certo, permetterebbe di continuare senza stravolgere la rosa o investire massivamente e oggi, con il quarto posto a fortissimo rischio, sono variabili non di poco conto. Un nuovo allenatore con aspettative modeste potrebbe magari recuperare qualcuno dei cento ragazzini smarriti di Milanello e, col supporto della dirigenza, traghettarci ad una stagione 24/25 più profondi e competitivi di oggi. Il rischio di fallimento però è davvero altissimo e non credo il Milan abbia un altro anno bonus per riprovarci. 
L’opzione 1 è certamente suggestiva, ma porta con sé una certa mole di implicazioni poco probabili. Un allenatore di grido chiama investimenti, per lui e per la rosa. Potendo fare il fantamercato dei sogni ci sono tanti ruoli in cui il Milan ha bisogno di innesti, troppi per credere si possa davvero fare senza smantellare l’ossatura attuale, che vuol dire vendere qualche pezzo dei pochi che hanno un mercato. Uno su tutti: Leao. Io non sono per forza di cose contrario a cedere il portoghese, ora che il rinnovo ci porta a poter fissare noi la cifra, ma non ho garanzia alcuna questo produca automaticamente l’irrobustimento della rosa auspicato. Tocca avere fiducia in chi tira i fili, ma il passato recentissimo un po’ di scetticismo addosso me lo ha buttato.
Tocca navigare a vista in un futuro con più nebbia di quanto fosse legittimo aspettarsi 12 mesi fa.

Forza Milan.


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Il film di D&D

È uscito Dungeons & Dragons – L’onore dei ladri e ieri l’ho visto al cinema.
Per me la miglior trasposizione possibile di una sessione di D&D che giocherei con gli amici, quindi adesso facciamo che metto qui il trailer e chiudo la parte spoiler-free, poi sotto al video ne parlo in dettaglio.
Andate a vederlo al cinema, vi prego, perché voglio ne escano almeno altri dieci.

Se fai un trailer in stile honest trailer è già abbastanza chiaro il livello di strizzatina d’occhio a cui aspiri, quindi da un lato mi compri subito, ma dall’altro mi si attivano tutti i sistemi d’allarme possibili. Mi piace mi si faccia l’occhiolino, ma dipende sempre da chi me lo stia facendo e quanto riesca a non rendersi ridicolo nel farlo.
Secondo me, quindi, un buon modo per iniziare a parlare di questo film é valutare il livello di fan service che ci hanno messo dentro.
Quanto ce n’è?
Tanto.
Dá in qualche modo fastidio?
No.
Certo, dipende dal tipo di approccio che si ha con il materiale di partenza.
Dungeons & Dragons è un gioco vecchio e reso popolare da una generazione di nerd che non hanno minimamente a che fare con l’accezione attuale del termine. Non vorrei fare una digressione troppo ampia, ma il termine nerd ha un percorso uguale ed inverso a quello del termine emo. Entrambi hanno stravolto il loro significato nel processo di sdoganamento verso l’uso comune, solo che “Nerd” è passato dall’essere un insulto destinato ad una cerchia di persone con evidenti problemi di relazione al mondo esterno, ad una sorta di etichetta spesso auto-assegnata che in qualche modo certifichi la figaggine e l’alternativismo di chi se la sente addosso. Ad “Emo” è successo l’esatto opposto.
C’erano quindi due rischi da scongiurare facendo questo film. Il primo era di fare qualcosa che usasse D&D solamente come marchio per portare in sala i rimastoni come me, ma che puntasse in realtà a chi pensa di essere un nerd perché ha visto Stranger Things. Un film in cui due o tre “sottili citazioni” (che non chiamerò easter egg per evitare di indisporre il Governo) vengono annacquate in una poltiglia hypster e anonimissima, priva della reale intenzione di trasporre lo spirito del gioco e volta solo a monetizzare cavalcando una moda che tiene fino a che resta superficiale.
Il secondo era quello di puntare forte sul target originale, prendendosi drammaticamente sul serio e cercando di trasporre tutti i must dei veri fanatici del gioco. Fare una sorta di Bohemian Rhapsody, per dare un riferimento. Occhio che questo non vuol dire per forza fare un film cupo, drammatico o traboccante di epica per metallari puzzolenti. Nessuno produrrebbe un film così, oggi. Quel che invece si fa di continuo è scrivere storie seriosissime, con personaggi (super)eroici, e farcirle di spalle comiche e gag da barzelletta del cucciolone che sembrano incollate a forza nel contesto. Ecco, il film di D&D non fa questo errore.
L’Onore dei Ladri sceglie un tono e lo tiene per tutto il tempo, con una coerenza rara. Il tono è quello del cazzeggio e, santo Dio, è il tono che ogni sessione di D&D divertente dovrebbe avere. Hanno trasposto il gioco nella sua giocositá e lo hanno fatto tramite gag che ogni giocatore di D&D ha vissuto con gli amici, ma che sono sempre abbastanza ricercate da non risultare stucchevoli perché trite e ormai abusate. Per fare degli esempi: non c’è il nano che litiga con l’elfo, c’è parlare coi morti; il personaggio del barbaro non è stupido, è diretto e quindi a volte fuori luogo. Cose così.
Se poi parliamo delle scelte che legano più fortemente il film al gioco e alla sua community, per me sono stati perfino raffinati. Le classi dei personaggi sono ben rappresentate, stereotipate il giusto da farle arrivare anche a chi non mastica, ma senza eccedere nel caricaturale; la magia, elemento difficilissimo da bilanciare in scrittura, trova il giusto spazio e riesce anche a trasferire quel senso di “uso creativo degli incantesimi” tipico di chi gioca a D&D; con il personaggio dello stregone sono anche riusciti a farmi percepire la crescita di potere che in gioco si ottiene al passare dei livelli.
E poi i mostri.
Tanti e usati spesso anche solo per dare colore al mondo. Alcune creature come il mimic o il cubo gelatinoso sono evidente fan service ai giocatori di vecchia data, altre come la belva distorcente provano a dare quel tocco di ricercatezza che ogni giocatore vorrebbe dal proprio master (la frase “Hai un cazzo di manuale da centinaia di mostri, possibile si debbano incontrare sempre i soliti quattro???” l’abbiamo pensata tutti almeno una volta). Pure il drago viene proposto in maniera perfetta perché è simultaneamente demitizzato, ma senza ledere al suo essere comunque una delle creature più temibili del mazzo.
L’orsogufo invece mi piace pensare l’abbiano messo proprio per me. Mostro preferito di sempre.
Niente, più ci ripenso per scriverne e più mi convinco abbiano fatto esattamente il film che volevo e speravo facessero. Sui canali social del gioco lo stanno presentando alludendo ad un D&D Cinematic Universe e, non so che dire, io ci spero fortissimo.


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Sanremo 2023

Ormai venire qui e commentare le canzoni in gara al Festival di Sanremo è diventata una piccola tradizione, quindi eccoci.
Io la kermesse non la seguo in TV perchè, come detto nelle puntate precedenti, è uno spettacolo che non mi interessa e non mi piace. Tendo a recuperare le clip significative i giorni successivi, giusto per stare sul pezzo con le polemiche. Quest’anno ad esempio ho scoperto che c’è ancora gente che non riesce a codificare Salmo che va ospite con delle rime contro Sanremo e pensa davvero quello sia un gesto coraggioso/rivoluzionario, o Blanco che smatta sul palco. Ovviamente tutte cose per cui, anche quest’anno, si è tirato in ballo il punk, ormai ospite fisso della manifestazione.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi.
Io, però, sono qui per parlare delle canzoni e quindi adesso mi ascolto la playlist di spotify (perchè su Tidal non ce n’è una con tutte e 28 le tracce, o se c’è non l’ho trovata), commentando pezzo per pezzo.
Per chi non avesse familiarità con il mio modo di approcciare la questione, per me Sanremo è La Canzone di Sanremo™ (da qui CdS™), archetipo che non ha senso di esistere mai, ma che in quel contesto trova la sua collocazione naturale. Potrei provare a spiegarvi in cosa consiste, ma sarebbe più noioso delle canzoni stesse, cosa davvero indicativa, quindi mi limito a puntare il dito quando lo riconosco in scaletta.
Vediamo come va.

Due vite – Marco Mengoni
Non so che opinione abbiate di Marco Mengoni, ma secondo me di ben collocati come lui dentro il contesto Sanremo ce ne sono pochi. Qui arriva con una classicissima e ultra didascalica CdS™, ma funziona tutto perfettamente. Non ho ancora sentito nessun altro pezzo, ma ho seri dubbi altri abbiano fatto meglio. Vai Marco, a me sei simpatico, vincila tu e siamo tutti felici.

IL BENE NEL MALE – Madame
L’attacco sembra da CdS™, ma è tutto finto. Un po’ come il certificato vaccinale della tizia che canta. Il pezzo non è brutto, purtroppo, ma tra la vicenda del Green Pass e il capslock di merda nel titolo mi vedo ideologicamente costretto a pensarne tutto il male possibile.

Splash – Colapesce & Dimartino
Io a questi musica leggerissima non l’ho ancora perdonata, ma forse il mio problema vero è più con chi ne ha parlato come di un capolavoro. Questa è pure più noiosa. “Mi tuffo nell’immensità del bluuuu… Splash.”. Ma andate affanculo.

Due – Elodie
Direi pezzo di Elodie piuttosto standard, ma senza il ritornello killer di “tribale” o anche solo di “Bagno a mezzanotte”. Non credo di arrivare a ricordarmela, ma apprezzo l’approccio a cazzo duro tipo: “Sono più grossa di sto carrozzone, quindi non mi piego alla CdS™ e vado dritta col mio sound”. Certo, con un pezzo buono sarebbe stato meglio.

CENERE – Lazza
Questo per qualche strano motivo viene portato avanti come fosse un genio, credo c’entri col fatto che ha fatto il conservatorio. Boh. Classico capslock da giovane, ma sotto sotto è una banalissima CdS™, solo quell’attimo più pretenziosa. Di fatto ha avuto meno palle di Elodie. Anche sto giro, una motivazione concreta allo status che si porta dietro la troviamo la prossima volta.

Furore – Paola & Chiara
Non ce n’era davvero bisogno, dai. Poi io la sto ascoltando senza il video, credo anche quello pesi.

SUPEREROI – Mr.Rain
Ed eccola la CdS™ in capslock del trapper/rapper/Fedez di quest’anno. Il coro coi bambini? Camminerò? Madonna che monnezza.

Duemilaminuti – Mara Sattei
Altra CdS™. Anzi, devo dire la più CdS™ tra le CdS™ fino ad ora e quindi, come giusto, una lagna senza confine che sembra durare davvero “duemila minuti anzi duemila ore”.

TANGO – Tananai
Io a questo voglio bene perchè mi sta simpatico e in certi passaggi mi sembra davvero di sentire Roby Burro, non so se siano i testi o come canta. Credo un mix delle due. Qui però si presenta con una CdS™ inutilissima e, fidatevi, mi spiace davvero doverlo riconoscere. Ma poi perchè anche tu con sto capslock? Dai. Sei meglio di così, Tananai.

Alba – Ultimo
Spotify mi mette la pubblicità prima di iniziare, dandomi tempo per precisare quanta sfiga mi trasmetta Ultimo da quando l’ho visto fare i live con la maglietta con scritto Ultimo sopra. Ecco il pezzo. Altra cosa che trasuda sfiga di Ultimo è che ha appracciato la CdS™ anche fuori dal contesto sanremese. Cioè lui davvero pensa che le lagne che attaccano col pianofortino moscio e poi crescono in un groviglio di urlati raccapriccianti siano un format dignitoso. Poi oh, riempie gli stadi eh, quindi chi sono io per dire che la sua roba è concime per piante a cui non vuoi neanche troppo bene?

MARE DI GUAI – Ariete
Inizio a pensare che il capslock sia una sorta di codice implicito per segnalare allo spettatore del Festival che non ha il minimo interesse per la musica, ma che lo segue unicamente come evento televisivo/culturale, quali siano gli artisti “giovani”. Va beh, andiamo sul pezzo. CdS™ anche per Ariete, che evidentemente pensa davvero che essere giovani faccia schifo e quindi si presenta con una canzone che ha almeno 65 anni.

L’ADDIO – Coma_Cose
I Coma_Cose hanno fatto anche cose buone. Non in questo caso.

Vivo – Levante
Lei è insopportabile, ma il pezzo non mi dispiace. O forse è che ho il cazzo pieno delle lagne arrivate fino ad ora e questa la apprezzo anche solo per la voglia di metterci un po’ di ritmo. Il ritornello è irricevibile sotto ogni punto di vista, roba da programmazione di Radio Italia alle tre di notte del mercoledì.

parole dette male – Giorgia
Grandissima con solo le minuscole, dammi una gioia anche col pezzo dai! No? No. CdS™, lo scrivo solo a fine statistico. Milioni di canzoni orribili che parlano di canzoni belle, per una volta mi piacerebbe una canzone bella che parla di canzoni orribili.

MADE IN ITALY – Rosa Chemical e Bdope
Porcheria indifendibile. Cristo. Ma come cazzo fa certa roba ad esistere? Cioè qualcuno ha sentito ‘sto pezzo e ha pensato: “funziona”. Impazzisco.

Cause Perse – Sethu e Jiz
Questi non ho idea di chi siano, quindi mi aspetto la qualsiasi mentre attendo finisca quella merda di MADE IN ITALY. Eccoci. Not my cup of tea (eufemismo), ma penso sia roba che può starci nel 2023, cioè immagino che nel suo essere uguale a sessantamila altri pezzi sotto ogni possibile punto di vista possa funzionare per chi quei sessantamila pezzi se li ascolta volentieri.

MOSTRO – gIANMARIA
Qui siamo al level up per il capslock, con al minuscola iniziale. Forse se tutto lo sforzo usato per cercare nuovi mirabolanti modi per scrivere il nome dei cantanti o i titoli delle canzoni venisse usato per scrivere i pezzi ascolteremmo roba più interessante. Poi ok, lui secondo me è pure bravino ed il pezzo certamente non tra i peggiori fino a qui, ma è davvero un merito molto poco meritevole.

Polvere – Olly
Una sorta di Nintendocore in versione Sanremo. Capisco il senso di averla in scaletta e non è che dia necessariamente fastidio, ma non credo ne sentiremo più parlare. Anche perchè è un pezzo che dovrebbe puntare sul ritornello e invece il ritornello, se possibile, depotenzia.

Lettera 22 – Cugini di campagna
Sappiamo tutti che l’unico commento da fare, a prescindere dal pezzo, sarebbe “a parità di vestiti, sono meglio dei Maneskin”. Io non ho davvero mai avuto contatti con la musica dei Cugini di Campagna, quindi non so se sta roba sia standard per loro o meno. E’ una CdS™ collocabile a cavallo tra i ’90 e i ’00, quindi puzza di vecchio tantissimo, ma magari per loro è futurismo.

Quando ti manca il fiato – Gianluca Grignani
Mi spiace dire male di un pezzo del genere, onestamente. Quindi su Grignani dirò solo che il suo commento al caso Blanco è il migliore di tutti. Ah, calma, in chiusura il pezzo, musicalmente, è figo. Che questo si noti solo quando lui smette di cantare però credo non deponga troppissimo a suo favore.

UN BEL VIAGGIO – Articolo 31
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma io sugli Articolo 31 avevo delle aspettative. Lo so, lo scemo sono io. CdS™ brutta in culo, con anche il titolo in capslock per non farci mancare nulla del peggio. Gli scretch incollati a caso ciliegina sulla merda.

Se poi domani – LDA
Non ho tredici anni, non credo di poterne parlare. Però spero di avere la forza di comprare la droga ai miei figli se dovessi scoprirli dentro a roba del genere.

Stupido – Will
Leggi sopra.

Terzo cuore – Leo Gassmann
Non so se questa persona abbia effettivamente una carriera da musicista fuori da questa settimana, ma in questa settimana per me può tranquillamente starci. Il ritornello mi pare un mezzo ripoff dei Pinguini Tattici Nucleari e visto che i PTN non sono esattamente Beatles, forse c’è un problema a monte.

Non mi va – Colla zio
Questi sono amici della figlia di una mia collega. Spiace più che altro per lei.

Egoista – Shari
Ma il pezzo di Madame non l’avevo già sentito? Si scherza dai. A me il cantato femminile biascicato fa cagare, ma quando inizia a svolazzare con la voce su quei vorrei finali si rimpiange tantissimo il momento biascicato.

Lasciami – Modà
Occrishto ma non ce li eravamo tolti dal cazzo questi? Ma ridatemi le Vibrazioni piuttosto. Che poi vaffanculo la melodia non sarebbe neanche così orrenda, è solo sbagliatissimo tutto il resto, cantante in primis.

Sali (Canto dell’anima) – Anna Oxa
E andiamo! Urla belluine come non ci fosse un domani e senza la minima giustificazione. Non mi sarei potuto aspettare nulla di meglio dalla Oxa e direi che è un modo degnissimo di chiudere sta playlist, con la sofferenza estrema. Sua e mia.


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Milano 30

Provo a mettere in fila un po’ di pensieri in merito alla proposta portata in giunta da Marco Mazzei per l’abbassamento del limite di velocità a 30km/h in tutta l’area urbana di Milano.
Lo faccio perché, come spesso accade, il dibattito si è immediatamente avvelenato ed è diventato complesso prendere una posizione senza finire a litigare, ma anche farsi un’idea senza obbligatoriamente impantanarsi dentro una delle due fazioni. Cosa che a me fa sempre tanta tristezza.
Partiamo quindi con una premessa: essere scettici verso questa idea non vuol dire non vedere il problema che cerca di risolvere né pensare che non sia importante risolverlo.
Non per forza e non nel mio caso.
C’è una clip di Immanuel Casto al Breaking Italy podcast che spiega bene perché questa premessa sia importante*. Io sono convinto che a Milano ci siano problemi di traffico, inquinamento e sicurezza stradale e sono iper d’accordo a lavorare per risolverli, ma resto scettico sul fatto che questa sia la via migliore per arrivarci e adesso provo a spiegare perché.
Prima però metto il link a un’altra clip in cui lo stesso Mazzei spiega nel merito le argomentazioni che supportano l’idea, perché credo sia giusto partire da lì.
Guardatela e poi leggete il resto, se vi va.

Le argomentazioni principali a supporto dell’idea, oltre alla sempre irritante “lo fanno anche X e Y” che non prendo volutamente in considerazione, sono essenzialmente tre.
1) Più sicurezza.
La base di partenza dell’idea è che, stando ai dati, essere investiti da un’auto a 30km/h non sia letale, mentre a 50km/h lo è. Inoltre, il tempo di arresto a 50km/h è di 25m mentre a 30km/h è di 10 metri. Io non sono ovviamente qui a contestare questi numeri, ma a mio avviso può essere utile ragionarci sopra.
Faccio un parallelismo che non vuole essere una provocazione, ma spero aiuti a capire il mio punto. La causa del 100% delle morti per incidente aereo è l’altezza. Indiscutibile. La soluzione però non può essere “facciamo spostare gli aerei a terra”, deve essere “rendiamo il volo il più sicuro possibile in modo che il pericolo intrinseco legato all’altezza venga neutralizzato”. Abbassare il limite di velocità a 30km/h per me usa lo stesso principio logico del tenere gli aerei al suolo ed è un modo reazionario di approcciare i problemi che non mi appartiene. Io punto sempre a soluzioni che ci portino un passo avanti e non indietro, quindi nello specifico dovremmo puntare a muoverci più velocemente ed in modo più sicuro, sfruttando la tecnologia che abbiamo a disposizione. Torniamo a quei numeri sullo spazio di frenata. I famosi 25m di cui sopra non possono essere intesi come “assoluti” perché dipendono certamente dall’efficienza dell’impianto frenante, ma soprattutto dai tempi di reazione di chi guida. Tempi che con la tecnologia corrente per la frenata assistita possono ridursi. Più importante però é che quegli stessi tempi si allungano se chi è al volante non sta prestando la dovuta attenzione, indipendentemente dalla velocità a cui sta guidando. Quindi il problema principale, per me, non è fare andare questa gente più piano, ma farla guidare con la dovuta attenzione e spingerla a dotarsi di tecnologia di sicurezza che subentri in caso di errore.
Vedo ovviamente arrivare l’obbiezione: “La gente non smetterà mai di stare al telefono mentre guida”, ma se questo è il presupposto potrei rispondere con i dati che certificano la propensione degli italiani ad infrangere i limiti di velocità e finiremmo in un cul de sac.
Quindi, riassumendo, non dico che questa idea non vada nella direzione di una maggiore sicurezza. È vero e, in questi termini, se applicata perfettamente porterebbe benefici. Non sono propenso a giustificare i mezzi per via del fine, peró, e io discuto unicamente quello.
2) Meno inquinamento.
Qui non ho molto da dire per controbattere, perché non ho dati concreti in mano. L’altra sera la mia formazione scientifica mi ha portato a fare un po’ di test con la mia auto (un 1.6 diesel di sei anni fa), perché tramite computerino di bordo posso monitorare i consumi.
Percorrendo lo stesso tratto di strada in condizioni di velocità costante (quindi non in fase di accelerazione né decelerazione) e stesso numero di giri motore (circa 1200), per mantenere i 30km/h devo viaggiare in terza marcia, mentre i 50km/h li ho mantenuti in quarta. In queste condizioni la mia auto consuma di più tenendo i 30km/h (non tanto di più), credo per via del fatto che i motori moderni non sono pensati per essere efficienti a quei regimi di utilizzo. Al netto di questo, credo il reale abbattimento sia legato alla riduzione delle accelerate che, causa traffico, portano costantemente a passare da zero a 50km/h. Dovendo andare da 0 a 30km/h queste accelerate sono meno veementi e riducono le emissioni, ma questo ci porta diretti al punto
3) Il traffico.
L’obbiezione più ovvia, che poi cosí ovvia forse non è, rimane: “Se riduco la velocità, ma mantengo inalterate le distanze da coprire, il tempo deve aumentare. Se aumenta il tempo, aumenta l’occupazione delle strade per singolo veicolo e, di conseguenza, il traffico”.
A questa cosa ho visto rispondere in modi diversi, che cito per completezza di argomentazione.
– “Nel traffico si viaggia a 12km/h di media, non a 50, quindi non cambia nulla.”. Non può essere vero, perché la velocità media dipende dagli estremi. Se abbassi gli estremi, si abbassa anche lei. Quindi è una non risposta, oltre ad essere un’argomentazione boomerang che porterebbe a ribattere: “Allora non c’è alcun problema di sicurezza, visto che a 12km/h ci si arresta in meno di 10m e non si è letali”.
– “Il tempo di percorrenza non cambia abbassando la velocità perché è determinato in misura maggiore dalle soste ai semafori che non dalla velocità di spostamento.”. In pratica, andando più veloce passi solo più tempo fermo al semaforo, ma ci metti uguale ad arrivare. Questa è un’argomentazione già più sensata, che però dovrebbe tener conto di un fattore. La proposta di Milano 30 prevede un cambiamento nelle tempistiche dei semafori volta a favorire un maggiore scorrimento ed un minor fenomeno di “stop&go”, reale causa di traffico e smog. Benissimo. Se coi limiti attuali, dove sicuramente la velocità dovrebbe portare ad uno scorrimento maggiore, questo non avviene forse si dovrebbe puntare il dito proprio verso una gestione poco corretta dei semafori che impediscono al traffico di defluire come potrebbe. In altre parole: la gestione perfetta dei flussi che si pensa di implementare per Milano 30 avrebbe molto più effetto ed efficacia sul traffico (e forse anche sullo smog) se adottata per Milano 50. A meno di ragioni per cui questa cosa si possa fare con il limite a 30km/h e non si possa fare con il limite a 50km/h, ma non ho sentito nessuno dire questa cosa né fare una domanda in questa direzione.

Questi i dubbi nel merito, razionali, a cui si somma un preconcetto costruito in anni di vita a Milano. Sbaglierò, ma se ci fosse davvero la voglia di cambiare, alla messa in vigore della norma (anzi, diciamo 3 mesi dopo per evitare effetto sorpresa) dovrebbe partire un’operazione costante di vigilanza e sanzionai. Non perché io sia particolarmente favorevole al metodo coercitivo, ma perché se applichi una politica intransigente per forza di cose “educhi” i cittadini a rispettare il vincolo. Se invece sanzioni ogni tanto, magari all’occorrenza di bilancio, il messaggio che passi ai cittadini è che quella norma non esiste, che infrangerla è un rischio ponderabile e che le multe sono essenzialmente questione di sfiga. Se così sarà anche questa volta, credo davvero Milano 30 non possa portare alcun beneficio alla città. 
Ultima nota.
Da dati non recentissimi che ho trovato online facendo un minimo di ricerca, quindi senza perderci il sonno, il 50% del traffico cittadino di Milano è di transito da o verso fuori, quindi di persone che non possono valutare spostamenti ad impatto zero come andare in bici o a piedi. Chi si muove dentro la città già usa i mezzi 4 volte su 10 perché a Milano, checché se ne dica, il trasporto pubblico funziona bene. Tra i restanti, il numero di persone che si sposta in auto è grossomodo equivalente a quello di chi va a piedi o in bicicletta. A mio avviso questo vuol dire che chi usa l’auto oggi non lo fa per mancanza di alternative, ma per scelta e sono davvero molto scettico questa scelta possa cambiare in virtù di una sbandierata maggiore sicurezza per pedoni e biciclette.

* già che ci siete guardatela tutta quell’intervista perché merita molto.


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Il 2022 di Manq

È stato un anno abbastanza di merda per una serie di motivi non abbastanza seri da farci empatizzare il prossimo e, anzi, di quelli per cui se ti lamenti le persone ti prendono per quello che non sa cosa siano i problemi veri.
C’è pieno di persone pronte a spiegare quali siano i problemi veri e con chi sia legittimo empatizzare.
Sono andato a riguardare il post dell’anno scorso e trasudava una certa positività per come fossi venuto fuori da questi anni assurdi di pandemia, ma dodici mesi dopo tenderei a dire che ne sono uscito male.
Sono decisamente una persona peggiore di quanto fossi nel 2019.
E se è crollata la stima che ho nei miei confronti, non sto a dire quella nei confronti del prossimo.
Quindi l’augurio per questo 2023 che arriva è di ritrovare un po’ di positività vera e non solo ostentata, un po’ di serenità reale e non solo autodichiarata e magari un po’ più di leggerezza di spirito, che tutto sommato ha ragione chi dice che i problemi veri siano altri.
Insomma, speriamo di ritirarci assieme nel breve. Magari è la volta che tocca chiedere una mano.

No, questo post non lo mando per email. Consideratela la mia buona azione di fine anno.

I dischi di questo 2022

Ed eccoci qui a rimetterci i panni del rimastone giapponese in trincea vent’anni dopo la fine della guerra per parlare della musica che ho ascoltato quest’anno, come era grossomodo obbligatorio fare una decina di anni fa e sembra invece molesto fare oggi, che tanto ci sono le statistiche colorate delle app a farlo per noi. Considerato non freghi davvero niente a nessuno della musica che abbiamo ascoltato, non perderci dietro del tempo e lasciar fare agli aggregatori di numeri sarebbe una scelta intelligente, in effetti, ma cosa diciamo noi al Wrapped di Spotify? “Not today!“, esatto.
A questo punto allora tanto vale far saltare tutti i paletti ed iniziare a raccontare la cosa per quel che è, ovvero che di massima i dischi che mi trovo a consumare sono raramente uscite contemporanee, ma si tratti invece di roba datata che, per qualche ragione, io scopro molto dopo la pubblicazione.
In questo 2022 per esempio, la roba che ho ascoltato di più sono due dischi degli Spanish Love Songs, uno del 2017 e uno del 2020. 
Ho iniziato dal secondo, che si chiama Brave faces everyone, etichettandolo come un dischetto niente di che da cui però non riuscivo a venire fuori. A quel punto ho provato ad approfondire sentendo il disco prima, Schmaltz, convincendomi quasi subito fosse uno dei miei dischi preferiti di sempre. Oggi, dopo circa dodici mesi di riflessioni, ad una domanda secca forse risponderei che Brave faces everyone è il più bello tra i due dischi, ma che in Schmaltz ci sono le canzoni più belle. Raccontati i due parole, gli SLS sono la trasposizione perfetta del mio mood in questo 2022, ovvero il racconto di una persona che non è sempre è stata presa benissimo. Lungi da me voler vendere una visione romantica dell’essere presi male, narrazione che fa abbastanza danni soprattutto a chi ha un reale problema di depressione e si trova a viverlo senza capire come mai per il mondo sia una roba cool, ma è vero che il mio umore è molto legato a quello che ascolto e non sempre quel che chiedo alla musica è di tirarmi su il morale. Spesso invece mi serve per chiudermi dentro il malessere, in apnea, fino a che diventi necessario, imprescindibile, tirar fuori la testa. 
Ad ogni modo il punto è che qui abbiamo due dischi monumentali che fareste bene ad ascoltare se non siete in una fase della vita in cui vi sembri appetibile sdraiarsi sui binari del treno e aspettare. In quel caso, fossi in voi, opterei per qualcosa di diverso.
Il fatto che a Giugno avessi organizzato una trasferta a Londra in giornata solo per vederli suonare e questa sia saltata 3 giorni prima insieme al loro intero tour europeo direi che, a posteriori, è perfettamente in linea con quanto detto sin qui riguardo la loro musica.

Pur essendo verissimo che la maggior parte di quel che ho ascoltato in quest’anno non sono dischi usciti quest’anno, ci sono un pugno di cose targate 2022 a cui ho dedicato abbastanza tempo ed ascolti da citarle in un resoconto di fine anno. Sono queste:
Nei sogni nessuno è monogamo (Dargen D’Amico): certamente non il miglior disco del novello idolo delle masse DD, manco nei primi tre volendo. Al suo interno riesce però ci piazza Patatine, la più alta espressione ad oggi del cantautorato millennials senza se e senza ma, e Dove si balla, che se non è il pezzo più grosso della musica italiana di quest’anno solare allora ditemi voi. Anzi non ditemelo, che avete torto. Ce n’è quindi abbastanza per mettere il disco tra le cose positive della stagione senza necessariamente passare per fanboy.
Asphalt meadows (Death cab for Cutie): non il mio gruppo preferito, mai stato sul loro carro neanche ai tempi di Transatlanticism, ovvero quando non averli come riferimento era illegale in diversi blog e siti che ero solito frequentare, eppure questo dischetto qui è veramente bello. Non bello tipo lo ascolto 10 volte in due settimane e poi mai più, bello che dopo tre mesi ancora ieri mi è venuta voglia di rimettermelo in cuffia. Che poi è il motivo per cui sta in questa lista mentre 11:11 dei Pinegrove non c’è.
Tekkno (Electric Callboy): passate oltre, che davvero non è cosa. Qui dovrei linkare un pezzo sul concetto di guilty pleasure che ho provato a buttare giù mille volte negli ultimi mesi, ma che alla fine non ho mai scritto. Amen. Il succo è che ho smesso da tempo di sentirmi in colpa per la musica che mi piace e questa roba qui, a me, piace. Ignorante, volgare, caciarona e intollerabile a chi cerchi la qualità? Sì, ma mi piace comunque. Tekkno è il disco degli EC uscito quest’anno e forse è anche troppo marcatamente incentrato sul passare il concetto del “non prendeteci sul serio”. Io gli preferisco l’esordio, Bury me in Vegas, che ho scoperto comunque quest’anno e che ho ascoltato molto di più perchè non ho il minimo problema col fatto che ‘sti ragazzi credessero nella loro roba. Siccome però ho detto che avrei fatto una lista di dischi del 2022 ci metto Tekkno che è cmq una bella pera di ignoranza e buon umore.
Quanto (Gazebo Penguins): nella mia testa la relazione tra Gazebo Penguins e Fine before you came è la stessa che c’è tra Better Call Saul e Breaking Bad. Non so dire perchè, vedo i primi un po’ come i figliocci dei secondi, ma che se poi vai bene a guardarci dentro gli riconosci quel qualcosa in più. Questo è il loro quarto disco ed essendo uscito da una manciata di giorni sono ancora in quella fase per cui: “è la roba migliore che abbiano mai scritto omioddioooohh”. Che lo sia o meno è abbastanza irrilevante, importa invece che sia un bel disco e lo dico da persona a cui Legna e Nebbia, rispettivamente il primo ed il terzo dei loro lavori, non sono mai piaciuti. 
Never before seen, never again found (Arm’s length): questo è un bel disco di emo fuori tempo massimo. Ne esistono millemila uguali e probabilmente pure più belli usciti quando ancora a qualcuno importava di questa roba, quindi se non vi piace lo capisco e non ho nulla da ridire. La traccia numero due però si chiama Object Permanence e credo di aver fatto io metà abbondante degli stream che ha su Tidal e Youtube. E’ una canzone meravigliosa di cui ne esistono millemila uguali etc etc. Il disco è uscito solo su vinile, il che mi toglie dall’imbarazzo di doverlo comprare essenzialmente per un pezzo, ma forse non è neanche così male come ve lo sto raccontando. E’ solo che non tiene il passo con quella canzone.
New Preoccupations (Caracara): tempo fa ho iniziato a mandare articoletti di musica ad un sito/blog di amici che mi è sempre piaciuto. Dopo qualche mese da che ho iniziato a mandargli roba, il sito ha chiuso. Non sono uno che crede alle coincidenze. L’ultima roba che gli avevo mandato parlava di questo dischetto qui, che è un lavoro anonimo di una band di cui non sentirete probabilmente mai parlare, ma che per un mese abbondante mi ha fatto da colonna sonora in questo 2022. Volendolo definire, è un disco con canzoni a mio avviso molto belle e che potrei ascoltare dieci volte al giorno senza che mi venga mai in mente di inserirle in una playlist. Derivative in culo eh, ma sta a vedere che da me vi aspettate ancora qualcosa che non lo sia. Eddai.
Canzoni da odiare (Elephant brain): solo cose belle per gli Elephant Brain, ho cagato loro il cazzo mesi per sapere quando avrebbero suonato a Milano e poi quando è successo ho preso il COVID, ma va beh. Il disco nuovo, rispetto al precedente (qui), è un po’ meno centrato su certe sonorità che quelli che ne sanno definirebbero “midwest” e  prova ad aprire ad influenze meno compatte. Parlando con chi nel disco ci ha suonato ho citato i Biffy Clyro e gli stessi Death Cab for Cutie di cui sopra. Mi è stato risposto di averci preso. Magari mi si dava solo la tara come si fa coi matti, ma a sto punto ve la riporto come una roba certificata. 
Ho vissuto confusione (Requiem for Paola P.): altro disco italiano, ma a differenza dei precedenti questo non lo aspettavo per niente e non l’ho visto arrivare. I Requiem for Paola P. sono uno di quei casi in cui la mia testa fonde due gruppi insieme e li associa come fossero lo stesso, nello specifico con i The Death of Anna Karina, probabilmente per via dell’essere italiani e boh, forse del nome riferito a donne morte. Anche loro sarei dovuto andare a sentirli, ma anche con loro la situazione sanitaria si è messa di traverso. Il disco è davvero molto bello però, a partire dal singolo Porto rancore

Otto dischi usciti nel 2022 che a me sono piaciuti abbastanza da parlarne.
Pochi? Boh, probabilmente sì, ma a me direi che bastano.


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I mondiali di Calcio in Qatar

In questa settimana ho avuto (e ho tutt’ora) il COVID. Di conseguenza sono bloccato in casa, al confino da familiari e relazioni, e mi ritrovo con porzioni ampie di giornata senza nulla da fare.
Eppure non ho ancora visto un singolo secondo di questi Mondiali.
L’idea da qui in poi è ragionare sul perché, senza (spero) scadere in paternalismi o volermi dare pose da attivista di questo e quell’altro cazzo.

In primo luogo tocca dire che se l’Italia si fosse qualificata, io i mondiali li starei guardando eccome.
Non sono un tifoso sfegatato di calcio. Seguo il Milan volentieri, ma di massima non organizzo il weekend in base a quando c’è la partita. Mi capita di farlo giusto col derby o le sfide di cartello, ma perché quelle se riesco le guardo con qualche amico e diventa soprattutto una scusa per bere una roba insieme. Coinvolgimento moderato, diciamo, e soprattutto molto correlato ai risultati. Se il Milan compete mi piace star dietro alla corsa e tifare perché ce la faccia, se non compete chissenefrega.
Con la Nazionale però è molto diverso. La Nazionale la seguo sempre con tantissimo trasporto e le sue vittorie sono probabilmente le gioie calcistiche più grandi ed esplosive della mia vita. Niente come il mondiale 2006, neanche la Champions vinta contro Inter e Juve. Nel bene e nel male eh, quindi anche niente come la finale degli Europei 2000 persa al golden gol, per me. Neppure Isanbul.
Mio figlio stesso ha iniziato a “seguire il calcio” con gli Europei 2021, non credo sia un caso.
Questa passione viscerale per la Nazionale ce l’ho sempre avuta e credo nasca dal fatto che fin da piccolo ho visto gente (fortunatamente fuori casa) litigare per il pallone, trovandolo stupido. Di conseguenza, per me era bello che la Nazionale ci mettesse tutti dalla stessa parte, a bestemmiare e/o gioire compatti.
Devo però anche dire che la cosa si è radicalizzata con l’esperienza di vita all’estero, in Germania (non un estero qualsiasi, calcisticamente parlando), e i successivi anni spesi a lavorare a stretto contatto con stranieri. Leggo sempre in giro che gli stereotipi sulle nazionalità siano falsi miti da superare, spesso dentro una retorica da “siamo tutti uguali” che ha certamente un fine positivo, ma che per me è indigeribile.
Non lo siamo.
Che i francesi siano arroganti o che i tedeschi siano rigidi non è falso. Sono estremizzazioni (forse) di differenze culturali reali e tangibili. Diventano un problema solo se pensiamo 1) di non avere difetti a nostra volta e 2) di essere gli unici legittimati ad avercela coi difetti altrui. Senza allargare ulteriormente il tiro di ‘sto post già abbastanza a maglie larghe, lo sport Nazionale, che sia il calcio o le Olimpiadi, per me è una bella valvola di sfogo per convogliare un certo senso di rivalsa e orgoglio Nazionale.
Che vivo e sento perché, ci crediate o meno, negli ambienti sociali ad alta istruzione (quindi elitari) che frequento io, essere italiani porta con sé un pregiudizio di inferiorità che tocca smantellare e che, purtroppo, lascia delle scorie che depurare col tifo è il meglio che possiamo chiedere.
Tutto questo per dire che con l’Italia io il mondiale lo avrei seguito e, quindi, che non ha molto senso parlare di boicottaggio quando non si partecipa a qualcosa che non ci interessa, senza una vera rinuncia di principio dietro.
Certo, potrei comunque guardare le altre partite, ma credo si evinca per me il calcio non sia uno sport particolarmente godibile senza la componente emotiva. Posso apprezzare una bella partita anche se non gioca una squadra che mi interessa, ovviamente, ma per il mio concetto di “bella partita” direi che si tratta di casi molto sporadici.
Però.

Però è indubbio che questo mondiale in Qatar porti alla luce il peggio di tutto quello che ruota attorno al calcio, che poi è quello che ruota attorno anche a tutto il resto: i soldi.
In una società guidata dai soldi, in ogni ambito, ci capita di avere queste epifanie in cui realizziamo che il principio non collima con i valori dello sport. Oppure, che se le istituzioni a cui guardiamo e da cui ci facciamo rappresentare non mettono dei paletti, ci sarà sempre qualcuno pronto a portare la legge dei soldi oltre i nostri limiti etici e morali, senza che noi ci si possa fare poi molto se non pretendere di più dalle istituzioni di cui sopra.
Andando al punto (finalmente, se dio vuole) in Qatar ci sono due aspetti.
Uno è quello relativo alla parte gestionale, la costruzione degli stadi tramite schiavitù (perché quello è) con annessa caterva di morti che si è portata appresso. Questa è una cosa che la FIFA aveva il dovere di osteggiare, in sede organizzativa, chiedendo garanzie diverse e mettendo vincoli. Vigilando. Possiamo dirci: “Eh, a nessuno è fregato nulla fino a ieri!”, ma non è che tutti abbiano il dovere di avere sul radar la questione. Quel dovere ce l’aveva la FIFA e non ha fatto niente.
Il secondo aspetto è quello dei diritti umani e civili, legato alla situazione politica e religiosa del Qatar.
Secondo me portare un evento mondiale in un Paese con quel tipo di gestione è positivo, perché solo mettendoli più in contatto con il resto del mondo potranno vedere cosa c’è fuori, fare dei bilanci, ed eventualmente prendere coscienza dei problemi che hanno.
L’inclusione è sempre l’unica via, perché spinge al confronto e dal confronto si impara tutti (a lungo andare).
Quindi, se lo chiedete a me, chi davvero ha a cuore mettere sul radar dell’opinione pubblica i problemi che derivano da un governo che non rispetta diritti umani e civili e ha la possibilità di prendere parte a questo carrozzone dovrebbe farlo e trovare il modo di mandare un segnale. Quale che sia. Perchè quel segnale arriverà anche a chi il problema lo ignora o non lo vede. Tirandosi fuori invece il messaggio lo si manda a chi è già consapevole ed è una cosa che ho sempre l’impressione si faccia più per se stessi che per la causa.
Aggiungo però che chi ci va, ai miei occhi, ha il dovere di porsi in merito alla questione e se decide di non farlo sta assumendo comunque una posizione politica chiara, legittima e, proprio per questo, ingiustificabile.
In tal senso chiudo citando l’editoriale di apertura di Rai Sport.

Al netto del testo, sicuramente perfettibile, mi è sembrata la posizione giusta da tenere da parte del Servizio Pubblico, che ha il dovere di esserci e di raccontare un evento di questo tipo, ma senza nascondersi e, anzi, mettendo i problemi sul radar di chi questo mondiale lo sta seguendo nonostante tutto. Un audience probabilmente meno incline a riflettere sul peso di certe problematiche e che quindi dovrebbe essere la prima a cui puntare se si ritiene che, invece, queste problematiche debbano essere nella testa di tutti.
Attivismo, secondo me, vuol dire questo.


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Il giorno dopo

Non è che vada molto meglio, rispetto a ieri, però c’è forse un filo di lucidità in più per fare un mezzo punto della situazione. 
Non mi interessa più di tanto fare l’analisi del risultato elettorale, un po’ perchè resto convinto di quel che avevo scritto prima delle elezioni e un po’ perchè ieri c’è stato modo di discuterne su twitter realizzando, come spesso, di avere una visione non proprio condivisa della faccenda. Oltretutto, stare qui a fare il processo post partita rischia di diventare un mero esercizio di stile, se non uno sfogo alla frustrazione, quindi cui prodest? Il sempre acuto account ComunqueMilan diceva che  in politica, come nel calcio, “chi perde, spiega” e non c’è davvero nulla da aggiungere.
Quello su cui però forse un paio di parole andrebbero spese è quel che succederà, tra timori e prese di coscienza.
Io non ci credo tantissimo alla cosa della deriva fascista della nostra politica, perchè ho l’impressione che in Europa quella strada non sia percorribile, strutturalmente, e che la Meloni (come Salvini prima di lei) si riscoprirà molto più europeista ora che deve portare avanti il Paese. Il problema, più che politico in senso stretto, temo possa essere sociale.
Quando la Meloni strilla che la sua vittoria permetterà a tanti di rialzare la testa e smetterla di nascondere la propria ideologia, non parla ai suoi (che ancora giustamente continuano a vergognarsi come ratti quando scappa loro un saluto romano), ma alla gente. E in mezzo alla gente ci sono brutte persone, purtroppo. 
Persone che da domani si considereranno legittimate a fare cose orrende verso i più deboli, o gli emarginati. Non perchè una nuova legge gli consentirà di farlo, non perchè investiti di chissà quale carica istituzionale, ma semplicemente perchè si sentiranno improvvisamente in diritto di poter essere le merde che sono. E, secondo me, è quella la cosa che dobbiamo provare ad arginare come società, il fenomeno a cui va opposta resistenza. Certo, magari sono eccessivamente ottimista e tra un mese staremo davvero assistendo a tentativi di abolire la 194 o di istituire i reati di gender e nuove leggi raziali, ma la verità è che non sarà necessario e la Meloni è la prima a saperlo. Perchè abolire la 194 quando si può semplicemente spingere l’obbiezione di coscienza, sottotraccia, aprendo le porte della carriera ai medici che la sostengono e creando un’inapplicabilità fattuale del diritto all’aborto? E’ una cosa che già si fa, basta solo calcare la mano. 
In questo senso, a costo di sembrare uno di quelli che millanta di aver vinto anche quando le ha prese secche, sono molto felice (e un filo orgoglioso) di aver contribuito a mandare in Senato Ilaria Cucchi. Perchè quando le forze dell’ordine inizieranno a sentire il vento in poppa e a qualche “ufficiale troppo zelante” scapperà la mano, sarà importante avere finalmente qualcuno in Parlamento per tenere il punto ed evitare che le istituzioni lascino correre. Le auguro davvero ogni bene, a naso la attendono cinque anni piuttosto complicati. 
Al netto di tutto questo però, io continuo a credere il nostro Paese sia meglio di come lo si immagini. Anche oggi. 
Tocca stare un po’ più attenti, certamente, e diventa ancora più importante restare fermi nella volontà di far succedere le cose. Se il problema è sociale prima che politico, il ruolo del cittadino non può limitarsi al voto, diventa fondamentale. Però non è il caso di lasciarsi abbattere.
Ci attendono cinque anni controcorrente, dobbiamo solo nuotare più forte.

 

Ce lo meritiamo, il capitalismo

Attenzione, stai per leggere una roba che i competenti chiamano “flusso di coscienza”, ovvero una serie di frasi scritte di getto sull’onda emotiva di un momento come tanti, ma con più tempo a disposizione.
Se molli il colpo prima di partire non me la prendo.
Amici come prima.
Esattamente come prima.
Se sei tra chi c’era all’inizio, sai che qui, una volta, era tutto flussi di coscienza.

Non ho la pretesa di pensare il mio lavoro sia rilevante, ma quando passi una giornata nel reparto di oncoematologia pediatrica di un ospedale diciamo che è complicato non mettere le cose in prospettiva. Tutte le cose, quindi anche il fatto che il lavoro che fai faccia in qualche modo parte del processo che prova a tenere le persone dal lato verde dell’erba. Sul principio è anche una bella sensazione, non lo nascondo, ma se inizi a pensarci ti tocca considerare un po’ di cose non necessariamente piacevoli.
La prima è che, statisticamente, sei molto più utile a “vendere” reagenti che non a fare lo scienziato. Chiunque tu sia, ma soprattutto se sei me. La mia carriera accademica (2005-2013) vanta una decina mal contata di pubblicazioni scientifiche peer review, ho pubblicato ogni singolo progetto a cui abbia lavorato, ma è piuttosto evidente che il mio impatto sul progresso scientifico sia zero. Non intendo basso eh, proprio nullo. Diciamo che mi si trova alla voce “Risposte a domande che non era necessario porsi”. Oggi il numero di progetti di ricerca su cui posso avere impatto è imparagonabile, per quantità, e per quanto il mio ruolo all’interno di ciascuno di essi sia decisamente più esiguo (leggi: marginale), è pur sempre legato a trovare la chiave per far funzionare le cose prima e/o meglio. E quando i numeri salgono, sale la possibilità che qualcosa finisca per servire sul serio. Il che ci porta ad una questione ancora più odiosa.
Io a sta gente le soluzioni le devo vendere.
Una parte della narrazione è che quei soldi ripaghino dell’investimento fatto in termini di ricerca e sviluppo, un processo che va coperto economicamente perché sopporti i fallimenti e possa ammortizzarli. Innegabile. Però gli stessi soldi arricchiscono anche le persone. Nel mio caso specifico perlomeno a guadagnarci è chi ha messo in piedi l’azienda da zero e non qualche fondo di investimento / magnate della finanza a cui della scienza interessa solo il ritorno economico (può sembrare una cosa irrilevante, ma per me fa tutta la differenza del mondo), tuttavia parliamo sempre di persone che sono diventate oltremodo ricche. E il mio lavoro, oltretutto, è fare in modo lo diventino ancora di più. Contribuire al progresso scientifico è il mezzo che giustifica il fine, non viceversa.
So cosa state pensando.

Avete ragione.
La cosa che però mi fa arrabbiare più di tutto, la riflessione da cui nasce questo post, è che senza questo sistema malato che cerca profitto in ogni posto, ad ogni costo, il progresso sarebbe un bel pezzo più indietro.
Il motore che ha portato alla crescita esponenziale, direi a 360°, ma sicuramente almeno in ambito scientifico, è la ricchezza. Il sistema dei brevetti, la competitività, sono tutte storture che ci permettono oggi di curare malattie fino a ieri incurabili (spesso causate dalla pressione che questo stesso sistema esercita sugli individui, ma quella è un’altra questione). Era impossibile un’altra via? Non saprei. Difficile fare la storia con i se, ma forse sarebbe stato necessario evolvere come specie in maniera diversa. Meno individualista, meno egoista. Invece dopo 200 mila anni siamo ancora la più spietata tra le specie, addirittura disposti a sacrificare noi stessi sul lungo periodo, contro ogni possibile istinto di autoconservazione.
Purtroppo, ad una specie così, difficile chiedere di concepire qualcosa di meglio del modello capitalista. Sarebbe come aspettarsi la svolta vegana dai leoni.

Alla fine, probabilmente, l’unico vero problema è che quando esci da una giornata spesa in oncoematologia pediatrica sei costretto a guardare alla tua realtà e ringraziare di venirne fuori con al massimo qualche riflessione sul senso del tuo lavoro.